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I "defunti" secondo il geovismo e il cattolicismo

Ultimo Aggiornamento: 08/01/2005 18:38
14/12/2004 21:44
 
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Paolo ad Atene
Caro Polymetis, sentivo la tua mancanza. Ero addirittura preoccupato! Grazie perché esisti: sto imparando molto da te ...
per esempio, il modo di chiamare nero il bianco e viceversa.
No, non ti seguirò fino in fondo a questa tua ... (non devo aggettivare!). Reputo il tempo un bene troppo prezioso per star dietro a uno che dice che Giuseppe Flavio non è attendibile, che il metodo che voi usate largamente per confutare i tdG non è valido se viene usato nei riguardi dei cattolici. Che esistono parabole che sono meno parabole di altre ...
Farò il mio corso, leggendoti con gusto: da piccolo ho amato i fumetti pur sapendo che erano invenzioni, ergo, posso amare anche te e le tue invenzioni.E, come dice il molto saggio Berescitte (non è un'ironia questa), al lettore il giudizio.



Paolo ad Atene
Il discorso nell'Areòpago, ovvero, la parola profetica contro la filosofia greca.

Atti 17:16-32: “Mentre Paolo li aspettava ad Atene, lo spirito gli s'inacerbiva dentro nel vedere la città piena di idoli. 17 Frattanto discorreva nella sinagoga con i Giudei e con le persone pie; e sulla piazza, ogni giorno, con quelli che vi si trovavano. 18 E anche alcuni filosofi epicurei e stoici conversavano con lui. Alcuni dicevano: «Che cosa dice questo ciarlatano?» E altri: «Egli sembra essere un predicatore di divinità straniere»; perché annunziava Gesù e la risurrezione. 19 Presolo con sé, lo condussero su nell'Areòpago, dicendo: «Potremmo sapere quale sia questa nuova dottrina che tu proponi? 20 Poiché tu ci fai sentire cose strane. Noi vorremmo dunque sapere che cosa vogliono dire queste cose». 21 Or tutti gli Ateniesi e i residenti stranieri non passavano il loro tempo in altro modo che a dire o ad ascoltare novità. 22 E Paolo, stando in piedi in mezzo all'Areòpago, disse: «Ateniesi, vedo che sotto ogni aspetto siete estremamente religiosi. 23 Poiché, passando, e osservando gli oggetti del vostro culto, ho trovato anche un altare sul quale era scritto: Al dio sconosciuto. Orbene, ciò che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio. 24 Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d'uomo; 25 e non è servito dalle mani dell'uomo, come se avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa. 26 Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, 27 affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. 28 Difatti, in lui viviamo, ci moviamo, e siamo, come anche alcuni vostri poeti hanno detto: "Poiché siamo anche sua discendenza". 29 Essendo dunque discendenza di Dio, non dobbiamo credere che la divinità sia simile a oro, ad argento, o a pietra scolpita dall'arte e dall'immaginazione umana. 30 Dio dunque, passando sopra i tempi dell'ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, 31 perché ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell'uomo ch'egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti, risuscitandolo dai morti». 32 Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni se ne beffavano; e altri dicevano: «Su questo ti ascolteremo un'altra volta».


Questa narrazione del primo incontro “ufficiale” di Paolo con alcuni rappresentanti, peraltro casuali, della civiltà greca è molto utile per fare una riflessione sul confronto tra il kerigma apostolico, ovvero, il contenuto della predicazione cristiana della prima ora, con quella che era ritenuta la massima espressione culturale del tempo.
Tale incontro presenta una cornice apparentemente ordinaria, ma osservandone attentamente i contenuti è esso assume un significato straordinario, epocale addirittura, se si considera che da lì a poco la Giudea, il suo popolo, il culto israelita col suo più alto simbolo religioso che era il Tempio di Gerusalemme sarebbero stati annientati dal conquistatore romano il quale avrebbe veicolato con maggiore efficacia la cultura greca.

L’apostolo delle genti si trovava di passaggio ad Atene, vi aveva trovato rifugio momentaneo perché, ancora una volta era perseguitato dai suoi connazionali, in quel di Tessalonica. Intanto che si organizzasse per un nuovo viaggio missionario, egli non mancava di predicare nelle piazze della città, sicché non poteva fare a meno di vedere d’ogni dove simulacri dedicati al culto degli déi greci.

La prima reazione dell’apostolo Paolo è una reazione emotiva: il credente nel Dio Unico, spettatore suo malgrado del politeismo degli ateniesi, prova un naturale senso di sdegno. Tuttavia, il suo sdegno è presto mitigato dal senso della sua vocazione: non è stato forse chiamato ad essere, proprio lui, l’apostolo dei “gentili”, ovvero, dei pagani? Non è suo dovere primario quello di annunciare agli autori di quello scempio religioso la vera religione e il vero unico Dio? Così, l’ex fariseo, della Scuola di Gamaliele, educato nella Legge fin da ragazzo reprime i moti del suo spirito per farsi servo di Cristo per quei pagani che probabilmente si reputavano i più saggi degli uomini.
I greci erano religiosi, “sin troppo”, dirà loro Paolo; ma tale religiosità non era quella che conduce a Dio, alla salvezza e alla verità, a quella verità che, paradossalmente, era tanto spesso sulla bocca delle loro guide spirituali. Qui l’apostolo, prendendo spunto da un particolare che aveva precedentemente osservato, un altare con la dedica: “Al dio sconosciuto” manifesta ai suoi uditori l’intenzione di annunciar loro tale Dio. Sì, proprio lui che era appena stato appellato “spermòlogos” – v. 18 - (“raccattatore di semi”, “chiacchierone” nel migliore dei casi, se non addirittura una specie di barbone).
A questi maestri del pensiero umano tale “spigolatore”, o “raccattatore tra i rifiuti”, si permette di dire apertamente che essi non possedevano la vera conoscenza: al posto di una moltitudine di dèi egli predica un Dio Unico. Contro le rappresentazioni scultoree degli dèi olimpici afferma che, benché sia fatto a immagine di Dio, l’uomo non deve farsi alcuna immagine del Dio unico perché Egli non può essere contenuto nella/dalla materia. Alle offerte cultuali oppone il Dio Padrone di tutto, che in quanto tale non ha bisogno di nulla. All’immortalità dell’anima oppone la mortalità dell’uomo perché è Lui che dà il fiato e la vita (alito vitale: “zoen kai pnoen”) ad ogni cosa. E’ indubbiamente il Paolo “profeta”, la parola scatenata, che parla ai filosofi e l’incontro della profezia con la filosofia si traduce in uno scontro inconciliabile.

Eppure, quanto sarebbe stato più facile per Paolo (e proficua la sua predicazione ai greci) se si fosse comportato come i cristiani fecero più tardi! Chi osa affermare che Paolo ha insegnato l’immortalità dell’anima non riflette sul significato di questa pagina del Nuovo Testamento. Non sarebbe stato più agevole per lui dire: “Avete ragione a credere che alla morte l’anima si libera. Sappiate che essa va alla presenza di Dio”, così come ha detto: “ciò che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio”? Invece, consapevole della credenza greca dell’immortalità dell’anima, egli ha avuto il coraggio di affermare: “… lui (Dio è Colui), che dà a tutti la vita, il respiro a ogni cosa”. Il discorso di Paolo si dirige consapevolmente in direzione della Bibbia, del Dio creatore della Bibbia, del quale è vietato farsi un’immagine. Paolo è l’uomo del Nuovo Patto che riconduce ogni cosa al Dio del Vecchio Patto e del patto eterno.

L’apostolo Paolo non parla di “anima” agli ateniesi: strano, non ne parla nel posto più adatto e nel quale poteva riscuotere quel successo che sappiamo venne negato alla sua predicazione agli ateniesi. Al posto di un insegnamento imperniato sull’immortalità dell’anima egli annuncia invece il giudizio, la risurrezione dei morti! Ma non prima d’aver loro detto che il suo Dio, quello che stava loro annunciando, tollerava benevolmente la loro ignoranza! Sì, per Paolo anche i greci erano ignoranti, erano ignoranti nel senso che non possedevano la vera conoscenza, quella che conduca a Dio e alla salvezza.

Soltanto “alcuni” credettero alle sue parole. Gli altri “se ne beffavano”. Si tratta di una beffa che ha una sua logica: si può teorizzare tutto quel che si vuole sullo stato dei defunti, ma chi parla di risurrezione non può che essere pazzo perché la realtà parla de sé: nessuno ha mai visto risorgere dei morti. Si raccontano storie di fantasmi, di spiriti, ma non di morti che riprendono un corpo e tornano a vivere. Ecco QUI smascherata la presunta saggezza umana: la “teoria” dell’anima che vive in un’altra dimensione contro la “dimostrazione” dell’uomo che risorge fisicamente. Dell’atto ri-creativo di Dio. Davanti a questa sfida le menzogne crollano e i bugiardi si nascondono dietro le beffe!

E nonostante questo, a Corinto si formò una grossa comunità cristiana, anche se alquanto turbolenta. Il problema dello stato dei morti si farà sentire (e non a caso) proprio nella chiesa di Corinto, fra coloro che una volta accettarono il Kerigma apostolico. A questa chiesa Paolo scriverà almeno tre lettere (a noi ne sono giunte solo due) e li visiterà più di una volta. Scriverà loro:

1Corinzi 15:3: “ …Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture; 4 che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture; 5 che apparve a Cefa, poi ai dodici. 6 Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti. 7 Poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli; 8 e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all'aborto;”

E riprendendo il discorso della risurrezione, egli scrive una delle pagine più belle della Bibbia (leggi 1 Cor. 15:1-58). Bellissima pagina, è vero, ma in essa non vi è alcuna allusione all’immortalità dell’anima, anzi egli deve precisare:

1Corinzi 15:42-49: “Così è pure della risurrezione dei morti. Il CORPO è seminato corruttibile e risuscita incorruttibile; 43 è seminato ignobile e risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita potente; 44 è seminato corpo naturale e risuscita corpo spirituale. Se c'è un corpo naturale, c'è anche un corpo spirituale. 45 Così anche sta scritto: «Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente»; l'ultimo Adamo è spirito vivificante. 46 Però, ciò che è spirituale non viene prima; ma prima, ciò che è naturale; poi viene ciò che è spirituale. 47 Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre; il secondo uomo è dal cielo. 48 Qual è il terrestre, tali sono anche i terrestri; e quale è il celeste, tali saranno anche i celesti. 49 E come abbiamo portato l'immagine del terrestre, così porteremo anche l'immagine del celeste.”

E ai loro quasi conterranei, ai tessalonicesi, aveva già scritto:
1Tessalonicesi 4:13-18: “Fratelli, non vogliamo che siate nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. 14 Infatti, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, crediamo pure che Dio, per mezzo di Gesù, ricondurrà con lui quelli che si sono addormentati. 15 Poiché vi diciamo questo fondandoci sulla parola del Signore: che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati; 16 perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d'arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo; 17 poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell'aria; e così saremo sempre con il Signore.18 Incoraggiatevi dunque gli uni gli altri con queste parole.

Sì, “consolatevi con QUESTE parole”, quando sarebbe stato più comodo dire: “Perché vi preoccupate della morte e della risurrezione? Non sapete che coloro che muoiono nella fede vanno direttamente alla presenza di Dio?”
Sì, effettivamente sarebbero state pressappoco queste le parole che Paolo avrebbe detto, se l’anima fosse immortale; egli però ha sempre parlato di risurrezione al ritorno di Cristo opponendosi ad alcuni “… che hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni” (2Timoteo 2:18). E’ chiaro che questi personaggi che seminavano simili zizzanie non parlavano di “risurrezione” secondo l’insegnamento di Paolo, perché in tal caso non potevano essere smentiti. La “risurrezione” predicata da costoro, possiamo desumere, fosse la dottrina dell’immortalità dell’anima che cominciava il suo corso nefasto.

Saluti, Agabo.
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"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
15/12/2004 10:25
 
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A proposito del ricco Epulone
Gesù insegnava.
Lo chiamavano Maestro.
Può essere assunto a un maestro elementare che usa delle favole per insegnare ai bambini.
Ora, se un maestro sapesse che ai bambini della sua classe nessuno ha mai insegnato che è la terra a girare intorno al sole, al contrario di ciò che pensano loro ingenuamente guardando l’astro correre nel cielo, come credete che si comporterà? Spiegherà ai suoi allievi come stanno realmente le cose? Oppure per spiegare ad esempio “la circonferenza”, prenderà come modello il concetto ERRATO del sole che girando intorno alla terra descrive questa figura? Sapendo anche che ci sono altri metodi per spiegare la stessa cosa, ugualmente comprensibili ai suoi alunni ma non sbagliati, credo che userebbe quelli.
Allo stesso modo, se l’Ades/Geenna/Inferno e il Paradiso/Seno di Abramo non esistessero, così come le anime immortali dei defunti, perché Gesù non lo spiega a i suoi seguaci? Perché addirittura alimenta le loro “fantasie/superstizioni” con quella “strana” parabola?

Approfitto anche per fare una domanda ai TdG e agli ex-TdG: se doveste (avreste dovuto) comunicare la morte di una persona, usereste (avreste usato) le espressioni “Si è ricongiunto ai suoi cari”, “Adesso sta con i suoi genitori, nonni, moglie o altre persone defunte” oppure “Ha ritrovato le persone che aveva perduto”?


Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam.
15/12/2004 17:00
 
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x non nobis

Approfitto anche per fare una domanda ai TdG e agli ex-TdG: se doveste (avreste dovuto) comunicare la morte di una persona, usereste (avreste usato) le espressioni “Si è ricongiunto ai suoi cari”, “Adesso sta con i suoi genitori, nonni, moglie o altre persone defunte” oppure “Ha ritrovato le persone che aveva perduto”?




Ciao! Posso rispondere quale ex TdG.

Per spiegare la morte i TdG non tergiversano.
Dicono semplicemente "è morto/a; è deceduto/a", senza fare riferimento ad alcuna condizione del defunto. Questo, per il semplice fatto che egli non ha un'anima immortale e che non c'è nessun altro reame spirituale dove possa trascorrere la sua esistenza ultraterrena. Quindi l'uomo muore così come tutti gli altri esseri viventi. Troverai molte informazioni su questo argomento anche nel forum stesso.

La condizione dei morti, secondo i TdG, è paragonata ad un lungo sonno da cui il defunto si desterà dopo che Dio avrà spazzato la malvagità sulla terra (la famosa speranza della risurrezione su una terra paradisiaca).

Un testimone di Geova quindi, non userà mai frasi o espressioni che possano indicare che il defunto stia vivendo un'esistenza spirituale da qualche altra parte.

A presto!
Valentina
15/12/2004 18:54
 
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“per esempio, il modo di chiamare nero il bianco e viceversa.”

E dove di grazia?

“No, non ti seguirò fino in fondo a questa tua ... (non devo aggettivare!). Reputo il tempo un bene troppo prezioso per star dietro a uno che dice che Giuseppe Flavio non è attendibile”

Ho mai detto una cosa simile? Evidentemente non hai capito nulla di quello che ho scritto. Io accetto pienamente la testimonianza di Giuseppe Flavio, egli mi ha parlato delle concezioni essene. Quello che non ho capito è perché secondo te se una cosa è creduta dagli esseni allora quella cosa è falsa. Per caso c’è un postulato che dice che tutto quello che credono gli esseni è falso? Se è così allora bisogna buttar via un bel po’ di cristianesimo perché di analogie ce ne sono molte.

“che il metodo che voi usate largamente per confutare i tdG non è valido se viene usato nei riguardi dei cattolici.”

Quando troverai documenti ufficiali della Chiesa da confrontare con le opinioni dei cattolici comuni fammi sapere, perché noi confrontiamo le opinioni dei TdG che svincolano dalla loro fede coi documenti ufficiali della WTS.

“Che esistono parabole che sono meno parabole di altre ...”

No, semplicemente esistono parabole ed esistono non-parabole. Il racconto nel libro dei Giudici non è una parabola, a meno che non si usi il termine in un’accezione molto estesa ed assai impropria.

“Farò il mio corso, leggendoti con gusto: da piccolo ho amato i fumetti pur sapendo che erano invenzioni, ergo, posso amare anche te e le tue invenzioni.”

Se dimostrerai che sono tali e soprattutto se tornerai all’argomento in esame e incomincerai a mostrarmi le influenze platoniche di cui tanto mi hai parlato.
Inoltre, non ho capito il motivo del tuo lungo sproloquio su Paolo all’areopago. Continui nella tua logica dell’aut aut anziché nella logica dell’et et. Il fatto che parli della resurrezione, non implica che non possa parlare anche dell’immortalità dell’anima, le due cose non si escludono a vicenda. Ci sono solo un paio di argomentazioni nel brano, e sono molto confusionarie, vediamole:

“All’immortalità dell’anima oppone la mortalità dell’uomo perché è Lui che dà il fiato e la vita (alito vitale: “zoen kai pnoen”) ad ogni cosa.”

Non vedo come questo passo potrebbe essere contrapposto alla dottrina dell’immortalità dell’anima. Anche nella dottrina cattolica è Dio a dare l’anima, ed essa dopo la morte ritorna a Dio che l’aveva data.

“Non sarebbe stato più agevole per lui dire: “Avete ragione a credere che alla morte l’anima si libera. Sappiate che essa va alla presenza di Dio”

E perché avrebbe dovuto dirglielo? Ma perché ogni volta che Paolo apre bocca sarebbe costretto ad annunciare tutta la dottrina cristiana? Dire che non afferma il concetto qui e quindi non esiste è un salto logico a dir poco esilarante, perché la teologia paolina è molto complessa e non è obbligato ad enumerare tutti i suoi articoli di fede ogni volta che incontra qualcuno. Qui si stava parlando di politeismo ed il discorso è incentrato su quello. Il problema non è se l’immortalità dell’anima ci sia o no in questo brano, il problema è se ci sia in altri brani. (E ovviamente appena l’esegesi si fa un po’ più dettagliata rinunci a rispondere, come nel caso della parabola del ricco epulone che non hai saputo scalfire).

“Invece, consapevole della credenza greca dell’immortalità dell’anima, egli ha avuto il coraggio di affermare: “… lui (Dio è Colui), che dà a tutti la vita, il respiro a ogni cosa”.

Non so chi abbia redatto il brano che riporti, ma di sicuro non è uno specialista in filosofia antica. L’idea della divinità che dà la vita e il respiro a tutti è anche greca (specie omerica), Paolo non si è contrapposto a nessuno. La vita viene dagli Dèi. Lo affermano tutti, persino Platone.

“strano, non ne parla nel posto più adatto e nel quale poteva riscuotere quel successo che sappiamo venne negato alla sua predicazione agli ateniesi. Al posto di un insegnamento imperniato sull’immortalità dell’anima egli annuncia invece il giudizio, la risurrezione dei morti!”

Si presume ancora un aut aut. Invece una cosa non esclude l’altra. La tua argomentazione è da ribaltare. Che senso ha annunciare a dei greci quello che già sanno? Una piccola nota: il tuo testo presume che Paolo all’areopago stesse parlando con dei greci che credevano all’immortalità dell’anima, ma questo non è dimostrato. Anzi, gli unici nominati sono “alcuni filosofi epicurei e stoici”, i quali, notoriamente, hanno ben altre dottrine, specialmente Epicuro, l'anti-immortalistica per eccellenza.

A presto

[Modificato da Polymetis 15/12/2004 18.55]

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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
15/12/2004 21:15
 
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Domanda a Berescitte
Ciao Berescitte, faccio una salutare "pausa caffé" e ne approfitto per farti una domanda.

Ho letto su “Focus” n° 147 (gennaio 2005), già segnalato qui,questo interessante passaggio:

“L’anima trascorrerebbe il periodo intermedio, quello che passa fra la morte della persona e il Giudizio universale, riuscendo a contemplare Dio in attesa di riunirsi al corpo. Un periodo che, per i teologi cristiani di oggi, non va misurato in tempi storici, ma nell’oltrevita, cioè fuori dallo spazio e dal tempo: occorre in pratica un solo istante di un’altra dimensione perché l’anima di un defunto si congiunga al suo corpo ricreato” (p. 86) (ho evidenziato io il passaggio "chiave").

Se per “teologi cristiani d’oggi” si intendono teologi protestanti, la cosa non è per me una novità: seppure con parole diverse O. Cullmann scrisse qualcosa di molto simile.

Domanda: ti risulta che teologi cattolici abbiano scritto qualcosa del genere?

Grazie dell’attenzione.
Agabo.

[Modificato da Agabo 15/12/2004 21.19]

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"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
16/12/2004 13:21
 
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Sì, Agabo...
Ne ho sentito parlare all'Università del laterano. Mi manca la documentazione di testi.
Ma non mi fa alcuna difficoltà. Perché non si tratta neanche di un solo "istante" (il che riporterebbe il fatto nel tempo").

Il problema qui è che noi non riusciamo a concepire l'eternità se non in rapporto al tempo di cui abbiamo esperienza e ci pare cosa ovvia immaginarcela come un tempo non solo infinitamente lungo ma semplicemente inesauribile.
Invece un grosso pensatore ha definito l'eternità come "interminabilis vitae tota simul ac perfecta possessio". Il che è pure un rebus (almeno quel "tota simul" che si riaggancia per forza ai concetti inframondani della quantItà (tota) e temporalità (interminabilis, simul).

Allora cosa dire? Dico innanzitutto che se c'è una dimensione degna del più alto approfondimento dell'intelletto umano è proprio quella realiva a queste realtà. Esse sono collegate alla immensità di Dio e ragionare su di esse equivale a capire meglio il Suo Essere e "l'occhio mai vide e orecchio mai udì" di ciò che ci aspetta.
Dico che la diversità abissale tra tali realtà e la nostra esperienza rende il discorso abbastanza ineffabile e ci dovrebbe indurre a coltivare la via della "teologia apofatica" e della sperimentazione mistica ORIENTALE(dove pare che Dio stesso si pieghi a donarci dei contentini di comprensione esperienziale).
Tuttavia, dal momento che Dio nella Bibbia si è piegato anche a significare le sue realtà utilizzando in maniera analogica i nostri concetti umani (per es. di verità, giustizia, paternità ecc...) anche la "teologia catafatica" OCCIDENTALE serve a qualcosa.
Per lo meno servirà a non umanizzare e perciò ad antropomorfizzare Dio e le sue realtà al punto da renderle ridicole agli occhi dei - benedetti sempre siano per la loro funzione critica! - i laici, gli agnostici e gli atei che ci circondano.

Mi rendo conto che ti aspettavi di più, vero? Si potrebbe ma non certo nel forum!

Qui conviene concludere con un affettuoso BUON NATALE!
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est modus in rebus
16/12/2004 21:23
 
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Breve replica a Polymetis.
Su G.Flavio:

1)Rispondo:non accetti completamente la testimonianza di Flavio:
E’ significativo che Giuseppe Flavio attribuisca l’immortalità dell’anima e la punizione senza fine, non già agli insegnamenti dell’AT, quanto alle “fiabe” greche che i giudei settari, come gli esseni, hanno trovato irresistibili. Il suo comento presuppone che non tutti i giudei abbiano accettato queste opinioni. Infatti, le indicazioni sono che perfino fra gli esseni vi fossero coloro che non le condividevano. Il “Documento di Damasco” –2,6,7- un’importante rotolo del Mar Morto, descrive la fine dei peccatori paragonando la loro sorte a quella degli antidiluviani che perirono nel Diluvio e a quella degli Israeliti increduli che morirono nel deserto. La punizione di Dio sui peccatori non lascia “nessun restante rimasuglio di loro o nessun sopravvissuto” (L. Morali, “I manoscritti di Qumram, UTET, Torino 1971 1QS 2,4,-8, p.137).

2) “Quando troverai documenti ufficiali della Chiesa da confrontare con le opinioni dei cattolici comuni fammi sapere, perché noi confrontiamo le opinioni dei TdG che svincolano dalla loro fede coi documenti ufficiali della WTS.”

Rispondo: quando proverai che la maggior parte dei cattolici si basa la propria pratica religiosa sui documenti ufficiali della Chiesa, avvisami.

3) “No, semplicemente esistono parabole ed esistono non-parabole. Il racconto nel libro dei Giudici non è una parabola, a meno che non si usi il termine in un’accezione molto estesa ed assai impropria.”

Rispondo:
questo è una di quegli esempi in cui chiami “bianco” il “nero” e viceversa.

4) “Non vedo come questo passo potrebbe essere contrapposto alla dottrina dell’immortalità dell’anima. Anche nella dottrina cattolica è Dio a dare l’anima, ed essa dopo la morte ritorna a Dio che l’aveva data.”

Rispondo: la tua risposta è una mezza verità, il che equivale a una menzogna: la Bibbia non insegna l’immortalità dell’anima.

5) “… E perché avrebbe dovuto dirglielo? Ma perché ogni volta che Paolo apre bocca sarebbe costretto ad annunciare tutta la dottrina cristiana?”

Rispondo: il fatto è che Paolo non ne parla mai. Vi servite di versetti che gli stessi teologi cattolici definiscono “problematici”, “di difficile traduzione e interpretazione”. La dottrina della risurrezione è al contrario chiaramente definita”

6) “Non so chi abbia redatto il brano che riporti, ma di sicuro non è uno specialista in filosofia antica. L’idea della divinità che dà la vita e il respiro a tutti è anche greca (specie omerica), Paolo non si è contrapposto a nessuno. La vita viene dagli Dèi. Lo affermano tutti, persino Platone.”

Rispondo: di quale “divinità” stai parlando? Ve n’erano tante e a queste Paolo contrappone il Dio unico e creatore.

7) Una piccola nota: il tuo testo presume che Paolo all’areopago stesse parlando con dei greci che credevano all’immortalità dell’anima, ma questo non è dimostrato. Anzi, gli unici nominati sono “alcuni filosofi epicurei e stoici”, i quali, notoriamente, hanno ben altre dottrine, specialmente Epicuro, l'anti-immortalistica per eccellenza.

Rispondo: una “piccola precisazione”: Paolo stava parlando con “giudei e pagani credenti in Dio” … “ANCHE certi filosofi … eccetera” Stoici ed epicurei non credevano nell’immortalità dell’anima, ma non erano i soli ad ascoltare Paolo: “Paolo scende nella pubblica piazza di Atene, ove discute con rappresentanti delle varie correnti filosofiche …” G. Ravasi – commento a “La Bibbia per la famiglia, NT, p.414- S. Paolo. (…) su questo elemento (la risurrezione) si consuma il dissenso con l’uditorio greco, incline ad esaltare l’anima e a ritenere la corporeità secondaria e persino negativa …” (ibidem p.416)

Riprendo alcune note su un commento già trattato, quello di 2 Cor. 5:9-10:
“Usando un linguaggio intriso di cultura greca, Paolo delinea il destino di gloria che attende il fedele: alla caducità della nostra esistenza subentra la gloria della risurrezione, che è la partecipazione alla Pasqua di Cristo; alle “cose visibili” che percepiamo nel nostro orizzonte si sostituiscono quelle invisibili, cioè il mistero divino che ci viene svelato. Su questo tema l’apostolo svolge un’ampia considerazione che ha come punto di partenza la condizione mortale dell’uomo. Egli vive come in una tenda, simile a un nomade che non ha una residenza definitiva. Ma la risurrezione gli offre una dimora perfetta, cioè il corpo vivificato dallo Spirito (1 Corinzi 15: 44-45) Ed è ciò che noi attendiamo nella speranza. Dall’immagine della casa si passa a quella della veste: noi desideriamo essere ardentemente indossare questo corpo glorioso che ci trasfigura. Questo atto si compirà il giorno della venuta ultima di Cristo, e Paolo distingue tra coloro che in quell’istante saranno ancora vivi e coloro che saranno morti precedentemente …”. (ibidem p. 98).

SICCHE’, ANCHE IN CAMPO CATTOLICO, L’EMINENTE BIBLISTA GIANFRANCO RAVASI COMMENTA IL TESTO DI 2 CORINTI 5:9,10 ESATTAMENTE COME I PROTESTANTI (c’entra come i cavoli a merenda con l’immortalità dell’anima).POLYMETIS, HAI TOPPATO!

Saluti, Agabo.
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17/12/2004 19:06
 
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Per spiegare la morte i TdG non tergiversano.
Dicono semplicemente "è morto/a; è deceduto/a", senza fare riferimento ad alcuna condizione del defunto. Questo, per il semplice fatto che egli non ha un'anima immortale e che non c'è nessun altro reame spirituale dove possa trascorrere la sua esistenza ultraterrena. Quindi l'uomo muore così come tutti gli altri esseri viventi. Troverai molte informazioni su questo argomento anche nel forum stesso.

La condizione dei morti, secondo i TdG, è paragonata ad un lungo sonno da cui il defunto si desterà dopo che Dio avrà spazzato la malvagità sulla terra (la famosa speranza della risurrezione su una terra paradisiaca).

Un testimone di Geova quindi, non userà mai frasi o espressioni che possano indicare che il defunto stia vivendo un'esistenza spirituale da qualche altra parte.


Grazie Vally, la tua precisazione è proprio quello che mi serviva per rispondere ad Agabo che mi diceva: “vedi, l'espressione "ricongiungersi agli antenati" e formule simili significano semplicemente che essi sono morti, che hanno finito il corso della loro vita come i loro antenati” a proposito di Genesi 25:7-8; 35:28; 49:33. Ciò che tu dici conferma che l’autore ISPIRATO della genesi credeva in una condizione di perduranza dell’individuo dopo la morte, infatti se avesse creduto come i TdG e altri alla teoria dell’annullamento, non avrebbe utilizzato “mai frasi o espressioni che possano indicare che il defunto stia vivendo un'esistenza spirituale da qualche altra parte”. Ora, se anche l’autore fosse stato influenzato dalle credenze ebraiche (è un ragionamento per assurdo, in quanto siamo tutti d’accordo sul fatto che fosse ispirato dallo Spirito Santo), perché allora Gesù non ha corretto questa credenza, come ha fatto per molte altre abitudini o tradizioni ebraiche? (E ritorno ancora su questa domanda a cui non ho ancora ricevuto risposta…).


Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam.
17/12/2004 19:33
 
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ET ET

E’ incredibile di come si possa rispondere cose che non c’entrano nulla con le proposizioni in esame.

“1)Rispondo:non accetti completamente la testimonianza di Flavio”

Quando ho detto che accettavo completamente la testimonianza di Giuseppe Flavio mi riferivo alla sua testimonianza di storico, ossia alla sua descrizione della dottrina essena. Non intendevo dire che accettavo il suo parere sulla provenienza di tale dottrina.

“quando proverai che la maggior parte dei cattolici si basa la propria pratica religiosa sui documenti ufficiali della Chiesa, avvisami.”

Non vedo cosa c’entri. La questione era il modo di criticare i TdG fatto dal GRIS (ossia coi documenti ufficiali alla mano), e la presunta equivalenza che hai proposto col tuo modus operandi, ossia criticare i cattolici sul parere dei cattolici disinformati.

“Rispondo: questo è una di quegli esempi in cui chiami “bianco” il “nero” e viceversa.”

L’asserzione non è argomentata. Se tu non sai distinguere i generi letterari non posso farci nulla. Come già detto, i testi sono stati scritti a secoli di distanza, in contesto diverso, da autori diversi, e per scopi diversi, non hanno nulla in comune.

“Rispondo: la tua risposta è una mezza verità, il che equivale a una menzogna: la Bibbia non insegna l’immortalità dell’anima.”

Non hai risposto alla mia frase. Ho detto che secondo la dottrina cattolica l’anima è data da Dio e a Dio ritorna, tu invece avevi portato questa concezione come qualcosa di contrastante con la nostra dottrina, anzi, una prova contro di essa. Dove starebbe “la mezza verità” nel dire “l’anima ritorna a Dio che l’aveva data”? Questa frase non dice nulla sulla presunta mortalità o immortalità dell’anima, quindi il fatto che secondo te la dottrina dell’anima immortale non sia insegnata nella Bibbia non tange per nulla la mia argomentazione secondo cui anche i cattolici affermano che l’anima torna a Dio. Se ne deduce che questo versetto non è contrapponibile alla dottrina cristiano-cattolica.

“il fatto è che Paolo non ne parla mai. Vi servite di versetti che gli stessi teologi cattolici definiscono “problematici”, “di difficile traduzione e interpretazione”. La dottrina della risurrezione è al contrario chiaramente definita””

Questo è da dimostrare, non la premessa.

“quale “divinità” stai parlando? Ve n’erano tante e a queste Paolo contrappone il Dio unico e creatore.”

Anche qui stai sviando. La questione non era politeismo o monoteismo. Tu avevi affermato che la concezione secondo cui l’anima è data dalla divinità sarebbe tipica del mondo giudaico ed estranea ai pagani, il che non è vero. Anche perché ti risposi che un’anima data da Dio non implica che quell’anima sia mortale, anzi, è più probabile il contrario.

“Rispondo: una “piccola precisazione”: Paolo stava parlando con “giudei e pagani credenti in Dio” … “ANCHE certi filosofi … eccetera” Stoici ed epicurei non credevano nell’immortalità dell’anima, ma non erano i soli ad ascoltare Paolo: “Paolo scende nella pubblica piazza di Atene, ove discute con rappresentanti delle varie correnti filosofiche …” G. Ravasi”

Non ho nessun problema a dirlo. Ho affermato solamente che il tuo commento presume stia parlando con aristotelici, platonici, o magari pitagorici, il che non è scritto. Ma non c’è nessun problema ad ammetterlo, molti greci infatti, pur non considerando la psychè immortale, la esaltavano rispetto al corpo. SI sarebbero scandalizzati sentendo parlare di resurrezione immortalasti o meno. (Non dimentichiamo però di non calcare su quest’aspetto, ci sono resurrezioni anche nella cultura greca. Non penso che occorra spiegare chi sono Admeto e Alcesti, o il mito di Er platonico. Se invece non sai di chi sto parlando, in futuro evita di fare confronti tra concezioni greche e concezioni giudaiche, perché ti mancherebbe l’ABC per provarci.)

“su questo elemento (la risurrezione) si consuma il dissenso con l’uditorio greco, incline ad esaltare l’anima e a ritenere la corporeità secondaria e persino negativa”

Questo esiste anche nei non immortalisti.

“SICCHE’, ANCHE IN CAMPO CATTOLICO, L’EMINENTE BIBLISTA GIANFRANCO RAVASI COMMENTA IL TESTO DI 2 CORINTI 5:9,10 ESATTAMENTE COME I PROTESTANTI (c’entra come i cavoli a merenda con l’immortalità dell’anima).POLYMETIS, HAI TOPPATO!”

Caro Agabo, evidentemente non hai ancora chiaro che nella Chiesa Cattolica a differenza che tra i TdG non c’è un’interpretazione dogmatica su dei versetti biblici. Non esiste il parere “in campo cattolico”, esiste il parere di alcuni esegeti contro il parere di altri esegeti. Ergo non ho “toppato” per nulla. In questo testo si parla sia della resurrezione che dell’immortalità dell’anima, al v.8 si dice infatti “siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore”. Come si vede, essendo il corpo descritto come separato, non può trattarsi della resurrezione. Il tema è approfondito nella lettera ai Filippesi dove Paolo afferma di voler “essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio” (1,23). Come commenta la TOB: “Paolo sente un desiderio ardente di essere unito a Cristo immediatamente dopo la morte”. Leggiamo per esteso:

“Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette da queste due cose: da una parte il desiderio di partire (uscire dal corpo) per essere con Cristo, il che sarebbe molto meglio, dall’altra il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi.”

Una nota trovata sul sito di Achille: “se Paolo credesse che dopo la morte vi è solo il...nulla fino al giorno della resurrezione, non si capisce dove sia il dilemma. Solo la speranza di essere subito dopo la morte con Cristo rende il discorso logico!” (C. Forte)

Non fa una piega. Se dopo la morte c’è il nulla per Paolo morire tra vent’anni o tre un secondo non farebbe nessuna differenza.

A presto


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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
19/12/2004 18:10
 
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Filippesi 1:23.


Polymetis,
se non replico alle tue repliche è unicamente perché è mia intenzione proseguire sull’argomento principale, la dottrina cattolica dell’immortalità dell’anima contro l’insegnamento biblico della risurrezione (so che tu preferiresti alla parola “contro” la congiunzione “e”). Passo quindi alla tua ultima osservazione su Filippesi 1:23:

>>> “Il tema è approfondito nella lettera ai Filippesi dove Paolo afferma di voler “essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio” (1,23). Come commenta la TOB: “Paolo sente un desiderio ardente di essere unito a Cristo immediatamente dopo la morte”. Leggiamo per esteso:
“Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette da queste due cose: da una parte il desiderio di partire (uscire dal corpo) per essere con Cristo, il che sarebbe molto meglio, dall’altra il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi.” “

Questo il testo secondo la Nuova Riveduta:Filippesi 1:20-26: “secondo la mia viva attesa e la mia speranza di non aver da vergognarmi di nulla; ma che con ogni franchezza, ora come sempre, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte. 21 Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno. 22 Ma se il vivere nella carne porta frutto all'opera mia, non saprei che cosa preferire. 23 Sono stretto da due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio; 24 ma, dall'altra, il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi. 25 Ho questa ferma fiducia: che rimarrò e starò con tutti voi per il vostro progresso e per la vostra gioia nella fede, 26 affinché, a motivo del mio ritorno in mezzo a voi, abbondi il vostro vanto in Cristo Gesù.”

Polymetis, la tua arguzia si sta indebolendo? Perché non leggere il Filip 1:23 nel suo contesto naturale? Ti accorgeresti che qui Paolo non sta parlando del destino dei defunti quanto, invece, del suo PERSONALE DESIDERIO di stare immediatamente col Signore e del fatto che la morte del credente non costituisce un impedimento alla comunione con Cristo.
Infatti, al v.20 egli afferma: “Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte.” Come già una volta scrisse:


Romani 8:35: “Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? 37 Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. 38 Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, 39 né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.”

Se, come tu riporti: “Paolo sente un desiderio ardente di essere unito a Cristo immediatamente dopo la morte”,

non significa che stia dicendo che appena morto egli sarà realmente con Cristo in una condizione di vita cosciente, come vedremo più avanti.


>>> “Una nota trovata sul sito di Achille: “se Paolo credesse che dopo la morte vi è solo il...nulla fino al giorno della resurrezione, non si capisce dove sia il dilemma. Solo la speranza di essere subito dopo la morte con Cristo rende il discorso logico!” (C. Forte)”

Con tutto il rispetto per C. Forte, non avevi nessun esegeta da citare? Comunque, vediamo se la suddetta affermazione “rende (VERAMENTE) il discorso logico”:


CHE COSA HA INSEGNATO PAOLO SULL’ARGOMENTO:

1) La risurrezione è uno dei punti chiave della predicazione paolina: Atti 17:18,31; 24:21; Rom. 6:9; 8:34
2) Se siamo uniti a Cristo da un legame spirituale indistruttibile, Dio ci risusciterà con la stessa potenza e per le stesse ragioni che hanno determinato la risurrezione del Maestro: Rom. 8:11; 2 Cor. 4:14; 1 Tess. 4:13-15
3) La risurrezione dei giusti avverrà al momento del ritorno di Cristo: 1 Cor. 15:23; 1 Tess. 4:16
4) In armonia con quanto dichiara l’Antico Testamento sullo stato dei morti (Giob 14:21; Sal 6:5; 58:11; 115:17; Eccl 9:5,6,10; Isaia 38:18), l’apostolo usa ripetutamente il verbo “dormire”; anche la parola “cimitero” deriva dal greco “Koimetirion”, “dormitorio”.
5) Due risurrezioni separate, dei giusti e degli ingiusti: “Atti 24:15 avendo in Dio la speranza, condivisa anche da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti.” Quella dei giusti avverrà al ritorno di Cristo: 1 Tess 4:16
6) I credenti viventi al ritorno di Cristo saranno trasformati all’istante e rivestiranno un corpo spirituale incorruttibile: 1 Tess 4:15-17; 1 Cor 15:51-53
7) Glorificazione e immortalità verranno conferite solo al ritorno di Cristo: Rom. 8:30; 1 Cor. 15:53,54; Fil 3:20,21
8) Solo Dio, l’Unico immortale può conferire l’immortalità: “1Timoteo 6:16 il solo che possiede l'immortalità e che abita una luce inaccessibile; che nessun uomo ha visto né può vedere; a lui siano onore e potenza eterna. Amen. 1Timoteo 1:17 Al Re eterno, immortale, invisibile, all'unico Dio, siano onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
9) Il cristiano CERCA l’immortalità (se la “CERCA” è segno che non la possiede intrinsecamente in nessun senso): Romani 2:7 vita eterna a quelli che con perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità. L’immortalità non è naturale ma condizionata, ed è la conseguenza della fede in Cristo e dell’ubbidienza coerente.

Anche l’AT testimonia la stessa verità:

Daniele 12:1 [G]«In quel tempo sorgerà Michele, il grande capo, il difensore dei figli del tuo popolo; vi sarà un tempo di angoscia, come non ce ne fu mai da quando sorsero le nazioni fino a quel tempo; e in quel tempo, il tuo popolo sarà salvato; cioè, tutti quelli che saranno trovati iscritti nel libro.2 Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia. 3 I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno. Daniele 12:13 Tu avviati verso la fine; tu ti riposerai e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei tempi».

Così il NT:
Giovanni 11:11: "Così parlò; poi disse loro: «Il nostro amico Lazzaro si è addormentato; ma vado a svegliarlo». 12 Perciò i discepoli gli dissero: «Signore, se egli dorme, sarà salvo». 13 Or Gesù aveva parlato della morte di lui, ma essi pensarono che avesse parlato del dormire del sonno. 14 Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto,
Giovanni 11:23 Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». 24 Marta gli disse: «Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell'ultimo giorno». 25 Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26 e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?»


La morte, nel Vangelo di Giovanni, è vista come un “sonno”, esattamente come nell’AT. Marta sa che i morti risusciteranno nell’ ULTIMO GIORNO”. Gesù non contraddice l’affermazione di Marta, ma afferma la sua potestà sulla morte. Se Lazzaro, il defunto, fosse stato alla “presenza di Dio”, perché riportarlo in vita? O, almeno, perché non dire per esempio: “Tuo fratello vive in Paradiso”? Invece, ancora una volta è la RISURREZIONE il grande tema, non l’immortalità dell’anima!

Ebrei 11:39: "Tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza per la loro fede, non ottennero ciò che era stato promesso.40 Perché Dio aveva in vista per noi qualcosa di meglio, in modo che loro non giungessero alla perfezione senza di noi."

Il testo di Filippesi 1:23 non dovrebbe essere letto senza tener conto di quello che dice Paolo nella stessa lettera:

Filippesi 3:9: “e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede.10 Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, 11 per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti.
12 Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù. 13 Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, 14 corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù.”


Filippesi 3:20: “Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore, 21 che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, mediante il potere che egli ha di sottomettere a sé ogni cosa.”

E nell’altra lettera della sua prigionia:
2Timoteo 4:6: “Quanto a me, io sto per essere offerto in libazione, e il tempo della mia partenza è giunto. 7 Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. 8 Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione.”

Come ebbi già modo di dire, il peccato ha deturpato tutto il creato e l’essere umano tutto intero. La restaurazione dovrà essere ugualmente totale, cioè dovrà comprendere la fisicità dell’uomo.
Il problema del “tempo intermedio”, non è un problema biblico; nel migliore dei casi si può affermare che, almeno da Paolo, non è stato affrontato.
Come spiegare dunque Filippesi 1:23? Tenendo conto della teologia paolina sull’argomento e dell’insegnamento generale del NT, possiamo dire che la morte per Paolo non è separazione da Cristo. Al momento della morte c’è la sospensione della vita. Anch’io posso affermare come te:

>>> “Se dopo la morte c’è il nulla per Paolo morire tra vent’anni o tra un secondo non farebbe nessuna differenza.”

Ma nel senso che la condizione di non- coscienza dei defunti rende il tempo senza significato: non c’è “attesa”. Il credente muore e al suo “risveglio” (cioè, al ritorno di Cristo) non ha consapevolezza del tempo trascorso. Il suo “essere con Cristo” durante questo tempo esprime la certezza della non separazione da Cristo:

Ecco come l’apostolo Giovanni si esprime a proposito:
1Giovanni 3:2: "Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è. 3 E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica com'egli è puro."

Anche per Giovanni la restaurazione dell’uomo avviene al ritorno di Cristo, nessun accenno ad una “vita” separata dal corpo tra il momento della morte e quello della risurrezione.

Alla prossima.
Agabo.

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Questo è un commento ufficiale della mia Denominazione d’appartenenza; scusami se non lo traduco, tanto tu non hai problemi a riguardo.

I am in a strait. Gr. sunechoµ (see on 2 Cor. 5:14), literally, “I am held together,” or “I am hemmed in.” Paul’s condition may be compared to that of a traveler who can turn neither to the right nor left because of restraining walls.
Betwixt two. Paul’s dilemma arises from the two possibilities that comfort him—continuing to live or laying down his life.
Having a desire. Literally, “having the desire,” that is, my desire is.
To depart. Gr. analuoµ, “to unloose,” “to undo,” used of unmooring a ship, breaking up a camp, hence, “to depart.” We may think of Paul’s cutting the ropes that bind him to this world, or his striking the camp of this life prior to departing for the life to come. He employs similar language in 2 Tim. 4:6, where the word for “departure” is analusis, “a loosing,” “an undoing.”
To be with Christ. Paul is not here giving a doctrinal exposition of what happens at death. He is explaining his “desire,” which is to leave his present troubled existence and to be with Christ without reference to a lapse of time that may occur between these two events. With the whole strength of his ardent nature he longed to live with the One whom he had so faithfully served. His hope centered on personal companionship with Jesus throughout the future life. Earnest Christians of all ages have had this same longing, without necessarily expecting to be immediately ushered into the Saviour’s presence when their eyes have closed in death. Paul’s words here have to be considered in conjunction with his other related statements where he clearly refers to death as a sleep (see on 1 Cor. 15:51; 1 Thess 4:13–15; see also on Mark 5:39; John 11:11). Since there is no consciousness in death, and hence no awareness of the lapse of time, the resurrection morning will appear to the departed one as occurring the moment after his death.
Which is far better. Literally, “for it is very far better.” In Greek there is a multiplication of comparative terms, quite in accord with Paul’s mode of expression (cf. Rom. 8:37; 2 Cor. 7:13; Eph. 3:20). If death should overtake him, he expected to rest in the grave until the second coming of his Lord, and then be resurrected to receive immortality that he might be ever with Christ (1 Cor. 15:51–55; 1 Thess. 4:13–18).
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21/12/2004 18:03
 
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“se non replico alle tue repliche è unicamente perché è mia intenzione proseguire sull’argomento principale”

Le mie sono risposte alle tue obiezioni sui versetti che porto a sostengo dell’immortalità dell’anima, quindi non vedo come potrebbero essere fuori dall’argomento principale.

“dottrina cattolica dell’immortalità dell’anima contro l’insegnamento biblico della risurrezione”

E io che pensavo stessi parlando dell’influenza sul cattolicesimo di Platone. Vedo che hai definitivamente rinunciato al discorso.

“Polymetis, la tua arguzia si sta indebolendo? Perché non leggere il Filip 1:23 nel suo contesto naturale? Ti accorgeresti che qui Paolo non sta parlando del destino dei defunti quanto, invece, del suo PERSONALE DESIDERIO di stare immediatamente col Signore e del fatto che la morte del credente non costituisce un impedimento alla comunione con Cristo.”

Un sofisma piuttosto mal riuscito, a meno che tu non voglia sostenere che Paolo si autoilluda e si racconti frottole da solo in quanto sarebbe all’oscuro del vero insegnamento apostolico (il che è impossibile). Non si vede come il fatto che una cosa sia desiderata, renda quella cosa falsa. Se dico “desidero partire stasera per essere a Roma domani mattina” sto esprimendo un personale desiderio, ma nulla nella mia frase lascia trasparire che mi stia augurando qualcosa che so essere falso. In greco non viene usato un periodo ipotetico dell’irrealtà o dell’eventualità (visto che in greco ci sono ben quattro tipi di periodo ipotetico), c’è un participio e due infiniti, nulla di più reale. Questa era la tua unica argomentazione, il resto del post è inutilmente utilizzato per ribadire che Paolo crede alla resurrezione della carne, il che, ovviamente, non è in discussione.

“la morte del credente non costituisce un impedimento alla comunione con Cristo.
Infatti, al v.20 egli afferma: “Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte.”

Sfortunatamente l’espressione ha tutt’altro significato, in greco c’è scritto che Cristo sarà glorificato “sia per mezzo della (mia) vita, sia per mezzo della mia morte”, un banale dià+genitivo. Sta dunque dicendo che glorificherà Cristo sia restando vivo e predicando sia col martirio, ossia attraverso la sua morte. Paolo non sa se uscirà dal carcere vivo o morto, ma anche attraverso la morte Cristo sarà glorificato nel corpo di Paolo, perché egli ha seguito l’esempio di Gesù sulla croce, ha fatto di questa la sua bandiera mostrando a tutti col martirio la gloria del Signore. Questo passo non ha alcunché di escatologico, né parla di cosa avverrà di Paolo dopo la morte, in quanto è Cristo a essere glorificato nel corpo di Paolo, grazie all’esempio di quest’ultimo che rende testimonianza col martirio, e non il corpo di Paolo a essere glorificato in Cristo, quello infatti riguarda il post-mortem, qui invece ci si occupa del martirio e della morte in quanto tale.

“Romani 8:35: “Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? 37 Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. 38 Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, 39 né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.”

Questo passo non aiuta la tua tesi infatti anch’io sostengo che la morte non separa da Cristo.
In seguito elenchi nove punti, mi vanno tutti bene tranne tre:

“4)In armonia con quanto dichiara l’Antico Testamento sullo stato dei morti (Giob 14:21; Sal 6:5; 58:11; 115:17; Eccl 9:5,6,10; Isaia 38:18), l’apostolo usa ripetutamente il verbo “dormire”; anche la parola “cimitero” deriva dal greco “Koimetirion”, “dormitorio”.

Per la semplice ragione che il sonno è la condizione più vicina alla morte, infatti i cadaveri sembra che stiano dormendo. Ma la metafora del sonno come morte non dice nulla sull’immortalità dell’anima, infatti è una metafora che il mondo antico usa spessissimo. Il grande Senofonte (uno degli storici greci più importanti) ad esempio afferma “considerate che nessuno degli stati umani è più vicino al sonno della morte” (Ciropedia, 8.7.21), eppure era un convinto immortalista. Semplicemente questa metafora è un archetipo comune, non perché i morti siano incoscienti come un uomo durante il sonno, ma perché i cadaveri avendo gli occhi chiusi sembrano dormienti. Anzi, la scuola platonica calcherà molto sulla metafora della morte quale sonno, infatti mentre dormiamo l’anima si rivela divina, perché sogna e sa prevedere il futuro, dunque rivela la sua vera natura.

“7) Glorificazione e immortalità verranno conferite solo al ritorno di Cristo: Rom. 8:30; 1 Cor. 15:53,54; Fil 3:20,21”

Rm 8,30 “quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.”

Non ho la minima idea di come questo versetto possa sostenere la tua dottrina. Mi illumini?

1 Cor 15, 53-54 “È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità.
Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
La morte è stata ingoiata per la vittoria”

Anche questo versetto è del tutto irrilevante. Sta affermando che i corpi diventeranno immortali dopo la resurrezione, il che è palese e non ha bisogno di dimostrazione.

Filippesi 3,20-21 “La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose.”

Anche qui parla della trasfigurazione del corpo dopo la resurrezione, non c’entra nulla colla tua tesi secondo cui si è immortali SOLO dopo la resurrezione.


“Il cristiano CERCA l’immortalità (se la “CERCA” è segno che non la possiede intrinsecamente in nessun senso): Romani 2:7 vita eterna a quelli che con perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità.

Rm 2, 6-7 “il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e incorruttibilità”.

Anche in questo caso non ho la minima idea di come il versetto che citi possa esserti d’aiuto. Si dice che Dio darà la vita eterna a coloro che perseverano nelle opere buone. Non mi sembra nulla di rivoluzionario, anche noi diciamo che Dio premia colla vita eterna chi vive nell’ amore. La vita eterna di cui parla il versetto può essere sia il paradiso sia la vita dopo la resurrezione, in nessuno dei due casi mi cambia la vita.


“L’immortalità non è naturale ma condizionata, ed è la conseguenza della fede in Cristo e dell’ubbidienza coerente.”

Questa è una polemica che c’era anche tra i padri della Chiesa. L’anima è immortale perché è di natura divina o è immortale perché l’immortalità le viene da Dio? Anche ritenendo che l’anima non sia immortale per sua natura ma grazie all’intervento di Dio essa resterebbe immortale. Ergo, nulla tange la dottrina cattolica.

“La morte, nel Vangelo di Giovanni, è vista come un “sonno”, esattamente come nell’AT.”

E come in tutto il pianeta.

“Marta sa che i morti risusciteranno nell’ ULTIMO GIORNO”. Gesù non contraddice l’affermazione di Marta, ma afferma la sua potestà sulla morte.”

Perché non c’era nulla da contraddire.

“Se Lazzaro, il defunto, fosse stato alla “presenza di Dio”, perché riportarlo in vita?”

Perché fosse segno della gloria di Cristo.

“, almeno, perché non dire per esempio: “Tuo fratello vive in Paradiso”

Perché nessuno glielo ha chiesto e ne ha detto altrove. Hai una strana logica: se non parla di una cosa in un contesto, ne deduci che quella cosa non esiste, il che è un paralogismo perché basta che ne parli altrove. Nessuno è obbligato ad annunciare per intero tutta la sua dottrina escatologica ogni volta che apre bocca per parlare di morti. La rivelazione di Cristo è graduale, parla di diverse cose in diversi contesti.

“Invece, ancora una volta è la RISURREZIONE il grande tema, non l’immortalità dell’anima!”

Semplicemente perché è trattato altrove, come dimostra l’elenco da me postato. (La parabola del ricco Epulone con la promessa al buon ladrone in primis, ovviamente aspetto ancora la tua risposta ai miei post su queste due tematiche.)

“Ma nel senso che la condizione di non- coscienza dei defunti rende il tempo senza significato: non c’è “attesa”. Il credente muore e al suo “risveglio” (cioè, al ritorno di Cristo) non ha consapevolezza del tempo trascorso.”

Non è l’essere morti ed incoscienti che rende il tempo privo di significato, ma Dio stesso che è extra-temporale, indipendentemente dalla nostra consapevolezza.

“Il suo “essere con Cristo” durante questo tempo esprime la certezza della non separazione da Cristo:”

La frase è autocontradditoria, non sono con Cristo se non sono. Infatti i TdG sono costretti a dire che di me non rimane nulla, semplicemente sono nella memoria di Dio, perché non esiste un’anima separata dal corpo che possa stare con Dio, non sarei io. Se dico “io” la frase implica che sia cosciente. Se non sono cosciente e il mio corpo sta sulla terra a decomporsi non c’è niente di me con Dio, perché sia che intendiamo l’ “io” cartesianamente come una res, sia che lo intendiamo kantianamente come unità trascendentale dell’autocoscienza, è quello che mi fa essere quello che sono. L’ “io” non è la forza vitale, quella è una radice comune ed impersonale che non mi caratterizza.

A presto



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Cullmann

OSCAR CULLMANN: “L’anima non è immortale. Ci deve essere una risurrezione per entrambi (corpo e anima); poiché dalla caduta l’intero uomo è “seminato” corruttibile” (Ah, dimenticavo che di Cullmann non te ne importa niente e E. Severino, come Abbagnano, non è uno specialista in Filosofia antica! [Scusa, Polymetis, io “questi qua” li conosco almeno per nome. Ma, TU chi saresti]) (O. Cullmann “Immortalità dell’anima o risurrezione?” p.28).

Mi è arrivato il libro di Cullmann che avevo richiesto in biblioteca.
Si tratta di un opuscoletto di una sessantina di pagine, edito da Paidea nel 1968.
Evidentemente il testo di Agabo deve avere una diversa numerazione delle pagine, dato che non trovo a pagina 28 la frase da lui citata.
Comunque è interessante che anche in queste parole di Cullmann citate (o parafrasate) da Agabo si fa una distinzione fra anima e corpo, dicendo che "entrambi" dovranno essere resuscitati.
Tale distinzione sarebbe inconcepibile per chi, come i TdG, ritiene che l'"anima" sai semplicemente l'essere vivente: per un TdG la resurrezione del corpo equivale alla resurrezione dell'anima, dato che si tratterebbe sostanzialmente della stessa cosa.
Non è così per Cullmann che nel suo libro distingue continuamente le due realtà "anima" e "corpo".
Per esempio, a p. 17 della mia edizione si legge:
«E' dunque chiaro che per i primi cristiani l'anima non è immortale in sé, ma lo diviene grazie alla resurrezione di Gesù Cristo... E' chiaro infine che la resurrezione dell'anima che è già avvenuta, non è ancora lo stato di pienezza: dobbiamo attendere questo stato finché il nostro corpo non sarà resuscitato; e ciò avverrà alla fine dei tempi» (grassetto mio).
Qui si dice quindi che vi è già ora uno stato in cui l'anima risorta attende di ricongiungersi con il corpo.

La stessa distinzione tra anima e corpo si trova in altri diversi punti del libro:
«La concezione giudaica e cristiana della creazione esclude il dualismo greco fra corpo e anima. Le cose visibili corporee, sono creazione divina allo stesso modo delle cose invisibili. Dio è il creatore del mio corpo, e questo non è una prigione per l'anima, ma un tempio, secondo la parola di Paolo in I Cor. 6,18... il peccato ha afferrato l'uomo intero, non soltanto il corpo, ma anche l'anima, e la sua conseguenza si estende all'uomo intero, corpo e anima, e non soltanto all'uomo, ma a tutto il resto della creazione» (p. 31)
«Anche il Nuovo testamento fa distinzione fra corpo e anima, o piuttosto fra uomo esteriore e uomo interiore. Ma la distinzione non significa opposizione .... Essi sono essenzialmente complementari l'un dell'altro ed entrambi sono stati creati buoni da Dio. L'uomo interiore [o "anima" ndr] senza l'uomo esteriore [o corpo, ndr] non ha vera esistenza indipendente. Egli ha bisogno del corpo. Tutt'al più, come i morti dell'Antico Testamento, può condurre un'esistenza d'ombra nello [sheol], ma non è vera vita» [però non si tratterebbe nemmeno di annullamento totale dell'esistenza, come credono i TdG... ndr] (p.33).

Ci sono dei commenti interessanti anche ai passi di 2 Cor. 5:1-10 e Filip. 1:23.
Ne parlerò più avanti, dopo aver letto con attenzione tutto il libro.

Saluti
Achille

[Modificato da Achille Lorenzi 21/12/2004 22.00]

22/12/2004 21:18
 
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Che forza, ragazzi!
Polymetis,
mi scuso se non replico adesso ad alcune tue osservazioni(ho notato con piacere che almeno in qualche cosa ci siamo trovati [finalmente!] d'accordo). Il fatto è che ho appena scoperto un libro sorprendente e non vedevo l'ora di citarne alcuni passi. Rimando alla prossima volta i miei commenti alle tue repliche e ad un paio d'osservazioni di Achille.


Uno dei testi più usati dai “tradizionalisti”, che credono nell’immortalità dell’anima, cattolici in testa, è Matteo 10:28 il quale, a loro parere, sarebbe un testo “chiave” a favore dell’immortalità dell’anima. Leggete, invece, che cosa ne pensa il noto biblista cattolico G. Ravasi (che Avventisti e tdG abbiano avuto sempre ragione sull’interpretazione di questo versetto?):

“Matteo 10:28 E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il corpo nella geenna.

La dichiarazione è impostata secondo lo stile semitico del parallelismo chiastico che possiamo così visualizzare in modo sintetico:

uccidere il corpo (sòma) uccidere l’anima (psychè)

far perire l'anima (far perire)il corpo (soma)(psyché)


Tuttavia il linguaggio sembra rimandare alla mentalità greca con la sua antitesi tra sòma e psychè, tra corpo e anima. Certo, la stessa redazione evangelica che ha tradotto in greco un’affermazione fatta da Cristo in aramaico o ebraico può aver respirato e adottato un elemento dell’atmosfera ellenistica allora diffusa nell’impero romano. Ma che la sostanza dell’asserto di Gesù sia di matrice diversa e abbia altro orientamento appare in modo incontrovertibile da quel parallelismo: va bene uccidere il corpo, ma come è possibile “uccidere o far perire l’anima”? Quest’ultima cosa è palesemente un assurdo nella concezione greca dell’anima spirituale e immortale. E’ curioso notare che Luca, evangelista più sensibile al mondo greco, come attesta la stessa qualità della lingua greca da lui usata nell’elaborare il suo Vangelo, abbia “ripulito” la frase di Gesù così: “Non temete coloro che uccidono il corpo (sòma) … Temete chi, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna” (12,4-5). E’ chiaro a tutti che l’anima, la psychè, è scomparsa ed è rimasto solo il corpo, il sòma, che ovviamente può essere “ucciso” anche per la mentalità greca.
In realtà, pure per Matteo le cose stanno in modo diverso rispetto al primo impatto piuttosto sorprendente. Infatti, quella psychè è ben più “pesante” della eterea lieve e spirituale “anima” greca. Se volessimo immaginare la parola semitica usata da Gesù, dovremmo pensare a qualcosa di analogo alla ben nota nefesh ebraica o al suo equivalente aramaico nafsa’ o rimandare anche all’espressione, ampiamente commentata, nishmat-hajjim. Con il vocabolo greco psychè, si vuole, in realtà, parlare dell’essere umano, segnato dall’ “immagine” divina, dotato di una coscienza morale, destinato persino alla comunione immortale con Dio, come ci ha insegnato il libro della Sapienza. Con sòma, poi, non si rimanda al “corpo” in senso stretto, ma alla basar ebraica, alla realtà concreta e caduca della creature umana. Siamo, allora, in presenza del confronto tra due vite e due scelte morali: c’è l’esistenza storica, scandita nel tempo, votata alla morte e sottoposta agli attentati di forze esterne ed è ciò che si definisce sòma; c’è la vita piena che è deposta come un seme nell’esistenza storica, ma che la trascende e nella risurrezione la trasfigura, ed è ciò che si definisce psychè.”
Il fedele, ammonisce perciò Gesù, non deve pensare che i rischi che colpiscono la nostra vita quotidiana siano l’unica tragedia e che la morte fisica sia la suprema delle sciagure. “Non temete quelli che uccidono il sòma-corpo”. Il vero dramma è quando il nostro essere profondo, la nostra coscienza viene travolta dal male, perché – nella nostra concezione unitaria della persona umana propria della Bibbia e per nella risurrezione- l’intera nostra realtà, la nefesh-hajjiah (di Gn 2,7), fatta di sòma e di psychè, ossia di caducità e limitazione e di coscienza e comunione con Dio, cade nella rovina della Geenna, simbolo dell’inferno, della lontananza da Dio, dalla sua intimità e dalla partecipazione alla sua vita. Ecco, allora, la seconda parte del detto di Cristo: “Temete piuttosto chi ha il potere di far perire e la psychè-anima e il sòma-corpo”. Il linguaggio greco usato dall’evengelista non deve fuorviarci lungo la traiettoria del pensiero platonico, ma deve spingerci a scavare nel retroterra che ancora una volta è quello biblico (…)."
(da “Breve storia dell’anima” di Gianfranco Ravasi- Mondatori, pp96-98).

Saluti.
Agabo.
-----------------------------
Nota. "psychè", "sòma" e "nefesh" nell'originale sono in corsivo.

[Modificato da Agabo 22/12/2004 21.20]

Visita:

"MA COME UN'AQUILA PUO' DIVENTARE AQUILONE? CHE SIA LEGATA OPPURE NO, NON SARA' MAI DI CARTONE " -Mogol
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22/12/2004 21:55
 
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“Il fatto è che ho appena scoperto un libro sorprendente e non vedevo l'ora di citarne alcuni passi.”

Possiedo anch’io il libro di Ravasi, è fatto bene. (Anche se sono sbiancato per la traduzione della poesia dell’imperatore Adriano)

“Uno dei testi più usati dai “tradizionalisti”, che credono nell’immortalità dell’anima, cattolici in testa, è Matteo 10:28 il quale, a loro parere, sarebbe un testo “chiave” a favore dell’immortalità dell’anima.”

Ti diverti a portare confutazioni di testi che nessuno ti ha citato? Un curioso modus operandi…
Comunque, non vedo come l’accezione che qui Ravasi dà di pyschè possa aiutarti, giacché dice: “Con il vocabolo greco psychè, si vuole, in realtà, parlare dell’essere umano, segnato dall’ “immagine” divina, dotato di una coscienza morale, destinato persino alla comunione immortale con Dio, come ci ha insegnato il libro della Sapienza”. Quando parla di “comunione con Dio insegnata dal libro della Sapienza” non si riferisce alla risurrezione, giacché il libro della Sapienza non ne parla, ma dell’immortalità dell’anima. Come molti biblisti l’autore sostiene che nel libro della Sapienza l’anima non è immortale per natura intrinseca, ma per grazia di Dio. Il testo di Ravasi a commento di Mt 10,28 semplicemente nega la concezione dualistica, in perfetta sintonia con la fede cattolica del resto, ma non nega l’immortalità dell’anima. Se avesse ridotto la psychè di questo versetto alla mera unità psicofisica vetero-testamentaria allora chiunque potrebbe uccidere questa psychè, intesa come persona, perché tutti sono mortali, ma il passo afferma l'esatto contrario. Quello di cui parla il testo è una psyché (persona) "dotata di una coscienza morale, destinata persino alla comunione immortale con Dio".
Q.E.D.

A preso
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Ciao Achille,

sono lieto che tu abbia avuto la possibilità di procurarti il testo di Cullmann “Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti?; è una rarità, fino a che non ne rifaranno la ristampa.

(Piccola nota per chi non ha mai letto nulla di Cullmann: non è possibile farsi un’idea dello “spessore” di questo teologo leggendo soltanto il libretto in questione che, come egli stesso ha scritto nella prefazione: ”riproduce un lavoro che abbiamo pubblicato in Svizzera e di cui è già apparso un riassunto in diversi periodici francesi”(p.7). Si trattò, in effetti del testo di una conferenza che egli tenne in occasione di una certa ricorrenza, NON UN LAVORO SISTEMATICO COME, PER ESEMPIO, “CRISTOLOGIA DEL NUOVO TESTAMENTO”.

Dunque, tu scrivi:
“Tale distinzione sarebbe inconcepibile per chi, come i TdG, ritiene che l'"anima" sai semplicemente l'essere vivente: per un TdG la resurrezione del corpo equivale alla resurrezione dell'anima, dato che si tratterebbe sostanzialmente della stessa cosa.”

R. Occorre precisare che per i biblisti l’ ANIMA è la “NEFESH” (Ebr.) o la “PSYCHE” (Gr.); nell’accezione antropologica essa designa, l’uomo, la persona, l’essere umano. In quanto tale la “nefesh/psiche” è mortale”.

Suppongo che Cullmann abbia voluto fare un riferimento al termine “ANIMA” nel suo uso più comune, influenzato dalla cultura greca che distingue “ANIMA” da “CORPO” per il fatto che sta trattando la dottrina dell’ “IMMORTALITA” dell’anima. Un uso più accessibile ai lettori comuni.
I tdG usano il termine “anima” nell’accezione biblica e non tengono conto, dottrinalmente parlando, del suo uso “greco”. D’altra parte, lo stesso Cullmann scrive:

“L’antropologia del Nuovo Testamento non è la stessa del pensiero greco, ma si ricollega piuttosto a quella giudaica. Per i concetti “corpo”, “anima”, “carne”, “spirito” tanto per citarne alcuni, gli autori del Nuovo Testamento, pur servendosi degli stessi termini dei filosofi greci, attribuiscono loro un significato del tutto diverso, e noi fraintenderemmo in Nuovo Testamento, se li intendessimo secondo il senso greco. Molti malintesi nascono da ciò” (p.32). “L’uomo interiore senza l’uomo esteriore non ha vera esistenza indipendente. Egli ha bisogno del corpo. Tutt’al più, come i morti dell’Antico Testamento, può condurre una esistenza d’ombra nello sheol, ma non una vera vita. La differenza rispetto all’anima greca è evidente: questa giunge alla sua pienezza senza il corpo, e soltanto senza di esso. Niente di simile nella Bibbia …” (p.33, 34).

La tua citazione:
“Per esempio, a p. 17 della mia edizione si legge:
«E' dunque chiaro che per i primi cristiani l'anima non è immortale in sé, ma lo diviene grazie alla resurrezione di Gesù Cristo... E' chiaro infine che la resurrezione dell'anima che è già avvenuta, non è ancora lo stato di pienezza: dobbiamo attendere questo stato finché il nostro corpo non sarà resuscitato; e ciò avverrà alla fine dei tempi» (grassetto mio).
Qui si dice quindi che vi è già ora uno stato in cui l'anima risorta attende di ricongiungersi con il corpo.”

Va vista alla luce del discorso precedente che Cullmann fa in relazione alla risurrezione di Cristo: Cristo è risorto, quindi lo siamo anche noi che crediamo in lui, ma non pienamente perché “ciò avverrà alla fine dei tempi” (p.17).

D’altra parte, se tu vuoi intendere l’espressione di Cullmann “la resurrezione dell’anima che è già avvenuta” ALLA LETTERA, in tal caso diventa un non-senso letterario e anche un’eresia per la teologia cattolica: L’ANIMA NON RISORGE perché questo significherebbe che essa muore! Infatti, non è coerente parlare di “RISURREZIONE” senza che vi sia stata la morte.

Riguardo alle altre due citazioni con le quali fai notare che Cullmann ammette l’esistenza di un’ “ANIMA” e di un “CORPO”, ritengo che ci si debba rifare alle sue stesse avvertenze che io ho riportato all’inizio e, in ogni caso, mai egli attribuisce all’anima l’ IMMORTALITA’ oppure una forma d’esistenza indipendente.

-------------------------------------
“A prima vista, secondo le Sacre Scritture bibliche sembra vigere un raro ecumenismo di consensi riguardo all’idea dell’anima. Gli esegeti ripetono sostanzialmente gli stessi asserti, segno non di un’inerzia investigativa ma di una concordia di risultati raggiunti. Se volessimo rimandare, nell’immensa bibliografia, a un modello, citeremmo il trittico di volumi che il francese Daniel Lys ha dedicato a ciascuno dei tre vocaboli capitali dell’antropologia testamentaria: “nefesh”, tradotto con “anima” secondo una prassi diffusa; “ruah”, lo spirito, il soffio vitale, il respiro degli esseri viventi; “basar”, la carne, ossia l’aspetto fragile, caduco, materiale dell’essere umano.
Attorno a questa trilogia lessicale si registra una convergenza di definizioni e interpretazioni (…) Ebbene, gli esiti a cui approdano sono analoghi e vengono siglati con una locuzione divenuta ormai comune anche nei testi divulgativi: la Bibbia presenta una “unità psicofisica” della persona umana e rigetta ogni netta distinzione dualistica tra anima e corpo che, come vedremo, la tradizione greca ,… propugna.” (“Breve storia dell’anima” – G. Ravasi- Mondatori, ppp.72-73).
“… Senza “nefesh” un individuo muore, ma senza “ruah” una nefesh non è più un’autentica nefesh” (Così il citato Edmund Jacob). Detto in altri termini, la “ruah è un principio vitale, un’indispensabile energia vitale che sostiene la “nefesh”.” (ibidem, p.75, 76).

“Sempre più si fa strada l’idea che “nefesh” sia l’equivalente di “persona”, “individuo” …” (ib. P.78).

In relazione alla traduzione della Bibbia in greco, l’Autore scrive:
“Certo, come avremo occasione di vedere, l’assunzione di nuove forme espressive non è del tutto innocua per il contenuto, genera semplificazioni e promuove addizioni, opera selezioni e muta prospettive, modifica equilibri e varia le sfumature. Non una mera operazione di traduzione o traslazione, ma un atto interpretativo, e leggere una pagina della Sapienza in parallelo con una pagina tratta dal resto dell’Antico Testamento ne è una conferma lampante ed evidente”. (Ib. p.95). [nota: i termini “nefesh”, “ruah” ecc. che io ho messo tra virgolette, sono in carattere corsivo nell’originale].

Saluti, Agabo.
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24/12/2004 11:54
 
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“Occorre precisare che per i biblisti l’ ANIMA è la “NEFESH” (Ebr.) o la “PSYCHE” (Gr.); nell’accezione antropologica essa designa, l’uomo, la persona, l’essere umano. In quanto tale la “nefesh/psiche” è mortale”.”

Che la nefesh dell’Antico Testamento sia mortale o ridotta ad ombra nello sheol siamo d’accordo, ma quello che non hai ancora compreso è che stiamo parlando della psychè del NT. (C’è chi sostiene che ci sia differenza, chi invece no, quindi è perfettamente inutile darsi agli ipse dixit, è meglio rifarci ai testi originali)


“Va vista alla luce del discorso precedente che Cullmann fa in relazione alla risurrezione di Cristo: Cristo è risorto, quindi lo siamo anche noi che crediamo in lui, ma non pienamente perché “ciò avverrà alla fine dei tempi” (p.17).”

Bello, siamo risorti ma non del tutto! Una resurrezione parziale! Dimmi questa perla è di Culmann o è una tua interpretazione del suo testo? O si è vivi o si è morti, non c’è una resurrezione parziale, violerebbe il principio di non contraddizione.

“D’altra parte, se tu vuoi intendere l’espressione di Cullmann “la resurrezione dell’anima che è già avvenuta” ALLA LETTERA, in tal caso diventa un non-senso letterario e anche un’eresia per la teologia cattolica”

Peccato che Cullmann non sia cattolico quindi di cosa sia eretico per la Chiesa può infischiarsene. Del resto è un eretico per chiunque e non è ortodosso per nessuno.

“L’ANIMA NON RISORGE perché questo significherebbe che essa muore!”

Ti potrei rispondere che per resurrezione si intende una trasfigurazione, un essere “deificati” in Cristo subito dopo la morte, ossia passare dalla condizione di psychè umana a una comunione col divino. (Ovviamente io non credo che le cose stiano esattamente così, volevo solo mostrarti che anche prendendo letteralmente le affermazioni di Cullmann non ci sarebbe contraddizione perché una resurrezione non implica che prima ci sia stata una morte). Inoltre Culmann potrebbe anche sostenere che l’anima muore, risorge prima di ricongiungersi col corpo, e risorge nuovamente insieme al corpo alla fine dei tempi in una nuova trasfigurazione operata all’unisono. (Lo ripeto, non è la mia idea, voglio solo mostrare che non possiamo sapere che cosa passasse per la mente di Cullmann quindi poteva sostenere anche questo, senza bisogno di vedere una contraddizione nelle sue parole qualora vengano prese letteralmente)

“A prima vista, secondo le Sacre Scritture bibliche sembra vigere un raro ecumenismo di consensi riguardo all’idea dell’anima. Gli esegeti ripetono sostanzialmente gli stessi asserti, segno non di un’inerzia investigativa ma di una concordia di risultati raggiunti. Se volessimo rimandare, nell’immensa bibliografia, a un modello, citeremmo il trittico di volumi che il francese Daniel Lys ha dedicato a ciascuno dei tre vocaboli capitali dell’antropologia testamentaria: “nefesh”, tradotto con “anima” secondo una prassi diffusa; “ruah”, lo spirito, il soffio vitale, il respiro degli esseri viventi; “basar”, la carne, ossia l’aspetto fragile, caduco, materiale dell’essere umano.
Attorno a questa trilogia lessicale si registra una convergenza di definizioni e interpretazioni (…) Ebbene, gli esiti a cui approdano sono analoghi e vengono siglati con una locuzione divenuta ormai comune anche nei testi divulgativi: la Bibbia presenta una “unità psicofisica” della persona umana e rigetta ogni netta distinzione dualistica tra anima e corpo che, come vedremo, la tradizione greca ,… propugna.” (“Breve storia dell’anima” – G. Ravasi- Mondatori, ppp.72-73).
“… Senza “nefesh” un individuo muore, ma senza “ruah” una nefesh non è più un’autentica nefesh” (Così il citato Edmund Jacob). Detto in altri termini, la “ruah è un principio vitale, un’indispensabile energia vitale che sostiene la “nefesh”.” (ibidem, p.75, 76).
“Sempre più si fa strada l’idea che “nefesh” sia l’equivalente di “persona”, “individuo” …” (ib. P.78).”

Queste citazioni di Ravasi sono condivisibili e giuste, come ti stiamo ripetendo da quarant’anni. Se non fosse ancora chiaro non è in discussione l’antropologia vetero-testamentaria ma l’antropologia al tempo di Gesù, dove la maggior parte degli ebrei (ad esempio farisei ed esseni), credevano all’immortalità dell’anima. Ravasi rigetta il dualismo, come fa ogni cattolico, ma non l’immortalità dell’anima.

P.S. Ovviamente le disquisizione su Platone le attendo ancora

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24/12/2004 21:19
 
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Polymetis
tu scrivi:
>>>“Le mie sono risposte alle tue obiezioni sui versetti che porto a sostengo dell’immortalità dell’anima, quindi non vedo come potrebbero essere fuori dall’argomento principale.”

R. E’ vero, come è vero anche che a furia di rincorrersi a suon di repliche si va spesso fuori tema. Ed è questo che voglio evitare.

>>> “E io che pensavo stessi parlando dell’influenza sul cattolicesimo di Platone. Vedo che hai definitivamente rinunciato al discorso.”

R. Io studio la Bibbia, al livello e con i mezzi che possiedo, ma è QUESTA che io studio. Ti ricordo come è cominciato il discorso su Platone:

“POLYMETIS, di sciocchezze ne diciamo un po’ tutti. La tua, per esempio, è quella di negare lo stretto rapporto mutuato tra il dualismo greco e la dottrina “cristiana” dell’immortalità dell’anima (“La concezione dell’anima platonica non ha nulla a che fare con quella cristiana …”, ecc.

Ecco come è incominciato! Nessuna velleità, da parte mia, di competere con qualcuno, e meno ancora con te, sulla conoscenza di Platone e su questioni filosofiche.
Dicendo che la dottrina cattolica dell’immortalità dell’anima è stata tenuta in fasce dal dualismo greco, e in qualche modo anche da Platone, non penso d’aver bestemmiato e se, al contrario, ho davvero detto una bestemmia, a questo proposito ti ho rimandato a studiosi di ogni latitudine geografica, culturale e religiosa che hanno fatto lo stesso. Siamo tutti ignoranti, chi più chi meno, sui “sacri detti di Platone”? Allora chiedo venia e andiamo avanti, anche se prima voglio darti un’ennesima prova che sono un’ignorante fra tanti “IGNORANTI”:

“Siamo ora di fronte a un’altra sorgente che alimenta quel corso d’acqua, una fonte limpida e gorgogliante [l’A. si riferisce alle Scritture]: si tratta appunto della sorgiva della classicità greco-romana, che per secoli disseterà e ravviverà il pensiero occidentale, in combinazione e in contrappunto con le acque di quella sorgente sacra che abbiamo appena visitato e descritto sia pure sommariamente, ossia la fonte ebraico-cristiana. Parlavamo di combinazione, perché, come avremo occasione di vedere, la stessa cultura cristiana per secoli sarà vivacemente fecondata dalle dottrine, dai simboli e persino dai miti della grecità classica. Ancora ai nostri giorni un sacerdote filosofo e teolgo, Battista Mondin, in un articolo non esitava a dichiarare che “la speculazione filosofica greca possiede titoli di scientificità di gran lunga superiori a quelli del pensiero ebraico”. Un genio cristiano come sant’Agostino, per esempio, rimarrà sempre impregnato da quel Platone o da quel neoplatonismo[SM=g27828] che l’avevano conquistato e abbagliato fin dalla giovinezza.” (“Breve storia dell’anima – G. Ravasi- Mondatori, p.115). “Da una parte, Aristotele si distanzia nettamente da Platone[SM=g27828] respingendo il dualismo psicofisico e ritrovando la necessaria unità dell’essere umano attraverso l’ilemorfismo, l’intreccio cogente tra materia e forma. D’altra parte, però, in questa unità identifica un elemento di sua natura trascendente come il nous o intelletto attivo che gli permette di ritrovare il maestro nel discorso dell’immortalità dell’anima.[SM=g27828] (ibidem, p. 143).

Il resto del “lavoro” fu opera di Tommaso d’Aquino, di concilii e di bolle papali. Ma a me interessa ancora e sempre quella “sorgente sacra” “non fecondata … dalla grecità” o da imposizioni e dettami conciliari.

Tu scrivi (a proposito del mio commento a Fil. 1:23):
“Un sofisma piuttosto mal riuscito, a meno che tu non voglia sostenere che Paolo si autoilluda e si racconti frottole da solo in quanto sarebbe all’oscuro del vero insegnamento apostolico (il che è impossibile). Non si vede come il fatto che una cosa sia desiderata, renda quella cosa falsa. …”

R. Aspetta a parlare di “sofisma”. Il testo in questione è preso in considerazione soprattutto in relazione al cosiddetto periodo “intermedio”, quello che va dalla morte alla risurrezione, un argomento che al momento è trattato con le dovute cautele proprio da parte dei tradizionalisti, ovvero degli assertori dell’immortalità dell’anima. Costoro oggi non sembrano più tanto sicuri di ciò che dicevano ieri, e dato che si sono finalmente accorti che la sola cosa che la Bibbia definisce chiaramente è la risurrezione alla parusia, stanno rivedendo le tesi dell’anima che vivrebbe in modo indipendente dopo la morte.

“Uno dei più autorevoli teologi protestanti contemporanei, Wolfhart Pannenberg, osservava …: ‘A differenza della visione platonica dell’immortalità dell’anima,[SM=g27828] la teologia cristiana vede l’uomo in corpo e anima come creatura, senz’altro destinato a vivere per sempre in comunione con Dio, ma che non possiede l’immortalità né può acquistarla, ma riceverla soltanto come dono della grazia di Dio” (ib. pp. 201-202).

“ … noi sopravviviamo alla morte, come persone, come esseri che dicono “io”. Noi sostituiamo “la tenda” (cioè la nostra esistenza fisica, terrena) con una “casa eterna da Dio” ( 2Cor 5,1) …” ( Harry M. Kuitert cit. da Ravasi- op. cit. p.202).

“Sicuramente è necessario e corretto operare una certa “deplatonizzazione” [ e dàgli, con Platone![SM=g27828] ] della visione cristiana, operazione di pulizia condotta con vigore soprattutto da vari teologi protestanti tra i quali spiccano Karl Barth e Oscar Cullmann. Di quest’ultimo è significativo il breve saggio, pubblicato nel 1956 e accolto con successo [Sic!], “Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti?”, un interrogativo a dilemma, di cui è facile intuire la scelta compiuta dal teologo di Basilea. (…) Tirando, allora, le fila … potremmo tentare una conclusione molto essenziale. L’anima, NELLA TRADIZIONE CRISTIANA, E’ STATA SEMPRE CONCEPITA COME UNA REALTA’ PERSONALE DISTINTA, MA INTIMAMENTE VINCOLATA ALLA CORPOREITA’ CON LA QUALE DA’ ORIGINE ALLA CREATURA UMANA. Anche nella morte non si assiste a una totale cancellazione di questo rapporto con la materia corporale, ma a una sua trasformazione, DI DIFFICILE DETERMINAZIONE E DESCRIZIONE. Il nesso è, infatti, trasferito su un altro piano ove cadono spazio e tempo e ci si inoltra nell’oltrevita, nell’eternità e nell’infinito, ove non c’è più né “prima” né “poi”.” (Ib. pp. 202, 203- mio il grassetto).

Tu scrivi:
>>> “Rm 8,30 “quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.”

Non ho la minima idea di come questo versetto possa sostenere la tua dottrina. Mi illumini?”

R. E’ molto semplice: tra la “predestinazione” e la salvezza in Cristo, c’è un atto “giuridico”che è la “giustificazione”, cioè l’atto con il quale il peccatore è ritenuto “giusto” da Dio per i meriti di Cristo. Si ottiene così la gloria, che al momento è in speranza e al ritorno di Cristo sarà effettiva e concreta. Qui L’apostolo Paolo dà per certa e addirittura come essere già avvenuta la redenzione e la glorificazione dei credenti.

>>> “Anche questo versetto( 1Cor. 15:53-54) è del tutto irrilevante. Sta affermando che i corpi diventeranno immortali dopo la resurrezione, il che è palese e non ha bisogno di dimostrazione.

R. Certo. Solo che questo è l’unico aspetto del nostro argomento che sia “palesemente” “dimostrato”, contrariamente alla teoria dell’immortalità dell’anima.

>>> “Anche in questo caso (Rm 2, 6-7) non ho la minima idea di come il versetto che citi possa esserti d’aiuto. Si dice che Dio darà la vita eterna a coloro che perseverano nelle opere buone. Non mi sembra nulla di rivoluzionario, anche noi diciamo che Dio premia colla vita eterna chi vive nell’ amore. La vita eterna di cui parla il versetto può essere sia il paradiso sia la vita dopo la resurrezione, in nessuno dei due casi mi cambia la vita.

R. Forse ti è sfuggito un “piccolo” particolare: io sto sostenendo che la Bibbia parla di “vita eterna” solo in rapporto alla redenzione offerta da Cristo. Fuori di tale DONO divino non esiste “vita eterna” E NEMMENO anima immortale, che dir si voglia.

>>> “Questa è una polemica che c’era anche tra i padri della Chiesa. L’anima è immortale perché è di natura divina o è immortale perché l’immortalità le viene da Dio? Anche ritenendo che l’anima non sia immortale per sua natura ma grazie all’intervento di Dio essa resterebbe immortale. Ergo, nulla tange la dottrina cattolica.”

R. A me non interessa l’opinione dei “Padri” ancor meno quella della “chiesa”. La questione è: che cosa insegnano le Scritture. Dio dona la vita eterna: tutti i cristiani del mondo lo sanno, come sanno che è, appunto un “dono”. E se è un “dono” (“ergo” lo dico io) l’uomo non lo possiede né in natura né in altra qualsivoglia forma.

>>> “Perché nessuno glielo ha chiesto e ne ha detto altrove. Hai una strana logica: se non parla di una cosa in un contesto, ne deduci che quella cosa non esiste, il che è un paralogismo perché basta che ne parli altrove. Nessuno è obbligato ad annunciare per intero tutta la sua dottrina escatologica ogni volta che apre bocca per parlare di morti. La rivelazione di Cristo è graduale, parla di diverse cose in diversi contesti.”

R. La mia sarebbe “una strana logica”? Può darsi, ma sta di fatto che tutte le volte che nelle Scritture si parla di vita oltre la morte se ne parla sempre in termini di “RISURREZIONE”. [/G]“ Nessuno è obbligato ad annunciare per intero tutta la sua dottrina escatologica ogni volta che apre bocca per parlare di morti” è vero ma, guarda caso, OGNI VOLTA CHE SE NE PARLA, SI PARLA DI “RISURREZIONE”.

>>> “La frase è autocontradditoria, non sono con Cristo se non sono. Infatti i TdG sono costretti a dire che di me non rimane nulla, semplicemente sono nella memoria di Dio, perché non esiste un’anima separata dal corpo che possa stare con Dio, non sarei io. ECC….)

R. Non è un quesito che si possa risolvere filosoficamente. Dio ha memoria di ogni essere vivente e ciò che resta di ogni essere vivente, indipendentemente da tutti questi nostri miseri sforzi di cercare una soluzione razionale ( quando sarebbe più opportuno lasciarla alla fede) sono solo tentativi di darci una spiegazione. Solo di Gesù Cristo, benché non ne siamo stati testimoni diretti, possiamo dire: “E’ morto, ma il terzo giorno è risorto, ed è salito al Padre”.

Polymetis, al di sopra di ogni considerazione che possiamo fare, abbiamo un Padre che ci ama. Questa è la cosa veramente importante.

Saluti, Agabo.
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“Voi errate, perché non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio.” Matteo 22:29

Alcuni della setta dei sadducei vogliono cogliere in fallo Gesù Cristo proponendogli un quesito sulla risurrezione. Prima di rispondere alla loro domanda, Gesù li rimprovera duramente con queste parole:

“Voi errate, perché non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio.”

Quanti non conoscono le Scritture e, di conseguenza, la potenza di Dio!

Tu, Polymetis, scrivi:
>>> “Che la nefesh dell’Antico Testamento sia mortale o ridotta ad ombra nello sheol siamo d’accordo, ma quello che non hai ancora compreso è che stiamo parlando della psychè del NT. (C’è chi sostiene che ci sia differenza, chi invece no, quindi è perfettamente inutile darsi agli ipse dixit, è meglio rifarci ai testi originali)”

Anche tu erri perché, non conosci le Scritture?
Secondo te la Parola rivelata avrebbe insegnato una volta una cosa e più tardi tutto l’opposto?
Se la “nefesh” è mortale lo è di conseguenza anche la “psichè”. Un concetto non muta radicalmente il suo significato semplicemente traducendo una parola da una lingua ad un’altra.
La “psichè” non diventa immortale in virtù degli insegnamenti di Cristo e degli apostoli, ma solo “grazie” all’opera discutibile dei “padri” della chiesa.


Nel testo di Mt 22:29 Cristo oppone all’incredulità dei sadducei la RISURREZIONE!
Al tempo in cui Cristo visse come uomo, il Nuovo Testamento era ancora da scrivere. Cristo era ebreo e ragionava da ebreo. Già ti citai un versetto che i tradizionalisti chiamano in causa per “provare” che l’anima è immortale (Mt 10:28) e ti feci osservare come un noto quanto autorevole biblista cattolico che quel testo, al contrario, dice che l’anima può essere “uccisa” (vedi il mio post n° 59).
La stessa voce dice a proposito di un altro testo (Matteo 16:25-27:
“Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà. 26 Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l'anima sua? O che darà l'uomo in cambio dell'anima sua? 27 Perché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua.) [si noti come, ancora una volta si parla di “retribuzione” in relazione alla fine dei tempi]:

“Le traduzioni sono inclini a variare la resa della parola greca “psichè”, adottando per le prime due ricorrenze il termine “vita” e per le altre due la traduzione “anima”. (…) Questa resa, in verità, cerca di andare al di là dei termini per scovarne il significato sotteso. Infatti, la “psichè” che è messa in causa e che può andare in rovina e perdersi non è certo quella che il mondo greco definiva con questo termine, ossia l’anima spirituale e immortale. Per Gesù, come per l’uomo della Bibbia in generale, è la realtà della persona nella sua esistenza che può comprendere la debolezza e il peccato, ma anche il legame intimo con Dio …” (G. Ravasi, op. cit. p.99).

“Come ha scritto il citato Eduard Schweizer, collaboratore del “Grande lessico del Nuovo Testamento”, per questo detto evangelico, “la psychè non è l’anima imortale: altrimenti non potremmo essere invitati a odiarla. Psychè resta la vita che è data all’uomo, ma che riceve il suo carattere morale ed eterno … “ (…) “Siamo, dunque, ben lontani dalla psychè, l’anima metafisicamente immortale concepita da quella filosofia greca che pure costituirà l’altra sorgente a cui ha attinto la storia occidentale dell’anima” (ib. p.100).

E’ ancora il grande biblista Ravasi che commentando 2 Cor. 5:1-8 sfata la comune, quanto errata, interpretazione secondo la quale anche questo testo corroberebbe l’idea dell’immortalità dell’anima (ib. p.103). “ (Paolo) userà la lingua greca con una straordinaria originalità, forgiandone spesso il vocabolario in modo libero e creativo, secondo accezioni che erano adatte al suo discorso, allontanandosi così dal pensiero greco (…) Egli si è scarsamente interessato alla questione della psychè, un termine secondario nel suo epistolario” (ib p.101).

>>> “Bello, siamo risorti ma non del tutto! Una resurrezione parziale! Dimmi questa perla è di Culmann o è una tua interpretazione del suo testo? O si è vivi o si è morti, non c’è una resurrezione parziale, violerebbe il principio di non contraddizione.”

Polymetis, questa è, per caso, la prova che anche tu erri, perché non conosci le Scritture?
Primo, io non ho mai parlato di una “risurrezione parziale”. Che cosa stai cercando di attribuirmi e perché?
Secondo, Paolo dà per certo e come se fossero già avvenute cose che appartengono al futuro. Leggi qua:
Efesini 2:6: "e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù,"Ancora un testo che parla di RISURREZIONE! Paolo sta qui dicendo che i salvati, virtualmente, sono già risuscitati e siedono con Cristo in cielo. Perché Paolo può parlare in questo modo? Può farlo perché:
“…la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono.” (Ebrei 11:1)

Ridi pure a causa di ciò che scrissi: “Va vista alla luce del discorso precedente che Cullmann fa in relazione alla risurrezione di Cristo: Cristo è risorto, quindi lo siamo anche noi che crediamo in lui, ma non pienamente perché “ciò avverrà alla fine dei tempi”. Ciò dimostra soltanto che conosci bene gli scritti di Platone, non quelli dell’apostolo Paolo.

>>> Tu scrivi: “Peccato che Cullmann non sia cattolico quindi di cosa sia eretico per la Chiesa può infischiarsene. Del resto è un eretico per chiunque e non è ortodosso per nessuno. “

R. Ti sbagli, Cullmann FORSE è “eretico” per quelli come te. Per moltissimi è un biblista più che ortodosso e anche uno studioso onesto e coerente.

>>> Tu scrivi: “Ti potrei rispondere che per resurrezione si intende una trasfigurazione, un essere “deificati” in Cristo subito dopo la morte, ossia passare dalla condizione di psychè umana a una comunione col divino. (Ovviamente io non credo che le cose stiano esattamente così, volevo solo mostrarti che anche prendendo letteralmente le affermazioni di Cullmann non ci sarebbe contraddizione perché una resurrezione non implica che prima ci sia stata una morte). Inoltre Culmann potrebbe anche sostenere che l’anima muore, risorge prima di ricongiungersi col corpo, e risorge nuovamente insieme al corpo alla fine dei tempi in una nuova trasfigurazione operata all’unisono. (Lo ripeto, non è la mia idea, voglio solo mostrare che non possiamo sapere che cosa passasse per la mente di Cullmann quindi poteva sostenere anche questo, senza bisogno di vedere una contraddizione nelle sue parole qualora vengano prese letteralmente) “

R. Chi ha capito questa frase batta un colpo! Per me questa è la dimostrazione lampante del filosofo confuso che semina confusione anche nelle menti della gente.

Saluti, Agabo.

[Modificato da Agabo 25/12/2004 17.58]

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"Lo stato intermedio"
Agabo ha scritto:

Suppongo che Cullmann abbia voluto fare un riferimento al termine “ANIMA” nel suo uso più comune, influenzato dalla cultura greca che distingue “ANIMA” da “CORPO” per il fatto che sta trattando la dottrina dell’ “IMMORTALITA” dell’anima. Un uso più accessibile ai lettori comuni.

A me non sembra che questa tua supposizione sia fondata. Cullmann parla spesso di "anima" come di una realtà ben distinta dal corpo, anche se precisa chiaramente che la concezione biblica di "anima" non è identica a quella greca. La concezione di "anima" esposta da Cullmann differisce comunque radicalmente da quella geovista (non so se è più simile a quella avventista, ma questo non mi interessa e nemmeno rientra nell'ambito di questo forum approfondire tale aspetto del discorso).

I tdG usano il termine “anima” nell’accezione biblica e non tengono conto, dottrinalmente parlando, del suo uso “greco”. D’altra parte, lo stesso Cullmann scrive:
“L’antropologia del Nuovo Testamento non è la stessa del pensiero greco, ma si ricollega piuttosto a quella giudaica. Per i concetti “corpo”, “anima”, “carne”, “spirito” tanto per citarne alcuni, gli autori del Nuovo Testamento, pur servendosi degli stessi termini dei filosofi greci, attribuiscono loro un significato del tutto diverso, e noi fraintenderemmo in Nuovo Testamento, se li intendessimo secondo il senso greco. Molti malintesi nascono da ciò” (p.32). “L’uomo interiore senza l’uomo esteriore non ha vera esistenza indipendente. Egli ha bisogno del corpo. Tutt’al più, come i morti dell’Antico Testamento, può condurre una esistenza d’ombra nello sheol, ma non una vera vita. La differenza rispetto all’anima greca è evidente: questa giunge alla sua pienezza senza il corpo, e soltanto senza di esso. Niente di simile nella Bibbia …” (p.33, 34).

Ho citato anch'io questa frase, sottolineando quel "tutt'al più": Culllmann riconosce qui che anche nella concezione vetero testamentaria i morti continuavano ad avere un qualche tipo di esistenza ultraterrena. Non si trattava di una "vera vita" ma nemmeno dell'annullamento totale geovista. La resurrezione conduce, secondo Cullmann, alla pienezza della vita, ma anche prima della resurrezione vi è "qualcosa" che continua ad esistere. Questo è reso evidente in molti punti del suo scritto.

La tua citazione:
“Per esempio, a p. 17 della mia edizione si legge:
«E' dunque chiaro che per i primi cristiani l'anima non è immortale in sé, ma lo diviene grazie alla resurrezione di Gesù Cristo... E' chiaro infine che la resurrezione dell'anima che è già avvenuta, non è ancora lo stato di pienezza: dobbiamo attendere questo stato finché il nostro corpo non sarà resuscitato; e ciò avverrà alla fine dei tempi» (grassetto mio).
Qui si dice quindi che vi è già ora uno stato in cui l'anima risorta attende di ricongiungersi con il corpo.”
Va vista alla luce del discorso precedente che Cullmann fa in relazione alla risurrezione di Cristo: Cristo è risorto, quindi lo siamo anche noi che crediamo in lui, ma non pienamente perché “ciò avverrà alla fine dei tempi” (p.17).

Cullmann parla di resurrezione dell'anima (o dell'uomo interiore) di coloro che sono morti letteralmente. L'"anima" (o uomo interiore) possederebbe una sorta "vita imperfetta" accanto a Cristo, nello "stato intermedio", il periodo che precede la resurrezione del corpo glorificato che avverrà alla fine dei tempi.

D’altra parte, se tu vuoi intendere l’espressione di Cullmann “la resurrezione dell’anima che è già avvenuta” ALLA LETTERA, in tal caso diventa un non-senso letterario e anche un’eresia per la teologia cattolica

Certo, è un eresia per la concezione cattolica. Ma a me qui non interessa la concezione cattolica. Qui stiamo parlando di quello che dice Cullmann. E Cullmann scrive chiaramente che dopo la loro morte, l'anima dei credenti ottiene una resurrezione ed i credenti continuano ad esistere (anche se non nella pienezza della vita) accanto a Cristo.

E' interessante notare che Cullmann riconosce che la parabola del ricco e di Lazzaro e la parole di Paolo in Filip. 1:23, anche se non «parlano di una resurrezione fisica che avvenga subito dopo la morte individuale, come spesso si ritiene» [ma chi ritiene "spesso" questo?], descrivono invece lo stato di coloro che muoiono in Cristo prima della fine, parlano «di quello stato intermedio in cui si trovano proprio come i vivi. Tutte queste immagini valgono ad esprimere la particolare vicinanza a Dio e a Cristo in cui si trovano, attendendo la fine, coloro che muoiono nella fede. Essi sono 'nel seno d'Abramo', oppure (secondo Apoc. 6,9) 'sotto l'altare', o 'con Cristo'. Non sono che immagini diverse per illustrare la vicinanza divina» (pp. 47,48).

Ora se i morti sono semplicemente inesistenti, nulla differenzia i credenti dagli increduli, gli uomini dalle bestie, e quindi tutte queste immagini che vorrebbero rappresentare secondo Cullmann la particolare "vicinanza divina" dei credenti perdono di significato.
Cullmann sostiene invece che l'esistenza di un tempo intermedio «sia per i morti come per i vivi, è un fatto difficile da contestare» (p. 50).
La resurrezione di Cristo ha costituito il punto di svolta per i coloro che muoiono nella fede:

«Se la resurrezione del Cristo rappresentasse la grande svolta solo per i vivi e non per i morti i vivi avrebbero un enorme vantaggio rispetto i morti"... ma è inconcepibile che nella concezione dei primi cristiani nulla sia cambiato per i morti in quanto riguarda il tempo che precede la fine [questo però è quello che sostengono i TdG, cioè che nulla sia cambiato rispetto alla concezione vetero testamentaria, ndr]. Proprio le immagini di cui si serve il Nuovo Testamento per definire lo stato di coloro che sono morti in Cristo provano che la resurrezione di Cristo, quest'anticipazione della fine, produce i suoi effetti nello stato intermedio anche per i morti e soprattutto per loro: "Essi sono accanto a Cristo", dice l'apostolo Paolo» (p. 50,51).

Interessante poi il commento di Cullmann al passo di 2 Cor. 5:1-10. Cullmann non dice affatto che la "nudità" di coloro che muoiono prima del ritorno di Cristo equivalga all'inesistenza assoluta:

«Il passo di 2 Cor., 1-10 ci insegna perché anche i morti, sebbene non abbiano ancora corpo e no facciano che 'dormire', pure si trovino già vicini a Cristo. L'apostolo parla qui dell'angoscia naturale che egli prova di fronte alla morte, che è sempre all'opera. Egli teme ciò che definisce lo stato di 'nudità', lo stato dell'anima privata del corpo [anche qui è evidente che si parla di un'anima che esiste, per volere divino, anche dopo la morte del corpo. ndr]... rileviamo in questo passo (2 Cor. 5) ciò che vi è di radicalmente nuovo dopo la resurrezione di Cristo: questo stesso testo parla dell'angoscia naturale ispirata dallo stato di nudità dell'anima, e insieme proclama la grande certezza d'essere ormai accanto a Cristo, anche e soprattutto in quello stato intermedio. Perché dunque dovrebbe ancora turbarci l'esistenza d'uno stato intermedio? La certezza di essere anche là, e la soprattutto, accanto a Cristo, è fondata sull'altra certezza cristiana che del nostro uomo interiore [altro modo di definire l'"anima" da parte di Cullmann, ndr] ha già preso possesso lo Spirito Santo. ... Ecco perché è cambiata qualche cosa anche per i morti, sin d'ora, purché davvero essi muoiano in Cristo, ossia in possesso dello Spirito Santo. La tremenda solitudine, il distacco da Dio operato dalla morte di cui abbiamo parlato, non esiste più, perché vi è lo Spirito Santo. Per questo il Nuovo Testamento sottolinea che i morti in Cristo sono accanto a Cristo; essi dunque non sono abbandonati! Comprendiamo quindi come Paolo, proprio in 2 Cor. 5:1 s., ove parla dell'angoscia davanti alla nudità di questo stato intermedio, definisca lo Spirito Santo 'primizia' ... Secondo il v.8 dello stesso capitolo sembra anzi che i morti siano più vicini al Cristo; sembra che il 'sonno' li avvicini di più a lui: "Preferiamo essere fuori del corpo ed essere accanto al Signore". Per questo l'apostolo Paolo può scrivere in Phil. 1:23 che 'desidera morire' per essere accanto al Signore. Quindi l'uomo senza il corpo fisico, se possiede lo Spirito Santo, è più vicino al Cristo di prima. Infatti, la carne legata al nostro corpo terreno è un ostacolo all'espandersi dello Spirito Santo mentre siamo in vita. Il morto è liberato da questo ostacolo, sebbene il suo stato sia ancora imperfetto, perché non ha ancora il corpo di resurrezione [è chiarissimo anche qui che Cullmann ritiene che vi sia uno stato "imperfetto" di esistenza ultraterrena che precede la resurrezione finale dei credenti, ndr]»(pp. 52, 53).

A pag. 55 si legge: «La morte è vinta. L'uomo interiore [o "anima", ndr] spogliato del corpo non è più solo, non conduce più l'esistenza d'ombra ch'era la sola attesa dei Giudei e che non poteva essere considerata una 'vita' [e, osservo io, non era però considerata nemmeno un annullamento assoluto dell'esistenza. E il Nuovo Testamento ha cambiato ulteriormente, ed in meglio, queste prospettive di esistenza dopo la morte per i cristiani]».

Cullmann sostiene ancora che i morti in Cristo non hanno cessato del tutto di esistere, pur non avendo ancora la vita piena e vera:
«Il cristiano morto possiede lo Spirito, sebbene ancora dorma e attenda sempre la resurrezione che sola gli conferirà la vita piena e vera. Così, in quello stato intermedio, la morte, benché esista ancora, ha perso il suo carattere terrificante, e poiché senza la presenza della carne lo Spirito Santo li avvicina ancora più a Cristo, i morti "che muoiono nel Signore d'ora in poi" possono essere detti felici, come scrive l'autore dell'Apocalisse (14,13). L'esclamazione di trionfo dell'apostolo Paolo (I Cor. 15,54) trova ormai applicazione anche per i morti: "Dov'è, morte, la tua vittoria? Dov'è, morte, il tuo pungiglione?". E l'apostolo scrive ai Romani: "Sia che vegliamo, sia che dormiamo, viviamo in comunione con lui" (I Thess. 5,10) Cristo è "il Signore dei morti e dei vivi" (Rom. 14,9)» (pp. 53, 54).

Non possono esserci dubbi sul fatto che Cullmann parla quindi di uno stato in cui i morti in Cristo, privi del loro corpo carnale, continuano, per opera dello Spirito Santo, ad avere una sorta di esistenza, una continuità di vita, la quale, seppure definita "vita imperfetta", non è il nulla assoluto che viene insegnato dai TdG.

Cullmann prosegue: "Ci si potrebbe chiedere se a questo modo non ci troviamo ancora ricondotti alla dottrina greca dell'immortalità dell'anima, e se il NT non presupponga, per il tempo dopo la Pasqua, una continuità dell''uomo interiore', del cristiano convertito, prima e dopo la morte, in modo che la morte non rappresenti anche qui che un 'passaggio naturale'. Entro certi limiti ci avviciniamo in effetti alla dottrina greca, nel senso che l'uomo interiore trasformato, vivificato dallo Spirito Santo sin da prima (Rom. 6:3), continua a vivere, così trasformato, accanto a Cristo nello stato di sonno. Questa continuità di vita in ispirito è sottolineata particolarmente dall'evangelo giovanneo (Io. 3,36; 4,14; 6,54 passim). Qui intravediamo almeno una certa analogia per quanto riguarda l'immortalità dell'anima» (pp. 54,55).

Mi fermo qui. Penso sia chiarissimo che Cullmann ammette l'esistenza di un'"anima" prima della resurrezione finale, un'"anima" che si trova accanto a Cristo e che continua ad avere una sorta di "vita", seppur non nella pienezza dell'esistenza.
Le concezioni di Cullmann differiscono quindi radicalmente da quelle geoviste.

Saluti
Achille
25/12/2004 18:51
 
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Sono stanco di sentire miscugli...

“Ecco come è incominciato! Nessuna velleità, da parte mia, di competere con qualcuno, e meno ancora con te, sulla conoscenza di Platone e su questioni filosofiche.
Dicendo che la dottrina cattolica dell’immortalità dell’anima è stata tenuta in fasce dal dualismo greco, e in qualche modo anche da Platone, non penso d’aver bestemmiato e se, al contrario, ho davvero detto una bestemmia, a questo proposito ti ho rimandato a studiosi di ogni latitudine geografica, culturale e religiosa che hanno fatto lo stesso. Siamo tutti ignoranti, chi più chi meno, sui “sacri detti di Platone”? Allora chiedo venia e andiamo avanti, anche se prima voglio darti un’ennesima prova che sono un’ignorante fra tanti “IGNORANTI”:”

Evidentemente non hai capito nulla di quello che ho scritto. Tu non mi hai mostrato studiosi del parere che il pensiero cattolico attuale sia influenzato da Platone, mi hai fatto una lista interminabile di citazioni dove si negava che la dottrina biblica sia dualista. (Peccato che su questo siamo tutti d’accordo). I pochi pertinenti che mi hai citato, i quali sostengono che la dottrina cattolica attuale sia sporca di platonismo, non hanno portato una sola argomentazione per sostenerlo, neppure una riga di Platone. In poche parole secondo te dovrei basarmi su degli ipse dixit. Peccato che il mondo accademico sia molto variegato, e sui rapporti tra Platone e il cattolicesimo ci sono molte correnti di pensiero. Tu non hai gli strumenti per discernerle e hai fatto un miscuglio allucinante. Il fatto che ci siano venti professori che sostengono un’influenza di Platone sulla dottrina cattolica attuale non vuol dire niente, perché ce ne sono il doppio che dicono il contrario; quindi o mi porti le citazioni di Platone, oppure eviti di farfugliare e parli solo delle cose di cui hai un minimo di conoscenza. Non ho studiato per anni greco e filosofia antica per poi sentirmi rispondere con venti righe di citazioni! Io lavoro sui testi classici, non sulle parole altrui! Se vuoi la prova di come occorra una certa cultura per bazzicare nel mondo accademico senza prendere cantonate te la mostro subito: da quando è uscito il saggio di Felice Vinci “Omero nel Baltico” decine di professori universitari in un delirio da psicofarmaci hanno iniziato a sostenere che Omero visse in Scandinavia e che l’Odissea sarebbe ambientata nei mari del Nord! (Tra questi allucinati anche la grande grecista Rosa Calzecchi Onesti)! Immaginate ora un analfabeta in greco che pretendesse di discutere di Omero e facesse un bel collage di citazioni con quelle decine di professori che hanno dato ragione a Felice Vinci, che cosa potrebbe fare un grecista per rispondergli senza mandarlo al diavolo? Gli farebbe semplicemente notare che se Vinci ha avuto qualche decina di consensi, quelli contro di lui sono invece migliaia! Anche nel tuo caso non puoi prendere di discutere di Platone portando una lista di nomi, perché potrei risponderti con un’altra listi… o mi dai dei riferimenti testuali e discutiamo citando di Platone oppure ti attacchi al tram. Non mi hai saputo mostrare una sola analogia tra il pensiero cattolico attuale e la dottrina dell’Accademia antica, è evidente che parli senza sapere che cosa sostieni, ed è altresì palese che non hai la più pallida idea dell’insegnamento di Platone, né hai letto le sue opere.

“Un genio cristiano come sant’Agostino, per esempio, rimarrà sempre impregnato da quel Platone o da quel neoplatonismo che l’avevano conquistato e abbagliato fin dalla giovinezza.”

Quel sorrisetto testimonia solo che non hai gli strumenti per capire quello di cui stiamo parlando (questo non sono offese ma constatazioni, non si può parlare di filosofia platonica senza aver mai letto un dialogo di Platone o di Plotino). Ravasi parla dell’influenza delle Enneadi plotiniane su Agostino. E chi lo nega? Se leggi i miei post precedenti te l’ho già spiegato: il problema non è quello che pensano i padri della Chiesa, perché essi rappresentano la dottrina cattolica solo quando sono in accordo con la Traditio apostolica. Nel caso nostro la dottrina di Agostino è plotiniana, ossia l’uomo è “un’anima che si serve di un corpo”, non è in accordo con la dottrina cattolica attuale ed anzi è stata condannata.

“Da una parte, Aristotele si distanzia nettamente da Platone respingendo il dualismo psicofisico e ritrovando la necessaria unità dell’essere umano attraverso l’ilemorfismo, l’intreccio cogente tra materia e forma. D’altra parte, però, in questa unità identifica un elemento di sua natura trascendente come il nous o intelletto attivo che gli permette di ritrovare il maestro nel discorso dell’immortalità dell’anima. (ibidem, p. 143).”

Corretto.

“Il resto del “lavoro” fu opera di Tommaso d’Aquino, di concilii e di bolle papali. Ma a me interessa ancora e sempre quella “sorgente sacra” “non fecondata … dalla grecità” o da imposizioni e dettami conciliari.”

Semplicemente i greci ci hanno fornito i termini della speculazione, ma la nostra dottrina è biblica.

“Aspetta a parlare di “sofisma”. Il testo in questione è preso in considerazione soprattutto in relazione al cosiddetto periodo “intermedio”, quello che va dalla morte alla risurrezione, un argomento che al momento è trattato con le dovute cautele proprio da parte dei tradizionalisti, ovvero degli assertori dell’immortalità dell’anima. Costoro oggi non sembrano più tanto sicuri di ciò che dicevano ieri, e dato che si sono finalmente accorti che la sola cosa che la Bibbia definisce chiaramente è la risurrezione alla parusia, stanno rivedendo le tesi dell’anima che vivrebbe in modo indipendente dopo la morte.”

Non hai risposto alla mia argomentazione su Filippesi 1,23 e hai continuato a ripetere i tuoi bei discorsi. Avevi affermato che quella era l’espressione di un desiderio di Paolo e non una dottrina, io ti ho risposto che era un desiderio reale perché in greco non viene usato nessun tipo di periodo ipotetico dell’eventualità o dell’irrealtà, ed inoltre “Non si vede come il fatto che una cosa sia desiderata, renda quella cosa falsa. …”
Aspetto ancora la risposta.

“Uno dei più autorevoli teologi protestanti contemporanei, Wolfhart Pannenberg, osservava …: ‘A differenza della visione platonica dell’immortalità dell’anima, la teologia cristiana vede l’uomo in corpo e anima come creatura, senz’altro destinato a vivere per sempre in comunione con Dio, ma che non possiede l’immortalità né può acquistarla, ma riceverla soltanto come dono della grazia di Dio” (ib. pp. 201-202).”

Anche qui non hai capito nulla perché ti mancano gli strumenti filosofici. Il dibattito cui accenna Ravasi è quello che attanagliò molti padri della Chiesa. Non si tratta di sapere se l’anima sia immortale o no, ma se l’anima sia immortale per sua stessa natura, ossia perché è divina e dunque è fonte di immortalità a se stessa, oppure se l’anima sia immortale perché Dio vuole che sia così. Infatti hai abilmente tagliato le righe prima dove Ravasi dice che: “L’Aldilà biblico è, invece, un ingresso nell’intimità divina, una comunione filiale tra il giusto e il suo Signore, è una contemplazione faccia a faccia di Dio.” (pag. 201)

“… noi sopravviviamo alla morte, come persone, come esseri che dicono “io”. Noi sostituiamo “la tenda” (cioè la nostra esistenza fisica, terrena) con una “casa eterna da Dio” ( 2Cor 5,1) …” ( Harry M. Kuitert cit. da Ravasi- op. cit. p.202).”

Anche qui hai completamente frainteso (di proposito?), la citazione di Kuitert, infatti afferma che sopravviviamo alla morte “personalmente e come dono”, è il solito dibattito tra platonici (i quali sostengono che l’anima è immortale in sé) e i cristiani (i quali sostengono che l’anima è immortale perché Dio la fa essere tale, e dunque è solo un dono.)

“Sicuramente è necessario e corretto operare una certa “deplatonizzazione” [ e dàgli, con Platone! ] della visione cristiana”

Già, sono d’accordo, peccato che stia parlando di tutta quella scia che va da Platone a Cartesio, non della teologia dell’anima post-conciliare, come afferma subito dopo, quando afferma che la dottrina dell’immortalità dell’anima “è un concetto specificatamente cristiano, e, proprio per questo, non può essere abbandonato […] dalla riflessione teologica) (pag 203)

“Tirando, allora, le fila … potremmo tentare una conclusione molto essenziale. L’anima, NELLA TRADIZIONE CRISTIANA, E’ STATA SEMPRE CONCEPITA COME UNA REALTA’ PERSONALE DISTINTA, MA INTIMAMENTE VINCOLATA ALLA CORPOREITA’ CON LA QUALE DA’ ORIGINE ALLA CREATURA UMANA”

Come il nostro catechismo afferma.

“Anche nella morte non si assiste a una totale cancellazione di questo rapporto con la materia corporale, ma a una sua trasformazione, DI DIFFICILE DETERMINAZIONE E DESCRIZIONE. Il nesso è, infatti, trasferito su un altro piano ove cadono spazio e tempo e ci si inoltra nell’oltrevita, nell’eternità e nell’infinito, ove non c’è più né “prima” né “poi”.”

Anche questo è ovvio, essendo l’argomento metarazionale. Se fosse razionale, sarebbe paradossalmente la prova della falsità della nostra convinzione, perché significherebbe che con la mente finita abbiamo colto uno schema di Dio, il che è impossibile, non potendo il finito comprendere l’infinito.

“E’ molto semplice: tra la “predestinazione” e la salvezza in Cristo, c’è un atto “giuridico”che è la “giustificazione”, cioè l’atto con il quale il peccatore è ritenuto “giusto” da Dio per i meriti di Cristo. Si ottiene così la gloria, che al momento è in speranza e al ritorno di Cristo sarà effettiva e concreta. Qui L’apostolo Paolo dà per certa e addirittura come essere già avvenuta la redenzione e la glorificazione dei credenti.”

Non c’entra assolutamente nulla. La giustificazione non è un giudizio in senso escatologico, è la dottrina secondo cui il giusto vivrà della fede. L’uomo pecca perché è corrotto irrimediabilmente dal peccato originale, Dio dunque non può condannare un uomo che pecca se l’uomo è per sua natura naturalmente peccatore, sarebbe come dire che Dio condanna un canguro perché salta. Se è connaturato alla mia natura il peccato, qualche Dio ingiusto mi condannerebbe per una cosa che non posso fare a meno di fare? Ecco allora la famosa “esperienza della torre” di Lutero, il quale leggendo il testo dell’epistola ai Romani “il giusto vivrà della fede” (1,17), arrivò a dire: “Pecca finché vuoi, ma abbia fede”, come a dire che giacché non possiamo fare a meno di peccare e non abbiamo speranza di salvarci da soli, Dio guarderà la fides di ciascuno salvandoci gratuitamente. Questa teologia era un po’ estrema, infatti non appena lesse che “la fede senza le opere è morta” nella lettera di Giacomo, voleva buttare lo Scritto fuori dal canone in quanto guastava i suoi piani. “E’ Una lettera di paglia!”, urlava il buon Lutero. La giustificazione dunque non è un giudizio escatologico già fatto, come se non esistesse il “giudizio particolare” che desina al paradiso o alla perdizione, bensì è un “giustificare” di Dio, il fatto che non tenga conto di tutti i nostri peccati, essendo noi giustificati per fede. Più che un “non tener conto” è un “sapere” e nonostante tutto perdonare, in quanto la nostra fede ci ha salvato. Ovviamente ho semplificato molto le cose, anzi, ho semplificato un po’ troppo col rischio di essere impreciso. Ma del resto credo che con un qualunque dizionario di teologia biblica potrai schiarirti le idee.

“A me non interessa l’opinione dei “Padri” ancor meno quella della “chiesa”. La questione è: che cosa insegnano le Scritture. Dio dona la vita eterna: tutti i cristiani del mondo lo sanno, come sanno che è, appunto un “dono”. E se è un “dono” (“ergo” lo dico io) l’uomo non lo possiede né in natura né in altra qualsivoglia forma.”

Eppure il passaggio logico non è complesso. L’anima può essere immortale o no. Se non è immortale la discussione è chiusa, ma se invece è immortale può esserlo o per sua propria natura o per dono di Dio che la rende tale.

“La mia sarebbe “una strana logica”? Può darsi, ma sta di fatto che tutte le volte che nelle Scritture si parla di vita oltre la morte se ne parla sempre in termini di “RISURREZIONE”

Ti ho postato una lista di versetti. Alla seconda metà di essi non hai ancora risposto, e per quanto riguarda la prima metà sei già stato confutato. (SI veda la parabola del ricco epulone o la questione del buon ladrone, su cui attendo ancora la tua contro-replica)

“Non è un quesito che si possa risolvere filosoficamente. Dio ha memoria di ogni essere vivente”

Non hai capito nulla di ciò che ho detto. Il fatto che Cristo abbia memoria di ogni essere vivente non implica che quegli esseri in Cristo siano qualcosa, visto che sono solo un ricordo. Se dunque una persona mi viene a dire che abbiamo "una dimora presso il Signore", io penso che ci sia qualcosa di me presso Dio, e non solo una traccia mnemonica, perché non sarei io.

A presto

[Modificato da Polymetis 25/12/2004 18.57]

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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
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Ciao Achille,
sono contento che tu abbia pubblicato ampi stralci dell'opuscolo di Cullmann; questo tornerà a beneficio di coloro che non lo posseggono.

La mia interpretazione di alcuni passi di tale opuscolo potrebbe non riflettere il pensiero vero dell'autore, specialmente perchè egli stesso non ha chiarito più di tanto alcune sue affermazioni.

Anche se a te è noto, tengo a ribadire che io non sono Testimone di Geova e che le credenze dei tdG sono differenti e da quelle cattoliche e da quelle di Cullmann. Le mie convinzioni sullo stato dei morti sono più simili a quelle dei tdG, questo è anche il motivo per cui contesto qui la dottrina dell'immortalità dell'anima.

Riguardo al tuo ultimo intervento, potrebbe essere utile fare una precisazione: una tesi (perchè di TESI si tratta dal momento che si parla dello "stato intermedio", cioè, di un aspetto dello stato dei morti del quale si suppone l'esistenza, ma che la Bibbia non dice niente)come quella prospettata da Cullmann e non da lui soltanto, come ho già fatto rilevare, è già una tesi che soddisfa parecchio il significato di alcuni testi biblici. Ma, occorre riconoscere che essa è tutt'altra cosa che l'immortalità dell'anima. E Cullmann non sostiene l'immortalità dell'anima.

Chi volesse propendere per la tesi di Cullmann e di altri biblisti avrebbe il mio plauso (per quello che vale). Benchè io reputi il lavoro del teologo svizzero un'opera incompiuta a causa delle reazioni emotive che essa sulle prime scatenò. L'accoglirla, comunque, sarebbe già un buon passo avanti nella direzione del più completo insegnamento biblico sull'argomento: Ma si tratta di un passo che dovrebbe comprendere il definitivo rigetto dela tesi dell'immortalità dell'anima.

Desidero anche far notare, date le suaccennate condizioni di pressioni emotive, che Cullmann parla di "sonno" nel senso biblico e di "vita d'ombra" che non sarebbe nemmeno "vera vita". Per mio conto egli con tali giri di parole stava attenuando il colpo che stava sferrando contro la tesi dell'immortalità dell'anima, ed ha usato un po' di riguardo nei confronti dei semplici ma sinceri credenti.

La posizione (per me incompiuta) di Cullmann è un ottimo punto per far ripartire la ricerca sul tema biblico dello stato dei morti.
Termino citando anch'io un passo del suddetto opuscolo:

"Se poi il cristianesimo successivo ha stabilito, più tardi, un legame fra le due credenze e se il cristiano medio oggi le confonde bellamente fra loro, ciò non ci è parsa sufficiente ragione per tacere su un punto che, con la maggioranza degli esegeti, consideriamo come verità; tanto più che il legame stabilito fra la "risurrezione dei morti" e la credenza nell' "immortalità dell'anima" in realtà non è neppure un legame, ma una rinuncia all'una in favore dell'altra: si è sacrificato al Fedone il capitolo 15 della prima epistola ai Corinti" (O.Cullmann- op. cit., p. 10)

Saluti, Agabo.
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"MA COME UN'AQUILA PUO' DIVENTARE AQUILONE? CHE SIA LEGATA OPPURE NO, NON SARA' MAI DI CARTONE " -Mogol
"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
26/12/2004 09:55
 
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Agabo ha scritto:

La mia interpretazione di alcuni passi di tale opuscolo potrebbe non riflettere il pensiero vero dell'autore, specialmente perchè egli stesso non ha chiarito più di tanto alcune sue affermazioni.

A me sembra evidente che tu esprimi delle opinioni personali che non trovano riscontro nel testo di Cullmann; e lo fai anche in questa tua risposta.
Ora se tu ritieni che Cullmann non sia stato sufficientemente chiaro (ma io non sono d'accordo), credo che non dovresti sbilanciarti in illazioni e deduzioni: anche questo sarebbe un modo per cercare far dire a qualcuno quello che non ha detto...

Riguardo al tuo ultimo intervento, potrebbe essere utile fare una precisazione: una tesi (perchè di TESI si tratta dal momento che si parla dello "stato intermedio", cioè, di un aspetto dello stato dei morti del quale si suppone l'esistenza, ma che la Bibbia non dice niente)come quella prospettata da Cullmann e non da lui soltanto, come ho già fatto rilevare, è già una tesi che soddisfa parecchio il significato di alcuni testi biblici. Ma, occorre riconoscere che essa è tutt'altra cosa che l'immortalità dell'anima. E Cullmann non sostiene l'immortalità dell'anima.

Questo lo abbiamo capito. Tuttavia Cullmann non sostiene nemmeno che alla morte cessi del tutto qualsiasi forma di esistenza, almeno per i credenti. Cullmann riconosce che anche secondo la concezione vetero testamentaria i morti continuavano ad avere una specie di esistenza come "ombre nello sheol", esistenza che, se non si poteva definire vita nel pieno senso del termine, non era nemmeno inesistenza nel pieno senso del termine.

Cullmann nel suo libro non esprime solo delle ipotesi. E' molto chiaro e preciso nel parlare della realtà dello "stato intermedio":
«Che dunque nel Nuovo Testamento si prevede questo tempo intermedio per i morti come per i vivi, è un fatto difficile da contestare. Tuttavia, non troviamo speculazioni riguardanti lo stato dei morti in quel periodo» (pp. 49,50).
Nella nota su questa frase si legge:
«Tale discrezione non deve però essere per noi una ragione per sopprimere lo stato intermedio in quanto tale. Non comprendiamo perché certi teologi protestanti (come pure K, Barth) abbiano al proposito tante esitazioni, mentre il Nuovo Testamento ci insegna semplicemente questo: 1) che questo stato esiste, 2) che significa già comunione con Cristo (in virtù dello Spirito santo) In nessun luogo si parla di purgatorio» (p. 50, il grassetto è mio).
Quindi, è chiaro che Cullmann non ha incertezze, anzi non riesce a comprendere come mai certi teologi protestanti siano così esitanti ad accettare ciò che, secondo lui, viene insegnato tanto chiaramente nel NT.

Desidero anche far notare, date le suaccennate condizioni di pressioni emotive, che Cullmann parla di "sonno" nel senso biblico e di "vita d'ombra" che non sarebbe nemmeno "vera vita".

Parla di "vita d'ombra" in riferimento alla concezione del VT. Nel NT sarebbe avvenuto un cambiamento sotto questo aspetto. La "vita d'ombra" (che è pur sempre "vita") si trasforma per i credenti in vicinanza con Cristo, in un "sonno" che Cullmann non considera comunque privo di ogni consapevolezza. Nella sua Prefazione, alle pp. 12 e 13, ecco come descrive lo stato di "sonno" di coloro che sono morti "in Cristo":
«A coloro che trovano assolutamente inaccettabile quest'idea del 'sonno', saremmo tentati di domandare, abbandonando allora del tutto il piano dell'esegesi che è quello del nostro studio, se è mai loro accaduto di fare, dormendo, un sogno meraviglioso, che li abbia resi più felici di qualsiasi esperienza, sebbene non abbiano fatto che dormire. Questa potrebbe essere un'immagine, certo imperfetta, per illustrare lo stato d'anticipazione nel quale, secondo San Paolo, si trovano i morti in Cristo durante il loro 'sonno', in attesa della resurrezione del corpo».

Per mio conto egli con tali giri di parole stava attenuando il colpo che stava sferrando contro la tesi dell'immortalità dell'anima, ed ha usato un po' di riguardo nei confronti dei semplici ma sinceri credenti.

Cullmann non aveva alcuna intenzione di "addolcire la pillola" ai suoi lettori, infatti subito dopo aggiunge:
«Tuttavia non intendiamo eliminare lo 'scandalo', attenuando ciò che abbiamo detto del carattere provvisorio e ancora imperfetto di quello stato. Resta che, secondo i primi cristiani, la vita piena e vera della resurrezione non è concepibile senza il corpo nuovo, senza il 'corpo spirituale' di cui i morti saranno rivestiti quando il cielo e la terra saranno creati di nuovo» (p.13, grassetto aggiunto).
Di nuovo si nota che Cullmann parla di "vita piena e vera", ma non dice che prima della resurrezione vi sia semplicemente il nulla, l'inesistenza. Visto che, contrariamente alle tue supposizioni, Cullmann dice che non intendeva attenuare lo 'scandalo', non c'era quindi alcun bisogno che parlasse così ampiamente di questo "stato intermedio" in cui le "anime" dei credenti, risorte per opera dello Spirito Santo, continuano a vivere, seppure in una vita "imperfetta"ed "incompleta".

E' chiaro quindi che la credenza secondo cui alla morte cesserebbe del tutto qualsiasi esistenza consapevole non è condivisa ed insegnata da Cullmann.

Achille

[Modificato da Achille Lorenzi 26/12/2004 10.04]

26/12/2004 16:26
 
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Il ricco e Lazzaro –2
Ci troviamo di fronte a una parabola. La parabola è un racconto, il più delle volte fittizio, che Gesù utilizza per fotografare nella mente dell’ascoltatore un messaggio particolare. Per molti secoli ha prevalso l’interpretazione allegorica della parabola, in cui ogni dettaglio aveva il suo significato, ma nel secolo scorso, Adolf Julicher ha demolito questo modo di interpretare sostenendo che nella parabola c’è un pensiero centrale che va messo in risalto. Egli sosteneva con vigore che nella parabola vera e propria un solo punto è pertinente all’insegnamento che vuole impartire o illustrare, mentre i particolari servono unicamente a dare chiarezza o vivacità al racconto, a renderlo più incisivo e credibile; perciò non vanno interpretati come se avessero tutti un significato metaforico, ma devono guidare l’ascoltatore a trovare il punto centrale, la situazione che si riferisce alla sua esistenza e alla sua condotta . Per interpretare correttamente una parabola bisogna seguire quattro linee fondamentali:
a) Comprendere il pensiero centrale senza lasciarci offuscare dai dettagli
b) Tenere conto del contesto immediatamente prima e dopo la parabola
c) Fare concordare la spiegazione con il testo senza violentarlo
d) Evitare di stabilire un insegnamento dogmatico partendo da una parabola

Questo brano di Luca è preceduto dalla parabola del fattore infedele, con la quale Gesù mette in risalto le possibilità offerte dalla vita presente per abbandonare i propri errori. Il fattore infedele si è accorto in tempo della sua condotta indegna della responsabilità affidatagli dal padrone, e così cambia condotta e si converte. “Or i Farisei, che amavano il denaro, udivano tutte queste cose e si facevano beffe di lui” (Lc 16:14). Gesù racconta poi la storia di un uomo ricco e gaudente che vive nell’agiatezza e nello sperpero, ed è incurante delle sofferenze del povero Lazzaro che viene a implorare misericordia, ma inutilmente. Ha avuto tutta la vita per cambiare condotta, ma non gli ha dato importanza, finchè la morte non lo ha colpito. Nell’aldilà la situazione è capovolta: Lazzaro è nel paradiso, il ricco si trova nell’Ades. In vita il ricco non ha fatto niente per il povero Lazzaro, adesso da morto Lazzaro non può far niente per il ricco, perché fra loro è posta “una grande voragine”. Da vivi il ricco si godeva della vita e Lazzaro soffriva, da morti il ricco soffre a causa del suo egoismo e Lazzaro gode per la sua rettitudine.
Allora il ricco si rivolge al padre Abramo perché mandi Lazzaro ad avvertire i suoi cinque fratelli dei rischi che corrono continuando a vivere una vita simile alla sua. Abramo risponde: “Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli”. Insiste l’ex ricco presso Abramo, ma Abramo gli risponde ancora: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse”. Ecco l’insegnamento centrale; Gesù afferma che tutto si decide qui sulla terra: la nostra vita, la nostra condotta oggi, stabilirà se quella di domani sarà radiosa e piena di felicità oppure se cadrà nel nulla eterno, in una distruzione irrimediabile e definitiva. In questo non può aiutarci un segno particolare proveniente dal cielo. Spesso la generazione di Gesù ha domandato un segno del cielo; tanto essa era indurita nell’incredulità da non distinguere il carattere divino di Cristo (Mt 12:38-39). Un segno sufficientemente grande è la Parola di Dio, Mosè e i Profeti, ecco il segno per eccellenza! Molti vorrebbero annullare la validità dell’Antico Testamento o della Parola di Dio. “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse”.
Questa parabola è il miglior commentario del brano contenuto in 2 Timoteo 3:16: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia”.
Tramite la Bibbia il Signore vuole comunicare con l’uomo e offrirgli una via di scampo al problema del male, della morte. Per credere e aver fiducia in Dio non occorre un miracolo straordinario, un intervento soprannaturale –il nutrimento favorito di una massa di gente la cui fantasia è alimentata dal favoloso, dal meraviglioso, dallo straordinario, e dall’ignoranza della Parola di Dio- ma uno studio attento e personale per interiorizzare il messaggio d’amore.
E’ forse Gesù preoccupato della sorte degli uomini dopo la morte, in questo brano? Certamente no! Né tanto meno Gesù ha voluto presentare un sistema di premi e di punizioni dopo la morte. La difficoltà di questa parabola è che Gesù insegna attraverso un linguaggio di chiara ispirazione a credenze popolari. Si tratta qui della credenza popolare di un grande banchetto, che Abramo e gli altri patriarchi devono presiedere nella vita a venire. C’è da notare che Gesù, altrove, utilizza questa credenza applicandola all’instaurazione escatologica del regno di Dio (Mt 8:11; Lc 13:28,29), e non alla vita che dovrebbe intercorrere tra la morte e l’apparizione di Cristo. Non ci meraviglia per niente che Gesù utilizzi questa credenza: egli è animato dal desiderio di rendere il più chiaro possibile, nella mente dell’uditore, l’importanza dello studio della Parola di Dio “perchè essa rende testimonianza di lui” (Gv 5:39).
Non si può stabilire infine, basandosi su questa parabola, tutta la dottrina della retribuzione dopo la morte o dell’immortalità dell’anima, perché essa tradisce la motivazione profonda per cui Gesù la dice. E’ questo un grave errore di ermeneutica, che dimostra quanto sia complesso leggere la Bibbia senza aver fatto “tabula rasa” delle concezioni filosofiche o delle tradizioni religiose seguite da millenni, anche dalla chiesa romana. Se le parabole dovessero servire per stabilire dei punti dottrinali potremmo dire che non importa la salvezza tramite Cristo, ma è sufficiente il rientrare in sé del figliuol prodigo (Lc 15:11-32); si potrebbe dire che Gesù esalta un comportamento disonesto negli affari (Lc 16:1-9) e che Dio ascolta le nostre preghiere perché noi “gli rompiamo la testa” (Lc 18:1-5).
In questa parabola Gesù incontra i suoi ascoltatori sul loro proprio terreno. La dottrina dello stato cosciente dell’anima umana, tra la morte e la risurrezione, era quella di un buon numero dei suoi ascoltatori (non della Bibbia). Gesù vuole dimostrare che era impossibile assicurarsi la salvezza dopo la morte, che è vano attendere un nuovo tempo di grazia dopo questa vita. Questa vita è il solo tempo accordato all’uomo per prepararsi per l’eternità.
La speranza del cristiano, per quanto riguarda l’avvenire, il destino dell’uomo, non è basata sull’immortalità dell’anima, ma sul meraviglioso messaggio della risurrezione (1 Cor 15:22,23). Basato sul fatto miracoloso, e quindi credibile solo con la fede, della risurrezione di Cristo, come anticipazione della risurrezione finale, il cristiano affronta la morte con la certezza che niente, neanche la morte può separarci dall’amore di Cristo (Rom 8:31-39). Lo stato intermedio tra la morte e la risurrezione è caratterizzato dal sonno della morte. Non si tratta della vita dopo la morte, ma di una morte totale in attesa del risveglio alla voce potente di Cristo (1 Tes 4:13-18).
(Libero adattamento da “L’energia della vita” Ed. ADV- Firenze).

Saluti, Agabo.
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"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
26/12/2004 16:32
 
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Filippesi 1:21-25 n°2.

“21 Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. 22 Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. 23 Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio;24 d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne. 25 Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede,” (Versione CEI).

La versione della CEI traduce in maniera discutibile “sarx” (carne) con “corpo” (che in greco è “soma”). Ecco il testo in greco (sperando che il sistema del forum non formatti i caratteri):

Filippesi 1:21 emoi gar to zên Christos kai to apothanein kerdos.
22 ei de to zên en sarki, touto moi karpos ergou; kai ti hairêsomai ou gnôrizô.
23 sunechomai de ek tôn duo, tên epithumian echôn eis to analusai kai sun Christôi einai, pollôi [gar] mallon kreisson;
24 to de epimenein [en] têi sarki anagkaioteron di' humas.
25 kai touto pepoithôs oida hoti menô kai paramenô pasin humin eis tên humôn prokopên kai charan tês pisteôs,
26 hina to kauchêma humôn perisseuêi en Christôi Iêsou en emoi dia tês emês parousias palin pros humas.

(Nota moderatore: il testo coi caratteri greci non era leggibile e così l'ho sostituito con uno traslitterato)


Ecco come una versione più letterale, la Nuovissima Versione dai testi originali, ed. paoline, rende il nostro testo:

“21Per me infatti vivere è Cristo e il morire un guadagno.22Perché, se continuare a vivere nella CARNE mi frutta lavoro, non so cosa scegliere.23Sono preso da due sentimenti: desidero andarmene ed essere col Cristo, e sarebbe preferibile; 24ma continuare a vivere nella CARNE è più necessario per il vostro bene.”

Sorprendentemente ecco come è commentato questo testo nella Bibbia di Gerusalemme:

“1,23 per essere con Cristo: la morte è, come la vita, una maniera di essere “con” il Cristo (cf. 1 Ts 5,10; Rm 14,8; Col 3,3 ecc.). Paolo non spiega come concepisce questo “guadagno” (v21), questo stato, che egli considera molto migliore (v23), in un’esistenza con Cristo che succede direttamente alla morte senza attendere la risurrezione di tutti (cf 2 Cor 5,8).”

Sorprendente anche il testo Rom 14:8, quale confronto con quello di Filippesi, che secondo Polymetis “non mi sarebbe d’alcun aiuto”

“PAOLO NON SPIEGA…” (!).


Nostra SPIEGAZIONE:
Il cristiano può affrontare la morte senza angoscia. Essa continua certamente a turbarci e ad addolorarci per tutto quello che rappresenta in termini di dolore e di separazione. E’ vero che essa continua ad operare, ma è già stata vinta dalla morte e dalla risurrezione di Cristo. Grazie a Cristo essa sarà un giorno definitivamente distrutta: la morte morirà (1 Cor 15:51-58; Apocalisse 20:14).
Possiamo quindi guardare alla morte con una certa serenità. Possiamo però considerarla addirittura come un guadagno? E in che senso?
Il testo di Filippesi 1 pone due problemi:
1) Paolo vuole dire che morendo possiamo immediatamente incontrare Cristo e ritrovarci con lui nella pienezza del regno di Dio? In tal caso come comprendere quello che lui stesso dice altrove parlando dei morti in Cristo che dormono in attesa del ritorno di Cristo e della risurrezione (1 Tess 4:13-18)?
2) Il non vivere più “nella carne” per essere con Cristo significa forse che Paolo crede nell’esistenza di un’anima immortale distinta dal corpo e che al corpo sopravvive? In tal caso non contraddirebbe tutta la visione biblica che vede l’essere umano come un tutto inseparabile?
L’apostolo stesso crede che l’uomo nella sua interezza si presenterà al suo Creatore (1 Tess 5:23). Oggi anche diversi teologi, pur appartenendo a chiese che sostengono l’immortalità dell’anima e l’immediata ricompensa dei salvati, stanno ritornando alla visione biblica dell’uomo e della morte. Oltre al già citato in questo 3d, O. Cullmann, Hans Kung (di formazione teologica cattolica), per esempio, scrive che “l’uomo muore come totalità, con il corpo e l’anima, come unità psicosomatica” (H. Kung- “Vita eterna?”- Mondatori p. 181).
Che cosa vuole dire l’apostolo Paolo? Innanzitutto per lui “carne” non equivale a “corpo”. La sua speranza non è quella di andare a Cristo senza un corpo, ma con un corpo trasformato e incorruttibile (1 Cor 15:52-52). “Carne” indica semplicemente la totalità della natura umana nella sua debolezza e corruzione provocata dal peccato. E’ così che egli può parlare di “savi secondo la carne” (1 Cor 1:26) o di giudizi dati “secondo la carne” (2 Cor 1:17). Il riferimento è alla realtà di uomini che vivono lontano da Dio a differenza di quelli che vivono ed operano “secondo lo spirito” (Rom 8:4). Non è che questi ultimi non abbiano un corpo: vivono però in una corretta relazione con Dio, godendo già ora di quella realtà dove tutto sarà “spirituale”, cioè conforme allo Spirito di Dio.
Questo essere nella carne è caratteristico, per Paolo della nostra esperienza attuale dove, l’ingiustizia, la violenza, il peccato, la sofferenza e la morte dominano sovrani (Rom 8:22). Anch’egli ne sente il peso ed è stanco di portarlo. Questa sua fatica è del tutto comprensibile se si pensa che egli scrive da Roma mentre si trova in prigione rischiando la condanna a morte per aver predicato l’amore di Dio. Vorrebbe così smettere le sue lotte e riposarsi per essere poi accolto nel regno di Dio.
Paolo parla della sua possibile morte come una via per “essere con Cristo”. Studiosi identificano questo “essere con Cristo” con il momento del ritorno di Cristo. In questa prospettiva Paolo avrebbe dovuto aspettare un certo tempo per essere con il suo Signore. Egli lo sa bene e lo dice in tanti altri posti. Ma sa anche che il sonno della morte è anche uno stato di incoscienza in cui lo scorrere del tempo non viene più percepito. Rispetto al credente che dorme nell’attesa della risurrezione il tempo non esiste più e la morte è come seguita dalla resurrezione e dall’abbraccio del proprio Redentore.
La certezza della fede rende presente e vivo il futuro. E’ per questo che Paolo può descrivere i credenti attuali non solo come chiamati, ma addirittura come glorificati (Rom 8:29,30).

Significative sono queste parole di Paolo:
Romani 8:22: “Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; 23 non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo.24 Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? 25 Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con pazienza.”

Ancora una volta sentiamo l’apostolo che esprime la speranza della “redenzione del corpo”: niente che alluda a una possibilità “intermedia” che si frappone tra la morte e la risurrezione. Il credente “aspetta con pazienza” la salvezza, che ora è in “speranza”, allora sarà reale.

Romani 8:9 “Voi però non siete nella carne ma nello Spirito, se lo Spirito di Dio abita veramente in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non appartiene a lui. 10 Ma se Cristo è in voi, nonostante il corpo sia morto a causa del peccato, lo Spirito dà vita a causa della giustificazione.11 Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.”

Daniele 12:13 Tu avviati verso la fine; tu ti riposerai e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei tempi».

2Timoteo 4:8 Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione.

Giacomo 1:12 Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.

1Pietro 5:4 E quando apparirà il supremo pastore, riceverete la corona della gloria che non appassisce.(libero adattamento da “L’energia della vita” Ed. ADV- Firenze).

Saluti, Agabo.

[Modificato da Polymetis 26/12/2004 23.37]

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26/12/2004 17:30
 
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Scritto da: Achille Lorenzi 26/12/2004 9.55
Agabo ha scritto:

La mia interpretazione di alcuni passi di tale opuscolo potrebbe non riflettere il pensiero vero dell'autore, specialmente perchè egli stesso non ha chiarito più di tanto alcune sue affermazioni.

A me sembra evidente che tu esprimi delle opinioni personali che non trovano riscontro nel testo di Cullmann; e lo fai anche in questa tua risposta.


R. Da quanto in qua l'ammettere francamente di non aver compreso con certezza il pensiero di un certo autore in alcune sue affermazioni viene visto come cosa riprovevole?

Ora se tu ritieni che Cullmann non sia stato sufficientemente chiaro (ma io non sono d'accordo), credo che non dovresti sbilanciarti in illazioni e deduzioni: anche questo sarebbe un modo per cercare far dire a qualcuno quello che non ha detto...[QUOTE]

R. Per avventurarsi in una simile affermazione occorre fare una scommessa sul passato, presente e futuro. Sicuro che tu sia esente da questo rischio? Lo vedremo...

Riguardo al tuo ultimo intervento, potrebbe essere utile fare una precisazione: una tesi (perchè di TESI si tratta dal momento che si parla dello "stato intermedio", cioè, di un aspetto dello stato dei morti del quale si suppone l'esistenza, ma che la Bibbia non dice niente)come quella prospettata da Cullmann e non da lui soltanto, come ho già fatto rilevare, è già una tesi che soddisfa parecchio il significato di alcuni testi biblici. Ma, occorre riconoscere che essa è tutt'altra cosa che l'immortalità dell'anima. E Cullmann non sostiene l'immortalità dell'anima.




Questo lo abbiamo capito. Tuttavia Cullmann non sostiene nemmeno che alla morte cessi del tutto qualsiasi forma di esistenza, almeno per i credenti. Cullmann riconosce che anche secondo la concezione vetero testamentaria i morti continuavano ad avere una specie di esistenza come "ombre nello sheol", esistenza che, se non si poteva definire vita nel pieno senso del termine, non era nemmeno inesistenza nel pieno senso del termine.


R. Vedi Achille, io ho avuto il pudore di ammettere che questa affermazione mi è oscura, per la semplice ragione, come ha affermato una volta lo stesso Polymetis, "o si è vivi, o si è morti". Quindi, parlare di un'esistenza che non è una vera esistenza, per me non ha senso. Però, se tu hai capito che cosa intendesse Cullmann con tale espressione, puoi sempre illuminarci ... Aspettiamo la tua spiegazione.


Cullmann nel suo libro non esprime solo delle ipotesi. E' molto chiaro e preciso nel parlare della realtà dello "stato intermedio":
«Che dunque nel Nuovo Testamento si prevede questo tempo intermedio per i morti come per i vivi, è un fatto difficile da contestare. Tuttavia, non troviamo speculazioni riguardanti lo stato dei morti in quel periodo» (pp. 49,50).
Nella nota su questa frase si legge:
«Tale discrezione non deve però essere per noi una ragione per sopprimere lo stato intermedio in quanto tale. Non comprendiamo perché certi teologi protestanti (come pure K, Barth) abbiano al proposito tante esitazioni, mentre il Nuovo Testamento ci insegna semplicemente questo: 1) che questo stato esiste, 2) che significa già comunione con Cristo (in virtù dello Spirito santo) In nessun luogo si parla di purgatorio» (p. 50, il grassetto è mio).
Quindi, è chiaro che Cullmann non ha incertezze, anzi non riesce a comprendere come mai certi teologi protestanti siano così esitanti ad accettare ciò che, secondo lui, viene insegnato tanto chiaramente nel NT.



R. "Cullmann ... non esprime solo delle ipotesi" sono d'accordo, anzi egli fa anche delle affermazioni perentorie (e coraggiose, anche: parte del mondo protestante lo ha ammirato per questo e io stesso lo apprezzo per i suoi scritti da almeno 30 anni!). Ma, vedi, quando una dottrina non è definita chiaramente nelle Scritture come invece lo è p.e. quella del ritorno di Cristo in gloria, la risurrezione dei morti, la giustificazione per fede, ecc., quello che dice un teologo, ALMENO PER ME E PER MOLTISSIMI ALTRI, sono solo delle ipotesi. Cullmann è un teologo rispettabile, ma non è un apostolo ispirato. Comprendi la differenza?
Se lo stesso Cullmann non si spiega perché altri suoi colleghi protestanti non la vedono esattamente come la vede lui sullo "stato intermedio", una ragione ci dev'essere. Benchè io apprezzi molto più le TESI di Cullmann che quelle di altri suoi colleghi, non significa che ritenga i detti di Cullmann DEFINITIVI su un dato argomento.


Desidero anche far notare, date le suaccennate condizioni di pressioni emotive, che Cullmann parla di "sonno" nel senso biblico e di "vita d'ombra" che non sarebbe nemmeno "vera vita".

Parla di "vita d'ombra" in riferimento alla concezione del VT. Nel NT sarebbe avvenuto un cambiamento sotto questo aspetto. La "vita d'ombra" (che è pur sempre "vita") si trasforma per i credenti in vicinanza con Cristo, in un "sonno" che Cullmann non considera comunque privo di ogni consapevolezza. Nella sua Prefazione, alle pp. 12 e 13, ecco come descrive lo stato di "sonno" di coloro che sono morti "in Cristo":
«A coloro che trovano assolutamente inaccettabile quest'idea del 'sonno', saremmo tentati di domandare, abbandonando allora del tutto il piano dell'esegesi che è quello del nostro studio, se è mai loro accaduto di fare, dormendo, un sogno meraviglioso, che li abbia resi più felici di qualsiasi esperienza, sebbene non abbiano fatto che dormire. Questa potrebbe essere un'immagine, certo imperfetta, per illustrare lo stato d'anticipazione nel quale, secondo San Paolo, si trovano i morti in Cristo durante il loro 'sonno', in attesa della resurrezione del corpo».

Per mio conto egli con tali giri di parole stava attenuando il colpo che stava sferrando contro la tesi dell'immortalità dell'anima, ed ha usato un po' di riguardo nei confronti dei semplici ma sinceri credenti.

Cullmann non aveva alcuna intenzione di "addolcire la pillola" ai suoi lettori, infatti subito dopo aggiunge:
«Tuttavia non intendiamo eliminare lo 'scandalo', attenuando ciò che abbiamo detto del carattere provvisorio e ancora imperfetto di quello stato. Resta che, secondo i primi cristiani, la vita piena e vera della resurrezione non è concepibile senza il corpo nuovo, senza il 'corpo spirituale' di cui i morti saranno rivestiti quando il cielo e la terra saranno creati di nuovo» (p.13, grassetto aggiunto).
Di nuovo si nota che Cullmann parla di "vita piena e vera", ma non dice che prima della resurrezione vi sia semplicemente il nulla, l'inesistenza. Visto che, contrariamente alle tue supposizioni, Cullmann dice che non intendeva attenuare lo 'scandalo', non c'era quindi alcun bisogno che parlasse così ampiamente di questo "stato intermedio" in cui le "anime" dei credenti, risorte per opera dello Spirito Santo, continuano a vivere, seppure in una vita "imperfetta"ed "incompleta".


R. Scusami, ma di che cosa stiamo discutendo? Se dopo la morte c'è una qualsiasi forma di vita, prima della risurrezione, significa che che la persona non ha mai cessato veramente di vivere. E' un altro modo di dire che l'anima è immortale? Ripeto: "O si è vivi oppure si è morti" MA SUL SERIO, NON CON SPECULAZIONI FILOSOFICHE - TEOLOGICHE. Parlare di "vita imperfetta e incompleta" non ha senso per l'uomo della Bibbia.
Di due cose sono convinto riguardo a Cullmann: che per lui l'anima non è immortale e che la vita piena e perfetta la si ha col dono di un corpo perfetto alla risurrezione. Il resto non lo comprendo. E mi pare che anche Cullmann usi metafore "per addolcire la pillola" come quello del "sogno". Sono d'accordo con te nel dire che non ha avuto riserve e non ha praticato sconti, ma ritengo che questo atteggiamento lo abbia avuto nei confronti dei teologi che "nicchiano"; ma sono tuttora convinto che qualche riguardo lo abbia usato invece verso i semplici.


E' chiaro quindi che la credenza secondo cui alla morte cesserebbe del tutto qualsiasi esistenza consapevole non è condivisa ed insegnata da Cullmann.

R. Bene. Ora, se le ipotesi di Cullmann aderissero perfettamente all'insegnamento biblico, tu, Achille, le condivideresti?

Saluti, Agabo.
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27/12/2004 01:47
 
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E’ incredibile che io stia passando la mia serata rispondendo a simili argomentazioni. Avrei dovuto evitare di replicare dopo aver scoperto che, per la seconda volta, il testo è copiato da questo sito: http://www.liberi.it/pbAreaCode/viewmess.cfm?mss_cnl=118&id_mss=13988&mss_thread=13888&start=17
Naturalmente mi dirai che anche questo sito (per la seconda volta), ha preso le informazioni dal tuo stesso libro, ossia: “L’energia della vita” Ed. ADV- Firenze. Non so voi amici, ma francamente è come andare a prendere un libro sulle piramidi egizie alle edizioni Mediterranee… Ho controllato chi fosse questo sconosciuto editore ADV, certo del valore accademico e superlativo dei suoi libri, un po’ come quelli di Mario Pincherle che trovate alla Macro Edizioni (perché, si sa, quando non si occupano di stregoneria o di ufologia trattano di Bibbia). Nel nostro caso questo editore ADV pubblica titoli di una tale serietà che voglio farvene partecipi, perché sono dei punti di riferimento nell’esegesi contemporanea:
“-Mangiarsano. Ricette vegetariane per la nostra tavola ”
“-Salvi per miracolo. Come essere felici e fiduciosi anche quando il futuro è incerto
“-Scegliere. Comprare la qualità al giusto prezzo. Mangiare, vestire, curarsi, lavarsi, abitare, arredare, pulire, viaggiare, investire per il proprio benessere
“-Uscire dal fumo ”
“-Viaggio nel soprannaturale ”

In un primo momento vedendo questi titoli ho pensato che fosse una pacchiana casa editrice New Age, qualcosa che aiuti a curarsi con erbe, cristalli, vibrazioni positive e sciocchezze simili.. poi però vidi una quantità incredibile di titoli incentrata sulle profezie bibliche, e infine un titolo davvero rivelatore: “Manuale di Chiesa dell'Unione delle Chiese cristiane avventiste del 7º giorno ”
Avevo scoperto che si trattava di una casa editrice avventista, la quale, come si sa, non vanta certo esegeti usciti dall’École biblique de Jérusalem o dall’Università di Tubinga… Ma, giacché mi sono ripromesso di non giudicare male dei testi solo perché scritti da autore sconosciuto e pubblicati da casa editrice sconosciuta, analizzerò il documento proposto da Agabo:

“Ci troviamo di fronte a una parabola. La parabola è un racconto, il più delle volte fittizio, che Gesù utilizza per fotografare nella mente dell’ascoltatore un messaggio particolare. Per molti secoli ha prevalso l’interpretazione allegorica della parabola, in cui ogni dettaglio aveva il suo significato, ma nel secolo scorso, Adolf Julicher ha demolito questo modo di interpretare sostenendo che nella parabola c’è un pensiero centrale che va messo in risalto. Egli sosteneva con vigore che nella parabola vera e propria un solo punto è pertinente all’insegnamento che vuole impartire o illustrare, mentre i particolari servono unicamente a dare chiarezza o vivacità al racconto, a renderlo più incisivo e credibile; perciò non vanno interpretati come se avessero tutti un significato metaforico, ma devono guidare l’ascoltatore a trovare il punto centrale, la situazione che si riferisce alla sua esistenza e alla sua condotta . Per interpretare correttamente una parabola bisogna seguire quattro linee fondamentali:
a) Comprendere il pensiero centrale senza lasciarci offuscare dai dettagli
b) Tenere conto del contesto immediatamente prima e dopo la parabola
c) Fare concordare la spiegazione con il testo senza violentarlo
d) Evitare di stabilire un insegnamento dogmatico partendo da una parabola”

Completamente d’accordo.

“Da vivi il ricco si godeva della vita e Lazzaro soffriva, da morti il ricco soffre a causa del suo egoismo e Lazzaro gode per la sua rettitudine.
Allora il ricco si rivolge al padre Abramo perché mandi Lazzaro ad avvertire i suoi cinque fratelli dei rischi che corrono continuando a vivere una vita simile alla sua. Abramo risponde: “Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli”. Insiste l’ex ricco presso Abramo, ma Abramo gli risponde ancora: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse”. Ecco l’insegnamento centrale; Gesù afferma che tutto si decide qui sulla terra: la nostra vita, la nostra condotta oggi, stabilirà se quella di domani sarà radiosa e piena di felicità oppure se cadrà nel nulla eterno, in una distruzione irrimediabile e definitiva.”

E’ incredibile come dopo la parabola del ricco epulone la conclusione sia “la nostra vita, la nostra condotta oggi, stabilirà se quella di domani sarà radiosa e piena di felicità oppure se cadrà nel nulla eterno”. Uno stravolgimento notevole. Faccio appoggio agli stessi principi enunciati dal beato ignoto che citi: “nella parabola c’è un pensiero centrale che va messo in risalto.”
Ora, incredibile ma vero, tutta la parabola insiste sulla separazione nell’oltretomba tra il ricco epulone e Lazzaro, il campo semantico ruota incessantemente sui termini che calcano la distanza tra i due. Tutta la parabola è costruita in modo speculare per mettere in rilievo la differenza di condizioni tra i due individui. Un banale analisi con quadrati semiotici (che insegnano solo nelle università serie e non nelle settuncole fondamentaliste americane) mostra chiaramente che tutti i concetti vertono su questi temi. E invece cosa fa il nostro bravo pastore avventista? Scarta il 99,9% della parabola e si appoggia solo sulla frase finale. Ma, anche lasciandogli passare questa selezione assolutamente fuori da ogni logica, sentite che cosa ricava dall’unica frase che prende in considerazione: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse”. Ecco l’insegnamento centrale; Gesù afferma che tutto si decide qui sulla terra”. Non so voi ma io ho un capogiro, perché qui Gesù sta affermando ben altro. Non che tutto si decide sulla terra (il che è vero ma lo insegna altrove), bensì che Dio ha dato agli uomini gli strumenti per salvarli con la legge di Mosè. Come commenta la TOB: “il segno più decisivo per provocare la fede non è il più sensazionale dei miracoli, ma la Scrittura (cf. 24,27.44), cioè la coerenza del messaggio rivelato”
Gesù indica agli uomini la via della salvezza (come giustamente il nostro avventista ignoto sottolinea), ma tutta la parabola è giocata sul capovolgimento della situazione in vita, su premi e punizioni, e particolarmente insistita è l’irrimediabile separazione tra uno stato e l’altro “tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi” (16,26)

“Questa parabola è il miglior commentario del brano contenuto in 2 Timoteo 3:16: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia”.”

Siamo d’accordo, il problema è che è ANCHE questo, non SOLO questo. Et Et, non aut aut.

"La difficoltà di questa parabola è che Gesù insegna attraverso un linguaggio di chiara ispirazione a credenze popolari. Si tratta qui della credenza popolare di un grande banchetto, che Abramo e gli altri patriarchi devono presiedere nella vita a venire.”

Un altro salto logico clamoroso. Credenza popolare non vuol dire credenza fasulla, né vuol dire che Gesù non vi aderisse. (Visto che da tre secoli ormai gli unici a non credere ad una qualche vita dopo la morte erano rimasti solo i sadducei, mentre il resto del popolo aveva questa convinzione). Quella del “banchetto messianico” con i patriarchi non è l’immagine inventata da qualche setta “popolare”, la troviamo anche in Isaia (25,6). Gesù la usa come metafora del banchetto celeste.

“C’è da notare che Gesù, altrove, utilizza questa credenza applicandola all’instaurazione escatologica del regno di Dio (Mt 8:11; Lc 13:28,29), e non alla vita che dovrebbe intercorrere tra la morte e l’apparizione di Cristo”

Semplicemente è applicata in una grande quantità di contesti diversi, sia per l’arrivo del messia (in ambito vetero-testamentario), sia per la resurrezione, sia (come qui) per il paradiso. Questa mania di limitare le cose ad un solo significato promette male.

“Non ci meraviglia per niente che Gesù utilizzi questa credenza: egli è animato dal desiderio di rendere il più chiaro possibile, nella mente dell’uditore, l’importanza dello studio della Parola di Dio “perchè essa rende testimonianza di lui” (Gv 5:39).”

Congratulazioni, come dire che Gesù usa credenze false (per il 99,9% della parabola), per instillare il vero. Peccato che questo loro assunto sia da dimostrare.

“Non si può stabilire infine, basandosi su questa parabola, tutta la dottrina della retribuzione dopo la morte o dell’immortalità dell’anima, perché essa tradisce la motivazione profonda per cui Gesù la dice. E’ questo un grave errore di ermeneutica, che dimostra quanto sia complesso leggere la Bibbia senza aver fatto “tabula rasa” delle concezioni filosofiche o delle tradizioni religiose seguite da millenni, anche dalla chiesa romana.”

Costui l’ermeneutica non sa neppure cosa sia, visto che ha la mania di riportare tutto il Vangelo all’Antico Testamento.

E’ 1.44 AM, e per stanotte ne ho davvero abbastanza di scrivere. Rimanderò il resto a domani.

A presto
---------------------
Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
28/12/2004 09:56
 
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Agabo ha scritto:

Da quanto in qua l'ammettere francamente di non aver compreso con certezza il pensiero di un certo autore in alcune sue affermazioni viene visto come cosa riprovevole?

Non mi pare di averti ripreso per aver ammesso di non aver capito qualcosa. Riprovevole semmai è citare consapevolmente in maniera incompleta, oppure in maniera tale da stravolgere il senso di quello che un autore ha effettivamante detto. Ma non è questo il caso.

Per avventurarsi in una simile affermazione occorre fare una scommessa sul passato, presente e futuro. Sicuro che tu sia esente da questo rischio? Lo vedremo...

Cos'è, una minaccia? [SM=g27817] Io non ho mai presteso di essere immune da tali rischi. Anch'io sicuramente mi sarò qualche volta sbilanciato in illazioni ed in affermazioni imprecise. E allora? Capita a tutti.

Vedi Achille, io ho avuto il pudore di ammettere che questa affermazione mi è oscura, per la semplice ragione, come ha affermato una volta lo stesso Polymetis, "o si è vivi, o si è morti". Quindi, parlare di un'esistenza che non è una vera esistenza, per me non ha senso. Però, se tu hai capito che cosa intendesse Cullmann con tale espressione, puoi sempre illuminarci ... Aspettiamo la tua spiegazione.

Non comprendo il motivo di questo tuo... sarcasmo... Io non mi ritengo certo un teologo o un profondo conoscitore della Bibbia.
Quello che comunque ho compreso bene è che Cullmann non sostiene che esiste il nulla assoluto dopo la morte. Questo è chiaramente scritto nel suo libro. Cullmann non spiega perché è la Bibbia che non spiega. Questa è la sua posizione. Cullmann comprende che ci sono passi che non si possono comprendere senza ammettere una qualche esistenza consapevole dopo la morte, però non si sbilancia in illazioni su questo "stato intemedio", stato su cui appunto, secondo Cullmann, la Scrittura non dice nulla.
E la Bibbia stessa quindi che non permetterebbe di dare una risposta chiara all'argomento. Se la Scrittura infatti fosse assolutamente chiara su questo punto non esisterebbero opinioni contrastanti su quella che sarà la sorte ultraterrena.

...Se lo stesso Cullmann non si spiega perché altri suoi colleghi protestanti non la vedono esattamente come la vede lui sullo "stato intermedio", una ragione ci dev'essere. Benchè io apprezzi molto più le TESI di Cullmann che quelle di altri suoi colleghi, non significa che ritenga i detti di Cullmann DEFINITIVI su un dato argomento.

Allora forse sarebbe il caso di non citare un autore che esprime delle idee così confuse ed incerte...[SM=g27822]

Scusami, ma di che cosa stiamo discutendo? Se dopo la morte c'è una qualsiasi forma di vita, prima della risurrezione, significa che che la persona non ha mai cessato veramente di vivere. E' un altro modo di dire che l'anima è immortale?

Cullmann non dice proprio questo ma, come ho già scritto in un messaggio precedente, afferma che vi sia almeno un avvicinamento alla dottrna greca: «Ci si potrebbe chiedere se a questo modo non ci troviamo ancora ricondotti alla dottrina greca dell'immortalità dell'anima, e se il NT non presupponga, per il tempo dopo la Pasqua, una continuità dell''uomo interiore', del cristiano convertito, prima e dopo la morte, in modo che la morte non rappresenti anche qui che un 'passaggio naturale'. Entro certi limiti ci avviciniamo in effetti alla dottrina greca, nel senso che l'uomo interiore trasformato, vivificato dallo Spirito Santo sin da prima (Rom. 6:3), continua a vivere, così trasformato, accanto a Cristo nello stato di sonno. Questa continuità di vita in ispirito è sottolineata particolarmente dall'evangelo giovanneo (Io. 3,36; 4,14; 6,54 passim). Qui intravediamo almeno una certa analogia per quanto riguarda l'immortalità dell'anima».

Cullmann aggiunge: «E tuttavia la differenza rimane radicale: lo stato dei morti resta uno stato imperfetto, di nudità, come dice san Paolo, di sonno, d'attesa della resurrezione di tutta la creazione, della resurezione del corpo; e d'altra parte la morte resta la Nemica che, pur essendo vinta, deve ancora essere distrutta. Se i morti, anche in quello stato, vivono già accanto a Cristo, ciò non è in rapporto con la natura dell'anima, ma è la conseguenza di un intervento divino che ha agito dall'estreno mediante la morte e la resurrezione di Cristo, mediante lo Spirito Santo che ha resuscitato l'uomo interiore, con la sua potenza miracolosa, già durante la vita terrena, prima della morte» (pp. 54,55, il grassetto è mio).
Cullmann sostiene quindi che lo Spirito Santo ha reso vivente l'"uomo interiore" (o "anima") dei credenti mentre essi erano ancora nella carne e che tale "vita" continua anche dopo la morte del loro corpo fisico.

... Ripeto: "O si è vivi oppure si è morti" MA SUL SERIO, NON CON SPECULAZIONI FILOSOFICHE - TEOLOGICHE. Parlare di "vita imperfetta e incompleta" non ha senso per l'uomo della Bibbia.

Questo dovresti dirlo a Cullmann, teologo che tu hai citato.

Ora, se le ipotesi di Cullmann aderissero perfettamente all'insegnamento biblico, tu, Achille, le condivideresti?

Contrariamente a quello che tu puoi pensare sul mio conto, ti faccio notare che io sono disposto a condividere e ad accettare tutto ciò che ritengo essere vero, giusto, corretto, valido, dimostrato..., ecc.
Però mi chiedo: qual è il 'perfetto insegnamento biblico'?
Ho conosciuto troppe persone più che convinte di aver compreso perfettamente l'insegnamento biblico...
Per ora sono convinto che la Bibbia da sola non permetta in molti casi di arrivare a conclusioni assolute, certe e definitive.
Lo dimostrano fra l'altro le migliaia di "sette" cristiane che tutte affermano di aderire in maniera più che corretta al "perfetto insegnamento biblico".

Saluti
Achille

[Modificato da Achille Lorenzi 28/12/2004 10.06]

28/12/2004 23:24
 
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Scritto da: Polymetis 27/12/2004 1.47
E’ incredibile che io stia passando la mia serata rispondendo a simili argomentazioni. Avrei dovuto evitare di replicare dopo aver scoperto che, per la seconda volta, il testo è copiato da questo sito: http://www.liberi.it/pbAreaCode/viewmess.cfm?mss_cnl=118&id_mss=13988&mss_thread=13888&start=17


Polymetis,
... e per la seconda (o quarta?) volta sono costretto a dirti che non ho tempo da dedicare a internet e che faccio già fatica a trovarlo per condurre questa discussione. I testi che tu trovi fanno parte di una "settucola" che ha rappresentanti presso l'ONU, l'UNESCO, che gestisce fior di Università e scuole d'ogni livello, oltre ad essere la seconda Organizzazione religiosa, dopo quella cattolica, a gestire anche un considerevole patrimonio di risorse umane e materiali in tutto il mondo nell’assistenza umanitaria. L'unica Denominazione non cattolica IN CRESCITA se si fa eccezione di quelle alle quali si aderisce senza passare da una accettazione adulta e formale, attraverso il battesimo (battesimo agli adulti, s'intende!)
Comunque, nessuno ti costringe a rispondermi, ma ho il presentimento che continuerai a farlo: l'evidente fastidio che trasudano le tue parole tradisce qualcosa di più di ciò che vuoi nascondere dietro questo tuo atteggiamento sarcastico.



>>> "Naturalmente mi dirai che anche questo sito (per la seconda volta), ha preso le informazioni dal tuo stesso libro, ossia: “L’energia della vita” Ed. ADV- Firenze. Non so voi amici, ma francamente è come andare a prendere un libro sulle piramidi egizie alle edizioni Mediterranee… Ho controllato chi fosse questo sconosciuto editore ADV, certo del valore accademico e superlativo dei suoi libri, un po’ come quelli di Mario Pincherle che trovate alla Macro Edizioni (perché, si sa, quando non si occupano di stregoneria o di ufologia trattano di Bibbia). Nel nostro caso questo editore ADV pubblica titoli di una tale serietà che voglio farvene partecipi, perché sono dei punti di riferimento nell’esegesi contemporanea:
“-Mangiarsano. Ricette vegetariane per la nostra tavola ”
“-Salvi per miracolo. Come essere felici e fiduciosi anche quando il futuro è incerto
“-Scegliere. Comprare la qualità al giusto prezzo. Mangiare, vestire, curarsi, lavarsi, abitare, arredare, pulire, viaggiare, investire per il proprio benessere
“-Uscire dal fumo ”
“-Viaggio nel soprannaturale ”


R. La tua malafede (o disinformazione?) è evidente. Beh, se vuoi, posso sempre spedirti un elenco completo delle nostre pubblicazioni in italiano. Se tu fossi un tantino più informato sapresti che la mole di pubblicazioni a livello internazionale è più vasta di quello che la tua prevenzione potrà mai farti comprendere, che i nostri "pastori" sono tutti laureati e molti insegnano in università laiche o "confessionali", che in tempi meno ecumenici, il primo pastore che si sia mai laureato alla Gregoriana (Roma) ed ha ricevuto una medaglia d'oro da Papa Paolo VI quale riconoscimento per il sua tesi di Laurea fu proprio un nostro pastore.

Quanto alla tua ironia da quattro soldi, io sono un assiduo frequentatore e di librerie cattoliche (Paoline, LDC ecc.) e vi spendo parecchi soldi. Non ti faccio una lista di titoli, oltre a quelli indubbiamente seri, che sono da "cassetta" e che, pur di vendere, sporcano pagine con ogni genere d'immondizia!

Non vorrei si trascendesse. Già una volta, all'inizio, ti rivolsi un appello al rispetto e alla decenza. Non ascoltato, naturalmente. Ma se vuoi proprio far scadere il tono di questo dibattito, accomodati: hai trovato qualcuno che è tutt'altro che remissivo: su ogni tuo colpo saprò ben calibrare i miei.


>>> "In un primo momento vedendo questi titoli ho pensato che fosse una pacchiana casa editrice New Age, qualcosa che aiuti a curarsi con erbe, cristalli, vibrazioni positive e sciocchezze simili.. poi però vidi una quantità incredibile di titoli incentrata sulle profezie bibliche, e infine un titolo davvero rivelatore: “Manuale di Chiesa dell'Unione delle Chiese cristiane avventiste del 7º giorno ”
Avevo scoperto che si trattava di una casa editrice avventista, la quale, come si sa, non vanta certo esegeti usciti dall’École biblique de Jérusalem o dall’Università di Tubinga… Ma, giacché mi sono ripromesso di non giudicare male dei testi solo perché scritti da autore sconosciuto e pubblicati da casa editrice sconosciuta, analizzerò il documento proposto da Agabo:"


R. E' evidente che sta per scoppiarti la bile, come è evidente che non sai nulla della formazione dei nostri pastori. Ti ho già scritto di uno che si è laureato a pieni voti alla Gregoriana. Se pensi che le nostre Università siano fatte "a misura" per i nostri pastori, scordatelo, e scordati anche, se mai t'è venuto in mente che per essere pastori Avventisti sia necessario formarsi presso Università avventiste.
A proposito di “Tubinga”, al tuo posto ci rifletterei prima di nominarla: un certo Hans Kung vi ha messo una tal quantità di carboni sotto le fondamenta, che ne avrete per un bel po’.



>>> "E’ incredibile come dopo la parabola del ricco epulone la conclusione sia “la nostra vita, la nostra condotta oggi, stabilirà se quella di domani sarà radiosa e piena di felicità oppure se cadrà nel nulla eterno”. Uno stravolgimento notevole. Faccio appoggio agli stessi principi enunciati dal beato ignoto che citi: “nella parabola c’è un pensiero centrale che va messo in risalto.”

R. La sola cosa di "incredibile" è come si possa fondare soprattutto su una parabola la dottrina dell'immortalità dell'anima, perchè, vedi, sugli altri testi le mie argomentazioni te le ho fatte servire da teologi cattolici, proprio per toglierti il gusto di criticarle. Infatti il tuo silenzio, per esempio, sul commento a 2 Cor. 5:1-9 è molto eloquente!

>>> "Ora, incredibile ma vero, tutta la parabola insiste sulla separazione nell’oltretomba tra il ricco epulone e Lazzaro, il campo semantico ruota incessantemente sui termini che calcano la distanza tra i due. Tutta la parabola è costruita in modo speculare per mettere in rilievo la differenza di condizioni tra i due individui. Un banale analisi con quadrati semiotici (che insegnano solo nelle università serie e non nelle settuncole fondamentaliste americane) mostra chiaramente che tutti i concetti vertono su questi temi. E invece cosa fa il nostro bravo pastore avventista? Scarta il 99,9% della parabola e si appoggia solo sulla frase finale. Ma, anche lasciandogli passare questa selezione assolutamente fuori da ogni logica, sentite che cosa ricava dall’unica frase che prende in considerazione: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse”."

R: Stasera non ho tempo (guarda l'ora del mio post). Ma presto ti farò vedere come certa tradizione cattolica interpreta alcune parabole.
La tua bocca vomita espressioni come "settucole", "fondamentalisti" ecc. Ma se la maggioranza dei prelati cattolici ancora oggi non sa che cosa sia veramente una pagina delle Scritture! Speri, forse, che facendone sfoggio la tua cultura possa gettare un manto pietoso sull’ignoranza biblica che esiste non solo tra i laici cattolici, ma anche ai vari livelli gerarchici?



>>> "Ecco l’insegnamento centrale; Gesù afferma che tutto si decide qui sulla terra”. Non so voi ma io ho un capogiro, perché qui Gesù sta affermando ben altro. Non che tutto si decide sulla terra (il che è vero ma lo insegna altrove), bensì che Dio ha dato agli uomini gli strumenti per salvarli con la legge di Mosè. Come commenta la TOB: “il segno più decisivo per provocare la fede non è il più sensazionale dei miracoli, ma la Scrittura (cf. 24,27.44), cioè la coerenza del messaggio rivelato”
Gesù indica agli uomini la via della salvezza (come giustamente il nostro avventista ignoto sottolinea), ma tutta la parabola è giocata sul capovolgimento della situazione in vita, su premi e punizioni, e particolarmente insistita è l’irrimediabile separazione tra uno stato e l’altro “tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi” (16,26)"


R: Già, peccato per te che io leggo anche pubblicazioni cattoliche. L'Enciclopedia della Bibbia della Piemme dedica ben 6 colonne al lemma "parabola", Leggitelo, avrai alcune sorprese!



"La difficoltà di questa parabola è che Gesù insegna attraverso un linguaggio di chiara ispirazione a credenze popolari. Si tratta qui della credenza popolare di un grande banchetto, che Abramo e gli altri patriarchi devono presiedere nella vita a venire.”

>>> "Un altro salto logico clamoroso. Credenza popolare non vuol dire credenza fasulla, né vuol dire che Gesù non vi aderisse. (Visto che da tre secoli ormai gli unici a non credere ad una qualche vita dopo la morte erano rimasti solo i sadducei, mentre il resto del popolo aveva questa convinzione). Quella del “banchetto messianico” con i patriarchi non è l’immagine inventata da qualche setta “popolare”, la troviamo anche in Isaia (25,6). Gesù la usa come metafora del banchetto celeste."

R. "Credenza popolare" per noi non è lo stesso che "Parola ispirata". Sul perché Cristo se ne sia servita, noi possiamo fare solo delle supposizioni. Le nostre non ti piacciono? Porta pazienza! Sapessi quante cose non ci piacciono della dottrina cattolica ... e mica vi processiamo, no?


>>> " “Non ci meraviglia per niente che Gesù utilizzi questa credenza: egli è animato dal desiderio di rendere il più chiaro possibile, nella mente dell’uditore, l’importanza dello studio della Parola di Dio “perchè essa rende testimonianza di lui” (Gv 5:39).” "

Congratulazioni, come dire che Gesù usa credenze false (per il 99,9% della parabola), per instillare il vero. Peccato che questo loro assunto sia da dimostrare.


R. Questa parabola lascia perplessi una gran quantità di esegeti d'ogni estrazione denominazionale e vi sono prove che parabole del genere ne circolavano più d'una. Lo stesso Flavio, come ti ho già ricordato (ma tu fai "orecchio da mercante") le ha definite "fiabe" ed ha aggiunto che egli personalmente non credeva alle “anime nell'ades” come ci credevano al contrario gli esseni presso i quali certe leggende circolavano.. Ripeto, possiamo fare solo delle supposizioni circa gli scopi avuti da Gesù, Magistero cattolico permettendo. Ma questo è un tuo problema.

<<< "“Non si può stabilire infine, basandosi su questa parabola, tutta la dottrina della retribuzione dopo la morte o dell’immortalità dell’anima, perché essa tradisce la motivazione profonda per cui Gesù la dice. E’ questo un grave errore di ermeneutica, che dimostra quanto sia complesso leggere la Bibbia senza aver fatto “tabula rasa” delle concezioni filosofiche o delle tradizioni religiose seguite da millenni, anche dalla chiesa romana.”

Costui l’ermeneutica non sa neppure cosa sia, visto che ha la mania di riportare tutto il Vangelo all’Antico Testamento.


E’ 1.44 AM, e per stanotte ne ho davvero abbastanza di scrivere. Rimanderò il resto a domani."


R. Polymetis, adesso capisco tante cose: all'1.44 difficilmente qualcuno può avere le idee chiare. Riposati, caro!

Saluti, Agabo.
Visita:

"MA COME UN'AQUILA PUO' DIVENTARE AQUILONE? CHE SIA LEGATA OPPURE NO, NON SARA' MAI DI CARTONE " -Mogol
"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
29/12/2004 14:03
 
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Noto con piacere che ti sei attaccato alle mie affermazioni sugli avventisti e non hai commentato la replica alla “tua” esegesi della parabola. Ma andiamo avanti:

“Polymetis,
... e per la seconda (o quarta?) volta sono costretto a dirti che non ho tempo da dedicare a internet e che faccio già fatica a trovarlo per condurre questa discussione. I testi che tu trovi fanno parte di una "settucola" che ha rappresentanti presso l'ONU, l'UNESCO”

Anche i TdG li avevavo, il che non c’entra nulla con la scientificità delle pubblicazioni.

“che gestisce fior di Università e scuole d'ogni livello”

Per aprire un’università basta avere quella fantastica cosa chiamata denaro (e le sette ne hanno a iosa). Ma quello che conta davvero è che cosa insegnino in quelle università, e soprattutto chi siano i professori di cui dispongono. Non ho mai sentito di un biblista avventista riconosciuto nella comunità scientifica. Che tipo di facoltà hanno queste università? Insegnano qualunque cosa, dalla matematica alle lettere antiche, oppure sono specializzate solo nel settore biblico? Posso parlare solo per il mio campo, ma non ho mai sentito uno di uno studio su Hegel o su Omero pubblicato da un ricercatore avventista.

“Comunque, nessuno ti costringe a rispondermi, ma ho il presentimento che continuerai a farlo: l'evidente fastidio che trasudano le tue parole tradisce qualcosa di più di ciò che vuoi nascondere dietro questo tuo atteggiamento sarcastico.”

Sì, il fastidio di parlare con chi pretende di darsi alla neotestamentaria non sapendo una parola di greco, il che equivale a tentare di commentare la Divina Commedia avendola letta solo in tedesco.

“La tua malafede (o disinformazione?) è evidente. Beh, se vuoi, posso sempre spedirti un elenco completo delle nostre pubblicazioni in italiano.”

Puoi spedirmelo se vuoi, potrebbe fare la stessa cosa anche un TdG. Ma dubito che troverei qualche studioso di fama mondiale riconosciuto nel mondo accademico. Inoltre, se mi spedisci questa meravigliosa lista, potrei risponderti mandandoti quella dei libri pubblicati dalla Paideia, così vedrai l’abisso che le distanzia.

“Se tu fossi un tantino più informato sapresti che la mole di pubblicazioni a livello internazionale è più vasta di quello che la tua prevenzione potrà mai farti comprendere”

Esempi?

“il primo pastore che si sia mai laureato alla Gregoriana (Roma) ed ha ricevuto una medaglia d'oro da Papa Paolo VI quale riconoscimento per il sua tesi di Laurea fu proprio un nostro pastore.”

Penso di non aver capito. Il primo pastore tra chi? Stai sostenendo che tra tutti i pastori di tutte le confessioni protestanti il primo a laurearsi alla gregoriana (in che cosa non lo so), è stato un pastore avventista? Ovviamente mi saprai dire nome e cognome di costui.

“A proposito di “Tubinga”, al tuo posto ci rifletterei prima di nominarla: un certo Hans Kung vi ha messo una tal quantità di carboni sotto le fondamenta, che ne avrete per un bel po’.”

Non vedo la rilevanza. Ho citato le prime due “università” rinomate che mi sono venute in mente.

“Infatti il tuo silenzio, per esempio, sul commento a 2 Cor. 5:1-9 è molto eloquente!”

Mi sembra d’aver risposto a tutto. Nel caso mi sia sfuggito dimmi la data e l’ora del post cui ti riferisci, sarò felice di rimediare.

“La tua bocca vomita espressioni come "settucole", "fondamentalisti" ecc. Ma se la maggioranza dei prelati cattolici ancora oggi non sa che cosa sia veramente una pagina delle Scritture! Speri, forse, che facendone sfoggio la tua cultura possa gettare un manto pietoso sull’ignoranza biblica che esiste non solo tra i laici cattolici, ma anche ai vari livelli gerarchici?”

Non vedo come la presunta ignoranza dei nostri preti sia rilevante in questa discussione. A onor del vero devo ricordare che in seminario è previsto lo studio della Sacra Scrittura.

“R. "Credenza popolare" per noi non è lo stesso che "Parola ispirata". Sul perché Cristo se ne sia servita, noi possiamo fare solo delle supposizioni.”

Ma se trovo una “credenza popolare” in bocca a Cristo, ed egli insiste dottrinalmente su questo punto, posso dedurne che non è proprio una credenza popolare ma un’evoluzione dell’escatologia ebraica verso una forma di immortalità dell’anima cui anche Gesù aderiva.

“Questa parabola lascia perplessi una gran quantità di esegeti d'ogni estrazione denominazionale e vi sono prove che parabole del genere ne circolavano più d'una. Lo stesso Flavio, come ti ho già ricordato (ma tu fai "orecchio da mercante") le ha definite "fiabe" ed ha aggiunto che egli personalmente non credeva alle “anime nell'ades” come ci credevano al contrario gli esseni presso i quali certe leggende circolavano..”

Giuseppe Flavio non condivide il sistema di premi e punizioni, non la dottrina secondo cui l’anima ha un qualche tipo di sopravvivenza alla morte. Inoltre, come correttamente sostieni, circolavano credenze simili all’epoca, ma questo non dice nulla circa la loro veridicità a livello escatologico. Se Giuseppe Flavio le definisce favole sta riportando il suo parere, che non è detto che sia lo stesso di Gesù Cristo. Inoltre, non mi hai ancora spiegato con che criterio il tuo anonimo esegeta avvenista scarta il 99% della parabola scegliendo una frase a caso. Se dovessi scegliere anch’io come fa lui (ossia a caso e pro domo mea) potrei dirti che il fulcro invece è: “Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi.” (Lc 16,26) Cosa del resto non tanto casuale ma confermata da uno studio con semplici quadrati semiotici dove la struttura e i rimandi concettuali sono visibili come un faro di notte. Tutto nella parabola rimanda alla separazione tra la condizione delle due anime.

“La versione della CEI traduce in maniera discutibile “sarx” (carne) con “corpo” (che in greco è “soma”). Ecco il testo in greco (sperando che il sistema del forum non formatti i caratteri):”

Vero, è più corretto carne.

“Sorprendente anche il testo Rom 14:8, quale confronto con quello di Filippesi, che secondo Polymetis “non mi sarebbe d’alcun aiuto”

Non è d’aiuto per indirizzare alla tesi da te sostenuta.

“1) Paolo vuole dire che morendo possiamo immediatamente incontrare Cristo e ritrovarci con lui nella pienezza del regno di Dio? In tal caso come comprendere quello che lui stesso dice altrove parlando dei morti in Cristo che dormono in attesa del ritorno di Cristo e della risurrezione (1 Tess 4:13-18)?”

Non c’è nessuna contraddizione quindi non c’è niente da conciliare. In ogni civiltà antica la morte è paragonata con un eufemismo al sonno, in quanto a prima vista sembra che un cadavere dorma. Come già mostrato questo modo di chiamare la morte, ossia “un sonno”, prescinde completamente dalla concezione immortalistica o meno dell’anima, infatti anche i greci, per la maggior parte dualisti e immortalisti, usano questa circonlocuzione.

“2) Il non vivere più “nella carne” per essere con Cristo significa forse che Paolo crede nell’esistenza di un’anima immortale distinta dal corpo e che al corpo sopravvive? In tal caso non contraddirebbe tutta la visione biblica che vede l’essere umano come un tutto inseparabile?”

Non la contraddice, ma evidentemente non ha ancora capito la differenza tra dualismo e immortalità dell’anima (la quale non esige necessariamente una concezione dualistica per reggersi in piedi, si veda l’esempio di Aristotele (unitario) contrapposto a Platone (dualista), ma entrambi fautori dell’immortalità dell’anima razionale.) Insisto che non hai una conoscenza del mondo antico che ti permetta di leggere testi su questi argomenti senza fraintenderli enormemente.

“L’apostolo stesso crede che l’uomo nella sua interezza si presenterà al suo Creatore (1 Tess 5:23).”

Che rivelazione!

“Che cosa vuole dire l’apostolo Paolo? Innanzitutto per lui “carne” non equivale a “corpo”. La sua speranza non è quella di andare a Cristo senza un corpo, ma con un corpo trasformato e incorruttibile (1 Cor 15:52-52).”

Sbagliato. “Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo [soma] ed abitare presso il Signore.” (2 Co 5,8) In questo caso in greco c’è sómatos, genitivo di sõma, ossia corpo. Qui Paolo parla chiaramente di abitare presso il Signore senza un corpo.

“Carne” indica semplicemente la totalità della natura umana nella sua debolezza e corruzione provocata dal peccato. E’ così che egli può parlare di “savi secondo la carne” (1 Cor 1:26) o di giudizi dati “secondo la carne” (2 Cor 1:17). Il riferimento è alla realtà di uomini che vivono lontano da Dio a differenza di quelli che vivono ed operano “secondo lo spirito” (Rom 8:4). Non è che questi ultimi non abbiano un corpo: vivono però in una corretta relazione con Dio, godendo già ora di quella realtà dove tutto sarà “spirituale”, cioè conforme allo Spirito di Dio.”

Normalmente sárx(carne) ha esattamente il significato che sostieni, ossia indica la debolezza della natura umana. Ma qui carne è semplicemente una sineddoche per corpo. Rileggiamo il testo:

“Per me infatti vivere è Cristo e il morire un guadagno. Perché, se continuare a vivere nella CARNE mi frutta lavoro, non so cosa scegliere. Sono preso da due sentimenti: desidero andarmene ed essere col Cristo, e sarebbe preferibile; ma continuare a vivere nella CARNE è più necessario per il vostro bene.”

Non occorre sapere il greco per vedere benissimo che il contrasto è tra vivere nel corpo e andarsene presso Cristo, non tra il vivere “nella carne” (intesa come debolezza peccaminosa) e il vivere “secondo lo Spirito” ma sempre nel corpo; Paolo infatti dice espressamente che vuole “andarsene ed essere con Cristo”, il che, innegabilmente, significa che vuole morire.
Perché poi Paolo dovrebbe dire ai Corinzi che è “più necessario per il loro bene” che lui “viva nella carne” se questa ha il significato negativo di una vita in preda alla “corruzione provocata dal peccato”? Non è certo con un esempio peccaminoso, ossia l’esempio di chi vive secondo la carne (e vuole continuare a viverci v.24), che Paolo avrebbe fatto il bene dei Corinti. Evidentemente Paolo intende dire che è meglio per loro che lui viva nel “corpo”, in quanto così può continuare a far loro conoscere la parola di Dio. Il greco poi toglie ogni dubbio, quello che la Nuovissima traduce con “desidero partire”, in greco è analûsai (infinito di avalúo), che significa sicuramente anche “partire”, ma dobbiamo spiegare in che senso. Ana-Lúo significa sciogliere, slegare, disfare. In questo senso è usato in greco come “partire dal corpo”, ossia “essere slegato da esso”, “sciogliere i legami” con esso. Inoltre, come già detto, la contrapposizione è vivere nel corpo restando sulla terra e morire per essere con Cristo senza corpo: “Sono preso da due sentimenti: desidero andarmene ed essere col Cristo, e sarebbe preferibile; ma continuare a vivere nella carne è più necessario per il vostro bene.” In greco la contrapposizione è resa col “tò dè” avversativo: “desidero essere con Cristo” da una parte “ma il rimanere nella carne” è più utile per voi. Come si vede ad una analisi strutturale “carne” qui è una chiara sineddoche per “corpo”, il che è un uso comunissimo in greco, es: Aeschl. Sept. 622, Ag.72; Eur HF.1269, Bac 1136).

“Paolo parla della sua possibile morte come una via per “essere con Cristo”. Studiosi identificano questo “essere con Cristo” con il momento del ritorno di Cristo. In questa prospettiva Paolo avrebbe dovuto aspettare un certo tempo per essere con il suo Signore.”

Come già detto questo è smentito dall’uso dei verbi greci (usa un composto di lúo), e soprattutto dal fatto che se si trattasse del ritorno finale di Cristo morire prima o dopo non avrebbe fatto nessuna differenza, mentre in questo passo Paolo sembra quasi aver fretta di morire per essere subito con Cristo.

“Egli lo sa bene e lo dice in tanti altri posti. Ma sa anche che il sonno della morte è anche uno stato di incoscienza in cui lo scorrere del tempo non viene più percepito. Rispetto al credente che dorme nell’attesa della risurrezione il tempo non esiste più e la morte è come seguita dalla resurrezione e dall’abbraccio del proprio Redentore.”

Appunto, in questa visione non si capisce perché voler perire prima se morendo tra vent’anni o tra un secondo vedrò Cristo comunque solo alla resurrezione e dunque non ho modo di accelerare la cosa.

Il resto del tuo post ribadiva che Paolo crede alla resurrezione della carne, il che non è in discussione.

Q.E.D.

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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
29/12/2004 21:22
 
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Achille, tu scrivi:

>>> “Non mi pare di averti ripreso per aver ammesso di non aver capito qualcosa. Riprovevole semmai è citare consapevolmente in maniera incompleta, oppure in maniera tale da stravolgere il senso di quello che un autore ha effettivamante detto. Ma non è questo il caso.”

R. Perché mai dovrei “citare in maniera completa” una data opera”? Che cosa significa “completa”? Ognuno cita quella parte del discorso utile alle proprie argomentazioni. Il resto è compito di un’eventuale disseziente. Nel mio discorso la parte pertinente è che per Cullmann l’anima non è immortale.

>>> “Cos'è, una minaccia? Io non ho mai presteso di essere immune da tali rischi. Anch'io sicuramente mi sarò qualche volta sbilanciato in illazioni ed in affermazioni imprecise. E allora? Capita a tutti.”

R. Minaccia? Ma fammi il piacere! Cerca di non cadere in preda al vittimismo. Se “capita a tutti” di sbilanciarsi in “illazioni ed affermazioni imprecise” non è una colpa per nessuno. In un forum, se le teste sono pensanti, si dovrebbe lasciare spazio anche alle ipotesi o alle teorie, senza per questo gridare all’anatema!

>>> “Non comprendo il motivo di questo tuo... sarcasmo... Io non mi ritengo certo un teologo o un profondo conoscitore della Bibbia.
Quello che comunque ho compreso bene è che Cullmann non sostiene che esiste il nulla assoluto dopo la morte. Questo è chiaramente scritto nel suo libro. Cullmann non spiega perché è la Bibbia che non spiega. Questa è la sua posizione. Cullmann comprende che ci sono passi che non si possono comprendere senza ammettere una qualche esistenza consapevole dopo la morte, però non si sbilancia in illazioni su questo "stato intemedio", stato su cui appunto, secondo Cullmann, la Scrittura non dice nulla.
E la Bibbia stessa quindi che non permetterebbe di dare una risposta chiara all'argomento. Se la Scrittura infatti fosse assolutamente chiara su questo punto non esisterebbero opinioni contrastanti su quella che sarà la sorte ultraterrena.”


R. Sarcasmo il mio? Lasciamo perdere! Comunque, data l’importanza di questo aspetto del nostro argomento, sono disposto ad azzerare tutto e a discuterne costruttivamente. Ripeto, considero il lavoro di Cullmann sull’immortalità dell’anima un lavoro incompiuto. Dopo le reazioni alla pubblicazione di tale opuscolo, egli si chiuse per anni in un volontario silenzio e se ne possono comprendere i motivi. Il libro, stranamente, avrebbe potuto (o dovuto) essere ripreso dall’autore, egli ebbe tutto il tempo per operare una rielaborazione, ma non lo fece! Resta pertanto un’opera in un certo senso “anomala” per chi conosce la cura e la metodicità versata invece nelle altre sue opere. Non sto dicendo che avrebbe dovuto rimetter mano al suo testo per cambiarlo “su commissione” di qualcuno, ma sicuramente avrebbe potuto colmare delle evidenti lacune e chiarire alcune sue affermazioni. Egli non lo fece. I lettori però potrebbero pronunciarsi riguardo a ciò che a loro avviso non soddisfa.

>>> “Allora forse sarebbe il caso di non citare un autore che esprime delle idee così confuse ed incerte... ”

R. Non ho mai attribuito a Cullmann delle “idee confuse”. In ogni opera vi possono essere idee condivisibili ed altre invece no. Le cose non condivisibili non invalidano tutto uno studio che per molti versi è interessante. Io ho citato Cullmann perché egli non credeva nell’immortalità dell’anima. Quando tu dici:
>>> “Questo dovresti dirlo a Cullmann, teologo che tu hai citato.”

R. Ti rispondo che io l’ho citato coerentemente perché in questo 3d si discute dell’immortalità dell’anima. Non ha attinenza invece con l’argomento dell’immortalità dell’anima la tesi del “tempo intermedio”, infatti, anche teorizzando la correttezza di tale tesi, essa non dice nulla sul fatto se dopo la morte continua oppure no una (vera) forma d’esistenza. Ma tale aspetto è stato tirato in ballo da te, non da me.

>>> “Contrariamente a quello che tu puoi pensare sul mio conto, ti faccio notare che io sono disposto a condividere e ad accettare tutto ciò che ritengo essere vero, giusto, corretto, valido, dimostrato..., ecc.
Però mi chiedo: qual è il 'perfetto insegnamento biblico'?
Ho conosciuto troppe persone più che convinte di aver compreso perfettamente l'insegnamento biblico...
Per ora sono convinto che la Bibbia da sola non permetta in molti casi di arrivare a conclusioni assolute, certe e definitive.
Lo dimostrano fra l'altro le migliaia di "sette" cristiane che tutte affermano di aderire in maniera più che corretta al "perfetto insegnamento biblico".”


R. Ti comprendo. Sul serio. E penso che la dottrina dello stato dei defunti sia un aspetto di cruciale importanza per giungere a quella necessaria chiarezza utile per una scelta religiosa responsabile.
La dottrina dell’immortalità dell’anima è fondamentale per comprendere la coerenza interna dell’insegnamento biblico; essa coinvolge i principali insegnamenti delle Scritture: provare per credere.
Saluti, Agabo.
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“Mandiamo giù a grandi sorsi la menzogna, e beviamo a goccia a goccia la verità che ci riesce amara” (Diderot).
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