00 24/08/2005 14:29
Chiamiamo grande il saggio le cui parole
suonano ambigue.
Evitiamo coloro che difendono la disciplina.
Con il primo, usiamo le parole come vogliamo.
Con i secondi, ci risentiamo per la mancanza di clemenza.



E’ una sfortuna avere bisogno delle parole dei saggi. Per quanto fondamentali all’inizio del nostro cammino spirituale, esse possono causarci problemi perché per essere comprese vanno interpretate. Essendo le parole imperfette, ogni generazione riscrive se stessa.
La gente ama l’ambiguità, soprattutto quando si tratta di religione. In questo modo può interpretare le cose come meglio crede. Se non è soddisfatta di un insegnamento, escogita modi per eluderlo, il che spiega per quale motivo vi siano tante autorità, scuole e sette.
Non è un caso che i saggi più rispettati siano tutti morti. Essi non sono più liberi di correggere le idee da noi manipolate, di modificare i proprio insegnamenti, né di compiere quegli errori che potrebbero far diminuire il nostro rispetto. Cristo, Maometto, Buddha, Lao-tzu: quanti di noi sono realmente fedeli alla saggezza che essi incarnavano? Non li abbiamo piuttosto trasformati in semplici schermi su cui proiettare le nostre idee?
E’ importante trascorrere un po’ di tempo con un maestro vivente, qualcuno che possa correggere i nostri errori e imporci la disciplina. Ma l’oggetto di un simile studio non dovrebbe essere la creazione di una nuova ortodossia. Piuttosto, il nostro obiettivo dovrebbe consistere nel raggiungimento di una condizione di indipendenza. Gli insegnamenti sono solo punti di riferimento. La vera esperienza sta nel vivere la propria vita. Allora, persino le parole più sante non sono che semplici parole.

Deng Ming-Dao
--Colui che sa camminare non lascia traccia--