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Ma che modo hanno di ragionare sui Padri Apostolici?

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2009 20:25
14/07/2009 08:40
 
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Ognuno serve a qualcosa
Anche le religioni servono a qualche scopo!!!, anche se per me, quando le persone si fanno guidare dalla tradizione si allontanano da Dio e quindi formano le Religioni,nessuna eslusa.

(Marco 7:9) Inoltre, proseguì dicendo loro: “Abilmente voi mettete da parte il comandamento di Dio per ritenere la vostra tradizione.
(per me tradizione è sinonimo di Religione)

se Gesù ci teneva alla religione avrebbe dato chiare inticazioni...


Ma Dio farà in modo che le sue opere vadano a beneficio di coloro che lo amano.
(Romani 8:28) Ora sappiamo che Dio fa cooperare tutte le sue opere per il bene di quelli che amano Dio, quelli che sono chiamati secondo il suo proposito;
14/07/2009 10:29
 
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"se Gesù ci teneva alla religione avrebbe dato chiare inticazioni..."

Tradizione non è una parola magica, vuol semplicemente dire "ciò che è trasmesso", e con "ciò che è trasmesso" la Chiesa intende gli insegnamenti di Gesù che gli apostoli ci hanno dato. Dire che a Gesù non interessava la tradizione, equivale a dire che a Gesù non interessava che noi ci tramandassimo ciò che egli ha insegnato, il che è palesemente assurdo. Il fatto che Gesà abbia condannato le tradizioni altrui, non vuol dire che abbia condannato quella che nasceva da lui. San Paolo stesso dice: "Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera."(2 Ts 2,15) Il termine greco qui impiegato è lo stesso ancora oggi i cristiani greci di religione ortodossa impiegano per definire la Tradizione, cioè ciò che è stato trasmesso come deposito della verità.
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14/07/2009 11:04
 
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Re: Scusami Romano, ma.... non condivido!
Sonnyp, 13/07/2009 19.12:

Ma senza questa Chiesa tu non sapresti nemmeno quali libri contengono il NT, e quindi non avresti idea di chi fosse Cristo.
Inoltre il NT altro non è che una parte scritta della catechesi orale (Traditio) della Chiesa, senza questa non hai neppure la Scrittura.



Scusami Romano, ma chi l'ha detto? La chiesa ha preso la piega cattolica perchè ha prevalso sugli gnostici, ma dove è scritto ch'essi sono il volere di Dio?

Che Cristo abbia istituito un mandato, questo non significa che solo i cattolici hanno il primato sulla religione!

Ti ricordi il passo di Marco 9:38,39?

I protestanti storici a differenza di quello che dici accettano eccome una parte della Trditio incominciando dai primi Concili della Chiesa.


Ecco dici bene... una parte.... quale sarebbe? E perchè l'altra non l'accettano? Quali sono i punti che non accettano? Sapresti spiegare perchè non l'accettano?


La Tradizione non afferma affatto che sia Pietro a fondare la Chiesa Cattolica, l'attestazione che Pietro fu a Roma risale a tre secoli prima del NT.


Questa me la dovresti spiegare.... dove hai preso questa considerazione? A me non risulta!



Che i protestanti non accettano una parte della Traditio è più che logico dato che questa condanni le loro dottrine,


Ad esempio quali Romano? No sai, perchè anche in questo caso, se mi spieghi quali siano queste dottrine contestate, potrebbero non avere tutti i torti!!! Attendo le tue risposte. Grazie. Shalom.



Credo che sia inutile che ti rispondo, ci ha pensato il tuo amato Polymetis [SM=x570867]
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14/07/2009 12:16
 
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Re:
Polymetis, 13/07/2009 23.10:

Per Virtesto


“i Valdesi, protestanti molto seri, martirizzati a suo tempo dalla chiesa cattolica, sostengono, argomentando, che Pietro non è mai stato a Roma.”



Che confusione fai… Questo modo di impostare il problema qualifica subito qualcuno come estraneo all’ambiente delle scienze antichistiche. Non esistono pareri protestanti e pareri cattolici sulla venuta di Pietro a Roma, esistono solo pareri scientifici e pareri non scientifici. Sono pareri scientifici quelle indagini condotte dagli antichisti coi metodi messi a disposizione dalle scienze storiche, pareri non scientifici quelli dei dilettanti. Quando leggi un libro sulla vita di Pietro il problema non è se lo studioso che stai leggendo sia cattolico o protestante, bensì in quale università insegni o quale sia il suo curriculum di studi antichistici.
I valdesi come Chiesa non hanno alcun parere sul fatto che Pietro sia stato o meno a Roma, perché non è un articolo di fede ma un argomento storico. Si può essere valesi e credere al soggiorno romano di Pietro o non credervi: è del tutto irrilevante per la fede valdese. Il fatto che Pietro sia stato o meno a Roma non è un qualcosa che riguardi pronunciamenti delle chiese protestanti, bensì pronunciamenti degli storici protestanti. Accademicamente parlando, nessuno, protestante o cattolico, nega che Pietro abbia visitato Roma.


“E pensi che proprio i Luterani, proprio loro, ammettano il primato di Pietro?”



Scusa, ma dove avresti scritto che i luterano ammetto il primato di Pietro? Tra l’altro, bisogna distinguere dei problemi. Il primato di Pietro è una cosa, il primato del vescovo di Roma un’altra. Anche se un luterano ammettesse che Pietro aveva la leadership del gruppo apostolico, questo non implicherebbe che ce l’abbia il vescovo di Roma.


“MI indichi polymetis una chiesa protestante che ufficialmente ammette che Pietro è stato a Roma e che credono sia il fondatore della chiesa cattolica. Forza!”



Difficile che ti indichi una Chiesa protestante che dica qualcosa che sarebbe eretico anche per la Chiesa Cattolica. La Chiesa cattolica non crede che Pietro sia il fondatore della Chiesa, quindi non vedo proprio perché dovrei cercare quest’affermazione in un atto magisteriale cattolico o protestante.
Quanto al fatto che Pietro sia stato a Roma, questo è comunemente ammesso dagli studiosi protestanti già dai tempi di von Harnack. Le Chiese protestanti non rifiutano né accettano l’idea che Pietro sia stato a Roma, semplicemente non hanno alcun parere al riguardo. Non spetta a delle Chiese pronunciarsi su una questione storica per la quale lasciano libera coscienza ai loro adepti.


“Agostino stesso nelle "retractationes" ammette che la pietra era Cristo, non Pietro. “



Agostino dice che, contrariamente a quanto lui stesso aveva creduto sulla scia del suo maestro Ambrogio, la pietra non sarebbe Pietro ma Cristo. Questo è ben noto, ma non si vede cosa c’entri col fatto che Pietro sia venuto o meno a Roma, né c’entra col primato petrino e col primato del vescovo di Roma, entrambi riconosciuti da Agostino, perché non si fondano su questo solo passo.


“Luigi Ellies Dupin, storico ecclesiastico cattolico romano scrive:"i cattolici inventarono storie false, miracoli falsi,false vite di santi
per nutrire e sostenere la pietà dei fedeli
quando potrò scrivere con due mani argomenterò più estesamente”



Già me lo immagino, la tua è l’erudizione dei ginnasti del mouse dediti al copia&incolla di storici e di fonti che non hanno mai letto, tutti già sapientemente miscelati fuori contesto nelle varie Torri di Guardia. In questo caso la citazione che presenti è presa dalla Torre di Guardia del 1 aprile 1974.
Io non so chi sia questo Luigi Dupin, e non sono l’unico a non saperlo. Da una ricerca sul catalogo unificato delle biblioteche italiane risulta che costui, sempre che non sia un omonimo, sia un’estensore di grammatiche della lingua francese vissuto a fine ottocento. E’ l’unico con questo nome, ergo o è un francesista o non è nessuno, nel senso di “nessuno di rilevante” visto che nessuna biblioteca italiana ha un suo libro. Inoltre che l’agiografia inventi è cosa nota, ma non è una peculiarità dell’agiografia, bensì di qualunque fonte storica antica: i criteri storiografici antichi non sono equiparabili a quelli dei nostri contemporanei. Le scienze storiche e la filologia esistono per questo, discernere tra le fonti quelle che sono favole agiografiche e quelli che invece sono testimonianze storiche genuine. Questo procedimento è di competenza degli specialisti, e non è certo la WTS che deve insegnarlo, lei può restare con le sue posizioni folli ignorate da tutto il mondo accademico.


"argomenterò più estesamente"



Intendi dire che ci delizierai con dei copia&incolla più estesi?
E' meraviglioso continuare a parlare con gente che disserta di Agostino, Ignazio, Ireneo copiando pareri di seconda mano ma di costoro non ha mai letto una sola riga... Un notevole divertimento per me, una notevole presunzione da parte di chi invece gioca a fare l'antichista improvvisato senza aver letto i testi in questione e senza conoscere neppure la lingua in cui sono stati scritti.

Ad maiora




Lo so che ai più questa controargomentazione di poly può sembrare arrogante e presuntuosa, ma ho imparato a mie spese che ha ragione, per affrontare certi argomenti bisogna essere preparati personalmente e non affidarsi semplicemente a quello che altri hanno detto e scritto... è comodo e facile copia incollare il lavoro altrui, ma è molto più difficile invece prepararsi personalmente su un solo argomento e affrontare una vero dibattito alla pari.
Questo tipo di argomentazioni sono parte di una scienza profonda che studia il nuovo testamento, la patristica, la filologia biblica ecc...
Ogni singola scienza è veramente un mondo da scoprire!
Il modo semplicistico di affrontare il problema che hanno i tdg, quello cioè di avere una risposta semplice ad una domanda complessa, va bene per chi come dice Paolo "ha bisogno di latte" e si accontenta dell'equivalente del biberon.
Studiando e approfondendo personalmente, si mostra rispetto verso chi queste scienze le ha studiate sul serio e ci ha passato veramente anni e notti insonni.
Con questo non sto dicendo che se non si è laureati non si può scrivere, ma se lo si fa, che ci si metta almeno nei panni di chi vuol umilmente imparare e non di chi pensa di sapere gia tutto e di non aver bisogno di imparare più nulla.

ciao
Mario
[Modificato da (Mario70) 14/07/2009 12:20]
14/07/2009 13:14
 
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Caro Mario....
Hai perfettamente ragione Mario, infatti, io, prima di rispondere, mi sono preso la briga di leggere e studiare sia la storia della chiesa, la patristica, la formazione del canone, e tanti altri argomenti connessi.

Con questo non mi metto certo alla cattedra a insegnare, ma non sono più un ignorante come oltre cinque anni fa.... e... credimi, di nottate sui libri non ne ho persa solo qualcuna!

Ora, riassumendo, come ha già detto Virtesto:

Luigi Ellies Dupin, storico ecclesiastico cattolico romano scrive:"i cattolici inventarono storie false, miracoli falsi,false vite di santi
per nutrire e sostenere la pietà dei fedeli"


È in questa frase che io concentro il mio intervento......

Non sto dicendo che TUTTO quello che riguarda la chiesa sia da buttare, ma... che ci abbia costruito sopra, e aggiunto, a aumentato, ABUSANDO del suo potere, caro Mario, spero che almeno questo vorrai ammetterlo!

Già la scissione fra i cattolici e gli ortodossi, secondo te, perchè ci sarebbe stata se Dio volesse SOLO quella cattolica?

E se è vero, che le origini della chiesa le troviamo nelle "fondamenta" del cristianesimo, allora caro Mario, rispondi ONESTAMENTE.... ce la vedi ancora tutta l'integrità di quella chiesa?
14/07/2009 14:21
 
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Per Sonny


"Hai perfettamente ragione Mario, infatti, io, prima di rispondere, mi sono preso la briga di leggere e studiare sia la storia della chiesa, la patristica, la formazione del canone, e tanti altri argomenti connessi. "



Le università esistono proprio perché non basta darsi da soli una formazione, ma occorre che qualcuno di competente verifichi quanto hai capito e se hai imparato qualcosa, ma sopratutto se hai studiato su fonti serie. Sfortunatamente chi non ha una formazione antichistica non è in grado di discernere un'opera scritta con criteri scientifici, proprio perché per sapere riconoscere un'opera siffatta dovrebbe già essere abituato a questo tipo di letture. Inoltre è essenziale non darsi solo alle fonti secondarie (cioè gente che scrive a proposito di qualcuno), ma studiare sulle fonti primarie. Non leggere Enrico Berti che scrive di Aristotele, ma leggere Aristotele. La maggior parte di quelli che si mettono a parlare di Padri della Chiesa non hanno mai letto una sola opera di questi autori, neppure quelle basilari che dovrebbe aver letto non dico uno studioso di patristica, ma chiunque abbia una formazione umanistica, le Confessioni di Agostino ad esempio...


"Non sto dicendo che TUTTO quello che riguarda la chiesa sia da buttare, ma... che ci abbia costruito sopra, e aggiunto, a aumentato, ABUSANDO del suo potere, caro Mario, spero che almeno questo vorrai ammetterlo!"



Che esistano favole agiografiche è indubbio, ma non si vede in base a che cosa siano riferibili al soggetto "Chiesa". C'è una teoria complottista che serpeggia, e che vorrebbe che i vertici stessi, nella loro brama di potere, si siano fabbricati dei falsi e manipolato delle fonti sapendo di manipolarle. Una cosa simile non è dimostrabile. La nascita delle leggende agiografiche non implica in alcun modo una volontà diretta di dire il falso: chi conosce i processi dell'antropologia del linguaggio sa perfettamente che, perché si crei una leggenda, non occorre affatto che qualcuno decida di crearla. E' un processo di tessitura collettivo, lento e inconscio, in base a dei meccanismi molto ben studiati, e che nulla hanno a che vedere con delle frodi premeditate. Questo ovviamente non vuol dire che non esistano nella storia, di qualunque religione, dei falsi fatti consapevolmente, ma anche qui bisogna andare con le più caute molle. Dei testi scritti come divertissement letterario o come esperimento linguistico da alcuni autori, che non avevano alcuna intenzione di frodare nessuno, sono stati scambiati per dei testi autentici da della gente di generazioni successive che non conosceva il carattere letterario finzionale di alcuni testi. Anche il concetto di pseudo-epigrafia va vigilato, perché nel mondo antico non c'è il nostro concetto di "diritto d'autore". Era normale per gli allievi della scuola di un grande pensatore scrivere delle opere mettendosi sotto la bandiera del loro maestro, ed è così che, in qualunque campo, ci sono state tramandate delle opere che non risalgono veramente all'autore in questione. Non si tratta di frodi fatte per situazioni di potere, sono cose che avvengono con qualsiasi autore, anche Platone e Aristotele, di cui abbiamo un mucchio di opere pseudo-epigrafe. Non c'è stata alcuna volontà di imbrogliare in chi le ha redatte, semplicemente il concetto di "paternità" di un' opera non è uguale a quello che intendiamo noi moderni.


"Già la scissione fra i cattolici e gli ortodossi, secondo te, perchè ci sarebbe stata se Dio volesse SOLO quella cattolica? "



La Chiesa ortodossa è la Chiesa Cattolica, in quanto ha una succesione apostolica valida. La terminologia che usi è convenzionale ma imprecisa, giacché quelli che ti chiami ortodossi rivendicano per sé il titolo Chiesa Cattolica. Io infatti se parlo di queste faccende uso espressioni come "latini" e "bizantini", ma usiamo pure il lessico che preferisci, basta capirci.
Vedo che non riesci ancora ad uscire dal paradigma veterotestamentario che ti hanno messo in testa i TdG, sul modello del Dio interventista. Dio lascia il libero arbitrio, e dunque i vescovi sono liberissimi di litigare tra di loro. Ciò che conta è che il depositum fidei sia tramandato e che la gente possa trovare la Chiesa su questa terra. I latini riconoscono la piena validità dei sacramenti ortodossi, e anzi, il codice di diritto canonico afferma che se non c'è un prete latino nei dintorni in situazioni d'emergenza puoi anche farti amministrare i sacramenti da un fratello ortodosso.


" rispondi ONESTAMENTE.... ce la vedi ancora tutta l'integrità di quella chiesa?"



Altri problemi concettuali, perché tu pensi che l'integrità della Chiesa abbia qualcosa a che fare con la peccaminosità dei suoi membri e dei suoi ministri. Nulla di tutto ciò per l'ecclesiologia della Grande Chiesa ha senso, perché la Chiesa non è santa in virtù di meriti propri, bensì in quanto santificata dall'essere corpo di Cristo, ed essa non basa il suo essere Chiesa sulla probità dei suoi vescovi, che possono benissimo anche essere degli assassini, ma sul fatto che tramite quei vescovi Dio si dà nei sacramenti: sacramentorum validitas ex opere operato.
Tra parentesi poi, come già ricordato, viene da chiedersi come tu o Mario possiate vedere l'integrità o meno nella Chiesa sul piano morale: la Chiesa come ripeto conta 1 miliardo di fedeli, e circa 5000 vescovi, di cui tu non conosci neppure l'1%. Continui ad affermare che la Chiesa non avrebbe integrità morale ma non sei nella posizione per poter giustificare quest'affermazione.

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14/07/2009 15:15
 
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E si ricomincia!
VA bhè... PAZIENZA!

Ora caro Mario, mi farebbe piacere leggere la tua risposta. Shalom.
14/07/2009 15:34
 
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Re: E si ricomincia!
Sonnyp, 14/07/2009 15.15:

VA bhè... PAZIENZA!





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14/07/2009 18:43
 
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Re: Caro Mario....
Sonnyp, 14/07/2009 13.14:

Hai perfettamente ragione Mario, infatti, io, prima di rispondere, mi sono preso la briga di leggere e studiare sia la storia della chiesa, la patristica, la formazione del canone, e tanti altri argomenti connessi.

Con questo non mi metto certo alla cattedra a insegnare, ma non sono più un ignorante come oltre cinque anni fa.... e... credimi, di nottate sui libri non ne ho persa solo qualcuna!

Ora, riassumendo, come ha già detto Virtesto:

Luigi Ellies Dupin, storico ecclesiastico cattolico romano scrive:"i cattolici inventarono storie false, miracoli falsi,false vite di santi
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È in questa frase che io concentro il mio intervento......

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E se è vero, che le origini della chiesa le troviamo nelle "fondamenta" del cristianesimo, allora caro Mario, rispondi ONESTAMENTE.... ce la vedi ancora tutta l'integrità di quella chiesa?




Ti avevo risposto ma poi si è cancellato tutto...
Così imparo a non salvare!
Ciao
[Modificato da (Mario70) 14/07/2009 18:44]
14/07/2009 18:49
 
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[Modificato da F.Vera 14/07/2009 18:49]
Dio è per tutti!
14/07/2009 18:51
 
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Non ho ancora ben capito per quale motivo, ma dopo un pò che si è loggati, la piattaforma di freeforumzone si scorda di noi e... perde quello che avevamo inserito.

In questo caso, potrebbe essere utile tornare "indietro" con il tasto dedicato, o comunque, prima d'inviare, salvare il testo.

Non si finisce mai d'imparare e Mario? E beata pazienza!

Ti attendo... fai con comodo.... Shalom. (Così nel frattempo Poly si riposa un pochino poverino! Sai... con tutto il da fare che gli procuro...) [SM=x570867]
14/07/2009 18:51
 
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Re:
F.Vera, 14/07/2009 18.49:





Non credo che qualcuno affermi diversamente di quanto tu dici.
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14/07/2009 20:03
 
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Re: Caro Mario....
Sonnyp, 14/07/2009 13.14:

Hai perfettamente ragione Mario, infatti, io, prima di rispondere, mi sono preso la briga di leggere e studiare sia la storia della chiesa, la patristica, la formazione del canone, e tanti altri argomenti connessi.

Con questo non mi metto certo alla cattedra a insegnare, ma non sono più un ignorante come oltre cinque anni fa.... e... credimi, di nottate sui libri non ne ho persa solo qualcuna!

Ora, riassumendo, come ha già detto Virtesto:

Luigi Ellies Dupin, storico ecclesiastico cattolico romano scrive:"i cattolici inventarono storie false, miracoli falsi,false vite di santi
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È in questa frase che io concentro il mio intervento......

Non sto dicendo che TUTTO quello che riguarda la chiesa sia da buttare, ma... che ci abbia costruito sopra, e aggiunto, a aumentato, ABUSANDO del suo potere, caro Mario, spero che almeno questo vorrai ammetterlo!

Già la scissione fra i cattolici e gli ortodossi, secondo te, perchè ci sarebbe stata se Dio volesse SOLO quella cattolica?

E se è vero, che le origini della chiesa le troviamo nelle "fondamenta" del cristianesimo, allora caro Mario, rispondi ONESTAMENTE.... ce la vedi ancora tutta l'integrità di quella chiesa?




Ti avevo scritto che il mio consiglio non era diretto a te (per la verità non ti avevo proprio pensato [SM=x570874] )ma ovviamente parlavo in generale verso chi copia incolla articoli di altri senza essersi preso la briga di fare un attento studio su quanto riporta.
Tornando a bomba asserire come fanno i tdg che vescovi importanti e soprattutto morti martiri come Ignazio (dato in pasto ai leoni) o Clemente (gettato in mare attaccato a un ancora) o Ireneo (forse morto insieme agli abitanti della sua città da Severo) fossero nella piena apostasia, loro che erano stati unti da vescovi i quali erano stati nominati tali dagli apostoli stessi in persona, lo trovo risibile.
Non si possono dimenticare scritture chiare come giovanni 16 dove è scritto che lo Spirito santo avrebbe insegnato dopo la morte di Cristo coose che gli apostoli stessi non capivano o 1 giovanni 2 dove è riportato che è l'unzione stessa a far rimanere nella verità o matteo 28 dove Cristo promise che sarebbe stato con la chiesa fino alla fine dei tempi o matteo 16 dove della chiesa è detto che la morte e l'ades non l'avrebbero sopraffatta; pretendere che una religione di fine 800 abbia la verità mentre i padri apostolici successori degli apostoli no, è presuntuoso per i motivi più logici che esistono, sia per la vicinanza agli apostoli, sia per la lingua che parlavano ovvero la stessa che usarono appunto i discepoli che scrissero il NT.
Infine le molteplici critiche di poly sul fatto che fu la chiesa "apostata" del IV secolo a sancire ciò che era canonico da ciò che non lo era, dovrebbe farci riflettere sul fatto che forse questo spirito santo non poteva da un lato ispirarla sul canone e dall'altro abbandonarla ad esempio sulla dottrina trinitaria...
O questo Spirito era presente o non lo era e se non lo era, non possiamo usare il nuovo testamento come se fosse piovuto dal cielo, perchè fu proprio quella chiesa a consegnarcelo e nel momento che lo usiamo come base per la nostra religiosità, indirettamente diamo lode proprio a quella chiesa che tanto detestiamo con le parole.
Ti ricordo infine che per "chiesa cattolica" nel primo millennio si intendeva tutta la chiesa cristiana e non solo quella occidentale, fu solo dopo la scissione con gli ortodossi che il termine indicò per gli occidentali la chiesa romana.
Personalmente tendo a giudicare la chiesa per le dottrinwe fondamentali che essa insegna non per quelle popolari o di secondaria importanza, tra quello che crede il popolino e l'insegnamento ufficiale c'è differenza, secondo me occorre vedere oltre la religiosità dei singoli per venire a capo di qualcosa.
E' più profiquo quindi studiare cosa ha insegnato la chiesa nei concili ecumenici (come sto facendo ultimamente) e non quello che singoli personaggi (fossero anche papi) hanno insegnato nel corso dei secoli.
Come ho detto tempo fa le dottrine ortodosse sono più confacenti alla mia mentalità e alla mia conoscenza della chiesa e delle scritture, ma questo è solo il mio percorso, ancora molto lungo da affrontare...
Col tempo ho capito che non serve a molto criticare la chiesa cattolica, quello che è importante è cercare la propria religiosità studiando e meditando, si perde meno tempo e si costruisce sicuramente di più, abbattere è facile, costruire lo è molto meno.
Ciao
Mario



14/07/2009 22:24
 
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Mario70
forse questo spirito santo non poteva da un lato ispirarla sul canone e dall'altro abbandonarla ad esempio sulla dottrina trinitaria...



già, implicitamente si dice che lo Spirito di Verità, promesso da Gesù, avrebbe guidato la Chiesa a riconoscere il Canone e nello stesso tempo non sarebbe riuscito a conservare le altre verità (sul come per esempio interpretare le parole di Gesù).

ma come, nonostante l'apostasia lo Spirito di Verità è riuscito a far conservare alla Chiesa la verità sui libri sacri, e dall'altra parte non è riuscito a fare altrettanto per tutti gli altri insegnamenti di fede? Un Dio parziale si direbbe!
o forse è il ragionamento degli accusatori che è parziale..... [SM=g1678738]
[Modificato da Reietto74 14/07/2009 22:25]
14/07/2009 22:46
 
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"abbattere è facile, costruire lo è molto meno. "



Parole grandiose. Trovare la pace e la serenità della ricerca è qualcosa a cui dovrebbe mirare ogni cristiano. Tuttavia, il fatto stesso che siamo qui, significa che consideriamo proficuo ricercare la verità assieme, attraverso il dialogo e lo scambio di idee.

Ciao
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ben detto Poly
Mai chiudersi nel proprio guscio e pensare che gli altri abbiano torto, lo scambio è molto utile, poi ognuno accetta o meno quello che in base alle proprie capacità e conoscenze ha.
15/07/2009 08:47
 
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Non comprendo bene...
Reietto74, 14/07/2009 22.24:


Mario70
forse questo spirito santo non poteva da un lato ispirarla sul canone e dall'altro abbandonarla ad esempio sulla dottrina trinitaria...



già, implicitamente si dice che lo Spirito di Verità, promesso da Gesù, avrebbe guidato la Chiesa a riconoscere il Canone e nello stesso tempo non sarebbe riuscito a conservare le altre verità (sul come per esempio interpretare le parole di Gesù).

ma come, nonostante l'apostasia lo Spirito di Verità è riuscito a far conservare alla Chiesa la verità sui libri sacri, e dall'altra parte non è riuscito a fare altrettanto per tutti gli altri insegnamenti di fede? Un Dio parziale si direbbe!
o forse è il ragionamento degli accusatori che è parziale..... [SM=g1678738]



Mi farebbe piacere che tu fossi più chiaro Reietto, in modo che poi possa rispondere appropriatamente anche a Mario. Ciao e grazie. Shalom.

Per Marco che scrive:

ben detto Poly
Mai chiudersi nel proprio guscio e pensare che gli altri abbiano torto, lo scambio è molto utile, poi ognuno accetta o meno quello che in base alle proprie capacità e conoscenze ha.


Vedi Marco, io non mi sono chiuso nel mio guscio, infatti, discuto con gli altri foristi e mi metto in gioco. È con Poly che "non riesco" a Polymetizzare" forse perchè usa troppa filosofia e il troppo filosofare non conduce da nessuna parte! Se avrai la compiacenza di seguirmi, nel tempo che avrò a disposizione, risponderò con calma anche a Trianello, Mario, e chi per loro mi darà da discutere. Con il Poly, purtroppo, penso che non ci sia più molto da dire! Io ci ho provato, ma.... lui è distante mille miglia con la sua filosofia! Ora vado al lavoro, ma stasera se riesco, proverò a precisare meglio ciò che voglio dire.... Shalom.
15/07/2009 08:49
 
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Veramente nessuno nel mondo accademico protestante oggi mette in dubbio che Pietro sia stato a Roma,



Caris. Poly. con quali prove storiche puoi dimostrare che Pietro è stato a Roma? A me risulta che non c'è ne siano, se me le fornisci le inoltrerò ad uno storico che è convinto del contrario


Grazie Flabot
15/07/2009 09:49
 
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Per SOnny


"È con Poly che "non riesco" a Polymetizzare" forse perchè usa troppa filosofia e il troppo filosofare non conduce da nessuna parte! "



Non c'è nulla di terminologia filosofica in questa discussione, a meno che tu con "filosofia" non intenda banalmente il cercare di fare ragionamenti rigorosi e l'essere allenati a ragionare, in quel caso sì, starei facendo filosofia. In caso contrario, non accetto che tu etichetti come "filosofici" i miei ragionamenti, come se quest'etichetta fosse degradante anziché lodevole. Putroppo, il fatto che tu pensi che etichettare qualcosa come "filosofico" equivalga a dire "strambo, fuori dal mondo" è un residio della forma mentis dei TdG. In queste discussioni io mi limito a dire come la penso e perché ritengo che le deduzioni fatte da alcuni siano infondate: se avere dei buoni argomenti a cui gli altri non sanno rispondere si chiama fare filosofia, allora ben venga la filosofia.

Per Flatbot


"Caris. Poly. con quali prove storiche puoi dimostrare che Pietro è stato a Roma? A me risulta che non c'è ne siano, se me le fornisci le inoltrerò ad uno storico che è convinto del contrario"



Le prove nella storiografia antica non esistono, sono una categoria out. Né esistono le dimostrazioni, in nessuna scienza empirica. Hai forse una dimostrazione che esista la tastiera davanti a te? Per quello che concerne il mondo empirico, si può sempre trovare un argomento creato ad hoc che fa sì che esista almeno un caso in cui la tua teoria non sia vera. Non esiste alcuna prova che dimostri che domani sorgerà il sole, o che io esisto, o che esisti tu, figurarsi se può esistere una prova su qualcosa che riguarda l'antichità. L'epistemologia del XX secolo mostra chiamente che la categoria "dimostrazione" nelle scienze legate all'empirico, persino la fisica, non è sostenibile.
Quindi per favore cambiamo linguaggio. Ciò che ti posso mostrare è la ragionevolezza, e che, anche per gli storici protestanti, non c'è alcun motivo per dubitare della presenza di Pietro a Roma.
Certo, se poi si ragiona come i TdG, allora è possibile negare tutto, basta dichiarare manipolate, senza ovviamente degnarsi di spiegare perché, qualunque fonte a noi scomoda. L'unica cosa certa è che la credenza che Pietro sia stato vescovo di Roma è attestata sin dal I secolo, ma questo ad un TdG non basterebbe, perché ritengono ispirata la Sola Bibbia. Così facendo fanno un errore colossale, perché ritengono che per studiare la storia antica ci si possa servire solo della Bibbia e non delle altre tracce lasciate dal fatto che Pietro è stato un personaggio in carne ed ossa e dunque ha lasciato le sue orme dove è passato. La credenza della Chiesa che Pietro sia stato vescovo di Roma è cioè più antica del canone stesso del Nuovo Testamento, e di tre secoli più antica, ma chissà perché i tdG negano la I mentre accettano il II. Se vuoi un'ampia disamina delle fonti su Pietro a Roma puoi prendere il volume dello storico e teologo protestante Oscar Cullmann, che le tratta ampiamente. Questa questione merità un'ampia trattazione, e non è un elenco fatto qui che potrebbe essere esauriente. Lo storico protestante più critico verso le fonti del soggiorno petrino a ROma è l'ormai defunto Miegge, ma persino lui arriva ad ammettere un soggiorno a ROma nella tarda vecchiaia per spiegare l'esplosione delle fonti che mettono in relazione Pietro con Roma Non ho intenzione di replicare quanto ho scritto altrove, se vuoi ti do il link di una lunghissima discussione che ebbi con dei tdG dilettanti in cui ho esposto tutte le fonti che abbiamo a disposizione. Con l'avvertenza che, come ripeto, non ero io contro i TdG, ma tutto il mondo accademico, protestante o cattolico che fosse, contro i tdG.


"le inoltrerò ad uno storico che è convinto del contrario"



E chi è di grazia? Nessuno storico, protestante o cattolico, accademicamente parlando, oggi dubita della presenza di Pietro a Roma? Cosa studia, e di che si occupa?

Ad maiora
[Modificato da Polymetis 15/07/2009 09:50]
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
15/07/2009 09:51
 
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Carissimo flabot


Caris. Poly. con quali prove storiche puoi dimostrare che Pietro è stato a Roma? A me risulta che non c'è ne siano, se me le fornisci le inoltrerò ad uno storico che è convinto del contrario



mi intrometto un po' da maleducato nella discussione con Poly, ben sapendo che Poly non dovrebbe arrabbiarsi troppo....

prove matematiche della presenza di Pietro a Roma effettivamente non ce ne sono.....

però ogni persona ragionevole non può fare a meno di considerare alcuni indizi abbastanza chiari, precisi e concordanti.....

digilander.libero.it/domingo7/PIETRO%20FU%20DAVVERO%20A%20...
15/07/2009 09:59
 
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"prove matematiche della presenza di Pietro a Roma effettivamente non ce ne sono....."



COme non ne esistono per qualunque altro argomento storico. La matematica è deduttiva, la storiografia analitico-induttiva, e dunque necessariamente mai dimostrativa.


"però ogni persona ragionevole non può fare a meno di considerare alcuni indizi abbastanza chiari, precisi e concordanti....."



Sono da aggiungere, come fonti del I secolo, l'Ascensio Isaiae e il fr. Rainer. Per la discussione su questi passi, il volume di Gnilka è il più completo.
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(Κ. Καβάφης)
15/07/2009 10:07
 
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prove matematiche della presenza di Pietro a Roma effettivamente non ce ne sono.....



beh qualcuno per prove forse intende viaggiare indietro nel tempo ed accertarsi con i propri occhi dell'esistenza di un personaggio, ma visto che questo è impossibile, per forza ci dobbiamo rifare a testimonianze di ogni tipo; dagli scritti alle pietre!

ma alcune persone non si accontenterebbero quando si tratta di fatti storici che vanno contro la propria fede (!?)
15/07/2009 13:36
 
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Re:
Reietto74, 15/07/2009 10.07:


prove matematiche della presenza di Pietro a Roma effettivamente non ce ne sono.....



beh qualcuno per prove forse intende viaggiare indietro nel tempo ed accertarsi con i propri occhi dell'esistenza di un personaggio, ma visto che questo è impossibile, per forza ci dobbiamo rifare a testimonianze di ogni tipo; dagli scritti alle pietre!

ma alcune persone non si accontenterebbero quando si tratta di fatti storici che vanno contro la propria fede (!?)




Non esistono prove matematiche dell'esistenza di Dio, figuriamoci di queste cose...
Tra l'altro cosa cambierebbe se Pietro non fosse venuto a Roma?
La tradizione insegna che Lino, Cleto e Clemente furono uno dietro l'altro i successori di Pietro, non credo che per la chiesa cattolica cambi poi molto se egli fosse stato presente o meno, quello che gli importa è la successione per imposizione delle mani.

ciao
15/07/2009 15:24
 
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NESSUN PRIMATO DI PIETRO
di Attilio Palmieri *

in mancanza delle mani per scrivere
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Mai Pietro, con tutto il suo carattere estroverso, ha preteso di avere un primato.

Nel medesimo cap. 16, ver. 23, di Matteo è scritto che Gesù rivolgendosi a Pietro gli disse: "vattene via da me, Satana, tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini".

Gesù dovette restaurarlo tre volte nella missione dell’apostolato ("pasci le mie pecore" di cui al cap. 21, vers. 15-17 del Vangelo di Giovanni), dopo il triplice rinnegamento di Pietro (Matteo cap. 26, ver. 69-79).

Gli "undici apostoli" e le centinaia di "discepoli" di Gesù, conoscevano bene che Cristo non aveva dato alcun primato nè a Pietro, nè a nessun altro. L’Evangelo di Giovanni, vescono dell’Asia minore, fu scritto verso l’anno 100 e l’autore conosceva bene anche la decrepita vecchiaia di Pietro costretto a stendere le mani perchè un altro lo cingerà e lo condurrà dove non vorrebbe andare (Giov. cap. 21, ver. 18).

Al tempo degli apostoli:

1) furono i discepoli che fra due concorrenti "trassero a sorte e la sorte cadde su Mattia che fu associato agli undici apostoli" al posto di Giuda (atti cap. 1, ver. 26);

2) furono i semplici fratelli della chiesa di Gerusalemme che "quando Pietro fu salito a Gerusalemme questionavano con lui" (atti cap. 11, ver. 2);

3) Paolo rimprovera pubblicamente Pietro, da quanto risulta dal cap. 2, ver. 11 della lettera ai Galati: "Ma quando Cefa (Pietro) fu venuto ad Antiochia, io gli resistei in faccia perchè egli era da condannare";

4) fu San Paolo che nella sua seconda lettera ai Corinzi (cap. 11, ver. 5) scrive: "Ora io stimo di non essere stato in nulla da meno dei sommi apostoli";

5) nella "conferenza" di Gerusalemme fu Giacomo che dice: "io giudico che...", mentre le decisioni sono prese collegialmente, giusta quanto risulta dal cap. 15 degli Atti, ver. 13, 19, 22, 25: "Allora parve bene agli apostoli ed agli anziani con tutta la chiesa...";

6) Pietro si qualifica semplice "servitore ed apostolo di G. Cristo" nella sua seconda lettera al cap. 1, ver. 1;

7) Paolo nella sua lettera ai Galati (cap. 2, ver. 1) scrive: "Paolo, apostolo (non dagli uomini, nè per mezzo d’alcun uomo, ma per mezzo di G. Cristo)".

Le "chiavi" del regno dei cieli e dell’inferno sono insite nelle predicazioni del Vangelo.

Il sacerdozio pagano, con i suoi altari ed i suoi sacrifizi, era considerato interprete ed intermediario del volere divino.

Il sacerdozio cattolico fu posto in essere dalla curia romana nel 1160 per accoppiarlo con il sacrificio eucaristico (inventato nel sec. XI) e con la confessione e l’assoluzione dei peccati. Ai vescovi ed al papa fu attribuita la facoltà di consacrare altri sacerdoti, mentre la potestà sul tutto e tutti diventò un monopolio del pontefice romano.

In proposito si ricorda che nel Vangelo non esiste casta sacerdotale. In particolare Gesù ha detto a tutti i suoi fedeli (apostoli e discepoli) di predicare il Vangelo e che coloro i quali crederanno al loro "messaggio" saranno salvati, mentre quelli che lo rigetteranno saranno condannati. In sostanza questi ambasciatori di Cristo e notificatori della Sua Parola tengono simbolicamente "le chiavi dell’aldilà" in quanto mettono gli ascoltatori nella drammatica posizione della più importante libera responsabile scelta; se la persona accetta la predicazione si convertirà, sarà assolto dai suoi peccati, diventerà egli stesso un evangelizzatore ed infine entrerà in paradiso. Se invece la persona rigetta il messaggio cristiano, i suoi peccati rimangono a lui legati e le porte del cielo gli saranno chiuse. Gli uomini potrebbero insegnare l’errore ma in tal caso guai a loro perchè in paradiso "nè vi entreranno essi, nè lasciano entrare quelli che cercano di entrare" (Matteo cap. 23, ver. 13).

E’ ovvio che questa gratuita procedura di salvezza non è affidata ad una casta sacerdotale o ad una istituzione chiesastica, ma a tutti i cristiani (santi) secondo le capacità ed i talenti di ciascuno.

Gesù disse a tutti coloro che avevano fede in lui:

a) "io vi dico che tutte le cose che avrete legate sulla terra saranno legate nel cielo e che tutte le cose che avrete sciolte sulla terra saranno sciolte nel cielo" (Matteo cap. 18, ver. 18);

b) "come il padre mi ha mandato anch’io mando voi: ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti" (Giov. cap. 20, ver. 19-23).

Non prove storiche ma tradizioni e romanzi riportano che Pietro sia stato a Roma per 25 anni dal 42 al 67.

Nella lettera ai Galati al cap. 2, ver. 6-9, l’apostolo Paolo scrive: "Ma quelli che godono di particolare considerazione (quali già siano stati a me non importa; Dio non ha riguardi personali) quelli, dico, che godono maggiore considerazione non m’imposero nulla di più; anzi quando videro che a me era stata affidata la evangelizzazione degli incirconcisi, come a Pietro quella dei circoncisi (ebrei) - (poichè Colui che aveva operato in Pietro per farlo apostolo della circoncisione aveva anche operato in me per farmi apostolo dei gentili) - e quando conobbero la grazia che m’era stata accordata, Giacomo, Cefa (Pietro) e Giovanni, che son reputati colonne, dettero a me ed a Barbara la mano di associazione perchè noi andassimo ai gentili ed essi ai circoncisi".

Infatti troviamo Paolo in Grecia, Macedonia (Atti cap. 17, 18 e 20), in Italia, a Roma (Atti cap. 27 e 28), mentre Pietro era a Gerusalemme, Babilonia, ecc.

In particolare:

1) Pietro era a Gerusalemme, dopo la resurrezione di Gesù (Atti cap. 1, ver. 14);

2) Pietro fu inviato dagli apostoli in Samaria, assieme a Giovanni (Atti cap. 8, ver. 14);

3) nell’anno 42 Pietro era a Gerusalemme, dove fu visitato da Paolo, tre anni dopo la conversione di questo, avvenuta nell’anno 39;

4) Pietro andò a Lidda (Atti cap. 9, ver. 32);

5) Pietro andò a Ioppe dove dimorò molti giorni (Atti cap. 9, ver. 43);

6) Pietro andò a Cesarea per alcuni giorni (Atti cap. 10, ver. 48);

7) Pietro ritorna a Gerusalemme (Atti cap. 11, ver. 2);

8) il re Agrippa, un anno prima della sua morte (45) fece arrestare Pietro in Gerusalemme (Atti cap. 12, ver.3). Dopo la sua liberazione, Pietro "se ne andò in un altro luogo" (Atti cap. 12, ver. 17), tanto piccolo da non essere nominato, come le piccole cittadine di Lidda e Ioppe;

9) nella conferenza di Gerusalemme "fu deciso che Paolo e Barbara salissero a Gerusalemme agli apostoli ed anziani" (Atti 15, ver. 2), dove c’era anche Pietro;

10) nell’epistola di Paolo ai romani, scritta nell’anno 58 da Corinto, l’apostolo si dichiara "pronto ad annunziare l’evangelo anche a voi che siete in Roma" avendo l’ambizione di predicare là dove Cristo non fosse stato nominato per non edificare sul fondamento altrui (cap. 1, ver. 15 e cap. 15, ver. 20). Alla fine dell’ultimo capitolo egli rivolge i suoi saluti a ben 26 componenti della comunità cristiana romana, ma fra essi il nome di Pietro non figura;

11) Paolo, arrivato a Roma nell’anno 61 "convoca i principali fra i giudei" (Atti cap. 28, ver. 17) i quali gli dicono di volere consocere quello che egli pensa di questa "setta" (cristianesimo), perchè "è noto che da per tutto essa incontra opposizione" (Atti cap. 28, ver. 22). Nessuna menzione di Pietro e del suo apostolato di ben 19 anni!;

12) dopo aver preso in fitto una casa di Roma per due anni (Atti cap. 28, ver.30), verso l’anno 63, Paolo scrisse una lettera ai Colossesi. Questa lettera termina con i soliti saluti di fratelli della chiesa di Roma e di compagni di prigionia. Nessun saluto e notizia di Pietro!;

13) alla fine della breve lettera (scritta a Roma nell’anno 67 e diretta a Filemone) Paolo, "vecchio" (cap. 1, ver.9), invia i soliti saluti dei componenti della comunità cristiana romana (vers. 23-24): nessuna menzione di Pietro;

14) la tradizione cattolica dice che Pietro fu martirizzato nell’anno 67 quando anche fu ucciso Paolo, il quale scrisse da Roma la sua seconda lettera a Timoteo. Al termine di questa lettera, Paolo, riferisce: "quanto a me io sto per essere offerto in libagione e il tempo della mia dipartenza è giunto" (cap. 4, ver. 6). "Luca solo è con me" (ver. 11)! "Tutti mi hanno abbandonato" (ver. 16). Nessuna notizia di Pietro! Infatti Pietro era a Babilonia (I lettera di Pietro cap. 5, ver. 13) sul campo che il Signore gli aveva affidato per predicare il Vangelo.



dal volume dell’Autore "MISTERICA REALTA’ MAGICA DELLA SPECIE UMANA", Greco & Greco Editori, Milano 1992, pp. 132-136. L’autore è membro della Chiesa Evangelica Battista di Via Urbana al centro di Roma.

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Tempo di Riforma, a cura del past. Paolo Castellina
15/07/2009 15:27
 
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L'apostolo Pietro a Roma?


Durata della permanenza di Pietro a Roma e data della sua morte

Una tradizione del III secolo (1) ricorda la permanenza di Pietro a Roma per 25 anni (dal 42 al 67 d.C.). A tale tradizione fa riferimento anche Girolamo (2).

In realtà, oggi nessuno studioso cattolico può sostenere che Pietro sia rimasto a Roma per 25 anni, poiché ciò contrasterebbe sia con la cacciata dei cristiani da Roma al tempo di Claudio (3), sia con la presenza di Pietro a Gerusalemme durante il convegno apostolico (ca. 50 d.C.). Si noti pure che, secondo Girolamo, Pietro venne a Roma per «smascherarvi il mago Simone», il che suggerisce un legame tra questa tradizione e le leggende prodotte su Simon Mago, per cui l'attendibilità di tale notizia ne risulta assai compromessa. Di più la tradizione e l'ipotesi della sua lunga permanenza a Roma è contraddetta da alcuni dati biblici indiscutibili.

Nel 42 Pietro lascia Gerusalemme per recarsi ad Antiochia dove Paolo lo trova poco dopo (At 12, 1 s; Ga 2, 11).

Nel 40-50 v'è la riunione degli apostoli a Gerusalemme e in essa Pietro non parla affatto di un suo lavoro tra i Gentili, ma s'accontenta di riferire il fatto del battesimo di Cornelio. Sono Barnaba e Paolo che parlano invece della loro missione tra i Gentili (At 15, 7-11; cfr c. 17). Il celebre Valesio dice che non v'è dubbio che Pietro avesse dimorato nella Giudea e nella Siria fino all'ultimo anno di Agrippa.

Nell'anno 51-52 Pietro è al Concilio di Gerusalemme (Atti 15). Non molto dopo, Paolo rimprovera Pietro ad Antiochia (Galati 2). Dopo la riunione di Gerusalemme gli Atti degli apostoli, ispirati dallo Spirito Santo, non parlano più di Pietro, eppure ci danno la storia della chiesa fino al 61.

Nel 57 Paolo scrive ai Romani, ma non dice affatto che la Chiesa era stata evangelizzata da Pietro, come sarebbe stato logico. Paolo scrive la sua lettera ai Romani senza fare neppure una allusione a Pietro, che secondo la tradizione cattolica sarebbe stato il loro Vescovo, il superiore di Paolo. Nel capitolo 16 Paolo saluta 26 persone (per nome) che erano a Roma, fra queste alcune sono da lui chiamate compagni d'opera. E Pietro? Neppure un accenno!

Nel 63-64, scrivendo le sue lettere dalla prigionia, Paolo mai allude alla presenza di Pietro (4). Gli Ebrei desiderano sapere qualcosa di questa nuova «via» che è tanto avversata, come se nulla sapessero, il che sarebbe stato assurdo qualora Pietro fosse stato a Roma (At 28, 21-24).

Nel 64 d.C. v'è la persecuzione di Nerone con la probabile morte di Pietro. Ecco il brano di Tacito (ca. 60-120 d.C):

« Siccome circolavano voci che l'incendio di Roma, il quale aveva danneggiato dieci dei quattordici quartieri romani, fosse stato doloso, Nerone presentò come colpevoli, colpendoli con pene ricercatissime, coloro che, odiati per le loro abominazioni, erano chiamati dal volgo cristiani.
Cristo, da cui deriva il loro nome, era stato condannato a morte dal procuratore Ponzio Pilato durante l'impero di Tiberio. Sottomessa per un momento, questa superstizione detestabile, riappare non solo nella Giudea, ove era sorto il male, ma anche a Roma, ove confluisce da ogni luogo ed è ammirato quanto vi è di orribile e vergognoso. Pertanto, prima si arrestarono quelli che confessavano (d'essere cristiani), poi una moltitudine ingente – in seguito alle segnalazioni di quelli – fu condannata, non tanto per l'accusa dell'incendio, quanto piuttosto per il suo odio del genere umano. Alla pena vi aggiunse lo scherno: alcuni ricoperti con pelli di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco in modo da servire d'illuminazione notturna, una volta che era terminato il giorno. Nerone aveva offerto i suoi giardini per lo spettacolo e dava giochi nel Circo, ove egli con la divisa di auriga si mescolava alla plebe oppure partecipava alle corse con il suo carro. Allora si manifestò un sentimento di pietà, pur trattandosi di gente meritevole dei più esemplari castighi, perché si vedeva che erano annientati non per un bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo » (5).
Si può quindi concludere che Pietro non fu affatto il fondatore della chiesa di Roma, e che se vi venne, vi giunse solo per subirvi il martirio. È anche il pensiero di Porfirio, un filosofo neoplatonico, che di Pietro dice: «Fu crocifisso dopo aver guidato al pascolo il suo gregge per soli pochi mesi» (6).



Note:
1. Corpus Berolinensis VII/I, p. 179.
2. Atti di Pietro, ed Lipsius, pp. 172 ss.
3. Probabilmente l'anno 49 a causa dell'agitazione provocata tra i Giudei, « per istigazione di Chresto (= Cristo)»: «Judaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulsit». Cfr Svetonio, Divus Claudius 25 (At 18, 2). Cfr W. Seston, L'empereur Claude et les Chrétiens , in «Rev. d'Hist. et de Philosoph. Relig.», 1 (1931), pp. 275-304; A. Momigliano, L'opera dell'imperatore Claudio, Firenze 1932.
4. Cfr 2 Ti 4, 11; Fl 4, 22; Cl 4, 7. 9-15.
5. Annales XV, pp. 38-41. Per approfondimenti sulle parole di Tacito si veda questo studio.
6. Frammento 22, tratto dal III libro dell'Apocriticus di Macario Magnete (Texte Untersuchungen XXXVII/4, Lipsia 1911, p. 56. Cfr A. Harnack, Porphirius gegen die Christen.



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Alcuni falsi archeologici

1. Ancora oggi le guide mostrano il carcere Mamertino nel quale per una ripida scaletta sarebbe sceso Pietro quando vi fu imprigionato. E con poca obbiettività vi dicono: «Guardate qui nella roccia l’effigie lasciata miracolosamente da Pietro quando vi sbatté la testa contro per uno schiaffo che gli venne dato». È pura leggenda. Mai Pietro poté scendere in quel carcere, riservato ai sovrani o nobili, rei di lesa maestà ossia di ribellione al governo centrale di Roma. Ancora oggi le guide mostrano in quel carcere una piccola vasca e dicono: «Qui Pietro ha battezzato due carcerieri convertitisi alla sua parola». Pura leggenda anche questa, e riconosciuta tale dagli stessi autori cattolici. Ma la gente semplice che vi si reca, spesso accetta tutto a occhi chiusi e crede perciò che Pietro si sia veramente recato a Roma. In realtà, tale tradizione non compare che dopo il V o VI secolo negli «Atti dei Santi Processo e Martiniano», come anche studiosi cattolici ammettono.


2. Se andate nella chiesa di San Sebastiano, presso le catacombe omonime, sulla via Appia, vi si mostrerà una lastra di pietra con l’impronta di due grossi piedi. E vi diranno: «Ecco l’impronta lasciata da Cristo quando apparve a Pietro sulla via Appia. Stava costui abbandonando Roma per sfuggire la persecuzione neroniana, quando Cristo gli venne incontro, e l’apostolo gli chiese “Dove vai?” (Quo vadis). “A subirvi nuovamente la morte di croce”, gli rispose il Maestro. E Pietro confuso e pentito tornò sui suoi passi per subire lui pure il martirio per Gesú. E là, in quel luogo, la pietra conservò miracolosamente l’impronta dei piedi di Gesú». Anche questa, però, è pura leggenda. Gli stessi studiosi cattolici affermano che quella presunta reliquia di Cristo non è altro che il monumento votivo posto in un non ben determinato santuario pagano da parte di un pellegrino, a significare la strada da lui percorsa e il suo desiderio di eternare la propria presenza nel santuario stesso; poiché, a quel tempo, vigeva la consuetudine di lasciare nei templi pagani simili impronte di piedi per testimoniare l’avvenuto pellegrinaggio votivo a quel luogo. Questa pietra fu poi trasportata dal tempio pagano in un tempio cattolico, dove è tuttora esposta alla venerazione quasi fosse una reliquia miracolosa del Cristo apparso a Pietro.

3. Se visitate la Basilica di San Pietro, in Roma, vi si indicherà la cosiddetta Cattedra di San Pietro, ossia una poltrona su cui l’apostolo si sarebbe assiso negli anni della sua residenza romana. Questa sedia non è ora possibile vederla essendo tutta ricoperta di rivestimenti preziosi e artistici. Tuttavia, alcune persone che qualche secolo fa ebbero la possibilità di esaminare tale «reliquia», vi avrebbero trovato una sedia araba con un’iscrizione inneggiante a Maometto.

4. Riguardo alle ossa di Pietro, uno specialista, il prof. Oscar Cullmann, su invito del papa stesso andò a esplorare gli scavi effettuati sotto la basilica vaticana, e ha scritto in merito: «Per dimostrare che le ossa di Pietro hanno veramente riposato nella supposta tomba, sotto la cupola attuale, sarebbero necessari indizi più sicuri di quelli che si possono addurre sulla base degli scavi recenti. Anzi ... le ragioni che giocano contro la probabilità di una sepoltura di Pietro da parte dei cristiani nelle immediate vicinanze degli Horti neroniani (giardini di Nerone) sono quasi decisive. Come potevano i cristiani, nei giorni di terrore della persecuzione neroniana, compiere proprio in questo punto una sepoltura (un funerale)? V’era una qualche possibilità di distinguere il cadavere di Pietro dagli altri? Non si deve pensare invece che le ossa dei suppliziati, nel caso che le loro ceneri non siano state disperse sul Tevere, siano state gettate in una fossa comune?».


Si vedano anche:


Il papa è il successore di Pietro? Il primato di Pietro
La salvezza cristiana, nella Bibbia Cattolica
ritorna all'indice


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15/07/2009 17:42
 
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Re:
virtesto, 15/07/2009 15.27:



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Virtesto scrive:
Nell'anno 51-52 Pietro è al Concilio di Gerusalemme (Atti 15). Non molto dopo, Paolo rimprovera Pietro ad Antiochia (Galati 2).


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Quanto è scritto in Galati 2:11-21 sembra sia di difficile collocazione temporale.
Potrebbe essere accaduto prima della salita a Gerusalemme di Paolo e Barnaba?
Atti 15:1-2 Galati 2:12
Paolo e Barnaba salirono a Gerusalemme, per trattare la questione della circoncisione e di certi insegnamenti, forse perchè da lì veniva il problema creatosi ad Antiochia?
Chi diffondeva quegli insegnamenti erano gli uomini venuti da parte di Giacomo?
Se fosse così, sarebbe difficile credere che dopo aver esaminato la questione a Gerusalemme, Pietro dopo pochi mesi (non pare anno), sia caduto nella contraddizione di cui parla Galati 2:11-21

Se fosse così, I tdg lo disassocierebbero per apostasia, o mancanza di rispetto per le direttive del CD? [SM=x570867]

Con affetto




www.randallwatters.com/

Se studiate la storia della società Watchtower, una cosa dovreste aver chiara nella mente: la dottrina è irrilevante. Cambia continuamente, dato che il Corpo Direttivo riscrive la loro storia e si riscrivono nella Bibbia, come se fosse stata scritta per loro e soltanto per loro. Potete studiare teologia finché vi fuma il cervello. Potete conoscere la Bibbia parola per parola. Ma, a meno che capiate come la manipolano per arrivare ai loro fini, rimarrete sprovveduti sul come contrastarli. Vi rideranno in faccia. Se imparate il loro sistema e mettete a nudo il loro metodo, non vi sfideranno più. Come nella novella ‘Il mago di Oz’ fu sorpreso a esercitarsi dietro la tenda, così tireranno la tenda dell’illusione al suo posto. Imparate le loro tecniche piuttosto che la loro teologia. (di Randall Watters, dalla sua esperienza pluriennale alla Betel di Brooklyn)
15/07/2009 18:56
 
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Per virtesto


“Attilio Palmieri”



E chi diavolo sarebbe? Che cosa ha studiato? Lo chiedo perché ad una ricerca sul catalogo unificato delle biblioteche italiane risulta che una sola biblioteca in tutta Italia ha il libro da cui è stato preso l’articolo che hai copiato, e non è neppure una biblioteca universitaria. L’autore in questione, oltre un’esegesi del Nuovo testamento non scientifica, pare non prendere in alcuna considerazione le fonti extra-neotestamentarie. L’operazione ovviamente non ha senso, perché il NT è una raccolta di scritti che non esiste come corpus prima del IV secolo, motivo per cui sono i singoli libri del NT che vanno valutati come fonti storiche, assieme a tutti gli altri, e non contrapporre in modo astorico qualcosa di allora inesistente chiamato “Nuovo Testamento” a delle fonti esterne.
Innanzitutto, non s’è capito neppure cosa questo sproloquio dilettantesco dovrebbe dimostrare: stiamo parlando del primato petrino o del soggiorno di Pietro a Roma? E se parliamo del primato petrino, mi spieghi per il tuo autore si spreca a portare prove che non confutano nulla perché sono dirette contro dottrine cattoliche inesistenti? Che rilevanza ha ad esempio che nella Chiesa primitiva vi fossero forme di governo collegiali, o che altri apostoli abbiano rimproverato Pietro? Nella stessa Chiesa di oggi vi sono forme di governo collegiali, e la maggior parte delle decisioni non è presa dal Pontefice ma dai vari sinodi di vescovi. Idem per il fatto che Paolo rimprovera Pietro? Che cosa dovrebbe dimostrare? Né Pietro né il papa attuale sono Dio, e dunque sono perfettamente fallibili e contestabili. Ricordo a tutti quelli che non ne fossero al corrente che per la teologia cattolica il papa è infallibile solo qualora definisca dogmi in materia di morale e di fede parlando ex cathedra, cioè un tipo di prerogativa quasi mai usata. Tutto il resto della pastorale svolta dal papa, sebbene sia di altissimo livello, è pienamente contestabile, e il dibattito teologico cattolico contemporaneo ne è una chiara esemplificazione. Evito dunque di rispondere a tutti quei punti che vorrebbero far valere l’inesistenza di un primato sulla base del fatto che ci sono decisioni collegiali: questo tipo di argomentazione nasce da un fraintendimento di quello che i cattolici credono sia il primato petrino.
Il testo che hai postato è chiaramente opera di una persona devota, ma che non ha nessuna pretesa di scientificità. Cade in errori un tantino banali e clamorosi, come dire che Pietro non sarebbe stato a Roma perché la sua missione non era tra i gentili ma tra i Giudei (come se a Roma non ci fosse stata una delle più floride comunità giudaiche dell’impero), o quando, veramente all’apice, crede di ricavare dalla lettera di Pietro che saluta “da Babilonia” che Pietro sia stato in Mesopotamia, quando sanno anche i sassi che in quel periodo la comunità giudaica stava a Seleucia e che la presenza dei giudei a Babilonia (città ormai ridotta in rovina) è attestata solo dal III secolo d.C., e che “Babilonia” nella letteratura giudaica coeva è una designazione polemica della Roma imperiale, vista come la nuova nemica di Israele.
Tutto l’articolo è un sorprendente insieme di argumenta ex silentio, che, come sa chiunque abbia dato un solo esame di storia, non valgono la carta su cui sono stati scritti. Anche perché il silenzio da una parte, che nulla dice, né in positivo né in negativo, ha come suo completamente altre fonti che invece affermano.
Mi limiterò dunque a confutare le argomentazioni che non si basano su “argumenta ex silentio”, e lascerò invece il compito di esporre le testimonianze della presenza di Pietro a Roma ad uno specialista. Quando dico specialista non intendo ovviamente gli ignori autori di opuscoli protestanti che girano in rete e che non hanno alcuna formazione antichistica, mi riferisco a dei professori universitari. Bisogna avere un minimo di decenza e di pudore quando si scelgono i ricercatori da citare. Siccome che Pietro sia stato a Roma è pacifico per chiunque frequenti il mondo accademico (anche se evidentemente i dilettanti in internet non sono d’accordo), lascerò l’esposizione delle testimonianze della presenza di Pietro a Roma ad un professore di papirologia protestante.


“Nel medesimo cap. 16, ver. 23, di Matteo è scritto che Gesù rivolgendosi a Pietro gli disse: "vattene via da me, Satana, tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini".”



La correttezza del magistero non dipende dalla santità personale, a quel tempo Pietro non conosceva ancora l’interezza del messaggio di Cristo. Se è per questo tutti gli apostoli fuggirono la sera dell’arresto, eppure Paolo ci dice che dobbiamo edificarci sul fondamento degli apostoli, tutte persone umane che ripetutamente nel NT dimostrano di essere delle teste dure che non capiscono quello che Cristo dice loro. Il Signore li ha portati attraverso le cecità umane ad una comprensione sempre più piena del suo messaggio, e non sono le cadute durante il percorso che possono inficiare la tappa finale, a meno che tu non creda che San Pietro alla fine della sua vita faceva ancora l’errore che Gesù gli aveva corretto in Mt 16,23. Pietro rinnegò tre volte Cristo e per altrettante volte Gesù risorto gli chiese “tu mi ami?”, e per tre volte gli disse “pasci le mie pecorelle”. Triplice suggello alla fine del Vangelo che cancella il triplice rinnegamento



“Gli "undici apostoli" e le centinaia di "discepoli" di Gesù, conoscevano bene che Cristo non aveva dato alcun primato nè a Pietro, nè a nessun altro.”



E’ proprio il Vangelo di Giovanni invece che nel cap. 21 vede Pietro chiamato in disparte e Gesù che lo riconferma tre volte, a fargli capire che il suo triplice rinnegamento non aveva cambiato la fiducia che godeva in lui.


““Paolo nella sua lettera ai Galati (cap. 2, ver. 1) scrive: "Paolo, apostolo (non dagli uomini, nè per mezzo d’alcun uomo, ma per mezzo di G. Cristo)".”


L’Apostolo ritiene certamente che sia stato investito da un mandato divino, ma non per questo egli predica fuori dagli schemi della Chiesa, anzi, ci tiene a mostrare il suo pedigree. Per provare ai Galati che la sua predicazione era ortodossa si rifà al fatto che Pietro stesso l’aveva approvata in due occasioni. “In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. […]Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito:vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano.” (Gal 1,18; 2,1-2)

Dunque Pietro nonostante il suo fervore va a far confermare che la sua predicazione fosse ortodossa da chi dirigeva l’opera evangelizzazione. E’ proprio il contrario di certa mentalità protestante fatta di illuminazioni private e libero esame dei testi fuori dalla dottrina apostolica.


“Le "chiavi" del regno dei cieli e dell’inferno sono insite nelle predicazioni del Vangelo.”



Il testo si limita a dire “ a te darò le chiavi”, donde si evinca che le abbia date a chiunque predichi il Vangelo mi è ignoto.


“Il sacerdozio cattolico fu posto in essere dalla curia romana nel 1160 per accoppiarlo con il sacrificio eucaristico (inventato nel sec. XI)”



Ma dico, si può scrivere una cosa simile? Il sacrificio della messa inventato nell’XI secolo? Significa non sapere NIENTE di letteratura cristiana antica. Giustino, Dialogo con Trifone (160 d.C. circa): "Dio attesta che gli sono grati tutti i sacrifici fatti in questo nome e che Gesù Cristo ci ha trasmesso di fare, cioè l'eucaristia del pane e del calice, sacrifici che i cristiani offrono su tutta la terra"


“n proposito si ricorda che nel Vangelo non esiste casta sacerdotale.”



Bisogna vedere cosa intende costui con casta sacerdotale. C’è già una distinzione tra diakonoi, presbyteroi ed episkopoi, e questi erano ordinati con dei rituali particolari quali l’imposizione della mani. Bisogna vedere che cosa per questo autore sarebbe la conditio sine qua non del sacerdozio, prima di provare a vedere se c’era nella Chiesa apostolica. Attendo chiarimenti.


“Non prove storiche ma tradizioni e romanzi riportano che Pietro sia stato a Roma per 25 anni dal 42 al 67.”



Questi sono due estremi, ma nessuna fonte dice che il soggiorno fu ininterrotto.


“nell’epistola di Paolo ai romani, scritta nell’anno 58 da Corinto, l’apostolo si dichiara "pronto ad annunziare l’evangelo anche a voi che siete in Roma" avendo l’ambizione di predicare là dove Cristo non fosse stato nominato per non edificare sul fondamento altrui (cap. 1, ver. 15 e cap. 15, ver. 20).”



E’ il contrario. Paolo dice ai Romani, che, sebbene sia insolito per lui, scrive anche a loro, ed è insolito per lui proprio perché non vorrebbe predicare dove altri hanno già posto un fondamento. Si legga bene: “Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui. (…) Per questo appunto fui impedito più volte di venire da voi.” (15,20-21) Quel fondamento chi era? Pietro forse.


“Alla fine dell’ultimo capitolo egli rivolge i suoi saluti a ben 26 componenti della comunità cristiana romana, ma fra essi il nome di Pietro non figura;”



O Pietro non c’era, oppure è stato lui stesso a dare l’epistola ai Romani, ricevendola dalle mani di Paolo, e dunque non c’era alcun bisogno di salutarlo per lettera.


“Paolo, arrivato a Roma nell’anno 61 "convoca i principali fra i giudei" (Atti cap. 28, ver. 17) i quali gli dicono di volere consocere quello che egli pensa di questa "setta" (cristianesimo), perchè "è noto che da per tutto essa incontra opposizione" (Atti cap. 28, ver. 22)”



Non capisco come il fatto che Paolo parli a dei giudei desiderosi di sapere il suo parere dovrebbe implicare che Paolo venga nominato.


“Infatti troviamo Paolo in Grecia, Macedonia (Atti cap. 17, 18 e 20), in Italia, a Roma (Atti cap. 27 e 28), mentre Pietro era a Gerusalemme, Babilonia, ecc.”



Babilonia è Roma imperiale, già nell’Apocalisse di Giovanni.
Sull’identificazione nel tardo giudaismo e nel cristianesimo primitivo di Babilonia con Roma si possono vedere gli Oracoli Sibillini V, 59; Ap. Bar. 11,1; 67,7; e IV Esdra 3,1.18.21. Per il cristiani: Papia e Clemente Alessandrino (in Eus, Storia Ecclesiastica II, 15,2), Tertulliano, Adv. Judeos 9; Adv. Marcionem 3,13, molteplici in Origene ed Agostino, ecc. Per un elenco H. Fuchs, Der geistige Widerstand gegen Rom, 1938, pag 74 ss. E B. Altaner, art. Babylon, in Reallexikon fü Antike und Christentum, I, coll. 1121 ss, e O. Cullmann, op. cit. pag. 111(nota 65). Per i passi nella letteratura rabbinica Strack- Billerbeck, III, 816 e inoltre Num. R. 7; Midr. Ps 121).
Apprendiamo da Giuseppe Flavio di come verso la metà del primo secolo gli Ebrei avevano abbandonato Babilonia e si erano trasferiti nella città di Seleucia (Ant. Giud. XVIII,9.8 ), e dunque sebbene abbiamo testimonianze di attività giudaica a Babilonia nei secoli successivi, non sono credibili in questo periodo. L’interpretazione di Babilonia nell’epistola petrina come la città mesopotamica, e riferisco gli ipsissima verba di Oscar Cullmann visto che mi si accusa di portare solo studiosi cattolici, “non è affatto verosimile né si appoggia alla tradizione cristiana posteriore, la quale non conosce in quelle regioni attività missionario di Pietro bensì solo dell’Apostolo Tommaso; si aggiunga il fatto che anche il Talmud babilonese menziona soltanto a partire dal III secolo la presenza di cristiani in questa regione” (O. Cullmann, San Pietro discepolo, apostolo, martire, pag. 113)

E ora la pars costruens. Lascio la parola la papirologo protestante C.P. Thiede, che ha dedicato una bella monografia su San Pietro. A differenza di virtesto, che s’è limitato ad un copia&incolla, io prima di proporvi un articolo come ha fatto lui ho avuto la decenza di demolire quello che lui aveva scritto, ergo i soliti polemici evitino di dire che questa è una guerra di citazioni. Io, la mia parte, l’ho fatta. Consiglio di leggere questo testo per una banalissima ragione, esso rende conto di tutti quegli “argumenta ex silentio” su cui si basa l’articolo riportato da virtesto e che io, per ragioni di tempo, ho evitato di commentare. In realtà non c’era bisogno di commentare nulla perché inferire qualcosa da dei silenzi è un processo storico problematico, ma, per coloro ai quali questi silenzi pesassero, questi estratti dalla monografia di Thiede su Pietro potranno essere d’aiuto.

Carsten Peter THIEDE
Simon Pietro dalla Galilea a Roma
tratto da: Carsten Peter THIEDE, Simon Pietro dalla Galilea a Roma (presentazione di Marta Sordi), Massimo, Milano 1999, p. 228-235.258-260.283-291.

Capitolo VI - 6. Pietro, verso l'anno 42, giunge a Roma perché doveva andare nel centro dell'Impero, chiamata in modo indiretto Babilonia, e ne diventa l'«episcopo» (p. 228-235)

Luca è uno storico accurato. Se non accenna nemmeno alle peregrinazioni di Pietro fino alla sua ricomparsa in occasione del Concilio apostolico degli Atti 15, doveva avere delle buone ragioni. L'ipotesi che egli avesse perso interesse nel seguente ruolo di Pietro perché voleva favorire Paolo è troppo semplicistica, ed è in ogni caso contraddetta dal ruolo determinante che Pietro gioca negli Atti 15. E' comprensibile che Luca non voglia nominare il luogo (o i luoghi) dove Pietro si recò. Il motivo è lo stesso che causò l'omissione del nome di Pietro nel racconto di Luca e Marco (ripreso anche da Matteo) della mutilazione dell'orecchio del servo al Getsemani. Scrivendo mentre Pietro era ancora vivo, e a un alto funzionario romano, Luca vuole evitare qualsiasi cosa che possa compromettere l'attività dell'apostolo (che era legalmente un fuggitivo dalle autorità dello stato) nei confini dell'Impero romano. Luca sapeva dove era andato Pietro e dove si trovava nel momento in cui scriveva, ma rimase zitto. Anche Pietro cerca di essere vago a questo proposito, quando manda la sua prima Lettera da Roma usando lo pseudonimo topografico di «Babilonia» al posto di Roma (1Pt 5,13). Ed è proprio l'uso di «Babilonia» che ci dà la chiave per identificare l'«altro luogo» di Luca.

Sebbene non si possa determinare quando Babilonia fu usata per la prima volta come crittogramma al posto di Roma, una tale identificazione è indiscutibile (30). La scelta di Babilonia (invece, per esempio, di Sodoma o Gomorra) era immediata poiché implicava sia il simbolo del potere e del male, dell'arroganza e della corruzione che sarebbero stati sconfitti dal Signore (cfr. Is 13,1-14,23), sia l'«esilio» della Chiesa cristiana nel centro del paganesimo. Ma qualunque fosse la somma di ragioni che indusse la scelta di Pietro, i suoi lettori sarebbero stati ben consapevoli dei riferimenti della Scrittura a Babilonia. Ce ne sono molti, ma uno è particolarmente illuminante: Ezechiele 12,1-13. Vi sono qui dei riferimenti all'«esilio», alla fuga da Gerusalemme a notte fonda (12,7) e a Babilonia (12,13). Anche se tutti questi elementi sono presenti in questo passo (che contiene, naturalmente, un significato e una profezia molto più ampi e complessi), tuttavia è un altro verso che offre la chiave all'«indovinello» di Luca: «(...) preparati a emigrare; emigrerai dal luogo dove stai verso un altro luogo», recita Ez 12,3. La Bibbia dei Settanta usa l'espressione eis heteron topon, la stessa usata da Luca per indicare la destinazione di Pietro. L'«altro luogo» è Babilonia, e Babilonia è Roma.

I tempi erano maturi, pare, per l'uso simbolico di «Babilonia» per significare Roma fra i cristiani che vivevano o si trovavano nella capitale dell'Impero alla fine degli anni 50 o all'inizio degli anni 60, e i regni di Claudio e Nerone offrivano abbastanza materiale esemplificativo (31).

Prove testuali indicano quindi chiaramente che la destinazione di Pietro era Roma. Una conferma ulteriore proviene dalla storia della Chiesa, in un suggestivo particolare riportato da Eusebio e da Girolamo. Pietro arrivò a Roma durante il regno di Claudio, più precisamente nel secondo anno di regno, l'anno 42 (Eusebio, HE 2,14,6, con il Chronicon ad loc, e Girolamo, De viris illustribus 1, dove egli è il «soprintendente» o episkopos per venticinque anni, cioè fino alla sua morte sotto Nerone) (32). Questo fatto è confermato dal Catalogus Liberianus, del quarto secolo, un elenco di papi dall'inizio della diocesi romana fino a papa Liberio (352-66), e dal Liber Pontificalis, pubblicato (nella forma conservata) nel sesto secolo (per la maggior parte si basa sul Catalogus Liberianus, ma contiene alcune informazioni indipendenti e della varianti nei dettagli) (33).


E' interessante notare che queste fonti datano dall'epoca in cui la Chiesa cominciò a catalogare la sua storia (non ce n'era stato evidentemente bisogno prima che acquisisse autorità ufficiale e sicurezza durante il regno di Costantino) (34). Ma è ugualmente degno di nota il fatto che queste fonti storiche in nessun caso contraddicano le informazioni o la plausibilità storica del Nuovo Testamento. Anche se è forse inevitabile una certa imprecisione nei particolari di secondaria importanza, lo schema generale e la successione delle date e dei dati coincidono perfettamente.

Pietro lasciò Gerusalemme subito dopo la fuga dalla prigione nell'anno 41 o 42. La seconda data concorderebbe anche con un ordine apocrifo di Gesù, strano e non molto plausibile, secondo il quale gli apostoli non avrebbero dovuto lasciare Gerusalemme per dodici anni: Atti di Pietro 2,5; Clemente Alessandrino, Stromata 6,5,43 (che cita il perduto Kerygma Petrou, «Predicazione di Pietro»); Eusebio, HE 5, 18,14 riconduce questa affermazione ad Apollonio, uno scrittore antimontanista (HE 5 18,1), ma precisa aggiungendo l'ironico commento hos ek paradoseos, «come se per tradizione».


Pietro si dirige quindi verso Roma, ma non direttamente. Potrebbe avere visitato Antiochia, e forse molte città nell'Asia Minore (cfr. 1Pt 1,1; Eusebio, HE 3, 1,2), forse Corinto (cfr. 1Cor 1,12-14; 9,5: probabilmente una traccia della presenza di Pietro a Corinto con la moglie, che non fa altre apparizioni dirette nel Nuovo Testamento - cfr. Mc 1,29-31 - e muore da martire sotto gli occhi di Pietro, come riporta Clemente Alessandrino, Stromata 7,63,3, ed Eusebio, HE 3,30,2). Nell'inverno del 42 arriva a Roma. Non fu il primo evangelizzatore ad arrivare in città (i romani citati negli Atti 2,10 avrebbero diffuso la buona novella prima di lui), ma fu il primo apostolo ad avallare e fondare ufficialmente la Chiesa. Il suo arrivo e l'inizio della sua opera è il punto di partenza del suo «episcopato», che, come quello ad Antiochia, continua anche durante la sua assenza, rimanendo egli il capo titolare o il «soprintendente» ufficiale.

L'importanza dell'opera di fondazione di Pietro a Roma è riconosciuta persino da Paolo, che ritardò la propria visita a Roma finché non poté includerla come breve tappa di passaggio nel viaggio verso la Spagna, perché non voleva «costruire su un fondamento altrui» (Rm 15,20 e 23-24). Ciò che Paolo dice, alla lettera, è che la «prima pietra» era già stata posta da qualcun altro, e apparteneva a costui. Non era una comunità anonima, ma una persona, che aveva posto questa pietra. I romani sapevano chi era costui: non c'era bisogno che Paolo menzionasse il suo nome in questo contesto (35); e Paolo aveva tutte le ragioni per riconoscere la preminenza di Pietro a Roma: la sua priorità si manifestava nella missione fra i pagani (cf. Gal 1,16; 2,7-9), e la comunità di Roma cui si rivolgeva era decisamente ebrea, anche se in prevalenza di lingua greca.

Era questo, in effetti, il «terreno di caccia» ideale per un uomo con l'esperienza di Pietro, piuttosto che quella di Paolo. Grazie alla sua opera rivoluzionaria in Cesarea, Pietro era pronto a entrare in contatto con i romani (Cornelio potrebbe persino avere ricambiato l'insegnamento di Pietro informandolo sulla situazione a Roma e sulla mentalità dei romani), ma la sua esperienza fino a quel momento si era formata con gli ebrei e i sostenitori degli ebrei, pagani «timorati di Dio» (proprio il genere di persone che avrebbe incontrato e che lo avrebbe bene accolto al suo arrivo a Roma). Con una popolazione ebraica di circa cinquantamila persone (36), inclusi i timorati di Dio e i proseliti pagani, c'era molto lavoro da fare. Persino al tempo della Lettera di Paolo ai Romani, nell'anno 57, quando le comunità si erano ricostituite dopo la morte di Claudio e la fine definitiva delle espulsioni, l'elemento giudeo-cristiano era ancora più forte e più importante di quello strettamente pagano-cristiano (cfr. Rm 1,16; 2,9-10; 7,1; 11,13-21). Il semplice fatto, tuttavia, che ci fosse un considerevole gruppo di pagani (cfr. Rm 1,13-15) dimostra ancora una volta l'intento di Pietro di svolgere anche la missione fra i pagani.

Pietro non era solo a Roma. Marco andò con lui o direttamente dalla casa della madre o lo raggiunse non molto tempo dopo: per quanto concerne la cronologia degli Atti, la presenza di Marco a Gerusalemme non era più richiesta già da quando Paolo e Barnaba lo portano con se ad Antiochia (At 12,25) nel 46, dopo la «visita per la carestia». Inoltre, sentiamo parlare di lui come interprete di Pietro (come scrive Papia), e se Pietro bilingue dall'infanzia, ebbe mai bisogno di un interprete per risparmiare alle sensibili orecchie dei romani l'affronto del suo rozzo greco non colto, che si combinava con uno scoraggiante accento di Galilea, questo accadde all'inizio del suo primo soggiorno, piuttosto che verso la fine del secondo (37). Eusebio (HE 6,14,6, citando l'opera perduta di Clemente Alessandrino, Hypotyposeis), nota che Marco aveva seguito Pietro per molto tempo, un'allusione al lungo rapporto fra i due, del quale 1Pietro 5,13, dove Pietro chiama Marco figlio suo, non è l'inizio, ma il punto culminante. Sebbene nessuna delle fonti affermi in così tante parole che Marco rimase con Pietro a Roma dal 42 in poi, le prove raccolte suggeriscono questa possibilità più di qualsiasi altra (38).


Il ritorno di Marco a Gerusalemme entro il 46 coincide con un altro dato: la scrittura del suo Vangelo. Si è visto da prove papirologiche e storiche che il Vangelo doveva essere datato a prima dell'anno 50, una conclusione cui portano anche prove indipendenti non papirologiche (39). La data più plausibile, considerando ciò, sarebbe da collocarsi fra la partenza di Pietro da Roma (subito dopo la morte di Erode Agrippa nel 44, quando poté programmare senza grossi rischi un ritorno in Palestina; la cronaca di Eusebio lo vede ritornare, via Antiochia, nel 44) e l'arrivo di Marco a Gerusalemme nel 46 al più tardi. Questa corrispondenza fra le prove papirologiche e quelle storiche ha inoltre il vantaggio di essere corroborata da commenti, altrimenti di difficile interpretazione, dei Padri della Chiesa.

Ireneo, che conosceva la nota di Papia, è il primo a commentare i Vangeli dopo di lui. Egli inizia con una affermazione che sembra essere erronea, cioè che sia Pietro sia Paolo fondarono la comunità romana (a meno che non si legga il verbo che egli usa per «fondare», themelioo, allo stesso modo in cui viene usato in 1Pt 5,10, dove significa «rafforzare», «confermare»; in questo senso, l'affermazione di Ireneo è naturalmente vera sia per Pietro sia per Paolo).

Riferendosi all'epoca in cui Matteo scriveva il suo Vangelo «fra gli ebrei» «nella loro stessa lingua», egli afferma che Marco, il discepolo e l'interprete di Pietro, trascrisse su carta il suo insegnamento dopo la loro (cioè di Pietro e di Paolo) morte (Haer. 3, 1,1). Molti commentatori hanno interpretato così il significato dell'affermazione di Ireneo. Tuttavia, la traduzione «dopo la loro morte» di meta de touton exodon è molto problematica e certamente non sopportata dalla affermazione precedente di Papia. Papia dice semplicemente che Marco aveva scritto accuratamente tutte le cose così come le ricordava (hosa emnemoneusen akribos egrapsen). Ma ricordare l'insegnamento di qualcuno certamente non presuppone la morte di costui (sarebbe sufficiente la sua partenza, e questo è precisamente ciò che dice Ireneo).


Exodos può naturalmente significare «morte» (come nel Nuovo Testamento: Lc 9,31; probabilmente 2Pt 1,15). Innanzitutto, però, la parola greca ha il semplice significato di «partenza», dai tragici greci fino all'Antico Testamento in greco, dove viene usata a proposito della partenza degli israeliti dall'Egitto nel secondo libro del Pentateuco (cfr. Sal 104,38; 113,1; Eb 11,22 et al.). Il significato «morte» è un significato acquisito, di alto valore simbolico, ma il suo uso in questo senso deve risultare ovvio dal contesto diretto (una condizione chiaramente presente in Lc 9,31, ma non altrettanto inequivocabile in 2Pt 1,15). E poiché la fonte (o le fonti) di Ireneo non presuppone o implica la morte di Pietro, non dovremmo interpretare così il suo testo (40). Pietro è partito da Roma prima che Marco scriva il suo Vangelo: questo è tutto ciò che vuole dire.

Questo è completamente compatibile con i commenti di Origene e di Clemente Alessandrino. Origene dice che Marco scrisse come Pietro l'aveva istruito o gli aveva insegnato (hos Petros hyphegesato auto, Commentario al Vangelo di Matteo, citato in Eusebio, HE 6, 25,5). Questo significa che egli seguì l'esempio posto dal metodo e dai contenuti della predicazione di Pietro. Infine, Clemente ricorda che Marco, che era stato compagno di Pietro per molto tempo, fu sollecitato dai cristiani (romani) a trascrivere ciò che Pietro aveva detto, e così fece. La reazione di Pietro fu neutrale: «Egli né impedì né incoraggiò ciò» (mete kolusai mete protrepsasthai: Hypotyposeis, in Eusebio, HE 6, 14,7).

In un altro passo, parafrasando il resoconto di Clemente, Eusebio conclude con una nota differente: Pietro era contento, egli scrive, e ratificò l'opera perché fosse studiata devotamente nelle chiese (HE 2, 15,2). Queste due affermazioni, naturalmente, non si escludono a vicenda: mostrano piuttosto un progresso da un inizio cauto, quando Pietro ancora predicava, al momento in cui l'opera era stata stesa nella sua forma finale. Il verso di 2 Pietro 1,15 potrebbe riflettere quest'ultimo stadio, la ratifica e la raccomandazione del Vangelo (41).


Tutti questi resoconti e fonti servono a confermare la conclusione che il Vangelo di Marco fu scritto a Roma, non solo mentre Pietro era ancora in vita, ma subito dopo la sua prima partenza dalla città, fra il 44 e il 46.


Capitolo VII - 1. Quando Paolo parte per Roma per essere giudicato, Pietro probabilmente ne era assente (p. 258-260)

Tutte le più antiche fonti ancora esistenti che commentano la morte di Pietro concordano sul fatto che avvenne a Roma. E' meno certo quando e come egli vi tornò da Antiochia. Potrebbe essere rimasto ad Antiochia ancora per un po', poiché egli, a differenza di Paolo, non aveva motivo per lasciare la città. Ma in qualunque momento Pietro ripartì alla volta di Roma, è improbabile che vi sia andato direttamente: non era persona da perdersi l'occasione di evangelizzare. Corinto potrebbe essere stata di nuovo una tappa del suo viaggio, e non può essere esclusa la possibilità che alcuni dei fatti che indussero Paolo ad alludere in modo enigmatico all'influenza di Pietro sui Corinzi ebbero luogo durante questa sua (seconda) visita (1).

Pietro giunse a Roma non prima della fine dell'anno 57. Quando Paolo manda la sua Lettera ai Romani nei primi mesi di quello stesso anno, il nome di Pietro spicca per la sua assenza dal lungo elenco dei destinatari del saluto di Paolo in 16,3-16 (2). Questo elenco, comunque, getta una luce sulla composizione della comunità cristiana a Roma. Troviamo due vecchie conoscenze, Priscilla e Aquila (cfr. At 18,2, 18 e 26; 1Cor 16,19; 2Tm 4,19), che potrebbero avere collaborato con Pietro, prima di lasciare Roma nel 49, vittime delle espulsioni di Claudio. Parecchi elementi che li riguardano invitano a un commento. Secondo Romani 16,3-4, essi avevano una comunità nella loro casa, una specie di «casa-chiesa» (Paolo usa proprio il termine ekklesia nel v. 4), il che indica una forma di organizzazione simile a quella di Antiochia o (cfr. At 12,12 e 17) di Gerusalemme: molti nuclei più piccoli formavano la Chiesa, e i giudeo-cristiani non condividevano necessariamente i luoghi d'incontro e i pasti con i pagano-cristiani. Quest'ultimo fatto è confermato da ciò che possiamo dedurre a proposito dei gruppi e degli individui citati, se li consideriamo come i capi di case-nuclei allo stesso modo di Priscilla e Aquila.


Andronico e Giunia sono giudeo-cristiani (Paolo li chiama «miei parenti» in Rm 16,7), come Maria (16,6), Apelle (16,10) ed Erodione (16,11). D'altra parte, troviamo romani o pagani, come Ampliato (16,8), Urbano e Stachi (16,9), Trifena, Trifosa e Perside (16,12), Rufo (16,13), Asincrito, Flegonte, Erme, Patroba ed Erma (16,14), Filologo e Giulia, Nereo e Olimpas (16,15). Se per lo meno le coppie sono a capo delle case-nucleo (3), le case-nucleo dei giudeo-cristiani e dei pagano-cristiani sono nettamente distinte. E' interessante che Paolo, sebbene venga formalmente accolto tre (?) anni più tardi da due delegazioni cristiane al Foro di Appio e alle Tre Taverne (At 28,15), non mostri alcun interesse per la comunità cristiana (pagana); egli si preoccupa chiaramente dei giudei (At 28,17-28). La completa scomparsa dei cristiani dalla vista di Paolo dopo il verso 28,16 è probabilmente una conseguenza del modo conciso di Luca di narrare la sua storia. Questo non significa che Paolo operasse indipendentemente per tutti i due anni che trascorse agli arresti domiciliari, ignorando la Chiesa esistente. Né dovremmo dedurre dal silenzio di At 28,30-31 che Pietro era necessariamente assente da Roma a quell'epoca, o che egli e Paolo non si incontrarono.

Aquila e Priscilla (o Prisca, come Paolo la chiama di solito) erano ricchi proprietari di un'attività internazionale di costruzione di tende, con filiali a Roma, Corinto ed Efeso, presso cui Paolo aveva in precedenza lavorato (At 18,2-4). Se possiamo giudicare dal loro posto in cima all'elenco di Paolo, essi erano probabilmente i cristiani romani più importanti durante l'assenza di Pietro. Paolo, come sappiamo dagli Atti e dalla 1 Corinzi, li aveva incontrati a Corinto e fu in seguito con loro a Efeso, dove avevano fondato ancora una volta una casa-chiesa. Ma Paolo li esclude dall'elenco di coloro che egli aveva battezzato di persona (1Cor 1,14-16). Essi furono quindi battezzati con tutta probabilità a Roma prima della loro espulsione; possiamo supporre che sia stato Pietro a battezzarli e a istruirli a formare nuclei di credenti durante i loro viaggi e in sua assenza. Come Marco, anch'essi costituiscono dunque un legame fra Pietro e Paolo (4).

Capitolo VIII - 1. Pietro morì molto probabilmente nel 67, durante la lunga persecuzione dei cristiani ordinata da Nerone (p. 283-291)

Quando, perché e come morì Pietro? Le nostre fonti più antiche ci forniscono una chiave: si tratta della prima lettera di Clemente Romano, uno dei primi cristiani della seconda generazione di convertiti, del quale si conoscono parecchie cose. Cominciò come membro dell'«amministrazione» della Chiesa (cfr. Il pastore di Hermas, Visione 2,4,2-3) e ricoprì questo incarico fino alla metà degli anni 80. Verso la fine degli anni 80 (1) per circa 10 anni fu vescovo di Roma (la Chiesa cattolica lo ricorda come terzo successore di Pietro), grazie anche al fatto che era stato uno stretto discepolo di Pietro e Paolo (Ireneo, Haer. 3,3,3; Eusebio, HE 5,6,1-5; cfr. Tertulliano, De praesc. 32). E' stato persino ipotizzato che egli sia lo stesso Clemente della Filippesi 4,3 (Origene, Commentario su Giovanni 6,54; Eusebio, HE 3,4,9). A un certo punto, egli scrisse la sua lettera, da parte della Chiesa romana, ai Corinzi (Dionigi di Corinto, in Eusebio, HE 4,23,11; Egesippo, in Eusebio, HE 4,22,12).


La data della lettera è stata da molti stabilita nel 96, ma argomenti decisivi sono stati sollevati contro una datazione così tarda, in particolare per il fatto che dalla lettera non risulta ancora un'amministrazione completamente organizzata della Chiesa (1Clemente 42,4; 44,1-4; 54,2; 57,1) e le «calamità» (1,1) non corrispondono alle persecuzioni avvenute sotto il regno di Domiziano (imperatore dall'81 al 96) ma piuttosto alla situazione caotica a Roma nel 69, come fu descritta in modo indipendente anche da Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana 5,13 (2). Per questa e altre ragioni, e considerando i problemi associati a tutti gli argomenti in favore di una datazione tarda, si è insistito a proporre come data il 70 (3). Ma qualunque sia la data precisa di composizione, Clemente scrive come uno per cui le persecuzioni di Nerone sono un ricordo ancora vivo (5,1-6,2). E ciò che scrive a proposito della morte di Pietro (e di Paolo) è illuminante: «A causa della gelosia e dell'invidia, i pilastri maggiori e più giusti furono perseguitati e condannati a morte. Conserviamo davanti ai nostri occhi i buoni [retti] apostoli: Pietro, il quale soffrì a causa della gelosia ingiustificata non uno o due ma molti tormenti, e, avendo dato testimonianza [kai houto marturesas: il martirio letteralmente come una forma di testimonianza], egli andò nel luogo della gloria che gli era dovuto. A causa della gelosia e della discordia, Paolo mostrò il prezzo della sopportazione paziente [hypomone]...».

Clemente usa molte volte il termine «gelosia» nella sua lettera (6,1, a proposito delle sofferenze e del martirio dei cristiani, uomini ma soprattutto donne, e 9,1); si potrebbero quasi considerare i passi dal capitolo 3 al 6 come una sezione intitolata «Concernente le conseguenze della gelosia» (4). Ma, come abbiamo visto analizzando gli Atti 5,17, «gelosia», zelos, in un simile contesto, significa anche «zelo (religioso)», e questa è anche l'interpretazione che ne viene data nel passo di Clemente. La Chiesa romana era cresciuta considerevolmente a partire dalla fine degli anni 50. Era un vivaio per una cristianità giudaica tradizionale e per una cristianità pagana indigena, indipendente come mentalità. Entrambe erano capaci di una fratellanza cristiana ma, come la Lettera ai romani di Paolo aveva già dimostrato, a Roma come ad Antiochia, i cristiani non erano ancora riusciti a creare una chiesa mista unita. Le fazioni radicali, da entrambe le parti, continuavano ad alimentare le differenze tradizionali, e un uomo come Pietro, il cui scopo ultimo era sempre stato quello di riunire i pagani e gli ebrei in un'unica Chiesa, avrebbe avuto i suoi problemi allo stesso modo di Paolo, la vittima dello zelo ebraico osservante della Legge (At 21,20-30; Rm 2,17-29; 13,1-7 e 13) e con forti implicazioni politiche (Fil 3,2,5 e 19-20).

Non è improbabile che Pietro tornasse a Roma alla fine del 57 o nel 58 proprio perché aveva avuto notizia dell'espansione dei giudeo-cristiani zeloti e osservanti della Legge. Le stesse persone che avevano causato dei problemi ad Antiochia potevano essere comparse ora a Roma, una scelta ovvia e probabile, volendo estendersi dalla terza città dell'Impero, come popolazione, alla sua capitale. La realtà del conflitto è spiegata bene dalla Lettera di Paolo ai Filippesi, 1,15-17; ci furono in effetti dei cristiani che gli causarono dei problemi durante la sua prigionia.

Mentre Paolo era in qualche misura indifeso in una situazione simile, Pietro poteva ancora tentare di agire da conciliatore, ma persino lui non poteva essere sicuro di sopravvivere abbastanza da vedere il suo compito portato a termine (cf. 2Pt 1,13-14). Essendo stato scritto, copiato e spedito alle diverse destinazioni il Vangelo di Marco, egli era certo che la sua predicazione e il suo insegnamento erano al sicuro, entro i limiti di ciò che lo sforzo umano poteva ottenere; e poiché egli era cosciente che il conflitto fra i giudeo-cristiani e i pagano-cristiani era totalmente contrario al volere di Dio, riuscì a perseverare pazientemente nella sua opera quotidiana nella comunità senza né un immotivato ottimismo né un eccessivo scoraggiamento.

La sua opera sarebbe stata ostacolata dal disprezzo in cui erano tenuti i cristiani sia dall'opinione pubblica romana sia dagli ebrei ortodossi. I tentativi di Paolo di convertire l'establishment ebraico a Roma (At 28,17-28) avevano ottenuto solo un moderato successo (At 28,24); i capi della comunità ebraica, irrigiditisi, sarebbero diventati nemici invece che concilianti, e i cristiani, con tutti i loro problemi interni, erano quindi circondati da un'ostilità latente, da parte dei pagani e degli ebrei, che sarebbe potuta esplodere alla prima occasione. Gli ebrei, in particolare, non avrebbero accettato di essere espulsi (come nel 49) o persino perseguitati a causa di una situazione che era imputabile in gran parte ai cristiani.


Essi, più che le autorità romane dell'inizio degli anni 60, piuttosto indifferenti, avrebbero tenuto d'occhio con attenzione i cristiani e le loro attività. La prudenza era in ogni caso opportuna, poiché gli stessi ebrei zeloti avevano provocato una considerevole tensione sotto Claudio e Nerone, e non si poteva prevedere quali disordini sarebbero successi se questi zeloti e i «riformatori sociali» (5) cristiani fossero stati considerati come agitatori contro lo stato. Chi meglio di Paolo poteva comprendere questo modo di pensare? La sua Lettera ai Romani, dopo tutto, tratta di questo aspetto della vita sociale dei cristiani (Rm 12,14-21; 13,1-14; 16,17-20) in modo altrettanto energico ed enfatico della successiva Lettera ai Filippesi (1,15-17; 3,2-20).

Anche Pietro era del tutto consapevole della natura problematica di un'attività sociale prematura, che sarebbe stata considerata anti-sociale dalle autorità (1Pt 2,11-17; 3,13-17; 2Pt 3,14). Egli sapeva anche che l'opinione pubblica era sempre stata pronta ad attaccare i cristiani (1Pt 2,11-12; 3,16).

Questa precaria «guerra fredda», con schermaglie di minore importanza, durò parecchi anni, finché scoppiò l'incendio al Circo Massimo, probabilmente accidentale, nelle prime ore del 19 luglio 64, distruggendo dieci delle quattordici circoscrizioni della città di Roma e dando inizio, indirettamente, agli orrori delle persecuzioni di Nerone. In un primo momento Nerone si dimostrò un abile governante. Tornando in tutta fretta da Anzio, aprì i suoi giardini sulla collina del Vaticano e a Campo Marzio per le decine, se non centinaia, di migliaia di persone che erano rimaste senza un tetto dopo l'incendio; egli iniziò immediatamente a ricostruire la città, stese un previdente programma di costruzione di alloggi e procurò grano e cibo a prezzi assai bassi (cfr. Tacito, Annales, 15,38-41 e, polemicamente, Svetonio, De vita Caesarum 6, 38,1-3).

Cerchiamo di immaginare la situazione in un luogo come i giardini di Nerone al Vaticano. In un primo tempo i senzatetto furono ammassati tutti insieme senza alcuna considerazione per il rango e la religione. Cittadini disperati, che avevano perso tutte le loro proprietà di valore, erano accampati accanto ai cristiani, che sembravano invece impassibili e addirittura visibilmente contenti del modo in cui la punizione divina si era abbattuta sulla città depravata. Il fuoco, profetizzato da tempo immemorabile come segnale della fine del mondo, era finalmente giunto. Pietro (e Paolo) probabilmente tentarono di smorzare queste voci, ma il danno ormai era fatto. I romani comuni avrebbero considerato i cristiani nemici dello stato, della città e persino responsabili dello scoppio dell'incendio che tanto aspettavano. Potrebbero essere stati i giudeo-cristiani «zeloti», che erano (a differenza dei loro fratelli pagani) immersi in pensieri apocalittici, a iniziare a provocare gli altri (cristiani e non cristiani) con i loro discorsi sul giudizio di Dio. Chi conoscesse la seconda Lettera di Pietro gli avrebbe fatto notare che egli stesso aveva predetto tutto ciò (3,7 e 10-12). Pietro, ribattendo che questo non era l'episodio che egli aveva avuto in mente, sarebbe diventato nemico dichiarato degli «zeloti», proprio come insinua Clemente nella sua lettera (1 Clemente 5,4).

Questi sviluppi richiesero del tempo. Tacito, che riporta come né il programma di Nerone di ricostruzione di Roma, né i divertimenti pubblici, né le preghiere agli dei poterono sedare le voci secondo le quali l'incendio era scoppiato per ordini dall'alto (Annales 15,44), lascia intendere che ci fu un intervallo considerevole fra l'incendio e la decisione finale di usare i cristiani come capri espiatori. In effetti, è interessante che nessuna delle prime fonti cristiane accenni in alcun modo all'incendio come in diretta relazione con le persecuzioni.


Le sofferenze reali e le glorie del martirio erano così importanti da diventare indipendenti dall'evento del secolo dell'incendio che le aveva precedute e che, indirettamente, aveva contribuito a causarle. Persino Lattanzio, retore e pensatore circospetto, scrivendo come precettore di Crispo (il figlio dell'imperatore Costantino) intorno all'anno 317 (cfr. De mortibus persecutorum 2,5-6), sorvola sull'incendio nel suo enfatico racconto delle persecuzioni di Nerone, in un'epoca in cui la storia di Tacito era conosciuta da tutti e facilmente consultabile da lui presso gli archivi imperiali). Anche due altri appassionati di materiali d'archivio, Eusebio e Girolamo, scelsero di omettere ogni riferimento all'incendio. Qualunque idea apocalittica potessero avere i cristiani romani dell'anno 64, da Clemente in poi gli storici cristiani fecero in modo di assicurarsi che i loro lettori non fossero disorientati.

Tuttavia lo stesso Tacito indirettamente avalla il racconto di Clemente. Non solo testimonia il disprezzo di tutti nei confronti dei cristiani, la cui fede egli definisce superstizione (superstitio) e pericolo (malum), ma ricorda anche che molti cristiani furono condannati per le denunce (indicium) di coloro che erano stati arrestati in precedenza. Questo sembra confermare, da un diverso punto di vista, l'allusione di Clemente alla «gelosia/zelo» come motivo nascosto della persecuzione di massa che egli descrive in 6,1-2. In effetti, la descrizione stessa di Clemente, con le allusioni ai giochi umilianti fatti con i cristiani nel Circo e nei giardini di Nerone al Vaticano, ricorda uno dei racconti di Tacito. Ed esiste un'altra indicazione che non dovrebbe essere sottovalutata: Tacito afferma che i cristiani furono condannati «non tanto per l'accusa di essere incendiari, quanto per il loro odio per l'umanità» (odio humani generis). Tacito, un contemporaneo (forse) più giovane di Clemente, fornisce qui una buona ragione perché i padri della Chiesa non menzionassero del tutto l'incendio nei loro resoconti.

Pietro dovette rendersi conto che un'altra profezia di Gesù si stava realizzando. Quando aveva fornito a Marco il materiale per il suo Vangelo, aveva incluso il racconto del discorso di Gesù sul monte degli Ulivi (Mc 13,3-37). Ora, con tutte le denunce, le torture e le condanne a morte che erano compiute intorno a lui, dovettero tornargli alla mente i versi 13,12-13: «Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato».


Qualunque cosa abbia fatto Pietro mentre ancora aveva libertà di azione, una cosa consegue con certezza da questo passo, e in particolare dall'ultimo verso: non si sarebbe certo comportato come viene riportato dalla leggenda raccontata in modo avvincente negli Atti di Pietro 35 (5). Essa racconta come egli fuggisse da Roma, travestito, e incontrasse Gesù, a cui chiese: «Dove vai?» (Quo vadis?). E il Signore, a questa domanda, rispose dicendo che doveva tornare a Roma per essere crocifisso di nuovo; e Pietro, rendendosi conto di cosa stesse accadendo, ritornò indietro per essere egli stesso crocifisso. Chiunque abbia inventato questa storia (appena edificante) dovette aver dimenticato che Pietro, dopo l'Ascensione, non era più lo stesso Pietro, a volte debole e vacillante, del passato, e che la Roccia matura, che aveva ben presente la profezia di Gesù in Marco 13,14, non avrebbe mai abbandonato il suo gregge.

Clemente, la nostra fonte più antica, non specifica quando morirono Pietro e Paolo. La sua cronologia è, al contrario, piuttosto vaga; e questo è del tutto coerente con il contenuto dell'intero passo, che non vuole essere l'analisi di un fatto storico, ma la sintesi della sua «morale» per i lettori cristiani. Altre fonti antiche, che confermano il fatto che la morte di Pietro (e di Paolo) avvenne durante il regno di Nerone, non sono più specifiche di questa. Menzionano semplicemente il regno di Nerone, che terminò il 9 giugno del 68 con il suo suicidio (7).

Ma noi possediamo indicazioni affidabili sul modo in cui Pietro morì, cioè per crocifissione: coloro che menzionano la sua morte sono concordi su questo punto. Lattanzio (De mortibus persecutorum 2,6) la riassume con cura: «Egli [Nerone] crocifisse Pietro e uccise Paolo» (8). Origene riporta che Pietro fu «crocifisso a testa in giù, poiché era così che egli aveva chiesto di soffrire» (Commentario sulla Genesi, Libro 3, in Eusebio, HE 3, 1-2). Si possono sollevare dei dubbi a proposito di questa tradizione, poiché viene narrata anche nei leggendari Atti di Pietro 37(8)-39(10), che sono anteriori di circa trent'anni rispetto a Origene. I discorsi, chiaramente non petrini, attribuiti a Pietro in questa occasione, il più lungo dei quali pronunciato a testa in giù, non vengono però nemmeno menzionati da Origene.


Non c'è nulla di intrinsecamente impossibile nella tradizione in sé: le crocifissioni erano comuni nel contesto della persecuzione neroniana (cfr. Tacito, Annales 15,44), e una tale variazione nelle procedure sarebbe stata coerente con il desiderio di novità presente fra la plebe romana (cfr. di nuovo Tacito), senza considerare che probabilmente lo stesso Pietro avesse desiderato una morte ancora più umiliante di quella del suo Cristo. Ma su questo fatto non si può essere sicuri in modo assoluto, anche se non vi sono dubbi sulla crocifissione in sé.

E' Eusebio (nella versione latina delle sue "Cronache", ancora esistente, fatta da Girolamo) che fornisce una data per questo evento. Se accettiamo la sua cronologia, che si basa sugli anni di Nerone da imperatore (cioè 1-14), la sua indicazione che sia Pietro sia Paolo morirono (non necessariamente lo stesso giorno o lo stesso mese) durante il quattordicesimo anno di regno di Nerone suggerisce un periodo fra il 13 ottobre 67 e il 9 giugno 68 (9). Questa sembra essere una conclusione un pò incerta se si ipotizza che la persecuzione di Nerone sia stata intensa ma di breve durata, essendo terminata quando Nerone partì da Roma diretto in Grecia il 25 settembre 66, per ritornare solamente nel gennaio del 68.

Non è il caso di addentrarsi nella annosa discussione sull'esistenza o la non esistenza delle leggi neroniane contro i cristiani, il cosiddetto "Institutum Neronianum", ipotizzato da Tertulliano (Adv. Nat. 1,7,9) (10). Ciò che Svetonio (De vita Caesarum 6,16) (11) e Tertulliano (12) chiaramente implicano è la lunghissima, o perlomeno non breve, durata della persecuzione una volta che era stata ufficialmente sanzionata. Non c'è traccia, né nello storico latino Svetonio né nell'apologeta cristiano Tertulliano, di una fine improvvisa di questa azione semplicemente perché Nerone aveva deciso di abbandonare la scena. Solo la sua morte virtuale avrebbe potuto provocare una sospensione ufficiale. Sia che ci fosse o meno una legge scritta, oggi perduta, la persecuzione ebbe un impatto durevole e deciso sui cristiani (13).

Prendendo in considerazione le prove esistenti, la morte di Pietro durante il quattordicesimo anno di regno di Nerone non può essere esclusa, ma neanche, data la natura di questo fatto, dimostrata con certezze. Coloro che non vedono alcun motivo per mettere in dubbio la tradizione che Pietro sia stato il capo (titolare) della Chiesa romana per venticinque anni sottoscriveranno di buon grado la plausibilità della datazione di Eusebio. Se Pietro arrivò la prima volta a Roma nel 42, la sua morte nel 67 coinciderebbe, e questo ragionamento funziona naturalmente anche al contrario: se Pietro morì durante l'ultimo anno di regno di Nerone, sarebbe arrivato a Roma per la prima volta nel 42 o all'inizio del 43

FINE

Ad maiora
---------------------
Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
15/07/2009 19:02
 
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Re: Re:
testone., 15.07.2009 17:42:


Se fosse così, I tdg lo disassocierebbero per apostasia, o mancanza di rispetto per le direttive del CD? [SM=x570867]

Con affetto





Sii . . .
Però se si pente . . . e in passato non ha avuto nessun conflitto con il corpo degli anziani, all’ora la pena per il reato non sarà applicata.

Caro test

[SM=g1543902] Brian
15/07/2009 19:55
 
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Come al solito fraintendi i miei interventi...
Non c'è nulla di terminologia filosofica in questa discussione, a meno che tu con "filosofia" non intenda banalmente il cercare di fare ragionamenti rigorosi e l'essere allenati a ragionare, in quel caso sì, starei facendo filosofia. In caso contrario, non accetto che tu etichetti come "filosofici" i miei ragionamenti, come se quest'etichetta fosse degradante anziché lodevole. Putroppo, il fatto che tu pensi che etichettare qualcosa come "filosofico" equivalga a dire "strambo, fuori dal mondo" è un residio della forma mentis dei TdG. In queste discussioni io mi limito a dire come la penso e perché ritengo che le deduzioni fatte da alcuni siano infondate: se avere dei buoni argomenti a cui gli altri non sanno rispondere si chiama fare filosofia, allora ben venga la filosofia.

Mi dispiace ma hai preso un'altra cantonata! Guarda che io mi riferivo al altri tread non certo a questo dove con te non ho ancora discusso...

O mi sbaglio? Dai Poly, non fare il Polymetico anche in quest'altro tread!

Quello che ha detto Virtesto, mi piace molto e... se si riuscisse davvero a dimostrare che il Pietro non fù mai a Roma, ecco che accrescerebbero le prove che la chiesa, la tua chiesa, altro che se ne ha create di "storie" per accalappiare i più ingenui!


Vero Mario che magari questo non inficierebbe la sucessione apostolica, ma sai.... quello che è giusto è giusto e comunque qui si stà sostenendo quello che è INVENTATO e quello che è TRADITIO!

Sai... Poly ci tiene così tanto alla sua Traditio e.... se la Traditio è fondata su invenzioni di sana pianta... me lo dici tu a chi io devo credere? Ho smesso di credere alle favole geoviste e ora mi dovrei sorbire quelle cattoliche? Shalom.
15/07/2009 20:10
 
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F.Vera, 14/07/2009 18.49:


Vorrei avere delle spiegazioni in merito a questo messaggio. C'è qualcosa di poco chiaro.
Ho richiesto spiegazioni va ffzmail e sono ancora in attesa di una risposta.
Inserisco anche pubblicamente questa richiesta perché "uno degli interessati" ha disabilitato la funzione ff-zmail, mentre "l'altro" non mi ha ancora risposto.
Attendo quindi questa risposta in privato da "entrambi" gli interessati.

Achille/mod
[Modificato da Achille Lorenzi 15/07/2009 20:15]
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