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Tutto è bene quel che finisce bene. Così dice il proverbio, e così dico dopo che appresi dai giornali e dalla televisione la conclusione felice della storia di Angelo Palego. Ma chi è quest’uomo e perché me ne occupo? Chi sia è quasi impossibile ignorarlo perché non vi è stato giornale o telegiornale dell’epoca che non lo abbia ripetuto quattro volte il giorno. La sua fulva chioma alla Biscardi, poi, era già nota agli assidui spettatori del “Maurizio Costanzo show” del quale egli era stato più volte frequentatore, e che non si è mai qualificato testimone di Geova, né questo gruppo religioso non è mai stato menzionato durante tutte le interviste-conversazione. I dirigenti testimoni di Geova glielo avevano impedito per non correre il rischio di portare ad esempio un associato troppo poco “inquadrato” che “perde tempo” in esplorazioni anziché andare di casa in casa.
Palego è un testimone di Geova di Trecate (Novara). Un anziano dei testimoni di Geova, che in passato aveva anche ricoperto incarichi di responsabilità nella sua organizzazione, fra i quali quello di rappresentante della stampa. Ma Palego ha anche una debolezza da buon testimone di Geova crede nella letteralità di molte delle narrazioni della Bibbia, e di una di esse in particolare ha fatto lo scopo della sua: la ricerca dell’Arca di Noè, il cassone galleggiante nel quale il patriarca biblico preservò la vita umana e animale dalla distruzione del diluvio.
I suoi confratelli non hanno mai digerito questa sua “fissazione”, non perché essi non la condividano, ma perché, da persone più scaltre si rendono bene conto che questa ingenua convinzione del loro conservo non può che suscitare nell’opinione della massa l’idea che Palego e i suoi compagni con questa idea balzana dell’arca siano un pugno di svitati, innocui, ma sempre svitati. Infatti, a conferma della ben nota ‘sindrome della persecuzione’ in un’intervista al Corriere della Sera del 22 agosto 1993, l’attuale addetto alla stampa della congregazione, Marco Brusati, subito dichiara a Mario Giarda che lo intervistava: “E’ successo che abbiano strumentalizzato questa vicenda personale per colpire la fede in Geova”. Ma chi, e quando, ha sfruttato questa vicenda? Non mi risulta che alcuno abbia colto l’occasione della disavventura occorsa al trecatese per dileggiare la sua organizzazione. La quale, molto diplomaticamente, “se proprio non lo ha scaricato, poco ci è mancato. … La ricerca dell’Arca è un fatto personale, non centra nulla con la nostra religione”(Corriere, sopra). E che dire della “comunità dei testimoni di Geova” che “si chiude a riccio, gli altri alzano le spalle o borbottano a fatica qualcosa. I suoi confratelli non parlano perché non si fidano dei giornalisti” (ancora il Corriere menzionato). E’ strano che proprio quelli che avrebbero dovuto essergli maggiormente vicini in questo frangente, i suoi fratelli in fede, i quali avrebbero dovuto mostrare più degli altri il loro interesse, la loro preoccupazione per il loro correligionario che, in fondo, era partito per dimostrare la veridicità di quello che l’organizzazione di Brooklyn con tanta pertinacia cerca di dimostrare da tanti anni e cioè l’esistenza dell’Arca alla quale ha dedicato decine e decine di pagine dei suoi libri, abbiano reagito con tanta freddezza. La loro reazione è stata di disinteresse e fastidio. Si è mossa la Chiesa Cattolica, si sono mossi i politici (manco a farlo apposta, la Grande Meretrice e la Bestia Selvaggia) a favore del testimone, ma loro non hanno alzato né un dito né la voce per lui. Come mai? Molto probabilmente perché questo fatto spiacevole ha messo in luce una caratteristica dei testimoni di Geova che a loro non piace mostrare in pubblico.
I giornali, fin dal principio, hanno sottolineato un triste aspetto della vita famigliare del sig. Palego: la malattia della moglie, Wilma Minelli che sarebbe ospite di una casa di riposo di Trecate perché afflitta da sclerosi multipla è confinata da dieci anni (siamo nel 1993) su una sedia a rotelle. Sinceramente mi dispiace che la signora Palego sia così gravemente ammalata e non desidero mai speculare su una vicenda così pietosa. Ma un fatto non è sfuggito ai cronisti di allora, e cioè che l’avventuroso marito, non doveva poi essere un così zelante testimone, come la sua passione per l’Arca sembrerebbe testimoniare, se il Corriere del 16 settembre 1993, nel narrare la sua liberazione, scriveva: “Certo, lui a casa ha parenti che si preoccupano, ha una moglie gravemente malata, ma l’Arca è l’Arca. … Ieri sera ai funzionari del governo che gli chiedevano se da Roma, dove sarebbe arrivato con l’aereo speciale inviato in Turchia, voleva ripartire subito per Milano per abbracciare la moglie, ha risposto con un ‘no grazie’ aveva già deciso di fermarsi nella capitale per partecipare al Maurizio Costanzo show… La signora può attendere”.
Un’organizzazione che sbandiera ai quattro venti la sua unicità nel mantenere uniti i vincoli familiari e che strombazza ovunque la sua superiorità in un mondo dove la famiglia non è ormai un optional certamente non può non rimanerci male nell’apprender che uno dei suoi anziani più famosi, disattende clamorosamente le regole di comportamento da loro così “modestamente” sponsorizzate.
Chi è il vero cristiano? Il sacerdote che si adopera per salvare un uomo senza badare al suo credo religioso, o il “puro” geovista che, preoccupato di salvare il proprio “look” di fronte alla pubblica opinione, non si fa scrupoli nell’abbandonare un proprio fratello di fede al proprio destino?
Ciao. Ilnonnosa. |