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I "defunti" secondo il geovismo e il cattolicismo

Ultimo Aggiornamento: 08/01/2005 18:38
26/12/2004 16:26
 
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Il ricco e Lazzaro –2
Ci troviamo di fronte a una parabola. La parabola è un racconto, il più delle volte fittizio, che Gesù utilizza per fotografare nella mente dell’ascoltatore un messaggio particolare. Per molti secoli ha prevalso l’interpretazione allegorica della parabola, in cui ogni dettaglio aveva il suo significato, ma nel secolo scorso, Adolf Julicher ha demolito questo modo di interpretare sostenendo che nella parabola c’è un pensiero centrale che va messo in risalto. Egli sosteneva con vigore che nella parabola vera e propria un solo punto è pertinente all’insegnamento che vuole impartire o illustrare, mentre i particolari servono unicamente a dare chiarezza o vivacità al racconto, a renderlo più incisivo e credibile; perciò non vanno interpretati come se avessero tutti un significato metaforico, ma devono guidare l’ascoltatore a trovare il punto centrale, la situazione che si riferisce alla sua esistenza e alla sua condotta . Per interpretare correttamente una parabola bisogna seguire quattro linee fondamentali:
a) Comprendere il pensiero centrale senza lasciarci offuscare dai dettagli
b) Tenere conto del contesto immediatamente prima e dopo la parabola
c) Fare concordare la spiegazione con il testo senza violentarlo
d) Evitare di stabilire un insegnamento dogmatico partendo da una parabola

Questo brano di Luca è preceduto dalla parabola del fattore infedele, con la quale Gesù mette in risalto le possibilità offerte dalla vita presente per abbandonare i propri errori. Il fattore infedele si è accorto in tempo della sua condotta indegna della responsabilità affidatagli dal padrone, e così cambia condotta e si converte. “Or i Farisei, che amavano il denaro, udivano tutte queste cose e si facevano beffe di lui” (Lc 16:14). Gesù racconta poi la storia di un uomo ricco e gaudente che vive nell’agiatezza e nello sperpero, ed è incurante delle sofferenze del povero Lazzaro che viene a implorare misericordia, ma inutilmente. Ha avuto tutta la vita per cambiare condotta, ma non gli ha dato importanza, finchè la morte non lo ha colpito. Nell’aldilà la situazione è capovolta: Lazzaro è nel paradiso, il ricco si trova nell’Ades. In vita il ricco non ha fatto niente per il povero Lazzaro, adesso da morto Lazzaro non può far niente per il ricco, perché fra loro è posta “una grande voragine”. Da vivi il ricco si godeva della vita e Lazzaro soffriva, da morti il ricco soffre a causa del suo egoismo e Lazzaro gode per la sua rettitudine.
Allora il ricco si rivolge al padre Abramo perché mandi Lazzaro ad avvertire i suoi cinque fratelli dei rischi che corrono continuando a vivere una vita simile alla sua. Abramo risponde: “Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli”. Insiste l’ex ricco presso Abramo, ma Abramo gli risponde ancora: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse”. Ecco l’insegnamento centrale; Gesù afferma che tutto si decide qui sulla terra: la nostra vita, la nostra condotta oggi, stabilirà se quella di domani sarà radiosa e piena di felicità oppure se cadrà nel nulla eterno, in una distruzione irrimediabile e definitiva. In questo non può aiutarci un segno particolare proveniente dal cielo. Spesso la generazione di Gesù ha domandato un segno del cielo; tanto essa era indurita nell’incredulità da non distinguere il carattere divino di Cristo (Mt 12:38-39). Un segno sufficientemente grande è la Parola di Dio, Mosè e i Profeti, ecco il segno per eccellenza! Molti vorrebbero annullare la validità dell’Antico Testamento o della Parola di Dio. “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse”.
Questa parabola è il miglior commentario del brano contenuto in 2 Timoteo 3:16: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia”.
Tramite la Bibbia il Signore vuole comunicare con l’uomo e offrirgli una via di scampo al problema del male, della morte. Per credere e aver fiducia in Dio non occorre un miracolo straordinario, un intervento soprannaturale –il nutrimento favorito di una massa di gente la cui fantasia è alimentata dal favoloso, dal meraviglioso, dallo straordinario, e dall’ignoranza della Parola di Dio- ma uno studio attento e personale per interiorizzare il messaggio d’amore.
E’ forse Gesù preoccupato della sorte degli uomini dopo la morte, in questo brano? Certamente no! Né tanto meno Gesù ha voluto presentare un sistema di premi e di punizioni dopo la morte. La difficoltà di questa parabola è che Gesù insegna attraverso un linguaggio di chiara ispirazione a credenze popolari. Si tratta qui della credenza popolare di un grande banchetto, che Abramo e gli altri patriarchi devono presiedere nella vita a venire. C’è da notare che Gesù, altrove, utilizza questa credenza applicandola all’instaurazione escatologica del regno di Dio (Mt 8:11; Lc 13:28,29), e non alla vita che dovrebbe intercorrere tra la morte e l’apparizione di Cristo. Non ci meraviglia per niente che Gesù utilizzi questa credenza: egli è animato dal desiderio di rendere il più chiaro possibile, nella mente dell’uditore, l’importanza dello studio della Parola di Dio “perchè essa rende testimonianza di lui” (Gv 5:39).
Non si può stabilire infine, basandosi su questa parabola, tutta la dottrina della retribuzione dopo la morte o dell’immortalità dell’anima, perché essa tradisce la motivazione profonda per cui Gesù la dice. E’ questo un grave errore di ermeneutica, che dimostra quanto sia complesso leggere la Bibbia senza aver fatto “tabula rasa” delle concezioni filosofiche o delle tradizioni religiose seguite da millenni, anche dalla chiesa romana. Se le parabole dovessero servire per stabilire dei punti dottrinali potremmo dire che non importa la salvezza tramite Cristo, ma è sufficiente il rientrare in sé del figliuol prodigo (Lc 15:11-32); si potrebbe dire che Gesù esalta un comportamento disonesto negli affari (Lc 16:1-9) e che Dio ascolta le nostre preghiere perché noi “gli rompiamo la testa” (Lc 18:1-5).
In questa parabola Gesù incontra i suoi ascoltatori sul loro proprio terreno. La dottrina dello stato cosciente dell’anima umana, tra la morte e la risurrezione, era quella di un buon numero dei suoi ascoltatori (non della Bibbia). Gesù vuole dimostrare che era impossibile assicurarsi la salvezza dopo la morte, che è vano attendere un nuovo tempo di grazia dopo questa vita. Questa vita è il solo tempo accordato all’uomo per prepararsi per l’eternità.
La speranza del cristiano, per quanto riguarda l’avvenire, il destino dell’uomo, non è basata sull’immortalità dell’anima, ma sul meraviglioso messaggio della risurrezione (1 Cor 15:22,23). Basato sul fatto miracoloso, e quindi credibile solo con la fede, della risurrezione di Cristo, come anticipazione della risurrezione finale, il cristiano affronta la morte con la certezza che niente, neanche la morte può separarci dall’amore di Cristo (Rom 8:31-39). Lo stato intermedio tra la morte e la risurrezione è caratterizzato dal sonno della morte. Non si tratta della vita dopo la morte, ma di una morte totale in attesa del risveglio alla voce potente di Cristo (1 Tes 4:13-18).
(Libero adattamento da “L’energia della vita” Ed. ADV- Firenze).

Saluti, Agabo.
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