Allora, ho dato un'occhiata a quanto scritto dai vari foristi mentre ero assente e, come anticipato nel mio precedente post, vado ad articolare una prima breve considerazione, alla quale, se il tempo a mia disposizione me lo consentirà, farò seguire delle altre.
Si è detto che il Filioque è un'aggiunta al Simbolo di Nicea-Costantinopoli e questo è verissimo, ma quello che non si è detto però è che questa aggiunta è stata dovuta alla particolare interpretazione che in Occidente si è sempre data alla processione dello Spirito sin dai tempi di Tertulliano, il quale in Adv. Praxean, 8 parla a chiare lettere dello Spirito che viene come terzo a Deo et Filio. Ora, è vero che l'affermazione di Tertulliano si presta ad un'interpretazione di tipo subordinazionista, ma questa già evidenzia la linea su cui si muoveranno i teologi latini dei secoli successivi, per i quali il Figlio ha certamente un ruolo nella spirazione dello Spirito, a differenza di quanto affermerà poi Fozio, in parte rinnegando l'insegnamento di tutti quei Padri greci che avevano presupposto una dipendenza dello Spirito in rapporto al Figlio nella sua sussistenza eterna, come Epifanio di Salamina e Cirillo di Alessandria, e di quei Padri, sempre greci, che avevano parlato di una processione dello Spirito dal Padre per il Figlio, come Gregorio Nisseno, Massimo il Confessore, Giovanni Damasceno (per tutti i rifermenti e le citazioni di questi Padri rimando alle pp. 465-502 del volume di Y. Congar, Credo nello Spirito Santo). C'è poi da sottolineare il fatto che i teologi occidentali non hanno mai visto questa netta cesura tra Trinità immanente e Trinità economica che, invece, hanno visto i greci (in particolare nei secoli che sono seguiti allo scisma), tanto che un importante teologo cattolico quale Rahner (probabilmente forzando un po' troppo i termini) è arrivato a tracciare un'identità assoluta tra le due.
E' interessante notare il fatto che il Credo di Nicea-Costantinopoli fu accolto in Occidente solo con il Concilio di Calcedonia (451), quando già nel 447 papa Leone Magno, in un documento magisteriale, aveva espresso esplicitamente la dottrina della processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio. Quando il Credo di Nicea-Costantinopoli fu accolto, pertanto, lo fu perché non considerato come in contrasto con la pnemautologia latina, nella quale, per via della particolare impostazione personalista della teologia trinitaria si concedeva un ruolo al Figlio nella processione dello Spirito onde fondare metafisicamente la distinzione tra queste due Persone divine. Altra cosa interessante è che tra i vari Padri latini che il Secondo Concilio di Costantinopoli cita come santi e dottori della Chiesa, almeno quattro (Ilario, Ambrogio, Agostino e Leone) si erano espressi a chiare lettere nel senso di un partecipazione del Figlio alla processione dello Spirito, cosa che non poteva essere ignota ai Padri che a tale Concilio parteciparono.
Per ciò che concerne il Filioque e la sua aggiunta nel Simbolo, (prescindendo dal Sinodo di Toledo del 447, sul quale è lecito avanzare dei dubbi), sappiamo per certo che nel 589, nel Credo che il re Rocaredo confessò a nome del suo popolo appariva la seguente sentenza: “Dobbiamo confessare e precisare che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio e che con essi egli è di una medesima ed unica sostanza.” Scopo di tale “aggiunta” al simbolo era quella di opporsi al Prioscillianesimo ed all'Arianesimo all'epoca ancora considerati un grosso problema nella penisola iberica e fu ribadita in diversi sinodi e concili locali spagnoli, come il IV concilio di Toledo (presieduto da Isidoro di Siviglia). Tutto ciò era noto in Oriente e, ovviamente, non mancò di destare delle perplessità, alle quali San Massimo il Confessore rispose con queste parole:
[I Romani] hanno portato le testimonianze unanimi dei Padri latini e in più di quelle di Cirillo di Alessandria secondo il sacro studio che egli fa sul vangelo di S. Giovanni. Basandosi su queste testimonianze, essi dimostrano di non avere fatto del Figlio la Causa [aitian] dello Spirito – sanno infatti che il Padre è la causa unica del Figlio e dello Spirito, dell'uno per generazione, dell'altro per ekporesi -, ma di avere manifestato la processione mediante di lui (to dia autou proienai) e di avere mostrato così l'unità e l'identità dell'essenza (…). Questi Romani sono stati accusati su cose su cui a torto sono accusati. (PG 91, 136; Citato nella summenzionata opera di Congar a p. 496)
Ergo, al tempo di Fozio, la pnemautologia “filioquista” era un dato acquisito nell'Occidente latino da secoli, senza che nessuno teologo greco (tra quelli considerati a giusta ragione quali dottori della fede dagli odierni ortodossi) avesse avuto nulla da eccepire sulla medesima. Del resto, il concilio di Nicea del 787 aveva ricevuto la confessione del patriarca Tarasio il quale professava di credere “nello Spirito santo che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre mediante il Figlio”, che, per via della più volte ricordata differenza semantica tra l'epkoresi dei greci e la processione dei latini (di cui i Padri greci erano consapevoli, come ci dimostra il breve brano di Massimo il Confessore sopracitato), era da considerarsi equivalente al Filioque confessato dagli spagnoli e dai franchi. Pertanto, per quanto fosse effettivamente inconsistente l'accusa che i latini rivolsero poi ai greci di aver eliminato il Filioque dal credo, chi introdusse una novità non furono i latini con il Filioque, ma Fozio, il quale tagliò di netto i ponti con la tradizione della Chiesa indivisa (la cui componente latina e, in parte, greca avevano da sempre concesso un qualche ruolo al Figlio nella processione dello Spirito), restringendo ed irrigidendo la teologia dei Padri greci e di San Giovanni Damasceno e riducendo la distinzione tra le Persone divine alle proprietà personali incomunicabili.
[Modificato da Trianello 07/05/2009 06:50]
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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)