geovologo ha scritto:
Se volete leggere l'audizione di Piccioli in Commissione alla Camera, leggete qui
www.camera.it/_dati/lavori/bollet/frsmcdin.asp?percboll=/_dati/lavori/bollet/200701/0109/html/01/&pagpro=15n4&all=off&c...
Mi pare che il Nostro ha infarcito il suo intervento con una sottile "strategia teocratica", quale?
ps: anche un altro tdg (Gabriele Daniele) è stato ascoltato nella stessa occasione
Copio/incollo i contenuti dei loro inteventi per renderne più agevole la lettura:
(pg 23) PAOLO PICCIOLI, Rappresentante della Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova. Rivolgo un sentito grazie a voi per averci invitati in questa sede: apprezziamo molto che le diverse pluralità esistenti nel paese siano interamente prese in considerazione.
Ciò che dirò è a prescindere dagli argomenti che interessano la nostra confessione religiosa, la quale opera ed è presente in Italia sin dalla fine dell'ottocento e, quindi, come tale, non rappresenta un «nuovo culto» (al quale, tuttavia, veniamo talvolta associati). La nostra storia ha inizio prima dell'affermazione della Costituzione ed è degna di rispetto: siamo perciò grati di questa apertura, e apprezziamo pure che la Corte costituzionale, in ben tre sentenze, abbia esaminato le nostre problematiche e le abbia accolte, nonostante l'abitudine del legislatore di privilegiare le confessioni regolate da accordi ed intese. La legge sulle onlus, le leggi regionali sui contributi ed altri atti normativi, compreso un provvedimento recente, riservano, infatti, benefici o riconoscimenti alle sole confessioni religiose regolate da intese ed accordi: un progetto di legge a carattere generale come questo al nostro esame è pertanto di basilare importanza ed è altresì auspicabile che, per suo tramite, le confessioni religiose, destinate - per scelta o altre ragioni - a non essere mai regolate sulla base di intese, possano ottenere uno status giuridico, se non del tutto equivalente alle prime, almeno idoneo ad assicurare loro un trattamento paritario. Diversamente, qualora la proposta al nostro esame venisse approvata, la differenziazione tra le confessioni da questa regolate e quelle disciplinate da intesa potrebbe divenire davvero notevole.
Per illustrare il problema, vorrei richiamare l'articolo 12 sull'insegnamento nelle scuole, il quale non prevede che l'insegnamento culturale delle altre materie abbia tutela, tutela che invece prevedono le intese. In altri termini, le intese, o le leggi che le approvano, tutelano gli alunni da forme di insegnamento religioso diffuso nello svolgimento dei programmi di altre discipline: questa tutela non è prevista per gli alunni delle confessioni che non otterranno l'intesa per vari motivi.
Inoltre, lo stesso articolo non prevede - come invece fanno le intese - che gli incaricati della confessione possano intervenire ad esporre il fatto religioso. Tale disposizione - così come molte altre incluse in un promemoria che metteremo a vostra disposizione - potrebbe creare uno status giuridico di livello inferiore per le confessioni prive di intesa.
Per quanto riguarda l'articolo 13, esso mi pare ispirato al Regio decreto del 1930 relativo alle affissioni, suscitando alcune perplessità. Infatti, sembra che possa essere sottoposta a controllo anche la libera evangelizzazione. In realtà, le disposizioni di legge sono molto ampie; addirittura il decreto legislativo n. 170 del 24 aprile 2001, che ha inglobato altre disposizioni precedenti, prevede addirittura la vendita senza autorizzazione ed in qualsiasi luogo di stampa a cura di partiti e sindacati. Il tenore della disposizione fa invece supporre che la stampa e la diffusione del proprio credo possa essere soggetta a limitazioni, aspetto di per sé preoccupante.
Inoltre, vorrei menzionare anche l'articolo 20. Esso, pur essendo inevitabile, suscita in me alcuni interrogativi. Infatti, esso riguarda la perdita dei requisiti in base ai quali è stato concesso il riconoscimento della confessione. Tale articolo si rivolge anche alla confessione e non solo ad un ente. Qual è la portata di questa norma? Quali poteri discrezionali fanno capo all'organo dello Stato? È compresa la revoca del riconoscimento giuridico della confessione? In base a cosa può avvenire tale revoca?
L'articolo 22 concede ampia discrezionalità alle autorità competenti, tramite la frase «tenuto conto delle esigenze religiose della popolazione». In base a tale locuzione i comuni respingono le richieste in campo urbanistico. È noto ai nostri amici presenti quanto sia difficile ottenere pochi metri quadri di terreno per costruire un edificio di culto. Infatti, non sono mai ravvisate le esigenze di quella parte di popolazione che professa un certo culto. Quindi, occorrerebbe prendere in considerazione anche tale articolo.
L'articolo 26 è stato ben commentato da Gianni Long, membro della commissione esaminatrice del disegno di legge. Egli diceva che esistono alcune confessioni religiose che hanno ministri di culto non professionisti, essendo la loro retribuzione contraria allo statuto. Esistono infatti alcune confessioni religiose che per principio (condivisibile o meno) non prevedono ministri professionisti. In base a tale principio, un ministro di culto può allora lavorare, ad esempio, come dipendente comunale, pagando regolarmente i contributi previdenziali. Inoltre, in qualità di ministro di culto egli deve pagare ulteriori contributi. Questo doppio pagamento non è giusto. Per tale motivo i disegni di legge precedenti, sia quello Berlusconi che quello riferito al precedente ministero Prodi, prevedevano il verbo «possono». Una persona che già lavora e si mantiene grazie alla propria attività dovrebbe essere apprezzata dalla società italiana. Tuttavia, secondo tale articolo deve versare due volte i contributi previdenziali. A mio avviso, occorre prendere in considerazione tale problema.
Tornando all'articolo 4, il primo comma afferma: «Nel rispetto della loro personalità e senza pregiudizio della salute dei medesimi». Il predetto Long ha subito riferito tale comma a due casi specifici: ai Testimoni di Geova, relativamente alle trasfusioni di sangue, e alle sette plagianti. Tutto ciò a noi interessa relativamente perché, senza entrare in dettaglio, i nostri problemi sotto questo profilo sono stati risolti da tempo,. Pertanto, non faccio riferimento alla questione delle emotrasfusioni, bensì al plagio, che può essere reintrodotto dalla finestra, dopo essere stato abolito con sentenza del 1981 proprio per non far condannare un sacerdote cattolico. Relativamente alla locuzione «senza pregiudizio per la salute», il professore Rescigno (quindi non un giurista qualunque ha affermato che il concetto di salute è troppo generico e può essere adoperato come strumento per qualsiasi concetto od azione limitativa. Lo stesso Long, da me prima citato, critica tale locuzione. In effetti, la commissione ha corretto il 13 ottobre 1999 il testo dell'articolo 4, approvando un emendamento nel quale era prevista la locuzione: «senza pregiudizio alcuno per i medesimi».
L'aggettivo «alcuno» rende tale norma più vasta e consente maggiore tutela. Long si chiede cosa può accadere al genitore che proibisce l'istruzione ai propri figli, mantenendoli nella completa ignoranza. Non si tratta di una fattispecie da cui tutelarsi? E non sono possibili casi in cui questa tutela dovrebbe essere prevista? In base a queste ragioni il legislatore intese completare il codice civile. Con la legge del 28 marzo 2001, all'articolo 333 ha aggiunto la seguente frase: « la condotta pregiudizievole è di colui che maltratta o abusa del minore, sia genitore che convivente». Possono allora esistere altri pregiudizi oltre a quello relativo alla salute? Per evitare di inserire il concetto di plagio, a nostro avviso sarebbe stato meglio ritornare alla soluzione accolta dalla commissione nel 1999, con le parole «senza pregiudizio alcuno». Si tratta infatti di una locuzione più rafforzativa ed onnicomprensiva.
Vi ringrazio per la bontà con cui mi avete ascoltato e per la vostra cortesia.
(pg 66) GABRIELE DANIELE, Rappresentante della Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova. Signor presidente, essendo l'ultimo ad intervenire, non vorrei sovrappormi agli interventi svolti dagli amici delle altre confessioni. Quindi, mi limiterò semplicemente a richiamare l'attenzione su un aspetto che abbiamo notato essere abbastanza diffuso all'interno di tutto l'articolato della legge. Per quanto riguarda i singoli articoli, invece, ci rifaremo ad una memoria, che lasceremo agli atti della Commissione.
Mi riferisco, in particolare, come già è stato evidenziato in vari interventi, ad una caratteristica che notiamo in vari articoli (articoli 10, 11, 14), la quale richiama delle disposizioni e, molte volte, dei benefici limitandoli alle confessioni aventi personalità giuridica. Si tratta di norme abbastanza significative: l'articolo 11 parla del matrimonio, l'articolo 14 degli edifici aperti al pubblico, tutelandone l'occupazione per le confessioni aventi personalità giuridica.
Mi richiamo brevemente anche all'articolo 22, che prevede disposizioni in materia di edifici di culto, favorendo la possibilità della loro costruzione alle confessioni dotate di personalità giuridica.
Spero di non fare un errore imperdonabile, ma tutte le confessioni religiose qui rappresentate hanno personalità giuridica o, comunque, hanno un ente avente personalità giuridica. Quindi, ritengo che queste norme o queste limitazioni non riguardino le confessioni qui rappresentate.
Non dimentichiamo, però, che in Italia ci sono molte confessioni religiose senza personalità giuridica, molte volte proprio perché, in base alle proprie credenze fideistiche, non vogliono chiederla od ottenerla. Dove può sorgere il problema? Il primo comma dell'articolo 8 della Costituzione prevede l'uguale libertà delle confessioni religiose. Come si diceva
prima, questo comma è stato analizzato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 195 del 1993, di cui leggo un brevissimo stralcio: «Tutte le confessioni religiose sono idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loro appartenenti. L'esclusione da tali benefici di una confessione religiosa in dipendenza dello status della medesima, cioè in relazione alla sussistenza o meno delle condizioni di cui al secondo a al terzo comma - possiamo considerare l'intesa, ma anche il riconoscimento - della Costituzione, viene ad integrare una violazione del principio affermato nel primo comma del medesimo articolo». Questa sentenza è stata richiamata e di nuovo confermata dalla sentenza n. 346 del 2002, sempre della Corte costituzionale.
Pertanto, noi riteniamo di portare alla vostra attenzione l'opportunità o meno di mantenere queste norme limitative subordinatamente al riconoscimento della personalità giuridica. Naturalmente, lasciamo al legislatore la valutazione di conservarle o meno, però riteniamo che sia utile richiamarle proprio in una legge che ha come obiettivo quello di fissare norme per la libertà religiosa, anche delle confessioni che non hanno il riconoscimento giuridico.
[Modificato da Achille Lorenzi 30/01/2007 6.37]