Questo brano invece è tendenzioso, e così l'ha commentato Giuseppe De Rosa su "La civiltà cattolica":
(...)Quello che a noi sembra assolutamente inaccettabile proprio sul piano della storia è la frattura che il prof. Pesce pone tra il «Gesù della storia» (il «Gesù ebreo») e il «Gesù della fede» (il «Gesù cristiano») scomparso «sotto la coltre fitta della teologia». In realtà, questa frattura non esiste.
Indubbiamente Gesù è stato ebreo: è stato circonciso l’ottavo giorno dopo la nascita secondo la Legge; gli è stato posto un nome ebraico (Jehoshua, che significa «Dio salva»); da bambino ha frequentato ogni sabato la sinagoga del suo paese (Nazaret), dove ha imparato la Sacra Scrittura; compiuti i 12 anni è andato in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme; come tutti gli ebrei adulti (fossero anche scribi famosi) ha esercitato un mestiere manuale. L’unico aspetto che lo ha distinto è stato il fatto che non si è sposato. Quando poi ha lasciato il suo paese per iniziare il ministero di predicatore itinerante, la prima cosa che ha fatto è stata andare da Giovanni il Battezzatore e, come altri ebrei, si è fatto battezzare da lui. Ha voluto restringere la sua predicazione al popolo d’Israele.
Gesù dunque è stato «ebreo», ma dobbiamo contraddire il prof. Pesce quando afferma che Gesù non ha criticato la religione ebraica; che non c’è nessuna sua idea o consuetudine, nessuna sua iniziativa che non sia integralmente ebraica; che tutti i concetti da lui espressi siano ebraici; che Gesù rispettava alla lettera tutte le prescrizioni della Torah, comprese quelle riguardanti gli alimenti.
Quanto alla religione ebraica, o meglio, quanto alla Torah, certamente Gesù l’ha ritenuta espressione della volontà di Dio, ma da una parte ne ha corretto talune interpretazioni che ne davano gli scribi, come nel caso del korban: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (Mc 7,8); dall’altra, ha ricondotto il divorzio, permesso dal Deuteronomio (24,4), al genuino progetto originario di matrimonio, affermando che l’uomo non deve separare quello che Dio ha congiunto nell’atto creativo dell’uomo e della donna (cfr Gn 1,27; 2,24). Ma quello che è più importante e significativo è che Gesù non intende «abolire la Legge» ma «darle compimento» e quindi metterne in luce le esigenze profonde, che vanno assai al di là di quanto «fu detto agli antichi» (Mt 5,17-31). Circa gli alimenti, che il Levitico divideva in puri e impuri, Gesù, dice Marco, «dichiarava mondi tutti gli alimenti» (Mc 7,19), rilevando che «non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo» (Mc 7,15).
In conclusione Gesù, sulla scia dell’antica Legge, proclama una Legge nuova, che non contraddice la prima, ma la compie, chiedendo, ad esempio, di «non opporsi al malvagio», di «amare i nemici» e di «pregare per i persecutori» (Mt 5,39.44): cose certo che la Torah non prescriveva. Quanto all’osservanza del sabato, Gesù si discosta profondamente dagli scribi e dai farisei, proclamando che «il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27). Perciò è lecito compiere guarigioni e strappare le spighe per nutrirsi in giorno di sabato. Ugualmente scandalosa è la condotta che Gesù tiene con i pubblicani, i peccatori, le donne di malaffare. Tutte cose che mostrano che Gesù è, sì, un «ebreo», ma che esce fuori dai quadri dell’ebraismo del suo tempo. Non si comprende perciò, come si possa affermare che non c’è nulla in Gesù che non sia «integralmente ebraico».
Gesù e il Padre
Meraviglia anche l’affermazione che Gesù pregava perché non si sentiva identico a Dio: «Non si prega Dio — afferma Pesce — se si pensa di essere Dio» (p. 28). La preghiera di Gesù, fatta spesso nella notte, è un colloquio «filiale» col Padre, a cui Gesù si rivolge col termine affettuoso di abbà (un termine che non si trova — salvo che ci sia sfuggito — nel volume che stiamo presentando). Eppure è un termine di grandissima importanza, che ci fa penetrare nella vita interiore di Gesù, o meglio, nel «mistero» della sua coscienza «filiale». In realtà, Dio è il «Padre suo», in maniera diversa da quella di essere Padre di tutti gli uomini, per cui parlando ai discepoli egli dice «Padre mio» (Mt 7,21) e «Padre vostro» (Mt 6,26), e non dice mai «Padre nostro», ponendo cioè, sullo stesso piano se stesso e i suoi discepoli. (..)
Ma c'è una cosa a dir poco sconvolgente:
"Gesù è un uomo ebreo che non si sente identico a Dio.Non si prega Dio se si pensa di essere Dio."
Questa è una boiata stratosferica, una confusione tra trinitarismo e sabellianesimo. Per i cattolici Gesù
non è il Padre.
Ad maiora
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)