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Moralina

Ultimo Aggiornamento: 23/06/2008 10:37
17/06/2008 00:54
 
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Proviamo a riconsiderare l'opportunita di appartenenza religiosa. Posto che sono agnostico e che, dunque, anche Dio per me non è scontato, penso che le religioni, in quanto organizzazioni umane, troppo umane, siano il mezzo più subdolo con cui una minoranza riesce a controllare una maggioranza. Pomulgano una valenza assoluta di pensiero e morale che è di per sé stessa relativa (mi si passi l'ossimoro), in quanto non condivisa da tutte le religioni in egual modo e in egual misura. Dove la verità? La verità, per definizione è assoluta, non opinabile. Quale, allora, la discriminante per capire quale sia la religione "vera"?
Il mio è un invito per tutti a ripensare una morale relativa, di matrice laica, edonista, libertina e libertaria (per dirla come Onfray), che metta al primo posto l'individuo nella sua interezza. La moralina, questa sostanza di cui parlava Nietzsche, e che è, questa sì, comune a tutte le religioni, è castrante e devitalizzante. Una morale laica non solo è possibile ma anche auspicabile; solo prescindendo da Dio, a mio avviso, è possibile la continua ricerca etica, che non preveda premi e punizioni divine, ma che si prefigga come scopo unico quello della convivenza nel reciproco rispetto.

Attendo caustici commenti che stimolino il contraddittorio.

Un saluto a tutti, TDG e non.
Un saluto a tutti, TDG e non.
17/06/2008 01:12
 
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ciao, io sono un Cattolico.

le religioni non sono cattive di per sè; come non lo sono neanche i singoli movimenti politici; il problema spesso è di persone sbagliate nel posto sbagliato che, per problemi di potere o ottusità, stravolgono lo spirito buono che c'è in tutte le religioni e dicano cose completamente diverse dall'origine.

un esempio; un qualcosa che riguarda il Taoismo; molti pensano che esso dice che nel mondo tutto è determinato dall'equilibrio tra bene e male e che il male sia necessario per avere un equilibrio; mentre non è assolutamente così. Il Taoismo parla si, di due forze contrapposte che sono l'una l'opposto dell'altra; ma non sono nè buone, nè cattive; sono lo yin e lo yang, l'una che tende ad espandersi e l'altra a compattarsi; quando queste due forse sono in equilibrio si ha il bene; il male deriva dallo squilibrio tra queste due. Ed è questo male che va evitato.

In un certo qual modo anche il Cristianesimo dice la stessa cosa anche se in termini diversi; un esempio? la fede e la ragione. Esse sono inscindibili; la sola ragione porta all'aridità ed alla perdita del senso delle cose; la sola fede porta al caos ( la passione ed il giudizio diceva Gibran ) .

Tra l'altro, a proposito dello strapotere delle religioni, la Chiesa Cattolica, nel suo Catechismo della Chiesa Cattolica ( testo ufficiale della dottrina Cattolica ) afferma una cosa che la distingue parecchio dalle altre e che le fa dimostrare di dare un ampio raggio di libertà superiore alle altre; in questo libro si scrive :

"La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo " ( 1778 )

___________________________
http://www.no1984.org
non comprare PC di tipo DRM o TC ( Trusted Computing ); Come Iphone2 è controllato da Apple al punto che, da remoto ti può disinstallare i programmi che ci installi, così sarà anche per Windows Vista e successori; per evitarlo, bisogna passare a sistemi open source.

La buona notizia è che Dio esiste; quella buonissima è che quindi c'è speranza per tutti quelli che lo vogliono
17/06/2008 01:59
 
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se un'etica laica è possibile, perchèl'Emergenza educativa? come mai non riusciamo a comunicare alle nuove generazioni che bisogna evitare il male e cercare il bene?

cosa non va, secondo te, a livello pratico nella situazione odierna?

forse le motivazioni dell'Etica laica non sono abbastanza solide e convincenti per le nuove generazioni?

[SM=x570868]
[Modificato da predestinato74 17/06/2008 02:00]






"Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro."
"Formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo."

Ezechiele



17/06/2008 10:12
 
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[SM=g1537154] Bene, sono contento che ci siano dei commenti: avanti così!

Rispondo a alenis:
le religioni si ergono a dententrici di una supposta "verità rivelata" da Dio, dunque, per definizione assoluta e immutabile. Nei fatti, però, le verità sono diverse tra le religioni e già di per sé questo è contradditorio. Inoltre, come la storia può ben insegnarci, le etiche (non a caso parlo al plurale) sono relative al luogo e al tempo.
Permettimi poi di dissentire sulla tua affermazione relativamente a inscindibilità tra fede e ragione; anche Giovanni Paolo II, nell'Enciclica fides et ratio, ha cercato di bandirne l'antinomia ma l'impresa è di quelle titaniche. La fede, in quanto credenza acritica di ciò che trascende la realtà esperita, è irrazionalità in termini.

Rispondo a predestinato74:
non so se la religione sia più affascinante della laicità, certo è che di questa ce n'è ben poca. Essere laici significa, anche e soprattutto, porsi al di là della cultura cultura dominante per una ricerca morale che abbia una base comune nel rispetto reciproco e che ponga come fine l'elevazione individuale, attraverso una continua ricerca etica scevra di condizionamenti religiosi e ideologici.
Bene e male sono anch'essi relativi, mutabili e mutati nei fatti, lungo il corso della storia umana; pensare di poterne fare concetti assoluti è pretenzioso e arrogante, dal mio punto di vista, s'intende.


Attendo commenti.

Un saluto a tutti, TDG e non.
Un saluto a tutti, TDG e non.
17/06/2008 11:38
 
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Ciao, scusa la domanda: cosa intendi per moralina?

Nonna Pina
17/06/2008 12:21
 
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Re:
Vecchia Marziana, 17/06/2008 11.38:

Ciao, scusa la domanda: cosa intendi per moralina?

Nonna Pina




Semplificando, la Moralina è un termine con cui il filosofo indicava quel sentimento di cui tutte le religioni sono pregne e che fa delle loro morali uno svilimento dell'essere umano in quanto individuo. La moralina castra, se non uccide, per piegare la persona a un'etica fatta di rinunce e sofferenze. Comunque, al di là del termine che ho usato, puoi leggere il resto del testo che, spero ti dia un'idea del mio pensiero.

Un saluto a tutti, TDG e non.
Un saluto a tutti, TDG e non.
17/06/2008 13:06
 
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Re:
edinz, 17/06/2008 0.54:

Proviamo a riconsiderare l'opportunita di appartenenza religiosa. Posto che sono agnostico e che, dunque, anche Dio per me non è scontato, penso che le religioni, in quanto organizzazioni umane, troppo umane, siano il mezzo più subdolo con cui una minoranza riesce a controllare una maggioranza.

a me questo sembra un banale pregiudizio, ripescato direttamente dalle polemiche anticlericali del XIX secolo. Un passetto avanti no eh?


Promulgano una valenza assoluta di pensiero e morale che è di per sé stessa relativa (mi si passi l'ossimoro), in quanto non condivisa da tutte le religioni

il che non la rende relativa, solo non condivisa. Il fatto che il sole splenda a mezzogiorno non è relativo, anche se per motivi tuoi puoi essere convinto che invece splenda a mezzanotte. La verità non dipende dalla capacità di riconoscerla.


Quale, allora, la discriminante per capire quale sia la religione "vera"?

ragione, fede, esperienza.


Il mio è un invito per tutti a ripensare una morale relativa, di matrice laica, edonista, libertina e libertaria (per dirla come Onfray),

ho capito, il classico ognuno fa come gli pare e piace [SM=g1537158]


che metta al primo posto l'individuo nella sua interezza.

e perchè dovrei accettare questo dogma? Se la morale è libera allora è libera anche dai dogmi dell'ipocrisia umanista, altrimenti è come abbattere il recinto dei buoi in nome della libertà e poi quando ci si accorge che i buoi se ne vanno per cavoli loro piantare un palo ogni 20-30 metri illudendosi che sia un recinto che trattenga i buoi stessi. Non funziona. E' semplicemente un sottoprodotto della morale cristiana.


La moralina, questa sostanza di cui parlava Nietzsche, e che è, questa sì, comune a tutte le religioni, è castrante e devitalizzante.

capisco che non ammazzare il prossimo sia un limite castrante per i deliri di onnipotenza dell'uomo post-moderno, ma qual'è l'alternativa?


Una morale laica non solo è possibile ma anche auspicabile; solo prescindendo da Dio, a mio avviso, è possibile la continua ricerca etica,

certo, se non vuoi trovare nulla è una buona scusa. La ricerca continua, che splendida deresponsabilizzazione!


che non preveda premi e punizioni divine, ma che si prefigga come scopo unico quello della convivenza nel reciproco rispetto.

e perchè me ne dovrebbe fregare qualcosa del reciproco rispetto se tanto siamo tutti cibo per vermi? Molto più logico ed efficace fregare a destra e manca sino a che campo, cercando di vivere il meglio possibile alla faccia degli altri, tanto poi si viene chiusi in una cassa.


Attendo caustici commenti che stimolino il contraddittorio.

sono stato abbastanza caustico? [SM=g1543794]


******************************

"Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell'umanità, finiscono col combattere anche la libertà e l'umanità pur di combattere la Chiesa" (G.K. Chesterton)
17/06/2008 14:32
 
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Re: Re:
Vazda Vjeran, 17/06/2008 13.06:

edinz, 17/06/2008 0.54:

Proviamo a riconsiderare l'opportunita di appartenenza religiosa. Posto che sono agnostico e che, dunque, anche Dio per me non è scontato, penso che le religioni, in quanto organizzazioni umane, troppo umane, siano il mezzo più subdolo con cui una minoranza riesce a controllare una maggioranza.

a me questo sembra un banale pregiudizio, ripescato direttamente dalle polemiche anticlericali del XIX secolo. Un passetto avanti no eh?


A me pare un fatto non un pregiudizio.




Promulgano una valenza assoluta di pensiero e morale che è di per sé stessa relativa (mi si passi l'ossimoro), in quanto non condivisa da tutte le religioni

il che non la rende relativa, solo non condivisa. Il fatto che il sole splenda a mezzogiorno non è relativo, anche se per motivi tuoi puoi essere convinto che invece splenda a mezzanotte. La verità non dipende dalla capacità di riconoscerla.


Pralavo di morale, non di verità. In ogni caso, il sole splende anche a mezzanotte a certe latitudini e in certi periodi dell'anno. Inoltre, l'ora è una convenzione. Sicuramente, vi sono popolazioni che non suddividono il giorno in 24 ore e la tua affermazione, che è vera per noi, sarebbe per altri priva di significato.




Quale, allora, la discriminante per capire quale sia la religione "vera"?

ragione, fede, esperienza.


La fede non è esperienza e contraddice la ragione.




Il mio è un invito per tutti a ripensare una morale relativa, di matrice laica, edonista, libertina e libertaria (per dirla come Onfray),

ho capito, il classico ognuno fa come gli pare e piace [SM=g1537158]


Perché si dovrebbe poi fare quel che altri pensano sia giusto? Non Dio ma gli uomini hanno creato le religioni... e forse si sono inventati pure Dio!




che metta al primo posto l'individuo nella sua interezza.

e perchè dovrei accettare questo dogma? Se la morale è libera allora è libera anche dai dogmi dell'ipocrisia umanista, altrimenti è come abbattere il recinto dei buoi in nome della libertà e poi quando ci si accorge che i buoi se ne vanno per cavoli loro piantare un palo ogni 20-30 metri illudendosi che sia un recinto che trattenga i buoi stessi. Non funziona. E' semplicemente un sottoprodotto della morale cristiana.


Non è un dogma, forse mi sono espresso male. E' l'invito a scrollarsi di dosso i condizionamenti culturali ebraico-cristiani (riferimento alla nostra società, ovviamente) per ripenpensare, criticamente, un'etica che non si ammanti di assolutismo. Ripeto, un invito, non una minaccia.




La moralina, questa sostanza di cui parlava Nietzsche, e che è, questa sì, comune a tutte le religioni, è castrante e devitalizzante.

capisco che non ammazzare il prossimo sia un limite castrante per i deliri di onnipotenza dell'uomo post-moderno, ma qual'è l'alternativa?


Da qualche parte ho parlato di rispetto reciproco, se non sbaglio; pensi che in questo rientri anche quello per la vita altrui? A proposito, si può uccidere fisicamente, ma lo si può altrettanto fare moralmente e psicologicamente, sport preferito da molte religioni. Quasi dimenticavo: vallo a dire a quegli stati che si rifanno alla benedizione di Dio continuamente e non hanno ancora abolito la pena di morte! In nome di Dio, allora, si può far fuori l'altro?




Una morale laica non solo è possibile ma anche auspicabile; solo prescindendo da Dio, a mio avviso, è possibile la continua ricerca etica,

certo, se non vuoi trovare nulla è una buona scusa. La ricerca continua, che splendida deresponsabilizzazione!


La deresponsabilizzazione, invece, è per chi pensa che già altri siano giunti a trovare la verità e a essa conformarsi.




che non preveda premi e punizioni divine, ma che si prefigga come scopo unico quello della convivenza nel reciproco rispetto.

e perchè me ne dovrebbe fregare qualcosa del reciproco rispetto se tanto siamo tutti cibo per vermi? Molto più logico ed efficace fregare a destra e manca sino a che campo, cercando di vivere il meglio possibile alla faccia degli altri, tanto poi si viene chiusi in una cassa.


Questa è la contraddizione. L'elevazione morale sta nel non ambire a un'escatologia di beatitudine ma nel prescindere da essa, altrimenti è egoismo allo stato puro.




Attendo caustici commenti che stimolino il contraddittorio.

sono stato abbastanza caustico? [SM=g1543794]


Non c'è che dire, caustico lo sei stato... ma puoi fare di meglio.

Un saluto a tutti, TDG e non.
Un saluto a tutti, TDG e non.
17/06/2008 15:44
 
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Perfettamente d'accordo con quando scrive Edinz.

Purtroppo, è dimostrato, i frutti della religione sono sempre i soliti, ovunque e in qualunque momento storico.
Ovviamente esistono anche delle connotazioni positive: ma certi valori dovrebbero essere universali e areligiosi.

Non credo esista una verità assoluta. Ogni religione si porta con sè luci e ombre. L'importante è quello che siamo noi. Non il nostro credo.
17/06/2008 15:47
 
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caro EDINZ....ecco il mio commento:

...sono in sintonia totale con quanto hai espresso...

...con il post iniziale ...e i seguenti...

...un abbraccio...

[SM=x570885] [SM=x570902]
17/06/2008 18:37
 
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Edniz, tra le altre cose, ha scritto:


Pralavo di morale, non di verità.



Quello relativo alla verità è un discorso imprescindibile dal momento che hai aperto bocca ed hai formulato dei giudizi che (credo) tu ritieni di senso compiuto. Dire, ad esempio, che non esiste alcuna morale universale, significa dire “è vero che non esiste alcuna morale universale”. Negare questo significa negare che le tue proposizioni siano portatrici di senso e quindi, significa invitare i tuoi ascoltatori/lettori a considerare quanto dici né più né meno “significativo” del soffio del vento.
Nel dire che non c’è una morale universale e che non ci sono valori assoluti si esprime un giudizio sulla morale di valenza universale. Se si dice “non esistono valori assoluti” si sta dicendo che tutti i valori si equivalgono e che, quindi, ogni valore, a modo suo, è "assoluto" per chi lo ha (in quanto noi dobbiamo necessariamente porci un fine o una regola in base alla quale agire), anche quando si tratta di un valore che contraddice i valori degli altri, e, al contempo, si sta dicendo che non ci sono mezzi per dimostrare che determinati valori sono migliori di altri e quindi che non si hanno mezzi per convincere, mediante un dialogo ragionevole, gli altri della giustezza dei propri valori (perché tutti i valori sono giusti e sbagliati al contempo). Questa è la via che conduce al conflitto, non certo alla pace universale (la quale, poi, in assenza di una morale universale, ognuno è libero di disprezzare a suo piacimento). Del resto, chi scrive, di formazione, è (tra le altre cose) un antropologo culturale e quindi è ben conscio delle insanabili contraddizioni (e dei conflitti) a cui conduce il relativismo culturale.


In ogni caso, il sole splende anche a mezzanotte a certe latitudini e in certi periodi dell'anno.



Una cosa è la relatività dei sistemi di riferimento e delle umane (e scientifiche) convenzioni, un’altra è il relativismo. Certo, ci sono delle latitudini dove il sole splende a mezzanotte ed il nostro modo di misurare il tempo è una convenzione (potremmo usarne mille altri), ma ciò non toglie che oggi, alle ore 12:00 a Milano il sole splendeva, mentre alle 00:00 no.



La fede non è esperienza e contraddice la ragione.



Evidentemente, tu hai una concezione della fede che nulla ha a che vedere con quella che ho io da uomo di fede. La fede non può in alcun modo contraddire la ragione, perché in tal caso i suoi contenuti sarebbero privi di senso (ed invece questi “significano” sempre qualcosa, a prescindere dalla loro credibilità). Del resto, tu stesso, probabilmente, ti affidi di continuo alla “fede” (vale a dire che fai continuamente affidamento alla fiducia riposta su altri) per prendere decisioni, ad esempio quando credi ad un medico che ti prescrive una terapia per un male che ti ha diagnosticato o quando prenoti un volo credendo alle informazioni riportate nel sito della compagnia aerea, ti affidi (sulla fiducia) ad altri nell’impossibilità materiale di verificare personalmente la correttezza delle informazioni in base alle quali devi prendere le tue decisioni, senza probabilmente ritenere ciò illogico. La differenza tra il tipo di fede a cui tu fai ricorso di continuo nella tua vita quotidiana e la fede religiosa consiste solo nell’impossibilità teorica (oltre che materiale) della seconda di verificare la veridicità delle informazioni che ne costituiscono il nucleo ed alle quali si crede esclusivamente per la fiducia che riponiamo in chi ce le ha rivelate. Il problema (ed è il problema che tratta quella disciplina che si chiama Teologia Fondamentale), semmai, sarà quello di stabilire la credibilità o meno di colui che ci trasmette la Rivelazione.
Evidentemente, tu hai stabilito che non ci sono garanzie sufficienti per credere nella Rivelazione, questo però non rende la fede, in sé, contraddittoria rispetto alla ragione, ma, al limite, solo un atto di temerarietà o, se vogliamo, di vigliaccheria, e comunque un qualcosa che prescinde dal discorso teoretico in sé. Se non altro perché altrimenti tutti gli idioti (o gli intelligenti) crederebbero, mentre tra gli uomini di fede ci sono sia dei premi Nobel che degli imbecilli patentati (così come tra gli agnostici e gli atei).
Io stesso sono stato un agnostico per molti anni e lo sono rimasto fino a che, dopo aver molto ricercato e riflettuto, non ho scelto di credere in quella che mi sembrava la cosa più ragionevole. E’ stata la mia onestà intellettuale (liberata dai pregiudizi che io stesso mi ero imposto) a spingermi a credere. Ora, io forse potrò essere un temerario o un vigliacco, ma non credo di essere un idiota (ma forse sono un idiota nel credere di non essere idiota), così come non credo di essere più intelligente della media degli esseri umani. D’altro canto, credo che nemmeno tu sia un idiota (e lo desumo, se non altro, dalla notevole proprietà di linguaggio con cui ti esprimi), e, allora, come la mettiamo? Beh… continuiamo a confrontarci, e forse, un giorno (se Dio lo vorrà e se la tua onestà intellettuale, o buona volontà, te lo permetterà), riuscirai a comprendere il senso del mio discorso e tutta la razionalità della fede nella Rivelazione…


Questa è la contraddizione. L'elevazione morale sta nel non ambire a un'escatologia di beatitudine ma nel prescindere da essa, altrimenti è egoismo allo stato puro.



In primo luogo, nell’ipotesi in cui non esistesse una morale con valore assoluto quali argomenti si potrebbero opporre ad una condotta egoistica? Se non esiste una condotta “veramente” migliore di un’altra, allora l’egoismo, in senso assoluto, non è né migliore né peggiore dell’altruismo. In secondo luogo, l’etica cristiana si incentra proprio sul fatto che la beatitudine si raggiunge con l’amore ed è il frutto dell’amore, e che chi persegue la beatitudine per la beatitudine è destinato a non raggiungerla.


elghorn84 scrive:


ma certi valori dovrebbero essere universali



e subito sotto aggiunge:


Non credo esista una verità assoluta.



Il che mi lascia perplesso, perché queste due asserzioni si contraddicono, infatti, dei valori universali sono VERI dovunque e sempre (quindi sono veri in senso assoluto), ma se non esiste la verità assoluta, allora non esistono nemmeno valori universalmente validi, vale a dire universalmente veri e condivisibili.
[Modificato da Trianello 17/06/2008 20:16]

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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)

18/06/2008 17:44
 
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Re:
Rispondo a trianello:


Quello relativo alla verità è un discorso imprescindibile dal momento che hai aperto bocca ed hai formulato dei giudizi che (credo) tu ritieni di senso compiuto.


Giudizi di merito, s'intende.


Dire, ad esempio, che non esiste alcuna morale universale, significa dire “è vero che non esiste alcuna morale universale”.


Perdona, forse è colpa mia, ma mi spiegheresti il senso di questa tautologia?


Negare questo significa negare che le tue proposizioni siano portatrici di senso e quindi, significa invitare i tuoi ascoltatori/lettori a considerare quanto dici né più né meno “significativo” del soffio del vento.


Le conclusioni a cui arrivano le mie riflessioni e gli enunciati che eventualmente ne derivano, hanno certamente un senso per il sottoscritto. Il valore (non morale!) che altri daranno a tali enunciati sarà del tutto soggettivo; si potrà essere completamente d'accordo, d'accordo parzialmente o si potrà benissimo ritenere che il mio pensiero è totalmente errato. Le mie tesi, in continuo divenire, come le tesi di ciascuno, sono legittime; si possono confutare ma non bandire a priori. In questo sta buona parte del relativismo laico ripetto all'assolutismo religioso e, a me, il primo convince di più.
Un'ultima cosa: va da sé che anche un soffio di vento può avere valenze diverse relativamente alle circostanze e alle persone.


Nel dire che non c’è una morale universale e che non ci sono valori assoluti si esprime un giudizio sulla morale di valenza universale. Se si dice “non esistono valori assoluti” si sta dicendo che tutti i valori si equivalgono e che, quindi, ogni valore, a modo suo, è "assoluto" per chi lo ha (in quanto noi dobbiamo necessariamente porci un fine o una regola in base alla quale agire), anche quando si tratta di un valore che contraddice i valori degli altri, e, al contempo, si sta dicendo che non ci sono mezzi per dimostrare che determinati valori sono migliori di altri e quindi che non si hanno mezzi per convincere, mediante un dialogo ragionevole, gli altri della giustezza dei propri valori (perché tutti i valori sono giusti e sbagliati al contempo). Questa è la via che conduce al conflitto, non certo alla pace universale (la quale, poi, in assenza di una morale universale, ognuno è libero di disprezzare a suo piacimento). Del resto, chi scrive, di formazione, è (tra le altre cose) un antropologo culturale e quindi è ben conscio delle insanabili contraddizioni (e dei conflitti) a cui conduce il relativismo culturale.


Che non esista un morale universale mi pare lo dimostri ampiamente la storia umana. Sei un antropologo e penso tu non possa che confermare che la cultura (l'etica ne è un prodotto) sia relativa al tempo e al luogo, come già avevo detto in precedenti post. La ricerca di valori universalmente condivi può e deve essere fatta, a mio avviso, ma sulla base del confronto. Poi, parli di conflitti che il relativismo produrrebbe: ebbene, non mi pare che le religioni siano meno portarici di intolleranza e odio, anzi. Se parto dal presupposto che non posso che avere ragione in quanto illuminato da Dio, non sarò mai abbastanza umile per tentare di capire e di accettare le ragioni dell'altro da me. In questo, mi pare che la WTS c'insegni qualcosa.


Una cosa è la relatività dei sistemi di riferimento e delle umane (e scientifiche) convenzioni, un’altra è il relativismo. Certo, ci sono delle latitudini dove il sole splende a mezzanotte ed il nostro modo di misurare il tempo è una convenzione (potremmo usarne mille altri), ma ciò non toglie che oggi, alle ore 12:00 a Milano il sole splendeva, mentre alle 00:00 no.


Sto con te, ovviamente. La mia risposta a Vazda Vjeran era provocatoria in quanto non avevo ben capito cosa c'entrasse quest'evidenza scientifica col mio discorso. Può darsi che un nesso ce l'abbia e che sia io a non vederlo. In tal caso, invito qualcuno a illuminarmi.




Evidentemente, tu hai una concezione della fede che nulla ha a che vedere con quella che ho io da uomo di fede. La fede non può in alcun modo contraddire la ragione, perché in tal caso i suoi contenuti sarebbero privi di senso (ed invece questi “significano” sempre qualcosa, a prescindere dalla loro credibilità). Del resto, tu stesso, probabilmente, ti affidi di continuo alla “fede” (vale a dire che fai continuamente affidamento alla fiducia riposta su altri) per prendere decisioni, ad esempio quando credi ad un medico che ti prescrive una terapia per un male che ti ha diagnosticato o quando prenoti un volo credendo alle informazioni riportate nel sito della compagnia aerea, ti affidi (sulla fiducia) ad altri nell’impossibilità materiale di verificare personalmente la correttezza delle informazioni in base alle quali devi prendere le tue decisioni, senza probabilmente ritenere ciò illogico. La differenza tra il tipo di fede a cui tu fai ricorso di continuo nella tua vita quotidiana e la fede religiosa consiste solo nell’impossibilità teorica (oltre che materiale) della seconda di verificare la veridicità delle informazioni che ne costituiscono il nucleo ed alle quali si crede esclusivamente per la fiducia che riponiamo in chi ce le ha rivelate. Il problema (ed è il problema che tratta quella disciplina che si chiama Teologia Fondamentale), semmai, sarà quello di stabilire la credibilità o meno di colui che ci trasmette la Rivelazione.
Evidentemente, tu hai stabilito che non ci sono garanzie sufficienti per credere nella Rivelazione, questo però non rende la fede, in sé, contraddittoria rispetto alla ragione, ma, al limite, solo un atto di temerarietà o, se vogliamo, di vigliaccheria, e comunque un qualcosa che prescinde dal discorso teoretico in sé. Se non altro perché altrimenti tutti gli idioti (o gli intelligenti) crederebbero, mentre tra gli uomini di fede ci sono sia dei premi Nobel che degli imbecilli patentati (così come tra gli agnostici e gli atei).
Io stesso sono stato un agnostico per molti anni e lo sono rimasto fino a che, dopo aver molto ricercato e riflettuto, non ho scelto di credere in quella che mi sembrava la cosa più ragionevole. E’ stata la mia onestà intellettuale (liberata dai pregiudizi che io stesso mi ero imposto) a spingermi a credere. Ora, io forse potrò essere un temerario o un vigliacco, ma non credo di essere un idiota (ma forse sono un idiota nel credere di non essere idiota), così come non credo di essere più intelligente della media degli esseri umani. D’altro canto, credo che nemmeno tu sia un idiota (e lo desumo, se non altro, dalla notevole proprietà di linguaggio con cui ti esprimi), e, allora, come la mettiamo? Beh… continuiamo a confrontarci, e forse, un giorno (se Dio lo vorrà e se la tua onestà intellettuale, o buona volontà, te lo permetterà), riuscirai a comprendere il senso del mio discorso e tutta la razionalità della fede nella Rivelazione…


A mio avviso, una cosa è la fede in Dio, nel sovrannaturale in genere; altra cosa, invece, la fede che ognuno di noi può avere per il vivere quotidiano. Tu hai ragione quando dici che chiunque si fida di cose che non vede ma, forse, le ha viste. Mi spiego: mi siedo su una seggiola di casa mia confidando nel fatto ch'essa mi sorreggerà senza farmi rischiare l'osso del collo. Ogni qualvolta ripeterò quest'azione non verificherò che la sedia sia abbastanza robusta da non rompersi, ciò m'impedirebbe di vivere in modo pratico. Di per sé, però, questa non sarebbe una condotta saggia. In realtà, riterrò la verifica superflua perché l'esperienza mi fa supporre che la sedia di casa sia idonea allo scopo. Potrebbe essere differente per una sedia di cui non conosco la provenienza.
Ritengo che credere in Dio, invece, sia irrazionale perché significa fidarsi di ciò che trascende l'esperienza umana. Se avere fede in Dio significa, per qualcuno, vivere più serenamente, nulla in contrario da parte mia, faccia pure ma non confondiamo questo con la ragione e nemmeno con la religione.



In primo luogo, nell’ipotesi in cui non esistesse una morale con valore assoluto quali argomenti si potrebbero opporre ad una condotta egoistica? Se non esiste una condotta “veramente” migliore di un’altra, allora l’egoismo, in senso assoluto, non è né migliore né peggiore dell’altruismo.


Vorrei affrontare l'argomento egoismo vs. altruismo in maniera approfondita. Magari potremo aprire un'altra discussione.


In secondo luogo, l’etica cristiana si incentra proprio sul fatto che la beatitudine si raggiunge con l’amore ed è il frutto dell’amore, e che chi persegue la beatitudine per la beatitudine è destinato a non raggiungerla.


Questo è solo un aspetto della morale cristiana. Anche uno senza Dio come me è in grado di amare... almeno credo. Però non è sufficiente se diamo ascolto a tutti i movimenti religiosi che al figlio di Dio morto sulla croce (o su un palo, fa lo stesso) fanno riferimento. Stando al Papa, solo per nominarne uno tra tanti, il regno dei cieli non sarà mai affar mio.

Avrei voluto esporre gli argomenti in maniera più articolata ma me ne manca il tempo. Continuiamo a confrontarci, ci fa un gran bene.

Un saluto a tutti, TDG e non.
Un saluto a tutti, TDG e non.
19/06/2008 17:04
 
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Edniz (tra le altre cose) ha scritto:


Giudizi di merito, s'intende.



Ovviamente io mi riferivo all’accezione che il termine “giudizio” ha in filosofia, dove è praticamente un sinonimo di “proposizione”.


Perdona, forse è colpa mia, ma mi spiegheresti il senso di questa tautologia?



Volevo semplicemente sottolineare il fatto che ogni proposizione apofantica reca seco una pretesa di verità.


Un'ultima cosa: va da sé che anche un soffio di vento può avere valenze diverse relativamente alle circostanze e alle persone.



Certo, un soffio di vento potrà essere per alcuni irritante, per altri rilassante, per altri ancora rinfrescante, ecc. Ma un soffio di vento non può essere vero o falso.


Che non esista un morale universale mi pare lo dimostri ampiamente la storia umana.



La storia, al massimo, potrebbe dimostrare che non c’è una morale universalmente condivisa, ma non che non c’è una morale di valore universale, una morale “vera”.


Sei un antropologo e penso tu non possa che confermare che la cultura (l'etica ne è un prodotto) sia relativa al tempo e al luogo, come già avevo detto in precedenti post.



In verità, proprio la mia esperienza come antropologo ha contribuito a convincermi del fatto che, per quanto le varie prospettive morali elaborate dalle varie culture siano spesso molto distanti le une dalle altre, tutte condividono dei principi imprescindibili (tra cui, ad esempio, quello che dice che è illecito uccidere un innocente) su cui si strutturano i vari concetti che le culture hanno della giustizia commutativa e di quella distributiva.


La ricerca di valori universalmente condivi può e deve essere fatta, a mio avviso, ma sulla base del confronto.



Confronto che potrà essere possibile (come hanno dimostrato i fautori della cosiddetta etica del discorso) solo a condizione che già da prima i vari individui (o culture) chiamati a dialogare condividano un nucleo di “valori” tali da costituire un solido terreno di incontro dialettico. I vari “giochi linguistici” della morale possono essere confrontati nella misura in cui questi contengano delle proposizioni sul cui significato (e sul cui valore, quindi) tutti siano già previamente d’accordo, vale a dire solo qualora nei vari giochi linguistici appaiano delle proposizioni che abbiano sempre il medesimo valore a prescindere dal “gioco” in cui sono coinvolte. E qui ritorna, appunto, quel fondamento assoluto della morale di cui sopra.


Poi, parli di conflitti che il relativismo produrrebbe: ebbene, non mi pare che le religioni siano meno portarici di intolleranza e odio, anzi. Se parto dal presupposto che non posso che avere ragione in quanto illuminato da Dio, non sarò mai abbastanza umile per tentare di capire e di accettare le ragioni dell'altro da me. In questo, mi pare che la WTS c'insegni qualcosa.



Attenzione a non fare confusione. E’ vero: spesso le religioni si sono scontrate tra di loro. Ma l’assolutismo (nel senso che mi sembra tu dia a questo termine) non è una caratteristica intrinseca della religione in sé, bensì una caratteristica che si incontra nelle religioni fondamentaliste, vale a dire in quelle religioni il cui credo implica che chi la pensa diversamente è necessariamente nell’errore su ogni cosa. Questo però non vale per quelle religioni (vedi il Cattolicesimo) in cui si ritiene che la verità sia disseminata un po’ ovunque e che sia sempre possibile incontrarsi e dialogare sulla base delle verità condivise (che, come dicevo sopra, necessariamente devono esserci), sia con gli appartenenti alle altre religioni, sia con gli atei e gli agnostici. Il “relativismo” invece, ponendo una cesura netta tra i vari giochi linguistici (permettimi di usare ancora questa felice espressione di Wittgenstein) e ponendoli tutti sul medesimo piano, taglia per principio le gambe ad ogni vera possibilità di dialogo tra gli stessi.


A mio avviso, una cosa è la fede in Dio, nel sovrannaturale in genere; altra cosa, invece, la fede che ognuno di noi può avere per il vivere quotidiano.



Come accennavo nel mio precedente Post, la differenza sostanziale risiede nel fatto che mentre la fede nel nostro medico, nel nostro meccanico, nel nostro falegname, ecc. è una fede a cui dobbiamo ricorrere per via dell’impossibilità materiale di essere tutti medici, tutti meccanici, tutti falegnami, ecc. anche se in linea di principio possiamo comunque verificare (ed a volte lo facciamo) la competenza di coloro in cui riponiamo la nostra fede, nel caso della Rivelazione le cose non stanno così. La Rivelazione pretende, infatti, di renderci edotti su verità che, per principio, sfuggono alla nostra ragione naturale (anche se non sono contrarie a questa, e questo è un punto fermo di tutta la teologia cristiana dai Padri della Chiesa ad oggi) e che, pertanto, per principio noi non possiamo “verificare” di persona, ma alle quali possiamo credere solo ed esclusivamente per “fede” appunto. A questo punto, la domanda è: è ragionevole o no credere nella Rivelazione? Io, ovviamente, ritengo di sì e credo che tutti coloro che con cuore sincero si accostino alla questione possano arrivare alla mia stessa conclusione (sempre che le circostanze della loro vita glielo permettano: ed ecco perché ritengo che la fedi, in fondo, sia un dono di Dio, perché spetta a Dio porci nella condizione di poter credere).


Ritengo che credere in Dio, invece, sia irrazionale perché significa fidarsi di ciò che trascende l'esperienza umana.



Credere nella Rivelazione sarebbe irrazionale se la fiducia posta nei testimoni della medesima si basasse su sofismi o palesi contraddizioni (ma così non è) o se il contenuto della medesima fosse contraddittorio (ma così non è). Credere, quindi, non è irrazionale, perché in nessun modo il credente, nel suo crede, prescinde dal principio di coerenza. Credere, pertanto, è un qualcosa di “a-razionale”, non di “irrazionale”. Anche per il fatto che la “fede” (per definizione) chiama in ballo fattori extra-teoretici, legati alla libera volontà del singolo.



Stando al Papa, solo per nominarne uno tra tanti, il regno dei cieli non sarà mai affar mio.



E da dove ricavi questa conclusione?
Se il Papa avesse detto una cosa del genere, sarebbe passibile di scomunica. Io credo che alla base di questa tua convinzione ci sia solo un grosso fraintendimento. Del resto, il tuo voler fare tutto un fascio delle varie religioni non rende giustizia alle medesime. Come mettere, infatti, nello stesso mazzo Agostino, Duns Scoto e i membri del CD della WTS? Forse non ti rendi conto che molta più è la distanza che separa la teologia cattolica (e cristiana in generale) da quella dei TdG di quella che separa Einstein da Tommaso d’Aquino.

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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)

21/06/2008 11:08
 
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Re:
Rispondo a Trianello:


La storia, al massimo, potrebbe dimostrare che non c’è una morale universalmente condivisa, ma non che non c’è una morale di valore universale, una morale “vera”.


D'accordo, anche se penso che i tuoi siano sofismi.


In verità, proprio la mia esperienza come antropologo ha contribuito a convincermi del fatto che, per quanto le varie prospettive morali elaborate dalle varie culture siano spesso molto distanti le une dalle altre, tutte condividono dei principi imprescindibili (tra cui, ad esempio, quello che dice che è illecito uccidere un innocente) su cui si strutturano i vari concetti che le culture hanno della giustizia commutativa e di quella distributiva.


Può darsi che vi siano valori di base, come quello di non uccidere un innocente, comuni a tutte le culture ma mettiamoci d'accordo su quale sia il metro per giudicare un colpevole o un innocente. In alcuni paesi islamici fondamentalisti, una donna stuprata è colpevole, quanto e più del suo carnefice, e punibile con la morte per lapidazione, mentre, per la nostra cultura e la nostra morale, non può che essere vittima. Ancora: negli Stati Uniti, o in altri paesi in cui vige ancora la pena di morte per alcuni reati, si ammette la possibilità dell'errore giudiziario, dunque di condannare un innocente, tuttavia si continua a emettere sentenze di morte. Altro esempio e poi concludo: checché se ne dica, anche la "guerra chirurgica", termine con cui molti capi di governo dei paesi occidentali si riempiono la bocca quando devono giustificare un intervento armato (guarda caso sempre a scapito di popolazioni con culture e etiche diverse dalla nostra), miete vittime tra la popolazione civile, tra cui anche bambini; si sa che sono innocenti per antonomasia e si sa anche che la moerte di una parte di ooro è ineluttabile durante una guerra ma li si sacrifica in nome della ragion di stato (nostra) e a volte anche in nome di Dio ("perché Dio lo vuole", come avrebbe detto Re Baldovino di Gerusalemme).



Confronto che potrà essere possibile (come hanno dimostrato i fautori della cosiddetta etica del discorso) solo a condizione che già da prima i vari individui (o culture) chiamati a dialogare condividano un nucleo di “valori” tali da costituire un solido terreno di incontro dialettico. I vari “giochi linguistici” della morale possono essere confrontati nella misura in cui questi contengano delle proposizioni sul cui significato (e sul cui valore, quindi) tutti siano già previamente d’accordo, vale a dire solo qualora nei vari giochi linguistici appaiano delle proposizioni che abbiano sempre il medesimo valore a prescindere dal “gioco” in cui sono coinvolte. E qui ritorna, appunto, quel fondamento assoluto della morale di cui sopra.


Concordo che si debba trovare un terreno comune su cui confrontarsi ma in questo la morale religiosa, da cui sono partito per metterne in discussione la validità universale, non è più autorevole di una morale laica. Anzi, proprio in quanto ferma e immutabile (almeno negli intenti) perché ispirata da Sacre Scritture a loro volta ispirate da Dio, dunque eterne, sulla carta sarebbe la meno indicata al confronto costruttivo.


Attenzione a non fare confusione. E’ vero: spesso le religioni si sono scontrate tra di loro. Ma l’assolutismo (nel senso che mi sembra tu dia a questo termine) non è una caratteristica intrinseca della religione in sé, bensì una caratteristica che si incontra nelle religioni fondamentaliste, vale a dire in quelle religioni il cui credo implica che chi la pensa diversamente è necessariamente nell’errore su ogni cosa. Questo però non vale per quelle religioni (vedi il Cattolicesimo) in cui si ritiene che la verità sia disseminata un po’ ovunque e che sia sempre possibile incontrarsi e dialogare sulla base delle verità condivise (che, come dicevo sopra, necessariamente devono esserci), sia con gli appartenenti alle altre religioni, sia con gli atei e gli agnostici.


La Chiesa ha quasi due millenni di storia. Che oggi sia più disponibile al dialogo mi pare evidente ma mi pare altrettanto evidente la connotazione politica di questa apertura. Perpetrare sé stessa, significa scendere a compromessi con Cesare o, meglio, fare in modo che essa stessa sia Cesare dissumulandolo.
Permettimi una digressione: a parer mio, Giovanni Paolo II aveva avviato un processo di dialogo interreligioso con cui intendeva eliminare le culture dell'ateismo e dell'agnosticismo. Forse, questo sarebbe stato il primo passo, per poi, una volta annientato il nemico comune a tutte le religioni, riorganizzare una nuova crociata.


Il “relativismo” invece, ponendo una cesura netta tra i vari giochi linguistici (permettimi di usare ancora questa felice espressione di Wittgenstein) e ponendoli tutti sul medesimo piano, taglia per principio le gambe ad ogni vera possibilità di dialogo tra gli stessi.


Sono in difficoltà perché, evidentemente, partiamo da posizioni contrapposte e non sono in grado di trovare una focale comune che ci permetta di capirci su questo punto. E' come se dovessi provare a spiegare, senza poterla nemmeno mostrare, la tonalità di un colore a chi non avesse il concetto stesso di colore. Vorrai scusare i miei limiti.


Come accennavo nel mio precedente Post, la differenza sostanziale risiede nel fatto che mentre la fede nel nostro medico, nel nostro meccanico, nel nostro falegname, ecc. è una fede a cui dobbiamo ricorrere per via dell’impossibilità materiale di essere tutti medici, tutti meccanici, tutti falegnami, ecc. anche se in linea di principio possiamo comunque verificare (ed a volte lo facciamo) la competenza di coloro in cui riponiamo la nostra fede, nel caso della Rivelazione le cose non stanno così. La Rivelazione pretende, infatti, di renderci edotti su verità che, per principio, sfuggono alla nostra ragione naturale (anche se non sono contrarie a questa, e questo è un punto fermo di tutta la teologia cristiana dai Padri della Chiesa ad oggi) e che, pertanto, per principio noi non possiamo “verificare” di persona, ma alle quali possiamo credere solo ed esclusivamente per “fede” appunto. A questo punto, la domanda è: è ragionevole o no credere nella Rivelazione? Io, ovviamente, ritengo di sì e credo che tutti coloro che con cuore sincero si accostino alla questione possano arrivare alla mia stessa conclusione (sempre che le circostanze della loro vita glielo permettano: ed ecco perché ritengo che la fedi, in fondo, sia un dono di Dio, perché spetta a Dio porci nella condizione di poter credere).


Credere che la medicina possa aiutarci a guarire è ragionevole perché l'esperienza, diretta o indiretta che sia, ci dà modo di pensarlo. Riporre fiducia in scritture che ci parlano di avvenimenti fantastici e in fatti che trascendono la realtà quotidiana è poco sensato. Ciò non toglie che sia legittimo crederci e che io nutra il massimo rispetto per te e per tutti coloro che sentono di potersi affidare a queste favole che dal mio punto di vista sono annoverabili tra le tante superstizioni umane. Inoltre, come ho già detto su altro post nel forum: perché se la fede è un dono, questo dono deve essere tuo e non anche mio?


Credere nella Rivelazione sarebbe irrazionale se la fiducia posta nei testimoni della medesima si basasse su sofismi o palesi contraddizioni (ma così non è) o se il contenuto della medesima fosse contraddittorio (ma così non è). Credere, quindi, non è irrazionale, perché in nessun modo il credente, nel suo crede, prescinde dal principio di coerenza. Credere, pertanto, è un qualcosa di “a-razionale”, non di “irrazionale”. Anche per il fatto che la “fede” (per definizione) chiama in ballo fattori extra-teoretici, legati alla libera volontà del singolo.


Attento perché ti stai cacciando nei guai da solo. Di contraddizioni e di fanfaluche ne sono pieni sia l'Antico che il Nuovo Testamento. Non entriamo in particolari perché rischierei di risultare irriverente e antipatico. Ti prego di esimermi dal commentare oltre le tue affermazioni.
Rimango dell'opinione che avere fede sia irrazionale perché è una negazione della ragione e non la sua mancanza.


E da dove ricavi questa conclusione?
Se il Papa avesse detto una cosa del genere, sarebbe passibile di scomunica. Io credo che alla base di questa tua convinzione ci sia solo un grosso fraintendimento. Del resto, il tuo voler fare tutto un fascio delle varie religioni non rende giustizia alle medesime. Come mettere, infatti, nello stesso mazzo Agostino, Duns Scoto e i membri del CD della WTS? Forse non ti rendi conto che molta più è la distanza che separa la teologia cattolica (e cristiana in generale) da quella dei TdG di quella che separa Einstein da Tommaso d’Aquino.


Mi par ovvio che il mio discorso vada preso in senso lato. Che il Papa abbia o meno pronunciato quelle parole non fa differenza; il concetto che volevo esprimere è che, per la religione cattolica, non basta amare per accedere al supposto Paradiso, ed essendo il Papa il vicario di Dio in terra...

A rileggerti presto con nuovi commenti anche se spero che qualcun altro vorrà intervenire per animare la discussione.

Un saluto a tutti, TDG e non.




Un saluto a tutti, TDG e non.
21/06/2008 11:36
 
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Forse, questo sarebbe stato il primo passo, per poi, una volta annientato il nemico comune a tutte le religioni, riorganizzare una nuova crociata.

tu la chiami Nuova Crociata, lui amava definirla "Nuova Evangelizzazione" per conquistare il mondo a Cristo. ma questo è nel DNA del cristianesimo, una missione che ci viene dal nostro fondatore e a cui non possiamo venire meno.




Credere che la medicina possa aiutarci a guarire è ragionevole perché l'esperienza, diretta o indiretta che sia, ci dà modo di pensarlo. Riporre fiducia in scritture che ci parlano di avvenimenti fantastici e in fatti che trascendono la realtà quotidiana è poco sensato.

ma è proprio questa la sfida del cattolicesimo; al contrario delle sètte fondamentaliste, essa non teme il confronto nè con la scienza, nè con la filosofia, insomma non teme la ragione, anzi la considera essenziale e la fede senza la ragione porterebbe ad una eresia che la Chiesa aborra; il fideismo. di questo passo si potrebbe credere anche ai 7 nani e a Babbo natale.

ci sono stati fior fiori di studiosi delle più svariate discipline, che sono partiti dal tuo presupposto, convinti che la fede si sarebbe sciolta come neve al sole dinanzi al retto uso della ragione. fin dal 17° secolo si è dissezionato parola per parola la sacra scrittura con lo scopo di demolire la storicità degli eventi narrati dai vangeli.
dopo più di 2 secoli di ricerche la fede cristianane è uscita più forte, in quanto si è dimostrato che i fatti evangelici non sono affatto assurdi e irrazionali, tutto il contrario; ragionevoli.

la fede nel messia Gesù è ragionevolissima anche dinanzi al bisturi della scienza storica, archeologia e delle varie discipline che si sono formate in questi secoli.

il cristianesimo non teme la ragione perchè non è fideismo. sicuramente Trianello o qualcun altro ti saprà indicare del volumi che parlano dei risultati della ricerca storica sul fatto cristiano e sulla sua situazione attuale.


qui troverai un bel resoconto sulla ricerca storica attinente la figura di Gesù, sono diverse pagine ma molto interessanti:

www.christianismus.it/modules.php?name=News&file=articl...

anche le varie contraddizioni di cui parli, sono state prese in esame.


per la religione cattolica, non basta amare per accedere al supposto Paradiso, ed essendo il Papa il vicario di Dio in terra...


ahia, qui hai toppato clamorosamente, dove la Chiesa insegnerebbe una cosa del genere? ne conseguirebbe che buddisti, musulmani, ebrei, agnostici, atei ecc ecc vadano tutti all'inferno! ma questo a limite può insegnarlo qualche sètta fondamentalista cristiana come i tdg, non certo la Chiesa Cattolica

[SM=x570892]
[Modificato da predestinato74 21/06/2008 11:40]






"Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro."
"Formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo."

Ezechiele



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D'accordo, anche se penso che i tuoi siano sofismi.



Se si tratta di sofismi, non sarà difficile svelarne la fallacia.
La questione è che, in verità, io ho fatto una osservazione elementare che, oggi come oggi, in ambito epistemologico è pacificamente accettata da tutti. Il fatto che non ci sia una morale universalmente condivisa non “dimostra” che non esista una morale universalmente condivisibile, così come il fatto che ci sono almeno una quindicina di interpretazioni della meccanica quantistica non “dimostra” che sia impossibile trovarne una che metta tutti d’accordo.


Può darsi che vi siano valori di base, come quello di non uccidere un innocente, comuni a tutte le culture ma mettiamoci d'accordo su quale sia il metro per giudicare un colpevole o un innocente. In alcuni paesi islamici fondamentalisti, una donna stuprata è colpevole, quanto e più del suo carnefice, e punibile con la morte per lapidazione, mentre, per la nostra cultura e la nostra morale, non può che essere vittima. Ancora: negli Stati Uniti, o in altri paesi in cui vige ancora la pena di morte per alcuni reati, si ammette la possibilità dell'errore giudiziario, dunque di condannare un innocente, tuttavia si continua a emettere sentenze di morte. Altro esempio e poi concludo: checché se ne dica, anche la "guerra chirurgica", termine con cui molti capi di governo dei paesi occidentali si riempiono la bocca quando devono giustificare un intervento armato (guarda caso sempre a scapito di popolazioni con culture e etiche diverse dalla nostra), miete vittime tra la popolazione civile, tra cui anche bambini; si sa che sono innocenti per antonomasia e si sa anche che la moerte di una parte di ooro è ineluttabile durante una guerra ma li si sacrifica in nome della ragion di stato (nostra) e a volte anche in nome di Dio ("perché Dio lo vuole", come avrebbe detto Re Baldovino di Gerusalemme).



Una cosa sono i principi (i quali sono universalmente validi e patrimonio dell’uomo in quanto ente razionale), un’altra sono le applicazioni che di questi le varie culture hanno fatto e fanno. Che una donna stuprata in alcuni paesi (non solo islamici) può essere condannata, dipende dal fatto che si ritiene che una donna dovrebbe tenere più al suo onore che alla sua vita (nell’antico Giappone, ad esempio, le nobildonne portavano sotto al kimono un coltello da utilizzare contro se stesse nel caso che il loro “onore” fosse stato messo seriamente in pericolo), ergo, una donna che ha preferito salvare la sua vita più che il suo onore, in quei paesi, è colpevole. Alle nostre orecchie, ovviamente, una tale concezione dell’onore risulta sproporzionata, ed è al ridimensionamento della medesima che dobbiamo lavorare, sul presupposto però che i nostri interlocutori “altri” siano degli enti razionali come noi e, pertanto, in grado di giungere alle nostre medesime conclusioni a partire dai principi etici universali inquadrati in una concezione più “adeguata” della natura umana e dei suoi fini propri.
Per ciò che concerne la cosiddetta “guerra giusta”, che tanto spazio ha occupato nei manuali morale dal Medioevo fino ai nostri giorni, la discussione sarebbe lunga. Quello che posso dirti è che io stesso sono convintissimo che in moltissimi casi, anche recenti, in cui questo concetto è stato chiamato in causa, questo lo è stato in maniera impropria (come del resto il Vaticano, sia per bocca del precedente che del presente pontefice, non ha mai smesso di sottolineare).


Concordo che si debba trovare un terreno comune su cui confrontarsi ma in questo la morale religiosa, da cui sono partito per metterne in discussione la validità universale, non è più autorevole di una morale laica. Anzi, proprio in quanto ferma e immutabile (almeno negli intenti) perché ispirata da Sacre Scritture a loro volta ispirate da Dio, dunque eterne, sulla carta sarebbe la meno indicata al confronto costruttivo.



Nessuno ha mai detto che il dialogo debba avvenire alla luce della Rivelazione. Un tale atteggiamento sarebbe assolutamente irrazionale. Non è possibile discutere di alcun argomento alla luce della Rivelazione con chi non ritiene valido il contenuto della medesima. Per fortuna, però, la teologia cattolica ha sempre sostenuto che la Grazia (e pertanto la Rivelazione) non annulla la natura (e quindi la ragione), ma la completa, per cui è possibile anche per un uomo di fede discutere di etica al lume della ragione naturale con chiunque. Del resto, da un punto di vista morale, praticamente tutte le affermazioni principali del Magistero della Chiesa e dei grandi teologi sono sempre state formulate ricorrendo alla sola ragione naturale (ti basterebbe sfogliare un manuale di Teologia Morale, soprattutto tra quelli di impostazione scolastica, per verificarlo) e la Scrittura è stata chiamata in ballo più come conferma della bontà di determinate posizioni che come loro fondamento proprio.


La Chiesa ha quasi due millenni di storia. Che oggi sia più disponibile al dialogo mi pare evidente ma mi pare altrettanto evidente la connotazione politica di questa apertura.



Ciò che a te appare evidente, sembra molto meno evidente al sottoscritto e, probabilmente, a chiunque si accosti ai dati sia della storia che della cronaca con uno sguardo un po’ meno prevenuto nei confronti della Chiesa.


Sono in difficoltà perché, evidentemente, partiamo da posizioni contrapposte e non sono in grado di trovare una focale comune che ci permetta di capirci su questo punto.



Veramente, questa mia affermazione non era che un corollario della precedente (quella relativa alla necessità, per due soggetti che vogliano entrare in dialogo, di potersi incontrare sul significato di determinate proposizioni), su cui mi sembra che ti fossi trovato d’accordo. Qui io non ho fatto che riprendere un’elementare considerazione dei fautori dell’etica del discorso, che a me sembra lapalissiana. Nella concezione strettamente wittgensteiniana dei “giochi linguistici” (quella che esplicitamente o implicitamente è stata fatta propria da molti relativisti contemporanei) si considerano i medesimi come assolutamente autonomi, e quindi si tende a giudicare improprio ogni tentativo di mediazione tra i suddetti. Soprattutto Habermas (riprendendo alcuni spunti delle ultime opere inedite dello stesso Wittgentein), invece, ha insistito sulla necessità per ogni dialogo tra appartenenti a differenti giochi linguistici di fondare il medesimo su delle pretese universali di verità, delle quali egli ci ha lasciato una preciso elenco.


Riporre fiducia in scritture che ci parlano di avvenimenti fantastici e in fatti che trascendono la realtà quotidiana è poco sensato.



E perché mai?
Anche la microfisica ci parla di cose assolutamente paradossali rispetto alla nostra esperienza quotidiana, eppure ci crediamo, perché abbiamo una mole considerevole di esperienze sperimentali a loro sostegno. Ora, in effetti, il Cristianesimo si fonda su un evento assolutamente improbabile (la Risurrezione di Cristo), ma sei davvero così certo del fatto che non ci siano delle prove a sostegno della veridicità storica di un tale strabiliante evento?


Inoltre, come ho già detto su altro post nel forum: perché se la fede è un dono, questo dono deve essere tuo e non anche mio?



Ti poni questo quesito perché forse non hai chiaro che cosa si intende, in ambito cattolico, con il termine “fede”. La fede è un dono di Dio, ma è un dono che Dio concede a tutti coloro che vogliano accettarlo (Dio vuole che tutti si salvino, dice l’apostolo Paolo). C’è però da considerare che, oltre alla fede esplicita, c’è una fede implicita. Ora, Dio concede a tutti la possibilità almeno della fede implicita, mentre solo ad alcuni concede quello della fede esplicita (che è un dono supplementare, un “talento” in più che siamo chiamati a mettere a frutto), proprio così come solo ad alcuni concede il dono della bellezza o dell'eloquenza.


Attento perché ti stai cacciando nei guai da solo. Di contraddizioni e di fanfaluche ne sono pieni sia l'Antico che il Nuovo Testamento. Non entriamo in particolari perché rischierei di risultare irriverente e antipatico. Ti prego di esimermi dal commentare oltre le tue affermazioni.



Parli delle contraddizioni della Bibbia come se avessi una dimestichezza estrema con la medesima, le lingue in cui questa è stata scritta, i vari contesti culturali in cui i testi che la compongono sono emersi ed i generi letterari a cui questa fa ricorso. Beato te. Io sono anni che mi dedico allo studio della Bibbia, ed ho appena cominciato a scalfirne la superficie. C’è poi da considerare che io sono un cattolico e, pertanto, la mia fede non si fonda sulla Bibbia (anche se questa è veicolo essenziale della Rivelazione), ma sulla Chiesa. Ecco, tra le verità che la Chiesa propone ai credenti non ce ne è una che sia irrazionale, vale a dire che sia intrinsecamente contraddittoria e quindi “assurda”.


Mi par ovvio che il mio discorso vada preso in senso lato. Che il Papa abbia o meno pronunciato quelle parole non fa differenza; il concetto che volevo esprimere è che, per la religione cattolica, non basta amare per accedere al supposto Paradiso,



E questa convinzione da dove la hai ricavata?
Non certo dai testi ufficiali del Magistero della Chiesa, i quali dicono l’esatto contrario.
[Modificato da Trianello 23/06/2008 15:40]

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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)

23/06/2008 10:37
 
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e perchè me ne dovrebbe fregare qualcosa del reciproco rispetto se tanto siamo tutti cibo per vermi? Molto più logico ed efficace fregare a destra e manca sino a che campo, cercando di vivere il meglio possibile alla faccia degli altri, tanto poi si viene chiusi in una cassa.

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Perchè mai dovremo diventare "cibo per vermi" ? Basta farsi cremare cosi li freghiamo! [SM=x570874]
Apparte gli scherzi, volevo capire perchè pensi queste cose
Quindi se non fossi religioso vivresti a destra e manca e alla faccia degli altri? E saresti sicuro di vivere il meglio della vita??





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