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I "defunti" secondo il geovismo e il cattolicismo

Ultimo Aggiornamento: 08/01/2005 18:38
09/12/2004 06:21
 
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Agabo scrivi...

>Possiamo senz’altro dire che, essendo una parabola,[quella di Lazzaro ed Epulone] è certamente sbagliato servirsene per sostenere una dottrina

Rispondo
Non sono d'accordo. Perfino le favole (metti di Fedro ed Esopo), sfrondate dei loro componenti fantastici, insegnano una dottrina che vuole essere di verità (e in molti casi lo è).

Per giunta la parabola, ancor più che la favola, si serve spesso di elementi verosimili (il padrone e l'amministratore, il re e i vignaioli omicidi, il lievito nella pasta, il seminatore...).
Lo stesso etimo di parabola (parà-ballo=lancio attraverso) indica che, tramite un racconto di invenzione si vuole trasmettere proprio una dottrina.*

E poi non trascurare il mio appunto ove dico che la Bibbia non parla di immortalità dell'anima ma parla sicuramente di sopravvivenza dell'individuo.

___________________________
* La parabola di Giona (perché di parabola si tratta!) è quella di essere un protoevangelo; trasmette le dottrine della universalità del Dio biblico, della sua immensa misericordia, della scusabilità dell'errore in chi non sa distinguere la destra dalla sinistra, del corretto atteggiamento che deve avere un profeta di Dio e altre...
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est modus in rebus
09/12/2004 06:21
 
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Cullmann

Scritto da: Polymetis 08/12/2004 0.54
...Per Achille:
"Volevo solo chiedere un tuo parere in merito ad alcune citazioni di Cullmann che ho trovato nel web. Sono state tratte dal libro "Immortalità dell'anima o risurrezione dei morti?" (Paideia editrice Brescia 1967,1986) e mi fanno pensare che questo studioso non neghi la soppravvivenza di "qualcosa" nel tempo che intercorre fra la morte fisica e la resurrezione finale"

Non ho mai letto il testo in questione, ma le citazioni che mi hai fatto sono inequivocabili. Sta affermando un’evoluzione nel pensiero ebraico rispetto alla fase arcaica. (Cosa in verità già avvenuta da un bel pezzo, al tempo di Gesù quasi tutti i rabbì credevano ad una vita dopo la morte. I sadducei erano l'eccezione e non la regola).

Quindi, citare Cullmann per far credere che egli credesse in un annullamento totale dell'esistenza dopo la morte significherebbe fargli dire quello che non ha letto, o per lo meno non esprimere in maniera completa il suo pensiero...
Interessante...
Mi procurerò questo libro e me lo leggerò con attenzione. Ho capito da un pezzo che con citazioni estrapolate qua e la si può riuscire a "dimostrare" qualsiasi cosa [SM=g27829]

Ciao
Achille
09/12/2004 06:28
 
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Parabole

Scritto da: berescitte 09/12/2004 6.21...Per giunta la parabola, ancor più che la favola, si serve spesso di elementi verosimili (il padrone e l'amministratore, il re e i vignaioli omicidi, il lievito nella pasta, il seminatore...)....

Mi chiedevo appunto se vi sono parabole nei Vangeli dove Gesù non si serve di elementi verosimili. Se non sbaglio, tutte le parabole di Gesù fanno riferimento ad elementi verosimili, a fatti reali, a concetti dottrinalmente veri.
Perché mai solo in un caso (quello del ricco e Lazzaro) Gesù si sarebbe servito di una falsa credenza (secondo I TdG e gli avventisti) per trasmettere un suo insegnamento?

Achille

[Modificato da Achille Lorenzi 09/12/2004 6.38]

09/12/2004 07:36
 
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E la domanda diventa anche molto rivelativa della verità se si chiede:
come diavolo gli è venuto in testa a Gesù, grande Insegnante TG, di parlare dell'aldilà in quei termini se egli sapeva (avendolo appreso a Brooklyn?) che nell'al di là non esistevano né Abramo né un fantomatico Lazzaro né Epulone?
Che razza di pedagogia educadiva ha voluto adoperare usando una esemplificazione che SVIAVA dalla verità delle cose?

E siccome una cerasa tira l'altra, la stessa domanda gli si dovrebbe rivolgere quando ha voluto significare l'inserzione dei discepoli nel Nuovo Patto:
come diavolo gli è venuto in testa di inventarsi un paragone paragonando il vino al suo sangue e invitando a berlo quando sapeva che gli Israeliti ne aborrivano perfino l'idea?

La terza cerasa riguarda il nome di Dio.
Si pretende che sia pronunciato e che tale pronuncia sia necessaria a stabilire un rapporto di approvazione tra la creatura e il Creatore, quando se c'è una parola (dico una sola!) nella Bibbia di cui i masoreti non ci hanno indicato la retta pronuncia è proprio quella del tetragramma!

[Modificato da berescitte 09/12/2004 7.39]

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est modus in rebus
09/12/2004 08:36
 
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Re:
Scritto da: berescitte 09/12/2004 7.36

E la domanda diventa anche molto rivelativa della verità se si chiede:
come diavolo gli è venuto in testa a Gesù, grande Insegnante TG, di parlare dell'aldilà in quei termini se egli sapeva (avendolo appreso a Brooklyn?) che nell'al di là non esistevano né Abramo né un fantomatico Lazzaro né Epulone?
Che razza di pedagogia educadiva ha voluto adoperare usando una esemplificazione che SVIAVA dalla verità delle cose?




Io invece mi chiedo se ai catechisti gli viene insegnato a parlare così di Gesù.

[Modificato da Seabiscuit 09/12/2004 8.37]

09/12/2004 08:51
 
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Vorrei aggiungere che nell'episodio narrato dal Signore Gesù relativo al ricco e a Lazzaro, nel testo non vi è niente che possa farci pensare ad una parabola. Innanzitutto non è scritto come in altre parti dei Vangeli "E disse loro una parabola". In secondo luogo, viene utilizzato il nome proprio di una persona, quando nelle parabole, questo non viene mai riscontrato. In terzo luogo, l'episodio del ricco e Lazzaro corrisponde a tutto l'insegnamento che il Signore Gesù ci ha lasciato circa l'aldilà.
Un saluto a tutti [SM=g27817]

http://andreabelli75.wordpress.com/

http://progettostudiodellabibbia.wordpress.com/
09/12/2004 10:19
 
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E la domanda diventa anche molto rivelativa della verità se si chiede:
come diavolo gli è venuto in testa a Gesù, grande Insegnante TG, di parlare dell'aldilà in quei termini se egli sapeva (avendolo appreso a Brooklyn?) che nell'al di là non esistevano né Abramo né un fantomatico Lazzaro né Epulone?
Che razza di pedagogia educadiva ha voluto adoperare usando una esemplificazione che SVIAVA dalla verità delle cose?

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Io invece mi chiedo se ai catechisti gli viene insegnato a parlare così di Gesù.



Come sempre la forma è più importante della sostanza.

Con questa frase dimostri l'esattezza di quanto asserito proprio da Berescitte nel 3D "Come superare le eventuali obiezioni” (Ragioniamo DICE, io RIFLETTO)

DICE - Nel far questo, potete aver fiducia che le persone dal cuore ben disposto ascolteranno e reagiranno favorevolmente a ciò che Geova fa per attrarle verso i suoi amorevoli provvedimenti per la vita. – Giov. 6:44; Atti 16:14.

RIFLETTO – E se reagiscono male sarà per colpa del loro cuore non ben disposto!!! La cosa è così importante che la troveremo ripetuta sulle riviste e sulle varie pubblicazioni della WT. Il TG insomma se sentisse uno che gli obietta: “Ma che diavolo vai dicendo?” non dovrà mai pensare che è lui ad essere stato inadeguato nel presentare il messaggio ma che esso è rifiutato per il suo contenuto divino impegnativo che fa fibrillare il cuore di "uno del mondo" non ben disposto. La prova? Ha detto perfino... "diavolo"!



E' proprio vero che...il diavolo...fa le pentole ma non i coperchi!

Sandro

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Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia (Matteo 5,11)
09/12/2004 11:05
 
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Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem

Temo che stiamo uscendo fuori rotta. Questa discussione riguarda le presunte influenze di papà Platone sulla dottrina cristiana, nel tuo ultimo post invece egli non è neppure nominato. Devo dedurne che i tuoi tentativi di parlare di Platone senza averlo mai letto siano terminati.

E ora veniamo alla parabola del ricco epulone, di cui fornisci un’interpretazione con le stesse argomentazioni dei TdG. Mi hai fatto venire in mente questo passo del prof. Gramaglia:

“Emerge con evidenza il metodo di lettura della Bibbia, abituale nei Testimoni di Geova; se un testo è applicabile alla loro ideologia religiosa, essi lo intendono in senso letterale; se invece non è conciliabile con le loro storie o fantasie, esso viene stravolto e manipolato con ogni sorta di allegorie; il criterio ermeneutico fondamentale non è quasi mai fondato sulle tipicità storiche e letterarie dei brani biblici, bensì sul sistema religioso già del tutto precostituito.” (Pier Angelo Gramaglia, Perché non sono d’accordo con i Testimoni di Geova, Piemme, pag. 168)

Oltre a ciò che hanno già detto gli altri devo fare solo alcune precisazioni. Il significato di una parabola si può interpretare, perché Gesù usa delle immagini, ma non capovolgere; la tua esegesi ad esempio fa dire l’esatto contrario di quello che c’è scritto. Inoltre riscontro la persistente mania di interpretare il NT alla luce del VT, ossia di ridurre Gesù a un qualsiasi ebreo dell’epoca perfettamente in linea con il programma di allora. (E qui sto criticando i vari Flusser, Vermes, Ben Chorin, ecc., come tutti quelli che se ne escono con frasi del tipo “Gesù fu solo un buon rabbino, Paolo è un apostata, ecc)

“Risulta dal testo che l’Ades (il soggiorno dei morti, la tomba), è diviso in DUE parti: una è il £seno di Abramo” (il paradiso?), l’altra il “soggiorno degli empi” (l’ “inferno”?); inoltre, il paradiso e l’inferno sarebbero vicini, ma separati da “una gran voragine. Naturalmente chi crede nell’immortalità dell’anima considera questa condizione simbolica!”

Semplicemente sta dicendo che i dannati sono separati da Dio. (L’immagine della voragine indica l’impossibilità di arrivare presso il seno di Abramo). L’inferno nella dottrina cattolica è l’eterna privazione di Dio.

“Secondo i sostenitori dell’immortalità dell’anima, alla morte è l’anima, spirituale, disincarnata che va in paradiso p all’inferno! Qui invece si parla di “occhi”, “dito”, “lingua”, quindi di esseri dotati di corpo. Solo che, il corpo sarà resuscitato soltanto alla fine dei tempi (1 Cor. 15: 52),”

Questa è talmente ridicola che non merita risposta. Presume una lettura fondamentalista della Bibbia, e non si rende conto che Gesù parla di uomini con un corpo materiale semplicemente perché li fa parlare, e per parlare serviva una bocca nell’immaginario di quelli che stavano ad ascoltarlo.

“c’è da notare che la menzione della “gran voragine” per non permettere il passaggio dei dannati in paradiso e viceversa, sarebbe assurda nell’ipotesi di anime disincarnate (che potrebbero passare dovunque!).”

Anche questa obiezione è di una banalità sconfortante. Ma hai forse mai letto nel catechismo cattolico che inferno e paradiso siano separati da una voragine? E’ semplicemente un’immagine che descrive la separazione invalicabile, ma questo non cambia lo stato delle due anime, che sono coscienti e soprattutto mandate nel seno di Abramo o in esilio da Dio a seconda del come hanno vissuto. Interpretare come fai tu significa capovolge completamente il senso della parabola. Da ultimo ricordiamo che inferno e paradiso non sono luoghi ma stati spirituali dell’anima, ergo, dire che un’anima disincarnata può attraversare anche un burrone per andare da un luogo all’altro è assurdo, per la semplice ragione che non sono luoghi.

“Secondo Ebrei 11:8-19, 39-40 Abramo non ha ancora ricevuto il “premio” che SPETTA A LUI medesimo, quindi, né lui né la sua anima possono essere evidentemente in paradiso e con ciò contraddirebbe i vv 22,23.”

E’ un sofisma, in questi versetti si parla della ricompensa nella città celeste, la Nuova Gerusalemme, è quella che non è stata ancora conseguita. (Eb 11, 14-16) Non vedo come possa toccare le mie argomentazioni, giacché i cattolici non dicono che esista solo il paradiso, ma anche la resurrezione alla fine dei tempi con la Nuova Gerusalemme.

“Secondo il v. 24 il ricco è tormentato nelle fiamme, che sono una caratteristica della Geenna (Mt 5:22; 18:9) che, però, secondo il NT, si situa solo ALLA FINE DEI TEMPI (Mt 25:41); inoltre il ricco non va nella Geenna, ma nell’Ades che indica nella Bibbia solo la tomba e quindi non un luogo in cui c’è fuoco!”

Come direbbe Sherlock Holmes, bisogna adattare le teorie ai fatti, e non i fatti alle teorie. Tu parti dall’ipotesi precostituita che il fuoco ci sia solo nella Geenna, e pieghi tutti altri dati per farli entrare in questo tuo paradigma, peccato che il fuoco ci sia il anche nell’Ades, come questo passo testimonia. “Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'Ades tra i tormenti[..]questa fiamma mi tortura.” Non si vede perché fare un aut aut, piuttosto occorre fare un et et. Il fuoco c’è sia nell’Ades che nella Geenna, non si vide il perché se sta nella Geenna non possa stare anche nell’Ades. Semplicemente Gesù Cristo, come sempre, ha ampliato le concezioni vetero-testamentarie informandoci che anche l’Ades è un luogo di punizione. Inoltre, questa mia spiegazione è fatta in modo letteralista, nella dottrina cattolica attuale l’inferno non è un luogo di fuoco ma ha come unica punizione l’eterna privazione di Dio, l’essere lontano da lui per sempre.

“e) Secondo Gesù stesso, il premio o castigo verranno assegnati ad ognuno alla fine dell’età presente e non alla morte (Mt 13:30, 39-43. 49-50; 25:31-44 ecc.).”

Di nuovo: et et, non aut aut. Se in alcuni punti si parla del giudizio dopo la morte, e in altri dopo la resurrezione, le sue cose non si escludono a vicenda. Dopo la morte si viene giudicati, ma anche alla fine dei tempi ci sarà la resurrezione “dei giusti e degli ingiusti” (At 24,15), e ci sarà un nuovo giudizio, questa volta in vista della Nuova Gerusalemme (Gv 5,28-29)

Ma lascio la parola al catechismo, che può spiegarti il nostro punto di vista meglio di me:
I. Il giudizio particolare
1021 La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo. [605] Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro [606] e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone [607] così come altri testi del Nuovo Testamento [608] parlano di una sorte ultima dell'anima [609] che può essere diversa per le une e per le altre.
1022 Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, [610] o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, [611] oppure si dannerà immediatamente per sempre. [612]
« Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore ». [613]
[…]

V. Il giudizio finale
1038 La risurrezione di tutti i morti, « dei giusti e degli ingiusti » (At 24,15), precederà il giudizio finale. Sarà « l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell'uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna » (Gv 5,28-29). Allora Cristo « verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli [...]. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. [...] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna » (Mt 25,31-33.46).
1039 Davanti a Cristo che è la verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio. [635] Il giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena:
« Tutto il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa. Il giorno in cui Dio non tacerà (Sal 50,3) [...] egli si volgerà verso i malvagi e dirà loro: Io avevo posto sulla terra i miei poverelli, per voi. Io, loro capo, sedevo nel cielo alla destra di mio Padre, ma sulla terra le mie membra avevano fame. Se voi aveste donato alle mie membra, il vostro dono sarebbe giunto fino al capo. Quando ho posto i miei poverelli sulla terra, li ho costituiti come vostri fattorini perché portassero le vostre buone opere nel mio tesoro: voi non avete posto nulla nelle loro mani, per questo non possedete nulla presso di me ». [636]
1040 Il giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l'ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l'opera della creazione e di tutta l'Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte. [637]
1041 Il messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini « il momento favorevole, il giorno della salvezza » (2 Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del regno di Dio. Annunzia la « beata speranza » (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale « verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto » (2 Ts 1,10).
VI. La speranza dei cieli nuovi e della terra nuova
1042 Alla fine dei tempi, il regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo sarà rinnovato:
Allora la Chiesa « avrà il suo compimento [...] nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l'uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo ». [638]
1043 Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l'umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l'espressione: « i nuovi cieli e una terra nuova » (2 Pt 3,13). [639] Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di « ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra » (Ef 1,10).
1044 In questo nuovo universo, [640] la Gerusalemme celeste, Dio avrà la sua dimora in mezzo agli uomini. Egli « tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate » (Ap 21,4). [641]
1045 Per l'uomo questo compimento sarà la realizzazione definitiva dell'unità del genere umano, voluta da Dio fin dalla creazione e di cui la Chiesa nella storia è « come sacramento ». [642] Coloro che saranno uniti a Cristo formeranno la comunità dei redenti, la « Città santa » di Dio (Ap 21,2), « la Sposa dell'Agnello » (Ap 21,9). Essa non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, [643] dall'amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione.

605) Cf 2 Tm 1,9-10.
(606) Cf Lc 16,22.
(607) Cf Lc 23,43.
(608) Cf 2 Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; 12,23.
(609) Cf Mt 16,26.
(610) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 856; Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1304; Concilio di Trento, Sess. 25a, Decretum de purgatorio: DS 1820.
(611) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 857; Giovanni XXII, Bolla Ne super his: DS 991; Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: DS 1000-1001; Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1305.
(612) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 858; Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: DS 1002; Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1306.
(613) San Giovanni della Croce, Avisos y sentencias, 57: Biblioteca Mística Carmelitana, v. 13 (Burgos 1931) p. 238.
(635) Cf Gv 12,48.
(636) Sant'Agostino, Sermo 18, 4, 4: CCL 41, 247-249 (PL 38, 130-131).
(637) Cf Ct 8,6.
(638) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48: AAS 57 (1965) 53.
(639) Cf Ap 21,1.
(640) Cf Ap 21,5.
(641) Cf Ap 21,27.
(642) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1: AAS 57 (1965) 5.
(643) Cf Ap 21,27.

“Polymetys, che tu sia un gran presuntuoso se nè accorto anche il mio Pc”

No, sono solo qualcuno che discute di Platone avendolo letto. Quando iniziano gli argumenta ad personam anziché le citazioni da Platone capisci che il tuo interlocutore non conosce ciò di cui parla. Una precisazione: sono Polymetis, non Polymetys, la penultima lettera è una iota non una ipsilon.

“Adesso ti sei dato anche alla parapsicologia! Attento, come veggente rischi di fare la fine di Anna Marchi. Io non copio da Internet (faccio già molta fatica a rispondere qui, per mancanza di tempo)”

Veramente il mio confronto sinottico è lì da vedere.

“però mi fa immensamente piacere leggere che qualcun altro attinge da fonti che mi sono molto familiari, religiosamente parlando!”

Ad esempio?

“RIGUARDO A O. CULLMANN, HO LETTO PARECCHIE SCIOCCHEZZE, ma almeno una notizia ve la voglio regalare: quello che ha scritto lo ha appreso da un (allora) giovane seminarista della mia chiesa! Beccatevi questa!”

Non vedo come la cosa potrebbe riguardarmi. Quello che hai scritto su Culmann lo hai appreso da un seminarista o quello che scrivi sull’anima l’hai appreso da un seminarista? Ho il vago sospetto che non ti abbia detto che non credeva all’immortalità dell’anima (infatti essendo un futuro prete presumo che ci credesse), molto più probabilmente ti ha confrontato l’antropologia ebraica con quella greca, e tu, non avendo le categorie concettuali filosofiche per capire il suo discorso che distingueva tra dualismo greco e antropologia tomista, hai confuso il suo rifiuto del dualismo col rifiuto dell’immortalità dell’anima, equivocando enormemente il suo discorso. Qualora io abbia interpretato male, chiedi al tuo amico se vuole parlarmi, sarei curioso di sentire dei chiarimenti. Magari potresti farmi avere la sua e-mail, ovviamente col suo consenso.

“E’ un peccato capitale teorizzare prima
di possedere dati. Insensibilmente si
comincia a piegare i fatti per adattarli alle
teorie, prima di piegare le teorie per
adattarle ai fatti.”

Sherlock Holmes
(da Arthur Conan Doyle,
Uno scandalo in Boemia)

A presto
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
09/12/2004 22:02
 
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-Luca 23,43
Luca 23:43 Gesù gli disse: «Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso».

“E disse a lui Amen a te dico oggi con me sarai in il paradiso” (Versione interlineare).

Il testo originale non ha punteggiatura quest’ultima viene giustapposta secondo i pregiudizi religiosi dei traduttori biblici di modo che la frase di Gesù possa assumere due significati: “In verità ti dico oggi, tu sarai con me in paradiso” oppure: “In verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso. Tecnicamente tutte e due le traduzioni sono possibili, benché l’osservazione secondo la quale l’avverbio “oggi” non appaia altrove con la frase frequentemente usata “In verità ti dico”. Ma questa osservazione non è determinante se si affrontano altre considerazioni.

1) La parola “paradiso (paradeisos) è usata altre due volte soltanto nel NT: in 2 Cor. 12:2,4 dove Paolo racconta un’esperienza estatica essendo “rapito in paradiso”. Qui il “paradiso è situato “in cielo”. La seconda volta troviamo questa parola nella descrizione della nuova Gerusalemme, che però Giovanni situa nella futura dimora terrena dei salvati (Ap. 2:7; 22:2).
2) Quando Gesù è tornato in paradiso? Secondo la tesi tradizionalista Gesù andò in cielo insieme al malfattore subito dopo la loro morte. La Bibbia afferma che dopo la sua crocifissione Cristo è sceso nella tomba (Ades) [Atti 2:31,32]. Come si è già visto, l’Ades è la dimore di TUTTI i defunti, siano essi buoni o malvagi. Se per Ades bisogna comprendere “inferno” come imprudentemente alcuni intendo questo termine, ben difficilmente Cristo avrebbe fatto quella promessa al malfattore. Una prova indiretta della correttezza del nostro discorso su Luca 16:23 , la parabola del ricco e Lazzaro.
3) Il giorno della risurrezione Gesù disse a Maria: “Non toccarmi, perché non sono ancora SALITO al Padre mio” (Gv 20:17). E’ evidente che Gesù non era in cielo durante i tre giorni della sua sepoltura. Di conseguenza, nemmeno il malfattore lo era.

La nostra interpretazione è quindi quella secondo la quale Gesù fa “oggi” una promessa che si adempirà il giorno della sua parusia:
Giovanni 14:1-3: «Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi;”

Polymetis mi propone, tra gli altri, anche questo testo -1 Pietro 3,19-20 (Cristo morto andò a predicare ai morti); vediamolo:

1Pietro 3:18-20: “Anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio. Fu messo a morte quanto alla carne, ma reso vivente quanto allo spirito. “E in esso andò anche a predicare agli spiriti trattenuti in carcere, che una volta furono ribelli, quando la pazienza di Dio aspettava, al tempo di Noè, mentre si preparava l'arca, nella quale poche anime, cioè otto, furono salvate attraverso l'acqua.”


Questo testo dovrebbe deporre a favore dell’immortalità dell’anima; in esso molti ravvisano un’opera di predicazione che Gesù Cristo avrebbe svolto in favore di coloro che sono morti prima dell’opera redentrice di Cristo stesso. E così?

La prima domanda viene spontanea: dopo la sua morte, Cristo andò in cielo oppure andò a predicare nell’Ades che, come sappiamo, la Bibbia situa nelle profondità della terra, agli antipodi del cielo?
Delle due cose bisogna sceglierne una per non confondere le idee ai molti che già sono poco preparati teologicamente.

Polymetis mi ha proposto questo testo sperando di mettermi in difficoltà? Se così fosse, ha fatto una scelta di testi veramente infelice. Leggo infatti da un commento alle epistole di Pietro (“Lettere di Pietro Giacomo e Giuda” Nuovissima versione della Bibbia, Ediz. Paoline):

“19.20: I due versetti presentano difficoltà notevoli di interpretazione, che erano state già avvertite dall’esegesi patristica greca e latina. C’è anzitutto una difficoltà di traduzione: il pronome relativo greco con cui inizia il v. 19 può intendersi o riferito allo Spirito, e avremmo allora “in forza di esso”; o, più genericamente, come riferito al contesto del mistero pasquale, e dovremmo allora tradurre: “nel qual tempo”, “nella quale occasione” (…) Ma la difficoltà riguarda specialmente il contenuto espresso: chi sono gli spiriti di cui si parla? Che significato ha l’annuncio di Cristo?” (p.59).

Il commento prosegue adducendo diverse IPOTESI. Allora, visto che ci muoviamo sul terreno delle ipotesi, vediamo chi se la cava con maggior perizia.

1) Innanzitutto, in che cosa credeva l’apostolo Pietro riguardo al discorso della salvezza?

1Pietro 1:4,5: per una eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi.

1Pietro 1:7 affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell'oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo.

1Pietro 1:13 Perciò, dopo aver predisposto la vostra mente all'azione, state sobri, e abbiate piena speranza nella grazia che vi sarà recata al momento della rivelazione di Gesù Cristo.

1Pietro 2:12 avendo una buona condotta fra gli stranieri, affinché laddove sparlano di voi, chiamandovi malfattori, osservino le vostre opere buone e diano gloria a Dio nel giorno in cui li visiterà.

1Pietro 4:5 Ne renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti.

2Pietro 2:17 Costoro sono fonti senz'acqua e nuvole sospinte dal vento; a loro è riservata la caligine delle tenebre.

2Pietro 3:3-4: Sappiate questo, prima di tutto: che negli ultimi giorni verranno schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo i propri desideri peccaminosi e diranno: «Dov'è la promessa della sua venuta? Perché dal giorno in cui i padri si sono addormentati, tutte le cose continuano come dal principio della creazione».

2Pietro 3:7 mentre i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della perdizione degli empi.
2Pietro 3:11-14: Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi, quali non dovete essere voi, per santità di condotta e per pietà,
mentre attendete e affrettate la venuta del giorno di Dio, in cui i cieli infocati si dissolveranno e gli elementi infiammati si scioglieranno!
Ma, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia. Perciò, carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere trovati da lui immacolati e irreprensibili nella pace;

Ci va molto a comprendere che l’apostolo Pietro aveva una visione escatologica del destino degli uomini e che questo era riservato al giorno del giudizio di Dio e alla parusia di Gesù Cristo? Nessun giudizio individuale, quindi. Nessun paradiso o inferno dopo la morte dei singoli.

Come comprendere, allora, il testo in questione? Io credo che la risposta si trovi in un testo in qualche modo “parallelo” a quello proposto:

1Pietro 1:10-11: “Intorno a questa salvezza indagarono e fecero ricerche i profeti, che profetizzarono sulla grazia a voi destinata. Essi cercavano di sapere l'epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo Spirito di Cristo che era in loro, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo e delle glorie che dovevano seguirle.”

Questo testo ci dice che l’opera di Cristo era già in atto al tempo dell’Antico Testamento: lo Spirito dei profeti era “lo Spirito di Cristo”. In tal senso, cioè in “Spirito”, Gesù andò a predicare a coloro che erano tenuti “in carcere” cioè nelle maglie del peccato AL TEMPO DI NOE’. Rileggiamo il testo:

. “E in esso (NELLO SPIRITO) andò anche a predicare agli spiriti trattenuti in carcere, che una volta furono ribelli, (QUANDO GESU’ ANDO’ A PREDICARE?) quando la pazienza di Dio aspettava, al tempo di Noè, mentre si preparava l'arca, nella quale poche anime, cioè otto, furono salvate attraverso l'acqua.”

Con un testo “difficile da tradurre e da interpretare” mi sembra che tale interpretazione sia l’unica che non faccia violenza alla teologia petrina.

Agabo.
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Polymetis, a sferrare “colpi sotto il livello della mia cintura”, data la consistenza dei miei attributi, ci si può solo far male e te lo provo. Quello che tu hai dato per una mia scopiazzatura da internet, senza prendere in considerazione altre possibilità (tanto ti premeva mettermi in cattiva luce!) è un brano di “Dal tempo all’eternità” di C. Gerber, Ed. AdV, Firenze, p. 232”; un testo della denominazione alla quale appartengo, stampato in centinaia di migliaia di copie, cosa che rende facile al che altri possano attingere alle informazioni che contiene.

Visita:

"MA COME UN'AQUILA PUO' DIVENTARE AQUILONE? CHE SIA LEGATA OPPURE NO, NON SARA' MAI DI CARTONE " -Mogol
"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
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Re: Cullmann

Scritto da: Achille Lorenzi 09/12/2004 6.21
Quindi, citare Cullmann per far credere che egli credesse in un annullamento totale dell'esistenza dopo la morte significherebbe fargli dire quello che non ha letto, o per lo meno non esprimere in maniera completa il suo pensiero...
Interessante...
Mi procurerò questo libro e me lo leggerò con attenzione. Ho capito da un pezzo che con citazioni estrapolate qua e la si può riuscire a "dimostrare" qualsiasi cosa [SM=g27829]

Ciao
Achille



Achille c'è un proverbio che invita a riflettere prima di rispondere, parafrasandolo, LEGGI CULLMANN PRIMA DI FARE ILLAZIONI.
a PROPOSITO, IO "QUEL" LIBRO CE L'HO!

Agabo.
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Re: Ad Agabo

Scritto da: berescitte 09/12/2004 6.06

Come Berescitte ti informo che
Hans Kung non è più cattolico da un pezzo.

Come Moderatore ti chiedo
Perché non ti trattieni dall'aggettivare negativamente Polymetis? Le sentenze vanno lasciate ai lettori/Giuria.



Berescitte,
come berescitte ti ricordo che un sacerdote "sospeso a divinis" RESTA SACERDOTE FINCHE' VIVE.

COME MODERATORE TI CHIEDO: "FAI CASO SOLTANTO AI MIEI "AGGETTIVI"?
Agabo.
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Evidentemente gli Dèi hanno deciso di farmi impazzire.
Le tue argomentazioni sulla punteggiatura di Lc 23,43 e su 1 Pt 3,19; 4,16 sono IDENTICHE a quelle geoviste. Le ho già confutate una per una in varie discussioni, l’ultima delle quali si è trascinata per ben quattro pagine. Non ho nessuna intenzione di ripetermi quindi ti do il link e se c’è qualcosa che non capisci chiedi pure:

http://www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=47801&idd=201&p=1
(Ovviamente si prega di leggerla tutta prima di fare domande)

Rispondo alle rimanenti questioni:

“Quello che tu hai dato per una mia scopiazzatura da internet, senza prendere in considerazione altre possibilità (tanto ti premeva mettermi in cattiva luce!) è un brano di “Dal tempo all’eternità” di C. Gerber, Ed. AdV, Firenze, p. 232”;”

Evidentemente sei tu quello che si fa male da solo. La mia critica non verte sulla fonte da cui hai copiato, ma sul fatto che hai copiato senza citare la fonte. Ergo non solo apprendo che la citazione è copiata, ma pure che è stata presa da materiale cartaceo e dunque protetto da copyright. Il che ovviamente rende la cosa doppiamente disonesta ed illegale, infatti fai passare le cose scritte da questo ignoto per opera tua.

P.S. Ovviamente non hai risposto a nessuna delle mie argomentazioni sulla parabola dei ricco Epulone né hai parlato di Platone. (Sto ancora aspettando di conoscere le grandissime influenze del pensiero platonico sulla dottrina cattolica.)

A presto
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09/12/2004 23:33
 
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"come berescitte ti ricordo che un sacerdote "sospeso a divinis" RESTA SACERDOTE FINCHE' VIVE."

E con ciò? Anche il battesimo non si cancella, persino se diventi musulmano. La tua citazione non lo chiamava sacerdote cattolico ma teologo cattolico. La Congregazione per la dottrina della Fede nel '79 ha dichiarato Hans Kung "non più teologo cattolico", testuale.

A presto
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10/12/2004 08:38
 
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Credo che ci troviamo di fronte a uno degli equivoci che avvengono in chi non conosce bene il cattolicesimo.
La consacrazione a sacerdote non dà la patente di teologo a nessuno.
E il fatto che essa duri per sempre (come il battesimo) non rende magicamente cattolico né un prete né un cristiano. Essi per esserlo devono esserlo nella fede, nella adesione/confessione alla fede della Chiesa.

Quindi possiamo avere gente che, non aderendo più alla fede, ha cessato di essere cattolica, anche se resta battezzata e ordinata sacramentalmente nel sacerdozio.

Quindi la situazione di Hans Kung è quella di essere battezzato e prete, ma non più cattolico. E' scismatico perché rifiuta una qualche parte o in toto la fede della sua Chiesa di origine. E può ancora essere credente su vari punti (cosa che solo lui sa).
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10/12/2004 15:01
 
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Domanda agli esperti
Anni fa, leggendo il contenuto della Torre di Guardia del 1999 intitolato "Vita dopo la Morte: quali credenze ci sono?" scrissi alla Betel di Roma alcune riflessioni critiche.
L'articolo inseriva il nome del filosofo Aristotele assieme ad altri filosofi concordi nell'affermare un concetto di "an
ima" immortale.
La mia critica era dettata dal ragionamento che:
avendo il filosofo suddiviso l'anima in due diversi momenti, e che uno di questi era " l'immortalita dell'anima intellettiva umana", ritenevo sbagliato inserire Aristotele tra chi sosteneva l'pitotesi della mortalità dell'anima.

Ora, prima di leggervi la risposta della Betel vi domando:
secondo voi andava inserito nell'elenco stilato dalla rivista?

Ciao, Maurizio
10/12/2004 15:35
 
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Aristotele crede nell'immortalità dell'anima, ma il discorso è complesso. "L'anima è atto (o entelecheia) di un corpo che ha la vita umana in potenza", secondo quando Aristotele in persona ci comunica. Essendo l'anima legata al corpo come la forma è legata alla materia, rotto il sinolo l'anima non potrebbe sussistere da sola. Infatti nel medioevo l'averroismo latino (o aristotelismo eterodosso) sosteneva la mortalità dell'anima in Aristotele. Ma questa interpretazione è solo parziale, infatti in Aristotele ci sono tre tipi di anima 1)Vegetativa 2)Sensitiva 3)Intellettiva.
In quest'ultima distinguiamo tra intelletto possibile\poteziale e intelletto attivo\attuale, quest'ultimo è immortale. "Separato [dalla materia] esso è solamente ciò che appunto è, e questo solo è immortale ed eterno" (Aristotele, L'anima, III, cap. V, 430)

A presto
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10/12/2004 15:41
 
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Allora, le mia modestissima conoscenza della filosofia (sono fresca di studi classici) mi ha portato a riflettere su quell'articolo della WT citato da Maurizio.

Dunque io mi ricordo che per Aristotele, la psicologia era lo studio delle funzioni dell'anima. Sottolineando che "forma" (l'essenza o gli elementi invarianti caratteristici di un oggetto) e "materia" (il comune e indifferenziato substratum delle cose) non possono esistere l'una senza l'altra, Aristotele definì l'anima come "quella particolare funzione del corpo che è costituita in modo tale da poter svolgere le operazioni vitali". La dottrina di Aristotele è una sintesi tra la concezione più arcaica secondo la quale l'anima non può esistere indipendentemente dal corpo e la concezione platonica dell'anima come entità separata e immateriale.

Un concetto importante poi per Aristotele è quello di Sostanza.
La sostanza è in primo luogo ogni individuo concreto (uomo, cavallo, albero, tavolo ecc.) a cui si riferiscono delle proprietà che lo caratterizzano. E' quindi un sinolo, unione di due elementi che Aristotele chiama materia (hyle) e forma (eidos, morphé). La forma è la "natura" propria di una cosa, è ciò che la rende quella che è e la distingue dalle altre; è dunque la sua "essenza", il suo significato fondamentale, il suo "essere dell'essere". La materia è invece ciò di cui una cosa è fatta, ciò di cui è composta (ad esempio un uomo è fatto di carne ed ossa; una sfera è fatta di bronzo ecc.), ed è dunque un elemento passivo, che viene 'strutturato', dalla forma, nel senso che è la forma che rende ad esempio l’uomo 'animale razionale', mentre la materia sarà il corpo dell'uomo. Entrambe però, la materia e la forma, sono necessarie per fare una sostanza: non può esistere un uomo senza il corpo (materia), né l'anima (forma) senza il corpo.

Quindi è improprio, secondo me per la WT dire che Aristotele sosteneva una qualche teoria sulla condizione dell'anima.

A presto!

[Modificato da vally82 10/12/2004 15.43]

Valentina
10/12/2004 15:46
 
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Re: Domanda agli esperti

Scritto da: maurizio pederzini 10/12/2004 15.01
Anni fa, leggendo il contenuto della Torre di Guardia del 1999 intitolato "Vita dopo la Morte: quali credenze ci sono?" scrissi alla Betel di Roma alcune riflessioni critiche.
L'articolo inseriva il nome del filosofo Aristotele assieme ad altri filosofi concordi nell'affermare un concetto di "an
ima" immortale.
La mia critica era dettata dal ragionamento che:
avendo il filosofo suddiviso l'anima in due diversi momenti, e che uno di questi era " l'immortalita dell'anima intellettiva umana", ritenevo sbagliato inserire Aristotele tra chi sosteneva l'pitotesi della mortalità dell'anima.

Ora, prima di leggervi la risposta della Betel vi domando:
secondo voi andava inserito nell'elenco stilato dalla rivista?

Ciao, Maurizio

Maurizio faccio fatica a capirti o forse c'è un errore di battitura? Prima dici che Aristotele era inserito fra quelli che sostenevano il concetto di anima immortale.
(ecco la frase)


L'articolo inseriva il nome del filosofo Aristotele assieme ad altri filosofi concordi nell'affermare un concetto di "an
ima" immortale.



Poi dici:

ritenevo sbagliato inserire Aristotele tra chi sosteneva l'pitotesi della mortalità dell'anima.




Sto capendo male io?



Seabiscuit
10/12/2004 21:39
 
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Alcune riflessioni sulle reazioni del mio post “Il ricco e Lazzaro”.
Faccio un break prima di commentare gli altri testi che mi sono stati proposti.
Alcune riflessioni sulle reazioni del mio post “Il ricco e Lazzaro”.

Qualcuno ha messo in dubbio che Luca 16:19-31 sia una parabola! Userò lo stesso metro che i cattolici usano nei confronti dei Testimoni di Geova (qualche tdG potrebbe magari farmi un piccolo ringraziamento!), vale a dire, userò argomentazioni di cattolici che affermano cose contrarie a quelle di altri cattolici qui espresse.

Giuseppe Ricciotti, per esempio:

“Questo è l’insegnamento che Gesù illustrò con una nuova PARABOLA (maiuscoletto mio. L’altra parabola è quella di Lc 16:1-12) strettamente aderente a vari concetti del giudaismo, tanto da apparire sotto un certo aspetto la più giudaica delle parabole di Gesù” (“Vita di Gesù Cristo”, Oscar Saggi Mondatori, p. 516).

Il Ricciotti non solo definisce il racconto in oggetto “PARABOLA” , ma asserisce pure che essa è “aderente ai concetti del giudaismo” NON ADERENTE ALLA BIBBIA, ma al GIUDAISMO (DEL TEMPO?). Inoltre, come espresse anche il sottoscritto, questa parabola continua il discorso iniziato con un’altra parabola, quella del “fattore infedele”. Leggetela, e poi ditemi se con essa Gesù abbia voluto sostenere che sia onesto e giusto comportarsi come il “Fattore infedele”! Uno così (il Fattore) verrebbe indubbiamente sbattuto in galera. Perché, allora, Gesù utilizza un CATTIVO ESEMPIO E UN CATTIVO SOGGETTO per illustrare paradossalmente un comportamento di natura morale da praticare?
Questo dovrebbe far riflettere coloro che hanno detto che Gesù non utilizza MAI esempi tratti dalle credenze popolari, talvolta “critiche”!

Certo che la parabola del ricco e di Lazzaro ha una morale! Tale morale è esplicitata da Gesù stesso, di modo che la parabola assuma un ruolo puramente funzionale:

Luca 16:31 Abraamo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita"». Questa è la morale. Tale fu l’oggetto del suo dire e niente di più.
E tuttavia, si parla ancora e sempre di RISURREZIONE, al condizionale però (“nemmeno se …”), perché la risurrezione si avrà solo con la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte.

Qualcuno sì è dato un gran daffare per provarmi che molti particolari della parabola di Luca sono simbolici. Ne sono d’accordissimo. Ma, costui, mi spieghi anche come è possibile definire una dottrina sull’immortalità dell’anima con tanti elementi simbolici. Tanto vale credere pure che “gli alberi si muovono e parlano” come nell’altra parabola da me citata (Giudici 9:8-15) alla quale nessuno sembra aver “fatto caso”. E nessuno ha “fatto caso” nemmeno (strano, ma vero!) al fatto che v’è una prova inconfutabile, data da Giuseppe Flavio, che al tempo di Cristo circolavano diverse “favole” (sic!) molto simili alla parabola di Luca.

Ho notato con gusto che, a differenza di un passato abbastanza recente, adesso ci si dà da fare per “spegnere le fiamme dell’inferno” e mi citano IL CATECHISMO! La cosa mi fa piacere, naturalmente: è evidente che a furia di dirlo qualcuno ha cominciato a credere a noi, a noi che non abbiamo mai creduto all’esistenza di un inferno di fiamme. Ma, c’è un “ma”: costoro hanno forse dimenticato (o sperano di far dimenticare?) che PER SECOLI hanno seminato il terrore nelle menti della gente agitando lo spauracchio dell’inferno in cui bruciano in eterno i dannati!!! Non solo cattolici, per la verità.

Non parliamo, poi, del fatto che non si “notano” citazioni da me riportate e tratte da strumenti tecnici insospettabili, come quella del “Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento”. Per forza di cose qualcuno continua a insistere su una falso problema come quello dell’uso di “Ades” da parte di Cristo”. Il suddetto Dizionario riporta che c’è un’assoluta identità concettuale tra lo “sheol” dell’AT e l’ “Ades” del NT, per cui è tautologico continuare la “solfa” che il NT darebbe a “Ades” un significato “nuovo” e “diverso” dall’ “arcaico” “Sheol”. Per dirla con altre parole, c’era un’influenza ellenistica al tempo di Gesù ANCHE presso i giudei, ma non è provato che tale influenza sia penetrata fin nel cuore della RIVELAZIONE BIBLICA al punto da stravolgere ciò che fino ad allora era dato per “Parola di Dio”. Ciò che si postula ACCADDE, lo riconosciamo; ma solo più tardi, al tempo dei (e con) Padri della chiesa!

Qualcuno ha affermato che la Bibbia “non parla di immortalità dell’anima, ma di sopravvivenza dell’INDIVIDUO”. Bene. E come avverrebbe, di grazia, tale “sopravvivenza”? Con la morte del corpo e la liberazione dell’anima che trova “pace” in qualche luogo, “per caso”? Si tratta del solito serpente che si morde la coda, oppure è questa affermazione che è un “esercizio da gesuita”?

Quando Cullmann presentò la prima volta la sua ricerca biblica su questo soggetto, frutto, come egli afferma, di una serrata esegesi, avvenne una specie di “terremoto” fra studiosi e semplici credenti. Egli dice che la “novità” scandalizzava non tanto per il fatto in sé, ma più che altro per motivi “sentimentali”, colpiva cioè, le EMOZIONI della gente. Fatte le debite proporzioni (io sono niente rispetto a Cullmann) è ciò che è avvenuto anche in questo 3d: non ho visto un solo tentativo di esegesi rispetto a quanto stiamo dicendo. Solo commenti, opinioni! Rispettabilissimi, per carità! Ma i commenti non sono esegesi, soprattutto quelli secondo i quali se una cosa è creduta dai Testimoni di Geova o dagli Avventisti dev’essere per forza sbagliata!
Tanti saluti, Agabo.

[Modificato da Agabo 10/12/2004 22.13]

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10/12/2004 22:04
 
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Re:

Scritto da: Polymetis 09/12/2004 23.25
Evidentemente gli Dèi hanno deciso di farmi impazzire.
Le tue argomentazioni sulla punteggiatura di Lc 23,43 e su 1 Pt 3,19; 4,16 sono IDENTICHE a quelle geoviste. Le ho già confutate una per una in varie discussioni,
(...)


R. Polymetis, per favore, non impazzire proprio adesso che comincio a divertirmi![SM=g27819]

Rispondo alle rimanenti questioni:

“Quello che tu hai dato per una mia scopiazzatura da internet, senza prendere in considerazione altre possibilità (tanto ti premeva mettermi in cattiva luce!) è un brano di “Dal tempo all’eternità” di C. Gerber, Ed. AdV, Firenze, p. 232”;”

Evidentemente sei tu quello che si fa male da solo. La mia critica non verte sulla fonte da cui hai copiato, ma sul fatto che hai copiato senza citare la fonte. Ergo non solo apprendo che la citazione è copiata, ma pure che è stata presa da materiale cartaceo e dunque protetto da copyright. Il che ovviamente rende la cosa doppiamente disonesta ed illegale, infatti fai passare le cose scritte da questo ignoto per opera tua.


R. Non è vero, la tua critica verteva sul fatto che io scopiazzassi da internet (RILEGGITI!). Per il resto, il sottoscritto non è un anacoreta, appartiene ad una nota Denominazione cristiana evangelica e se uso materiale carteceo o di qualsivoglia supporto, non faccio che usare del materiale nel quale si sostiene la mia visione biblica, che è anche quella della denominazione alla quale appartengo.La fonte si cita quando è presa "alla lettera", non è corretto citarla quando uno la adatta ad una determinata circostanza. Ti reputi per caso "disonesto" quando citi il Catechismo cattolico? Se la tua risposta è affermativa, anch'io sono, del par tuo, "disonesto"!

Riguardo alla punteggiatura di Luca 23:44 non ho fatto che riportare molto brevemente un caso che, comunque tu lo giudichi, esiste e non ho insistito più di tanto.
Riguardo al testo di Pietro, ho riportato non il mio personale parere, ma il commento a piè pagina del volume citato delle Edizioni Paoline. Non capisco perchè ti irriti con me. Se non lo gradisci prenditela con l'autore del tal commento.

Platone? Preferisco parlare di Bibbia!
Tanti saluti, Agabo.

[Modificato da Agabo 10/12/2004 22.09]

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11/12/2004 00:04
 
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Ciao SEA.
>>>Maurizio faccio fatica a capirti
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Chiedo scusa.
Ho scritto male la frase:
"altri filosofi concordi nell'affermare un concetto di "an
ima" immortale."
Va letta invece:
" altri filosofi concordi nell'affermare un concetto di anima mortale"

La risposta della Betel con sigla SPA:EH del giugno 1999 è stata:

" Sfogliando una vecchia enciclopedia dell'Editore Arnoldo Mondadori, alla voce Aristotele, risulta che questo filosofo greco, iniziato alla filosofia nella scuola di Platone, dopo la morte del suo maestro, insegnò una filosofia molto vicina a quella di Platone, ma tuttavia già in contrasto con essa rispetto a problemi essenziali. Aristotele pensava che un mondo così staccato dalla materia, come credeva Platone, " non darebbe al pensiero alcun criterio per comprendere razionalmente il mondo corporeo". Perciò Aristotele pensava che "le forme debbano trovarsi e operare all'interno della natura corporea" In parole semplici era un parere simile a quello che ebbe Miguel de Unamuno, ciè il voler credere con tanta forza che l'anima sia immortale senza però soffermarsi a ragionare.

Pensiamo che questa semplice speiegazione sia sufficiente come risposta al quesito che ci hai posto."

Mandai un'altra lettera dove spiegavo che nel "De Anima" la posizione di Aristotele era talmente complicata che ritenevo eccessivo sposare la tesi della "mortalità dell'anima" e che considerando la materia in oggetto, non mi sembrava un metodo particolarmente "ricercato" rispondere con "Sfogliando una vecchia enciclopedia".
Dopo circa un mese, la risposta.
Due anziani vennero a trovarmi chiedendomi quale era il motivo del mio "insistere" su Aristotele e l'anima, e per confortarmi che la W.T. quello che scrive lo fa dopo attenti e ricercati studi, mi presero fuori dalla borsa....una fotocopia di una paginetta di una "vecchia enciclopedia" dell'Editore Arnoldo Mondadori:)))

Ciao
Maurizio
11/12/2004 22:04
 
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“A casa col Signore” 2 Corinzi 5:1-10.
Nell’affrontare il commento a questi testi mi sono posto il problema dal punto di vista della critica alla dottrina del “sonno incosciente dei defunti durante la morte”, in attesa del ritorno di Cristo alla fine dei tempi.
Non ho voluto di proposito presentarla sotto l’aspetto “confessionale” perché questo avrebbe dato poca rilevanza a tale modo d’intendere questo importante soggetto, perché troppo inficiato dal pregiudizio: per molti, infatti, la dottrina dell’incoscienza dello stato dei defunti sarebbe legato al “credo” dei Testimoni di Geova e degli Avventisti, cosa che fa di questa dottrina un’amenità tipicamente “ereticale” da parte dei suoi detrattori.
Benché mi sarebbe stato più agevole presentare qui la mia veduta “confessionale”, non l’ho fatto e di proposito. Le recentissime reazioni che si possono leggere in relazione ai miei precedenti commenti di testi biblici qui presentati, con stupefacente superficialità e senza apportare contenuti esegetici in contraddittorio, spesso adducono come “prova” dell’ “erratezza” della tesi di cui mi faccio latore l’argomentazione che essi sono “molto simili a quelli dei tdG”. Ho scelto, pertanto, di riportare stralci di un commento NON CONFESSIONALE pubblicato da un esegeta che non può essere sospettato di simpatie verso le summenzionate denominazioni. Anche per dimostrare che nel mondo accademico non si dà poi tanto per scontata la tesi tradizionalista dell’immortalità dell’anima.


2Corinzi 5:1 Sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d'uomo, eterna, nei cieli.
2Corinzi 5:2 Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste,
2Corinzi 5:3 se pure saremo trovati vestiti e non nudi.
2Corinzi 5:4 Poiché noi che siamo in questa tenda, gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di essere spogliati, ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita.
2Corinzi 5:5 Or colui che ci ha formati per questo è Dio, il quale ci ha dato la caparra dello Spirito.

2Corinzi 5:6 Siamo dunque sempre pieni di fiducia, e sappiamo che mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore
2Corinzi 5:7 (poiché camminiamo per fede e non per visione);
2Corinzi 5:8 ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore.
2Corinzi 5:9 Per questo ci sforziamo di essergli graditi, sia che abitiamo nel corpo, sia che ne partiamo.
2Corinzi 5:10 Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male.


1-4. La soluzione delle coppie antitetiche di 4,7 ss. 16ss (uomo terreno-uomo spirituale, sofferenza –gloria) avviene solo nel compimento escatologico. La gloria di Paolo e della comunità, la trasformazione spirituale (3,18; 4,6) annunciano già ora la vita futura e la fine dell’eone terreno. Pertanto l’esistenza cristiana ora svolge solo nella certezza escatologica della futura trasformazione (“essere rivestiti”, v.2) e del desiderio ardente della vittoria della vita sulla realtà mortale (v.4). Il corpo terreno si consuma ed è distrutto (4,16; 5,1), ma la gloria celeste significa il ricevimento di un nuovo corpo celeste (vv 1-4). Per giunta anche il cap. 5 fa parte della sezione sulla gloria del ministero apostolico che si fonda sul futuro mondo perenne di Dio, che è peraltro indipendente dall’uomo e da raccomandazioni umane e si fonda esclusivamente sulla volontà e sulla potenza di Dio. Questo potere si manifesta nell’apostolo sostenendolo attraverso la sofferenza e la morte e rendendolo capace di servire da ministro del patto. Questa nuova alleanza di riconciliazione è però, a sua volta, solo l’inizio della futura gloria di Dio che si realizza con la risurrezione.

La tenda terrena che viene tolta è il corpo umano caduco (nel v. 4 viene chiamato “ciò che è mortale”). Ad esso Paolo contrappone il corpo della risurrezione, la “casa di Dio”. Si intende dire che questo nuovo corpo deve la sua esistenza solo a Dio creatore, non ha nulla di terreno, è eterno. Evidentemente Paolo ritiene che questo nuovo corpo si trovi già bell’e pronto in cielo e per così dire attenda i cristiani. Le tre espressioni greche che abbiamo tradotto con “dimora”, “casa”, “abitazione”, non si riferiscono al regno di Dio o alla comunità redenta nel suo complesso (come l’immagine della “città celeste” di Apoc.21), ma al nuovo modo di essere o alla nuova forma di vita nel mondo della risurrezione e della vita (per la tenda come figura del corpo, un’immagine che si trova anche nel linguaggio filosofico greco, cfr. Is. 38,12; 2 Pt 1,13 s). Esattamente come in 1 Cor. 15,52 ss. La trasformazione di ciò che è caduco in realtà immortale è opera di Dio (cfr. 1 Cor. 15,38). Paolo dice: abbiamo (questo “abbiamo” ha senso futuro) la casa di Dio in cielo (vuol dire che questa dimora è stata creata da Dio ab eterno ed è a disposizione del cristiano), ma non dice che al momento della morte il cristiano avrà subito il nuovo corpo. Né gl’interessa completare il v.1 con un “non appena”, o un “immediatamente” per chiarire così, oltre ogni dubbio, che sta parlando della morte individuale prima della parusia. Paolo intende invece affermare soprattutto la realtà di questo corpo, senza quindi precisare subito se esso venga “indossato” al momento della morte del singolo cristiano o alla parusia di Cristo. Questo aspetto sarà poi affrontato nel resto della riflessione (vv. 2-4.10). Da QUESTA certezza scaturisce poi il suo comportamento del cristiano che desidera ardentemente ricevere questo nuovo corpo (cfr. Rom. 8,23). Nella vita terrena egli si sente necessariamente oppresso, perché vive nel corpo di morte e di peccato (Rom. 7,24; 8,10). La redenzione deve quindi essere redenzione del corpo, sua trasformazione (non già, come per la gnosi, redenzione dal corpo). Anche in Rom. 8,18ss.23 si sospira e si attende la “redenzione del corpo”. Secondo la sua consuetudine, Paolo non fa che accumulare immagini si immagini, da quella “casa” celeste a quella della “veste”. Perciò ora il testo parla di “indossare” o “rivestire” (termine che si incontra sia nell’apocalittica tardogiudaica sia nel linguaggio della gnosi). Questo termine figurato indica la trasformazione operata da Dio al compimento escatologico (cfr. 1 Cor. 15,52 ss: anche qui abbiamo l’espressione “indossare”). L’idea che viene espressa qui è che nel momento in cui viene indossata la nuova veste del corpo celeste, essa distrugge e annienta il vecchio corpo terreno. Paolo desidera ardentemente questa meravigliosa trasformazione perché teme la condizione di nudità che subentrerebbe se il cristiano morisse senza che avvenisse il prodigio della trasformazione collegato all’apparizione di Cristo. Pertanto Paolo non desidera, ad es., la morte, ma chiede, quando verrà la fine, di indossare la nuova veste, il corpo spirituale, sopra l’altra veste (il corpo psichico): noi desidereremmo non essere spogliati, ma avere una nuova veste sopra l’attuale. Il desiderio che la realtà mortale venga ingoiata dalla vita è perfettamente conforma a 1 Cor. 15,53-55. La morte non redime, deve essere distrutta in quanto non fa che “denudare” l’uomo, mentre Paolo desidera essere “rivestito” della nuova veste della vita celeste. Queste immagini si possono riferire solo alla trasformazione escatologica e non a ciò che accade con la morte. Il v. 4° è parallelo al v. 2° in quanto descrive l’esistenza nel corpo terreno come un peso gravoso che fa sospirare di essere trasformati nella “vita”. La “vita” (zoé) indica sempre, in senso affatto pregnante, l’esistenza escatologica nel regno di Dio, la vita del mondo della risurrezione che non ha più contro di sé alcuna morte. Il timore autenticamente giudaico di Paolo per la “nudità” (mancanza di corpo) nella morte, si contrappone al concetto ellenistico di redenzione (redenzione è liberazione dell’anima dal corpo). La sua posizione va vista alla luce della concezione tardogiudaica che conosceva tre momenti: deposizione della corporeità terrena, nudità, ricevimento del corpo celeste (cfr. pure 1 Cor. 15,37: il seme “nudo”, cioè senza il corpo della pianta).

5. La condizione preliminare del miracolo della trasformazione è stata creata da Dio stesso quando ha dato ai cristiani lo Spirito. Così il desiderio della trasformazione non è un’illusione poiché Dio ha preparato già fin d’ora i cristiani a questo evento escatologico. Lo Spirito, infatti, è l’inizio del nuovo uomo celeste in questo vecchio mondo; è una “caparra” perché la redenzione perfetta e la trasformazione nella nuova esistenza non si sono ancora verificate, ma al tempo stesso è garanzia che vi sarà il pagamento finale (cfr. 1,22). Il corpo celeste è la piena realizzazione del dono dello Spirito dal momento che l’uomo ottiene la corporeità che corrisponde allo Spirito divino (cfr. Rom. 8,23; 1Cor.15,44ss.).

6-8. I versetti che seguono sono imperniati sulla contrapposizione tra l’esistenza nel corpo terreno e la patria celeste presso il Signore (Filip. 3,20) e dunque non fanno che fissare in altra forma il contrasto dei vv. 1ss., soltanto che ora esso viene espresso in funzione del rapporto dei cristiani col loro Signore. La prima, ossia la vita nel corpo terreno, è dunque una separazione dal Signore; solo mediante la trasformazione escatologica si giunge a una piena unificazione con Cristo. Ciò che prima era chiamato il desiderio di essere “rivestiti” ora è definito desiderio di riunificazione col Signore. Ma la separazione attuale non comporta uno scoraggiamento perché insieme con lo Spirito è data la certezza e il coraggio della speranza. In questo senso la separazione non è assoluta (cfr. 3,18). In Paolo è necessario ascoltare sempre la sintesi e insieme l’antitesi, perché così egli esprime la “dialettica” dell’esistenza cristiana (sospirare – essere di buon animo). Perciò alla certezza è legato il desiderio della patria del Signore. L’atteggiamento del cristiano comporta quindi sempre due componenti: desiderio e certezza; desiderio e certezza di piena redenzione. Identico è il contenuto della nuova contrapposizione tra fede e visione (cfr. 1 Cor. 13,12; Rom. 8,24). La visione qui significa vedere il Signore faccia a faccia, vivere nella condizione di pienezza. Diversa era l’accezione del termine in 3,18, dove vedere indicava proprio l’attuale conoscenza spirituale del Signore e la trasformazione nella sua doxa (non si può dunque legare l’apostolo a un determinato uso linguistico come fanno coloro che vogliono definire i concetti di fede e di visione solo in base al v.7). La fede invece è quella unione col Signore nella quale il cristiano si trova nel vecchio secolo finché questo permane, finché inoltre i cristiani non hanno ancora presso di sé e non vedono il Signore risuscitato e glorificato, ma sono legati a lui mediante lo Spirito. Una condizione, questa attuale del cristiano, che non è ancora l’ultima, la suprema. D’altro canto dal contesto risulta chiaramente che questa fede è speranza, attesa; infatti è il credente che desidera la nuova esistenza con Cristo. Paolo sospira di giungere alla visione, alla patria presso il Signore. Presupposto per realizzare questo anelito è lo spogliamento della vita terrena. Anche qui il desiderio di morire; esso indica soltanto la volontà di indossare la veste celeste, ossia l’incontenibile attesa della trasformazione che avviene al compimento escatologico. Nel nostro contesto non si parla affatto di morte individuale. Presso il Signore si dimora solo dopo il suo ritorno della fine di tutte le cose (1 Tess. 4,17). Paolo, dunque, non dice che immediatamente dopo la morte il cristiano defunto dimorerà presso il Signore prima ancora della sua venuta finale. Se intendesse dire ciò, i vv. 3-4 sarebbero assurdi: perché mai, infatti, Paolo dovrebbe temere la condizione di assenza del corpo dopo la morte, aver paura di essere spogliato del corpo dopo la morte, aver paura di essere spogliato del corpo terreno, se già la morte unisse il credente al Signore? La corporeità è un elemento essenziale del compimento finale. La mancanza di un corpo escluderebbe persino l’unione col Signore. Per questo l’Apostolo desidera ardentemente la consumazione finale e la trasformazione. Il timore paolino della nudità ha senso unicamente se s’indossi la nuova veste solo al ritorno del Signore. Paolo non considera, come farà in seguito la religiosità della chiesa, la morte semplicemente un passaggio che conduce al Signore, ma la fine di tutto l’uomo fisico, una fine dalla quale può venire qualcosa di nuovo unicamente attraverso la trasformazione perché l’uomo naturale è caduto completamente sotto il potere della morte. L’apostolo prende in considerazione molto più seriamente che non il cristianesimo dei secoli successivi la realtà antidivina della morte. (cfr. 1 Cor. 15,26. 54s). Il nostro contesto esprime dunque, come già 1 Cor. 15 e Rom 8,23, solo il desiderio del compimento escatologico, poiché, senza parlare di morte, Paolo attende di essere rivestito del corpo celeste. Ma anche se Paolo ha presente la realtà che vi sono cristiani che muoiono prima dell’inizio della parusia e del futuro ritorno del Signore, anche se al problema della morte non ha che una risposta: la risurrezione ( 4,11-14; 1 Cor. 15,51-52; 15,31ss 1 Tess. 4,14ss).
(…)
… Paolo non s’è posto, e quindi nemmeno ha risolto (almeno nei testi che possediamo) il problema del rapporto tra il permanere della comunione con Cristo nonostante la morte e la risurrezione ancora futura, escatologica, alla fine del mondo. Probabilmente per lui non si trattava nemmeno di una questione che dovesse essere chiarita perché non conosceva la problematicità che ha poi occupato tanto seriamente il pensiero occidentale influenzato dalla filosofia greca. Ma soprattutto bisogna rendersi conto che nel pensiero di Paolo l’”adesso” dell’ora della morte e l’ “allora” della realizzazione escatologica futura non sono contrapposti perché il Signore risorto e glorificato che chiama a sé Paolo al momento della morte e il Cristo che verrà, sono la stessa e identica persona che ha sulla morte e sul tempo lo stesso potere con cui determina e fa venire la fine del cosmo e della storia.”
(Per la conoscenza completa di questo commento:
“Le lettere ai Corinti”- commento di Heinz-Dietrich Wendland – Paidea Editrice Brescia – 1976, pp. 358-363, 368-369).

Saluti, Agabo.

[Modificato da Agabo 11/12/2004 22.05]

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13/12/2004 18:34
 
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Ho letto con interesse l’articolo di berescitte sull’anima e vorrei portare alcune aggiunte:

Genesi 25:7, 8 - "Tutta la vita di Abramo fu di 175 anni, poi rese lo spirito. Morì dunque Abramo in buona vecchiaia, attempato e sazio di vita e si ricongiunse ai suoi antenati." Il versetto dice 'rese lo spirito' , quindi questo abbandonò il corpo morto per essere "restituito" a qualcuno, cioè a Dio. Per di più si specifica che egli raggiunse i suoi antenati, e non può intendersi sulla terra, perchè Tare, padre di Abramo, era sepolto in Haran (Gen. 11:32), mentre Abramo fu sepolto in Ebron (Gen. 25:9).

Genesi 35:28; 49:33 - Sono le morti di Isacco e Giacobbe, riprendono lo stesso significato di quella di Abramo.

Apocalisse 20:40 - "E vidi le anime di quelli che erano stati decollati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e di quelli che non aveano adorata la bestia né la sua immagine, e non avevano preso il marchio sulla loro fronte e sulla loro mano; ed essi tornarono in vita, e regnarono con Cristo mille anni". Giovanni dice di avere visto prima le anime di coloro che erano stati uccisi a motivo della parola di Dio e poi che essi tornarono in vita; naturalmente tornarono a vivere con un corpo risuscitato, ma nel frattempo, cioè tra la loro morte e la loro risurrezione avevano continuato a vivere ma solo con la loro anima difatti Giovanni vide le loro anime.

Matteo 17:3 - Un giorno Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse sopra un alto monte sul quale fu trasfigurato e quando la Sua faccia risplendé come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce "apparvero loro Mosè ed Elia, che stavan conversando con lui". Come avrebbè potuto Mosè, morto e sepolto, apparire alla vista dei tre apostoli? La risposta è che la sua anima era ancora viva da migliaia di anni.


E’ vero che la Bibbia usa la parola "anima" per indicare "persona", ma questa è una figura retorica largamente usata dagli scrittori biblici, chiamata sineddoche. Essa consiste nell'usare un significante per un significato (Es. una parte per la moltitudine, un plurale per il singolare, ecc.) alleggerendo il tono linguistico. Per esempio: "...ma Saul suggerì loro:-Dite così a Davide: il re non chiede la dote, ma desidera solo cento prepuzi di Filistei, per vendicarsi dei suoi nemici-. Saul pensava così di far cadere Davide nelle mani dei Filistei" (1 Sam 18:25). Naturalmente Saul non chiedeva pezzettini di carne dei maschi Filistei, egli usa la parola "prepuzi" per indicare che vuole la morte di cento nemici.


[Modificato da non nobis... 13/12/2004 20.49]



Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam.
13/12/2004 18:45
 
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Purgatorio?

Mi rendo conto di dire un'ingenuità ma immagino che per i TdG il discorso del Purgatorio sia da non prendere neppure in consderazione
13/12/2004 21:24
 
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Re: Re:

Scritto da: Agabo 13/12/2004 21.18

Scritto da: non nobis... 13/12/2004 18.34
Ho letto con interesse l’articolo di berescitte sull’anima e vorrei portare alcune aggiunte:

Genesi 25:7, 8 - "Tutta la vita di Abramo fu di 175 anni, poi rese lo spirito. Morì dunque Abramo in buona vecchiaia, attempato e sazio di vita e si ricongiunse ai suoi antenati." Il versetto dice 'rese lo spirito' , quindi questo abbandonò il corpo morto per essere "restituito" a qualcuno, cioè a Dio. Per di più si specifica che egli raggiunse i suoi antenati, e non può intendersi sulla terra, perchè Tare, padre di Abramo, era sepolto in Haran (Gen. 11:32), mentre Abramo fu sepolto in Ebron (Gen. 25:9).

Genesi 35:28; 49:33 - Sono le morti di Isacco e Giacobbe, riprendono lo stesso significato di quella di Abramo.


Ciao,
vedi, l'espressione "ricongiungersi agli antenati" e formule simili significano semlicemente che essi sono morti, che hanno finito il corso della loro vita come i loro antenati. D'altra parte, non possiamo pensare che TUTTI gli appartenenti ad una determinata stirpe andassero nello stesso luogo (inferno, purgatorio o paradiso), indipendentemente dalle loro opere. Lo spirito che torna a Dio è il procedimento opposto a quello della creazione di Adamo. Nel caso di Adamo Dio forma l'uomo e gli "soffia" l'alito vitale (lo spirito, la vita) nelle narici; alla morte il procedimento si inverte: il corpo torna alla polvere e lo spirito a Dio che lo ha donato. L'anima e lo spirito sono due cose differenti. L'anima è la risultante della materia (il corpo)+ lo spirito. Quando manca uno di questi due elementi non esiste ANIMA (leggi essere vivente).
Quanto agli altri casi da te ricordati, tra non molto ne farò il commento.
Ciao, Agabo.

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14/12/2004 00:16
 
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Per l’ennesima volta non ho sentito parlare di Platone.
Comunque andiamo avanti:

“Qualcuno ha messo in dubbio che Luca 16:19-31 sia una parabola! Userò lo stesso metro che i cattolici usano nei confronti dei Testimoni di Geova (qualche tdG potrebbe magari farmi un piccolo ringraziamento!), vale a dire, userò argomentazioni di cattolici che affermano cose contrarie a quelle di altri cattolici qui espresse.”

Veramente non è un gran modus operandi. Se vuoi contestare la dottrina cattolica cita fonti ufficiali. Noi riprendiamo un TdG quando dice cose discordi alla dottrina geovista, ma lo facciamo con le pubblicazioni del CD alla mano.

“Il Ricciotti non solo definisce il racconto in oggetto “PARABOLA” , ma asserisce pure che essa è “aderente ai concetti del giudaismo del tempo” NON ADERENTE ALLA BIBBIA, ma al GIUDAISMO DEL TEMPO!”

Appunto, e nel giudaismo di allora quasi tutti i rabbini credevano che dopo la morte ci fosse qualcosa.

“noltre, come espresse anche il sottoscritto, questa parabola continua il discorso iniziato con un’altra parabola, quella del “fattore infedele”. Leggetela, e poi ditemi se con essa Gesù abbia voluto sostenere che sia onesto e giusto comportarsi come il “Fattore infedele”! Uno così (il Fattore) verrebbe indubbiamente sbattuto in galera. Perché, allora, Gesù utilizza un CATTIVO ESEMPIO E UN CATTIVO SOGGETTO per illustrare paradossalmente un comportamento di natura morale da praticare?”

Non c’entra nulla. Infatti stiamo discutendo della realtà degli eventi narrati, o del grado di simbolismo e raffigurazione in essi presente. Nel caso della parabola del fattore infedele non c’è nulla che faccia presumere un’interpretazione simbolica, c’è solo da capire il perché il fattore viene lodato. I discepoli devono essere scaltri nel servizio del regno di Dio, tanto quanto i truffatori di questo mondo nei loro affari disonesti” (TOB) E’ il classico tema dell’essere “scaltri come serpenti”, e non c’entra nulla con i simbolismi o le raffigurazioni mitiche.

“Questo dovrebbe far riflettere coloro che hanno detto che Gesù non utilizza MAI esempi tratti dalle credenze popolari, talvolta “critiche”!
Certo che la parabola del ricco e di Lazzaro ha una morale! Tale morale è esplicitata da Gesù stesso, di modo che la parabola assuma un ruolo puramente funzionale:
Luca 16:31 Abraamo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita"». Questa è la morale. Tale fu l’oggetto del suo dire e niente di più.”

Guarda caso consideri due righe e lasci perdere tutto il resto. Sfortunatamente se tu sapessi fare un’analisi semiotica (cosa che non puoi fare non sapendo leggere i testi originali), ti accorgesti come l’accento è messo sulla separazione tra il luogo di pena e il seno di Abramo. Tutto il nucleo della parabola gioca sull’eternità della pena, e sulla separazione tra una condizione e l’altra. I campi semantici in cui ruotano i termini greci sono lapalissiani.

“Qualcuno sì è dato un gran daffare per provarmi che molti particolari della parabola di Luca sono simbolici. Ne sono d’accordissimo. Ma, costui, mi spieghi anche come è possibile definire una dottrina sull’immortalità dell’anima con tanti elementi simbolici.”

Perché le raffigurazioni sono necessarie a far intendere agli uomini verità eterne. Essendo la nostra mente limitata non può cogliere verità metarazionali e dunque Gesù si avvale di immagini. L’aveva capito anche Platone che spiegava le sue dottrine in miti per farsi capire. (Tuttavia nessuno si sognerebbe di dire che nel mito della biga alata siccome è tutto simbolico l’anima non sia immortale). Allo steso modo per l’intero racconto lucano le due anime sono vive e vegete, Gesù ci parla della loro sensazione, e non si può ribaltare completamente il senso.

“Tanto vale credere pure che “gli alberi si muovono e parlano” come nell’altra parabola da me citata (Giudici 9:8-15) alla quale nessuno sembra aver “fatto caso”.”

Nessuno ci ha fatto caso per pura pietà. Evidentemente non lavori mai con autori antichi visto che questi due testi sono di generi letterari completamente diversi e sono stati scritti a secoli di distanza. Nel caso dei Giudici il racconto è una favola e il senso è esattamente quello che leggiamo, una critica alla monarchia considerata inutile. Confrontarli è esattamente come pensare di poter determinare la valenza dei miti in Platone appellandosi ad Esiodo.

“E nessuno ha “fatto caso” nemmeno (strano, ma vero!) al fatto che v’è una prova inconfutabile, data da Giuseppe Flavio, che al tempo di Cristo circolavano diverse “favole” (sic!) molto simili alla parabola di Luca.”

Perché il tuo è un modus operandi talmente assurdo che a nessuno verrebbe mai in mente di commentare un’affermazione simile. Dal fatto che più persone credano ad una cosa non se ne deduce che quella cosa è falsa (magari il contrario!). Allo stesso modo nulla mi impedisce di credere che la concezione essena (nei particolari coincidenti con l’insegnamento cristiano) sia giusta esattamente come quella insegnata da Cristo. Di solito il fatto che delle affermazioni siano in sintonia col Sitz im Leben nel quale sono state pronunciate, è una conferma che l’autore intendeva proprio quella cosa, e non il contrario. Il tuo presupposto è da ribaltare. Ci sono analogie tra i Vangeli e gli esseni in ogni dove, così tante che per anni si è sostenuto (in modo infondato) che Gesù fosse stato uno di loro. Come già detto, questa è la prova che abbiamo a che fare un ebreo di quel tempo, e che c’è un retroterra comune tra esseni e cristiani, ossia il giudaismo dei secoli precedenti.

“Ho notato con gusto che, a differenza di un passato abbastanza recente, adesso ci si dà da fare per “spegnere le fiamme dell’inferno” e mi citano IL CATECHISMO! La cosa mi fa piacere, naturalmente: è evidente che a furia di dirlo qualcuno ha cominciato a credere a noi, a noi che non abbiamo mai creduto all’esistenza di un inferno di fiamme.”

La cosa è completamente diversa, non abbiamo iniziato a dar retta a voi, infatti la tua denominazione religiosa ad un inferno come luogo di pena non ci crede per nulla.

“, c’è un “ma”: costoro hanno forse dimenticato (o sperano di far dimenticare?) che PER SECOLI hanno seminato il terrore nelle menti della gente agitando lo spauracchio dell’inferno in cui bruciano in eterno i dannati!!! Non solo cattolici, per la verità.”

Non vedo come la storia delle omelie cattoliche possa riguardare l’esegesi del passo lucano in analisi. Comunque, occorre temere la dannazione eterna, l’ammonire i fedeli non è certo qualcosa di cui vergognarsi.

“Non parliamo, poi, del fatto che non si “notano” citazioni da me riportate e tratte da strumenti tecnici insospettabili, come quella del “Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento”. Per forza di cose qualcuno continua a insistere su una falso problema come quello dell’uso di “Ades” da parte di Cristo”. Il suddetto Dizionario riporta che c’è un’assoluta identità concettuale tra lo “sheol” dell’AT e l’ “Ades” del NT, per cui è tautologico continuare la “solfa” che il NT darebbe a “Ades” un significato “nuovo” e “diverso” dall’ “arcaico” “Sheol”.”

Sono possibili risposte a questa osservazione.
Innanzitutto sono gli sprovveduti ad essere dizionario-dipendenti, infatti i dizionari e le enciclopedie sono strumenti che rispecchiano il pensiero dell’autore. Solo chi ha una conoscenza sia della letteratura greca sia della letteratura ebraica di quel periodo può farsi un parere autonomamente, e non dipendere dagli strumenti di consultazione che lo imboccano come un neonato. Tu citi un dizionario, e io te ne posso citare altri che contengono l’esatto contrario, ad esempio “Il dizionario della Bibbia” della Society of Biblical Literature sostiene che la concezione dell’inferno cambia profondamente già verso il IV secolo a.C. Qual è la morale della favola? O si conoscono sia i testi ebraici che quelli greci del periodo, oppure ci si attacca al tram e si decide a simpatia da che parte stare. Faccio questo discorso perché ho trovato particolarmente ridicolo il presentare un dizionario come dogma, e anzi Agabo afferma “per cui è tautologico continuare la “solfa” che il NT darebbe a “Ades” un significato “nuovo” e “diverso” dall’ “arcaico” “Sheol”.
Questa affermazione secondo me mostra soltanto poca famigliarità con il mondo accademico e le sue dinamiche, e quando parlo di mondo accademico non intendo dire che può parlare di Bibbia soltanto chi è laureato in materie attinenti, dico solo che chi conosce la letteratura antica sa benissimo che l’intellighenzia universitaria si scanna da secoli per stabilire il significato di una metafora di Omero, quindi figurarsi se si può dichiarare chiuso il discorso sullo Sheol solo perché si è trovato su un dizionario un’affermazione… è un atteggiamento davvero ingenuo, e rivela che chi ragiona in questo modo non ha dimestichezza con il modus operandi messo in atto nello studio dei testi antichi di qualunque genere.

“Quando Cullmann presentò la prima volta la sua ricerca biblica su questo soggetto, frutto, come egli afferma, di una serrata esegesi, avvenne una specie di “terremoto” fra studiosi e semplici credenti. Egli dice che la “novità” scandalizzava non tanto per il fatto in sé, ma più che altro per motivi “sentimentali”, colpiva cioè, le EMOZIONI della gente.”

Terremoto? Idee di questo genere ci sono da secoli (anzi da millenni). Basti pensare alla disputa medievale dei vari Sigieri di Brabante, Boezio di Dacia e P. Pomponazzi contro l’ortodossia in fatto di anima.

“Fatte le debite proporzioni (io sono niente rispetto a Cullmann) è ciò che è avvenuto anche in questo 3d: non ho visto un solo tentativo di esegesi rispetto a quanto stiamo dicendo. Solo commenti, opinioni!”

Potrei dire lo stesso, io non vedo esegesi ma degli ipse dixit.

“è vero, la tua critica verteva sul fatto che io scopiazzassi da internet (RILEGGITI!).”

E’ solo una concausa, non una causa.

“resto, il sottoscritto non è un anacoreta, appartiene ad una nota Denominazione cristiana evangelica e se uso materiale carteceo o di qualsivoglia supporto, non faccio che usare del materiale nel quale si sostiene la mia visione biblica, che è anche quella della denominazione alla quale appartengo.”

Carissimo, io non vado in giro a spacciare gli scritti del cardinal Martini per miei pensieri, né prendo i libri di Ravasi citando pezzi e facendo finta che siano miei, eppure apparteniamo alla stessa denominazione religiosa. Semplicemente non si cita il lavoro di un altro senza il suo permesso.

“La fonte si cita quando è presa "alla lettera", non è corretto citarla quando uno la adatta ad una determinata circostanza.”

Ma mi stai prendendo in giro? E’ doppiamente reato in quanto si fa una lieve parafrasi (nel tuo caso hai omesso qualche parola), in modo da rendere irriconoscibile la fonte nel caso a qualcuno venisse in mente di cercare da dove è preso il materiale. Se si riporta il lavoro di un autore non si può far passare il suo impegno e la sua erudizione per nostra, questo è un comportamento a dir poco disonesto tipico di chi non sa nulla di quello che dice ma si vuol dare alle grandi teorizzazioni sulla letteratura antica. (L’abbiamo visto con Platone di cui certamente non hai mai letto una sola riga). E’una frode doppia, oltre al plagio c’è la premeditazione nel camuffare i testi. O si cita il pezzo tra virgolette, o, se lo si parafrasa travolgendolo per adattarlo al contesto, si cita la fonte a piè pagina.

“Ti reputi per caso "disonesto" quando citi il Catechismo cattolico? Se la tua risposta è affermativa, anch'io sono, del par tuo, "disonesto"!”

L’affermazione non è rilevante. Quando cito il catechismo lo metto tra virgolette e avviso che è una citazione.

“Riguardo alla punteggiatura di Luca 23:44 non ho fatto che riportare molto brevemente un caso che, comunque tu lo giudichi, esiste e non ho insistito più di tanto.”

Peccato che siano argomentazioni fragilissime, come potrai ben vedere leggendo il link che ti ho dato.

“Riguardo al testo di Pietro, ho riportato non il mio personale parere, ma il commento a piè pagina del volume citato delle Edizioni Paoline. Non capisco perchè ti irriti con me. Se non lo gradisci prenditela con l'autore del tal commento.”

Infatti ho detto che non c’entra nulla con l’argomento in esame perché non dice quello che sostieni.

“Platone? Preferisco parlare di Bibbia!”

Eh no amico, questa discussione è iniziata perché hai sostenuto che ci sono influenze del pensiero platonico nella dottrina cattolica. (Ora stai abilmente svincolando la questione occupandoti solo dei passi biblici a favore dell’immortalità che ti ho citato, ma questa discussione non è sull’immortalità dell’anima nel NT, è sulle influenze di Platone, che ovviamente non hai saputo mostrarmi. Le due cose sono correlate, ma qui è in questione solo un aspetto di questo problema, ossia l’influenza filosofica sul pensiero cattolico).

A presto

[Modificato da Polymetis 14/12/2004 0.19]

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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
14/12/2004 08:59
 
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Non sono certo che centri con il vostro dibattito sull'influenza di Platone sulla dottrina cattolica. Vi riporto un breve articoletto preso dall'ultimo numero di Focus (n. 147 - gennaio 2005). Se centra come i cavoli a merenda sono pronto ad eliminare questo post!

"E LA CHIESA SCELSA ARISTOTELE
La morte del corpo è la vera vita dell'anima. Nasce con questo paradosso il concetto di uno spirito separato dal corpo, immateriale ed eterno. Una visione ideata dai seguaci del mito di Orfeo, che affascinò Piatone (foto) e da lui fu rilanciata. Ma la prospettiva di una felicità ultraterrena, se poteva convincere gli Ateniesi a seguire la virtù anziché il piacere, poteva anche affievolire gli stimoli per costruire la sua città ideale, che era terrena. Piatone riavvicinò per questo i 2 poli dell'essere umano. Pulsioni e desideri, scrisse nella Repubblica, non sono del corpo, ma passioni dell'anima. 0, meglio, della sua parte irrazionale che deve essere dominata da quella razionale, "come un cavallo riottoso è aggiogato al carro"
In parte mortale. Aristotele vedrà invece l'anima come forma di un corpo, senza cui non esisterebbe anima. In parte l'anima sarebbe mortale e in parte no. Sarà lui, per i cristiani, la base filosofica dell'unità fra anima e corpo. Barbara Leonardi"
Saluti, Mario
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www.iltimone.org
14/12/2004 14:47
 
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alla morte il procedimento si inverte: il corpo torna alla polvere e lo spirito a Dio che lo ha donato.



Sono pienamente d'accordo con te: lo spirito (e cioè l'anima come l'intendiamo oggi, cfr. con l'articolo di berescitte)si ricongiunge a Dio. Questo è il paradiso!


L'anima è la risultante della materia (il corpo)+ lo spirito. Quando manca uno di questi due elementi non esiste ANIMA (leggi essere vivente).



Questa è la TUA concezione di anima, tua e di alcune religioni. Certo non è il concetto generale o quello della Bibbia (vedi il significato di nephesh)


D'altra parte, non possiamo pensare che TUTTI gli appartenenti ad una determinata stirpe andassero nello stesso luogo (inferno, purgatorio o paradiso), indipendentemente dalle loro opere.



beh credo che Abramo, Isacco e Giacobbe si siano comportati abbastanza bene da essere accolti alla presenza di Dio.



Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam.
14/12/2004 17:44
 
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Ringrazio "non nobis" per le sue integrazioni.
Avverto però chi non lo sapesse che la mia ampia analisi sull'anima (che Achille ha messo nel sito) non è completa. Manca ancora tutto il settore neotestamentario. Quando sarà il momento terrò presenti anche i contributi (pro e contro) che nel frattempo appaiono (e se mi riesce ne farò ubn accenno esplicito così che non mi si dica che mi faccio bello del lavoro altrui), anche se in verità ogni tanto mi capita di leggere osservazioni che avevo in progetto. Si sa questi tempi non sono trattati solo da adesso e io ho letto veramente tanto.
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est modus in rebus
14/12/2004 20:17
 
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"Aristotele vedrà invece l'anima come forma di un corpo, senza cui non esisterebbe anima. In parte l'anima sarebbe mortale e in parte no. Sarà lui, per i cristiani, la base filosofica dell'unità fra anima e corpo."

Come sto ripetendo da secoli. La concezione dell'uomo tomista è ispirata ad Aristotele, non a Platone.

"Se centra come i cavoli a merenda sono pronto ad eliminare questo post!"

C'entra eccome, è una brevissima sintesi di quello che abbiamo detto finora. Grazie della citazione.

A presto


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