00 06/10/2008 16:11
di Fabrizio Caccia per il "Corriere della Sera"
È stato il Profeta in persona, Thomas S. Monson, circondato dai suoi dodici apostoli viventi, a dare l'annuncio sabato sera da Salt Lake City, durante la conferenza mondiale della comunità: «Anche a Roma i mormoni avranno il loro tempio...». Scene di giubilo tra i ventiduemila fedeli italiani, collegati in diretta via satellite con il quartier generale americano: salvo intoppi dell'ultima ora, sorgerà dunque il primo tempio mormone in Italia, l'undicesimo in Europa, il centoventiquattresimo nel mondo, edificato dalla «Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni», i mormoni appunto, cristiani ferventi ma non bigotti, cultori della famiglia e assolutamente monogami (così ci tengono a dire, vista la gran confusione che si fa in giro sul loro conto), nemici dichiarati di fumo, alcol, droghe e pornografia.

«Ci vorranno dai tre ai cinque anni per costruirlo», pronostica prudentissimo il presidente della comunità capitolina (2.500 membri), il sommo sacerdote («laico e non retribuito ») Massimo De Feo, che nella vita di tutti i giorni lavora come dipendente all'ambasciata americana e spera naturalmente che dal Comune di Roma ora non sorgano obiezioni («Il Signore, vedrete, ci darà una mano »). Il terreno, comunque, c'è già: era stato acquistato nove anni fa, in via di Settebagni, proprio accanto alla sede dell'Agenzia delle Entrate, di fronte ai grandi magazzini Ikea. Un campo di 60 mila metri quadri coltivato a ulivi, dov'è pronto a spiccare il volo l'angelo Moroni, il messaggero celeste, annunciatore con la sua tromba del Vangelo al mondo.



Un tempio costruito solo con le proprie forze, grazie alla legge della decima che governa da sempre gli affari economici della comunità (ciascun fedele è chiamato a contribuire col 10 per cento delle sue entrate). «L'otto per mille non c'interessa», chiarisce subito Sami Cantafio, il direttore delle pubbliche relazioni della comunità capitolina, anche se il passaggio da culto ammesso (com'è oggi in Italia) a culto riconosciuto, sarebbe per loro quantomeno auspicabile.

I mormoni non sono come gli amish, non vivono ancora nell'Ottocento, non sono barbuti, scontrosi e vestiti di nero. Sono piuttosto ipertecnologici, studiosi di genealogia («Perché tutti discendiamo da Adamo ed Eva...»), sanno usare molto bene il computer e spengono il cellulare solo per sentir parlare il Profeta Monson («Se accatasterete molti domani, un giorno vi troverete molti ieri vuoti, quindi bisogna fare e fare bene oggi, qui e adesso per avere poi piacevoli ricordi...»).



Fare del bene. E i mormoni lo fanno. Fratelli e sorelle. I giovani missionari italiani concorrono a servire ogni giorno i pasti ai poveri nelle mense della Caritas, fanno volontariato negli ospizi, insegnano l'inglese gratuitamente una volta a settimana nelle «cappelle», le loro sedi attuali, ex negozi, uffici e appartamenti in cui si sposano, battezzano i propri figli (una volta compiuti gli 8 anni) e ricevono il pane e l'acqua (né l'Ostia né il vino perché non credono nella transustanziazione).

Il loro clero è laico, i sacerdoti vestono in giacca e cravatta come quando vanno in ufficio, alle pareti non ci sono crocifissi («Cristo è risorto, dunque ha vinto la morte... ») né quadri di madonne o santi («Brave persone ma è solo Gesù che adoriamo»). Il rapporto con la Chiesa di Roma è buono, c'è massimo rispetto per il Papa, addirittura - dice il presidente De Feo - sono stati invitati a partecipare anche loro alla lettura, in corso a Santa Croce in Gerusalemme, sette giorni e sette notti della Sacra Bibbia. Nella «cappella» di via Brà, la più grande di Roma, a Boccea, nella sala della preghiera c'è posto oggi «solo» per 300 persone. Ma domani, col tempio, tutto cambierà.