Devo ripetere per l’ennesima volta che non solo non hai capito le parole di Ravasi, ma non hai capito neppure quello io che ti sto dicendo. Cercherò di semplificare il discorso perché non sono ad un simposio di grecisti e devo essere più esplicativo.
“qualcuno fa delle affermazioni gratuite, denigratorie o offensive riguardo ad una rispettabilissima Denominazione cristiana dovrà risponderne.”
Il rispetto lo si deve avere per legge nei confronti di chiunque, ma la stima è un’altra cosa. E personalmente non ho in simpatia nessuna setta americana.
“Io cerco di non farne sul conto di altri. Anch’io mi interesso, per esempio, dei tdG ed ho pubblicato un sito su di loro”
Sono curioso, qual è il link?
“La “scientificità” delle pubblicazioni qui non c’entra, c’entra però col tuo tentativo denigratorio verso gli avventisti. Ma è un classico, quando la validità degli argomenti vacilla si ricorre ai soliti “mezzucci”.”
C’entra eccome. Tu hai posto il fatto che gli avventisti abbiano rapporti con l’ONU come una prova della validità della loro religione, o, per meglio dire, del valore dei biblisti avventisti. Io ho risposto che anche i TdG erano iscritti all’UNO ma non per questo i loro biblisti sono diventati qualcosa da prendere in considerazione. Se poi siano incoerenti o no coi loro principi questo non scalfisce la mia argomentazione, ossia che essere iscritti all’ONU non è garanzia di scientificità.
“Non ne sono sicuro, ma ho la vaga impressione che tu faccia parte del GRIS”
No.
“Le “sette” “hanno denaro a iosa”? Senti da che pulpito viene la predica! Non so a chi ti riferisci, ma il NOSTRO DENARO, poco o tanto che sia, PROVIENE DALLE NOSTRE TASCHE.”
Questo è completamente irrilevante. Avevi posto come prova della serietà dei biblisti avventisti il fatto che essi hanno delle università, io ti ho risposto che per aprire delle università basta avere denaro. Quello che conta non è avere delle università (quelle può aprirle chiunque), ciò che conta è chi vi insegna e quali pubblicazioni scientifiche vengano prodotte. Ripeto che non solo non ho mai sentito il nome di un’università avventista, ma neppure ho letto libri di autori avventisti in bibliografie per corsi universitari.
“I cattolici, invece, hanno sempre stipulato CONCORDATI con i governi dei loro paesi per prendere denaro pubblico per sostenere la loro organizzazione religiosa”
Cosa di cui andiamo fierissimi.
“Non sto inneggiando all’ignoranza, naturalmente, ma non dimenticare che il Kerigma fu affidato a dei pescatori, gabellieri, e “popolani senza istruzione”. Per Dio Padre, Gesù Cristo e lo Spirito Santo questa fu la “follia di Dio” che è molto più savia della sapienza degli uomini.”!
Queste sciocchezze si possono trovare su qualsiasi libro geovista ma con me non attacca, Mentre infatti gli apostoli erano certo pescatori ma avevano ascoltato direttamente la predicazione di Cristo, noi invece viviamo a duemila anni di distanza. Quindi, per interpretare quello che Gesù sosteneva, bisogna saper leggere quello che egli ci vuole comunicare. Come già detto, leggere i Vangeli in Italiano è esattamente come leggere la divina Commedia in tedesco, in quanto il greco è una lingua assolutamente intraducibile.
“Io non capisco di greco? Ma, appunto, “IO” non ne capisco.”
Se non capisci il greco smetti di discuterne e di postare spiegazioni che non puoi comprendere.
“(come p.e. Platone, riguardo al quale ho solo fatto dei banali quanto comuni riferimenti).”
Idem. Non si parla di un autore complesso come Platone senza averlo letto.
“Tuttavia, se moltissimi sacerdoti cattolici, ignoranti delle Scritture, possono discutere di argomenti biblici (e nemmeno loro sanno molto riguardo a quello che pretendi che sappia invece io), posso farlo anch’io, con la differenza che io sono un semplice “laico”, un comunissimo membro della mia chiesa!”
Nei seminari si studia Sacra Scrittura, teologia, greco, e latino.
“La “PAIDEIA” è un’ottima Casa Editrice; di essa posseggo diversi commentari biblici. Dimentichi di far notare che molte sue pubblicazioni portano la firma di protestanti, Cullmann compreso.”
Nessuno ne dubita, infatti i protestanti e gli ortodossi sono confessioni cristiane assolutamente rispettabili. Ma non sono i protestanti il problema, il problema è che non vedrò mai la Paideia pubblicare un autore avventista.
“E’ l’unica concessione che ti faccio. Se vorrai sapere altro te lo dovrai “sudare”.
SAMUELE BACCHIOCCHI”
Scriverò alla Pontificia Università Gregoriana per saperne qualcosa. In attesa della risposta basti dire che se fate tanto baccano per un singolo laureato alla Gregoriana è evidente che avete solo quello, il che non fa statistica. I TdG ad esempio hanno l’amato Rolf Furuli, ma non per questo inizieremo a prenderli sul serio, nevvero? Forse devo chiarire meglio il mio pensiero. Sono certo che esistano moltissimi avventisti laureati, esattamente come tra i TdG, ma quello che mi chiedo è: qual è la percentuale di laureati in materie inerenti la filosofia e il mondo antico? Non è un caso che non ci siano grecisti tra i TdG, e non è un caso che la percentuale di leghisti nei licei classici sia praticamente inesistente. Il greco ti permette di leggere i Vangeli, la filosofia ti insegna a pensare. Sfortunatamente nessuno oggi ascolta più Platone, altrimenti avremmo, come da lui teorizzato ne “La Repubblica”, una dittatura dei filosofi (e potete stare certi che il mondo andrebbe meglio). Del resto non è forse la filosofia la materia più eccelsa?
“Il post è il n°48-p.3, ma anche G. Ravasi è sulla stessa linea (vedi “Breve storia dell’anima” p. 103).”
Per dire che hai l’appoggio di un sacerdote cattolico ci vuole davvero tutta. Ho letto il tuo post 48, in effetti ero convinto d’aver risposto a tutto ma di quello mi ero proprio dimenticato. L’articolo è in gran parte condivisibile, in quanto sostiene che Paolo nel brano sta insegnando la dottrina della resurrezione. Su questo siamo d’accordo ed è inutile ribadirlo, quello che sostengo e che nei versetti finali parla anche dell’immortalità dell’anima. Rileggiamo il testo paolino e in seguito analizziamo alcune parti non condivisibili nel testo che hai postato:
“2Corinzi 5:1 Sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d'uomo, eterna, nei cieli.
2Corinzi 5:2 Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste,
2Corinzi 5:3 se pure saremo trovati vestiti e non nudi.
2Corinzi 5:4 Poiché noi che siamo in questa tenda, gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di essere spogliati, ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita.
2Corinzi 5:5 Or colui che ci ha formati per questo è Dio, il quale ci ha dato la caparra dello Spirito.
2Corinzi 5:6 Siamo dunque sempre pieni di fiducia, e sappiamo che mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore
2Corinzi 5:7 (poiché camminiamo per fede e non per visione);
2Corinzi 5:8 ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore.
2Corinzi 5:9 Per questo ci sforziamo di essergli graditi, sia che abitiamo nel corpo, sia che ne partiamo.
2Corinzi 5:10 Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male.”
I versetti dove viene ribadito che esiste un’anima anche lontana dal corpo sono quelli che vanno dal sei all’otto. Vediamo cosa sostiene il commento che hai postato:
“In questo senso la separazione non è assoluta (cfr. 3,18). In Paolo è necessario ascoltare sempre la sintesi e insieme l’antitesi, perché così egli esprime la “dialettica” dell’esistenza cristiana (sospirare – essere di buon animo).”
Dunque Paolo aveva letto la Scienza della Logica di Hegel!
“Anche qui il desiderio di morire; esso indica soltanto la volontà di indossare la veste celeste, ossia l’incontenibile attesa della trasformazione che avviene al compimento escatologico.”
Che la trasfigurazione del nostro corpo avvenga solo alla resurrezione è superfluo dirlo. Ma nel versetto 8 Paolo non dice che vuole essere resuscitato (questo ce l’aveva già detto), qui dice che vuole partire dal corpo per abitare col Signore. Già in italiano è comprensibile che stia parlando di un abitare col Signore senza corpo, infatti afferma di voler “partire dal corpo”, ma il greco è ancora più esplicativo: il verbo usato è un composto di ek. Letteralmente c’è scritto “preferiamo essere fuori dal corpo”. Il verbo ekdeméo è usato per indicare qualcosa che esce da qualcos’altro, di solito viene utilizzato per qualcuno che emigra fuori dalla patria. Anche qui, come dicevo, leggere questo brano in italiano toglie una marea di significati, che si possono cogliere solo conoscendo le lingue originali. Altrimenti ci si deve accontentare di leggere la Divina Commedia in tedesco…
“Nel nostro contesto non si parla affatto di morte individuale. Presso il Signore si dimora solo dopo il suo ritorno della fine di tutte le cose (1 Tess. 4,17).”
Curiosa affermazione, ma non la argomenta. 1 Ts 4, 17 che l’autore cita dice solo: “quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore.” Che alla resurrezione avvenga questo non abbiamo dubbi, il problema è che il testo citato non afferma che avviene “solo” alla resurrezione la comunione col Cristo. Ergo, dobbiamo usare la logica dell’ et-et, i due testi sono complementari non antitetici.
“Paolo, dunque, non dice che immediatamente dopo la morte il cristiano defunto dimorerà presso il Signore prima ancora della sua venuta finale. Se intendesse dire ciò, i vv. 3-4 sarebbero assurdi: perché mai, infatti, Paolo dovrebbe temere la condizione di assenza del corpo dopo la morte, aver paura di essere spogliato del corpo dopo la morte, aver paura di essere spogliato del corpo terreno, se già la morte unisse il credente al Signore?”
Ho letto i v. 3-4 e non ravviso nulla che ricordi anche solo vagamente il “timore” di cui parla l’autore. “Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste, se pure saremo trovati vestiti e non nudi. Poiché noi che siamo in questa tenda, gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di essere spogliati, ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita.” Voi vedete qualcosa che riguardi la paura? Io no.
“Paolo non s’è posto, e quindi nemmeno ha risolto (almeno nei testi che possediamo) il problema del rapporto tra il permanere della comunione con Cristo nonostante la morte e la risurrezione ancora futura, escatologica, alla fine del mondo. Probabilmente per lui non si trattava nemmeno di una questione che dovesse essere chiarita perché non conosceva la problematicità che ha poi occupato tanto seriamente il pensiero occidentale influenzato dalla filosofia greca”
E qui spicca davvero un pezzo inquietante. Paolo “non conosceva la problematicità”? E’ completamente assurdo, chiunque abbia fatto studi classici sa benissimo che Paolo conosce la cultura greca, visto che nel discorso all’Aeropago cita continuamente poeti ellenici.
Inoltre pretendi di affermare che Ravasi ti dia ragione, quando ha dedicato un intero libro a dimostrare l’immortalità dell’anima. Ravasi a pagina 103 fa dei distinguo molto sottili, che non si possono cogliere senza conoscere la filosofia antica, infatti hai confuso completamente il suo pensiero. Afferma che “Paolo sembra occhieggiare la concezione greca quando parla di un “esulare dal corpo… quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra” (2 Cor 5,1.8-9), tuttavia subito dopo aggiunge che “riceveremo un’altra abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani d’uomo”, facendo riemergere l’idea di un corpo risorto” (pag. 103)
Come appare chiaramente Ravasi sostiene la logica dell’et-et, non dell’aut-aut. Infatti salva Paolo da chi interpreta questo passaggio in senso dualista. Come spiega benissimo Ravasi c’è la continuità dopo la morte, ma non in senso greco, perché l’immortalità dell’anima non è una dottrina che richiede necessariamente il dualismo (si veda Aristotele). Lo spiega subito dopo, Paolo è immortalista ma non dualista: “Alcuni teologi, soprattutto protestanti, pensano che nella morte avvenga una fine totale, così come nella conclusione dell’intera realtà creata: la resurrezione sarebbe, allora, una vera e propria “ri-creazione” divina, condotta ex novo. Ma in realtà nella visione paolina, esplicitamente modellata sulla resurrezione di Cristo, la cui identità personale permane, si sottolinea una continuità” (ivi)
“Non so da che cosa si possa ricavare l’idea che Gesù stesse elaborando, con tale parabola, una dottrina.”
Perché in ogni parabola Gesù insegna qualcosa. Basta fare un’analisi seria e vedere dove vanno a parare i campi semantici.
“Hai ammesso la validità dei postulati di Adolf Julicher, ma poi li hai contraddetti: in particolare, non si può determinare una dottrina con una parabola e nemmeno il contesto di quella parabola ci autorizza a farlo.”
No, tu non sai analizzare una parabola per la semplice ragione che nessuno ti ha mai insegnato il metodo strutturale.
“Flavio riporta non tanto il suo parere quanto una testimonianza STORICA circa le credenze peraltro NON OMOGENEE degli ebrei suo tempo (infatti, come asserisce L. Moraldi, non tutti gli esseni concordavano su certe dicerie riguardo l’aldilà)”
Irrilevante. Gli immortalisti erano la maggioranza. Inoltre non hai risposto alla mia argomentazione. Ti avevo chiesto come il fatto che Giuseppe Flavio definisca favole delle concezioni essene possa riguardare il nostro discorso giacché Flavio non è cristiano (dunque il suo parere sulla dottrina di Gesù è irrilevante) e le concezioni essene non sono quelle cattoliche (ergo se ritiene che gli esseni dicano favole non sta commentando noi né la parabola del ricco epulone, giacché le differenze sono abissali).
“R. Come ti ho già detto, una parabola mira a illustrare un pensiero centrale (che potrebbe essere un principio morale, un’esortazione, un esempio da prendere a modello ecc.)”
Già, peccato che per illustrare il tuo presunto principio “morale” di una riga ha insistito con ben 231 parole greche nel distinguerci la condizione differente delle due anime. Come già detto chiunque sia in grado di fare un’analisi interna nel testo vede subito che lo scopo (insistito e ribadito in modo maniacale), è descriverci le diversità tra i luoghi in cui si trovano i due.
“Se dovessimo prendere per vero ogni particolare della nostra parabola ci sarebbe da ridere”
Io non ho detto di prestare attenzione a tutti i particolari, come già detto l’inferno è uno stato spirituale dell’anima, ossia l’eterna privazione da Dio. I particolari però, sebbene non siano descrizioni oggettive dell’aldilà, sono tutti puntati in una direzione, ossia distinguere la condizione di Lazzaro e del ricco Epulone. Quindi, come già detto, è quello il centro della parabola, più l’esortazione finale ovviamente.
“1) La salvezza è per opere meritorie e non per fede (la parabola non accenna minimamente alla fede)”
Semplicemente perché ne parla altrove. Se un brano non parla di una cosa non significa che la escluda, semplicemente Gesù ne ha parlato in altri luoghi. Comunque non ci si salva solo per fede, anche le opere contano. Non fare come Lutero che sulla scorta della “giustificazione paolina” voleva buttare fuori dal NT la lettera di Giacomo solo perché affermava che: “la fede senza le opere è morta” (Giacomo 2,26)
“2) Tutti i ricchi saranno puniti e tutti i poveri saranno salvati.”
E questo la parabola dove lo affermerebbe? Si dice che un ricco è stato dannato e un povero ha trovato la salvezza, non che tutti i poveri saranno salvati e tutti i ricchi condannati.
“I poveri, come Lazzaro, sono portati “nel seno di Abramo”, i ricchi vengono sepolti.”
Non vedo il problema.
“4) Il ricco “vede” Lazzaro “nel seno di Abramo”.
5) Salvati e non possono comunicare tra loro nonostante li divida “una voragine invalicabile”.
6) La prima richiesta del ricco, quella di “intingere la punta del dito nell’acqua” è un non-senso.”
Questi particolari indicano solo l’incolmabile distanza tra i due stati. Il commento sull’ “intingere la punta in un dito d’acqua” che sarebbe un non-senso è identico a quello fatto dai TdG. Un commento davvero infantile in verità, anche perché le anime non bevono e dunque nessuno si sogna di dire che la cosa sia letterale. Semplicemente Gesù sta affermano che niente può placare le pene dell’inferno, l’acqua non toglie la sete e l’arsura metaforiche, ossia la sete della comunione con Dio non può essere soddisfatta.
“7) Nell’Ades vi sarebbe il tormento col fuoco, contrariamente a tutto l’insegnamento biblico secondo il quale l’Ades è il luogo del silenzio e il soggiorno di tutti i defunti, buoni e malvagi.”
Anche questo commento è ridicolo, nella teologia biblica c’è un’evoluzione costante.
“8) I salvati potrebbero avere la possibilità di comunicare con i vivi, secondo la richiesta fatta dal ricco.”
Non credo proprio infatti la richiesta non viene soddisfatta.
“Qualcuno dirà, con ragione, che qui troviamo solo descrizioni simboliche ma, è appunto qui che sta il problema: perché insistere solo sull’immortalità dell’anima quando, per esempio, si potrebbero postulare diverse altre “dottrine”: 1) la salvezza per opere; 2) la povertà come mezzo per guadagnarsi il paradiso; l’aldilà visto come luogo in cui la comunicazione tra individui, sia morti che viventi, è ancora possibile; 3) Abramo che accoglie tutti nel suo “seno”; ecc.?”
Evidentemente non hai capito nulla di quanto affermo. Questo tuo tentativo di reductio ad absurdum vorrebbe ricavare alcune dottrine dalla parabola, ma non è su esse che convergono i particolari, infatti ciascuna delle dottrine che proponi viene suggerita con due parole ciascuna, mentre la mole di dati maggiore converge nell’indicazione di una radicale separazione tra i due individui.
“Ma soprattutto, qui qualcuno sta tracciando del Dio d’amore della Bibbia, un fosco ritratto di un dio vendicativo e sadico che punisce e tortura per l’eternità delle creature.”
Anche questo è un cliché facilmente smontabile. Dio non è malvagio ma giusto, e non manda all’inferno proprio nessuno, è l’uomo che se lo sceglie da solo. Dante nel suo genio vedeva supplizi ovunque e fiamme che lambivano le anime, in questo sbagliava. Ma una cosa l’aveva capita, ossia la frase che pone sulla porta dell’inferno: “giustizia mosse il mio alto Fattore(Creatore)”. La pena dell’inferno consiste nell’essere privati di Dio, non nelle fiamme. Se l’uomo nella sua vita ha scelto volontariamente di fare a meno di Dio, magari diventando ateo, Dio si limiterà a ratificare la sua scelta anche nella morte, perché l’uomo stesso aveva deciso liberamente di stare lontano da lui.
“Dimentica che la Bibbia insegna che nella fase finale del Giudizio anche l’Ades e lo stagno di fuoco saranno eliminati e non vi sarà più in tutto l’universo nemmeno l’ombra della sofferenza. Altro che inferno e supplizio eterno!”
Già, ma questo avverrà alla fine dei tempi.
“Rileggiti la nota relativa la testo di Fil 1:23 nella Bibbia di Gerusalemme.”
No, sei tu a non aver capito perché la BJ citi Rm 1,14, non certo per affermare che esiste solo la resurrezione!
“Strano modo di procedere: nella Bibbia si paragona la morte al sonno centinaia di volte, descrivendolo come uno stato di completa incoscienza, questo però sarebbe un “eufemismo”.
E’ il caso di spiegare il termine eufemismo, ossia in senso etimologico è un “bene dire” (êu+femí). L’eufemismo consiste nell’attenuare un’espressione troppo cruda, nel nostro caso al posto di morte si parla di sonno.Il modo di dire ha una radice profonda, infatti a prima vista un cadavere è scambiabile per un uomo che dorme.
” si paragona la morte al sonno centinaia di volte, descrivendolo come uno stato di completa incoscienza”
Come già detto questa l’escatologia ebraica si è evoluta rispetto all’Antico Testamento. Inoltre non hai ancora risposto alla mia domanda: se la morte è sonno e dunque incoscienza, allora esiste un’anima separata dal corpo, benché incosciente? Oppure secondo te giacché non può esistere un’anima separata dal corpo la morte annulla completamente l’individuo? Esistono anime incoscienti o no?
“Soltanto una volta si fa una certa descrizione dell’aldilà in una parabola e questa parabola, da sola, “illuminerebbe” per noi la condizione dei morti! E’ il caso di dire: “Elementare Watson”!”
Come già detto non è “solo una volta”, ti ho fatto un elenco di versetti dove si parla dell’immortalità dell’anima. Hai “tentato” di confutare solo la metà di essi, con scarsi risultati aggiungo. Attendo ancora l’analisi degli altri. (Appena avrai trovato qualche altro commento avventista da farmi leggere.)
“I greci usano tale “circonlocuzione”, ma gli “uomini ispirati” della Bibbia NO!”
Io invece credo proprio di sì, giacché sono uomini del loro tempo e dunque usano modi di dire che erano abituali a quell’epoca e lo sono ancora oggi. Come ho brillantemente dimostrato parlare di “sonno” non significa negare l’immortalità dell’anima.
“R. Ho inteso bene??? Paolo “evidentemente non ha ancora capito ecc.”???”
Mio errore di battitura, sostituisci “ha” con “hai” e rileggi la frase.
“Andiamo bene. Grazie del “complimento”; aggiungo che non voglio avere alcuna “conoscenza del mondo antico” che mi porti a dubitare dell’apostolo Paolo”
E invece sbagli. Perché leggere con occhi “moderni” la Bibbia senza conoscere il contesto culturale in cui fu scritta può far prendere solo cantonate. Ecco un passo della Dei Verbum veramente splendido: “Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole.
Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l'altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario dunque che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani.”
“magari per porre la mia fiducia in qualche studioso alla Paolo Sacchi.”
Ma come osi?! Ti rendi conto che stai parlando di Paolo Sacchi?
“Vediamo se è vero che ci sbagliamo:[…] Non esiste neppure un’allusione all’anima che vive separatamente dal corpo”
Qui francamente ho l’impressione che tu mi staia prendendo per i fondelli. Ti ho citato un passo il cui Paolo afferma di voler “ANDARE IN ESILIO DAL CORPO [soma] ed abitare presso il Signore”, e tu cosa fai? Mi citi un passo (1Corinzi 15:35-44) dove si parla della resurrezione della carne e poi mi dici: “Non esiste neppure un’allusione all’anima che vive separatamente dal corpo.” Te lo dico candidamente: e chi se ne frega!! Non ti ho chiesto se Paolo afferma l’immortalità dell’anima nel capitolo 15 della I lettera ai Corinzi, ti ho fatto vedere dove la afferma nel V capito della II lettera ai Corinzi! Cosa diavolo me ne può importare del passo che hai citato visto che parla della resurrezione? Qualcuno forse ha mai detto che non esiste? Non è questo il problema. Semplicemente nella capitolo XV della I lettera parla di resurrezione, nella II seconda lettera al cap. V parla sia della resurrezione sia dell’immortalità dell’anima infatti al v. 8 afferma di voler “ANDARE IN ESILIO DAL CORPO ed abitare presso il Signore”, quindi abitare presso il signore FUORI dal proprio corpo. La lettera che tu invece mi citi come “confutazione” non vedo come potrebbe smentirmi giacché non è antitetica al passo paolino da me esposto ma solo complementare. Et Et.
“R. Anche per Ravasi (o.c.- p. 103) 2 Cor. 5,8 non parla di una vita senza corpo. Ti rimando quindi al mio post n° 48 e a Ravasi.”
E qui dimostri di non capire neppure quello che ti scrivo: non stavo commentando 2 Cor 5,8 ma Filippesi 1, 21-23! E’ incredibile, ho perso persino tempo a farti l’analisi semantica dei termini greci al fine di chiarirti che Paolo usa il verbo analuo e dunque sta dicendo che vuole essere “sciolto dal corpo”, e che cosa mi si risponde? Nulla ovviamente! Ti riporto integralmente il mio brano cui NON hai risposto:
“Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.
Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere.
Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio;
d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne.” (Filippesi 1, 21-23)
“Non occorre sapere il greco per vedere benissimo che il contrasto è tra vivere nel corpo e andarsene presso Cristo, non tra il vivere “nella carne” (intesa come debolezza peccaminosa) e il vivere “secondo lo Spirito” ma sempre nel corpo; Paolo infatti dice espressamente che vuole “andarsene ed essere con Cristo”, il che, innegabilmente, significa che vuole morire.
Perché poi Paolo dovrebbe dire ai Corinzi che è “più necessario per il loro bene” che lui “viva nella carne” se questa ha il significato negativo di una vita in preda alla “corruzione provocata dal peccato”? Non è certo con un esempio peccaminoso, ossia l’esempio di chi vive secondo la carne (e vuole continuare a viverci v.24), che Paolo avrebbe fatto il bene dei Corinti. Evidentemente Paolo intende dire che è meglio per loro che lui viva nel “corpo”, in quanto così può continuare a far loro conoscere la parola di Dio. Il greco poi toglie ogni dubbio, quello che la Nuovissima traduce con “desidero partire”, in greco è analûsai (infinito di avalúo), che significa sicuramente anche “partire”, ma dobbiamo spiegare in che senso. Ana-Lúo significa sciogliere, slegare, disfare. In questo senso è usato in greco come “partire dal corpo”, ossia “essere slegato da esso”, “sciogliere i legami” con esso. Inoltre, come già detto, la contrapposizione è vivere nel corpo restando sulla terra e morire per essere con Cristo senza corpo: “Sono preso da due sentimenti: desidero andarmene ed essere col Cristo, e sarebbe preferibile; ma continuare a vivere nella carne è più necessario per il vostro bene.” In greco la contrapposizione è resa col “tò dè” avversativo: “desidero essere con Cristo” da una parte “ma il rimanere nella carne” è più utile per voi. Come si vede ad una analisi strutturale “carne” qui è una chiara sineddoche per “corpo”, il che è un uso comunissimo in greco, es: Aeschl. Sept. 622, Ag.72; Eur HF.1269, Bac 1136).”
A presto
P.S. Semel in anno licet insanire!
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)