Forse vi sembrerà strano, ma io ho un buon ricordo del periodo che ho trascorso in carcere (5 mesi a Peschiera e 7 a Gaeta), per non aver prestato il servizio militare e civile, in ossequio agli allora intendimenti del CD.
In particolare ricordo tanti "fratelli" con i quali riuscii a stringere un legame affettivo e di amicizia, legame che fuori dal carcere, nella congregazione, non riuscii più in seguito a ricreare. I fatto di stare insieme tutto il giorno, di condividere ogni cosa, di essere in una condizione disagevole, di soffrire le stesse cose tutti insieme, favoriva certamente la creazione di contatti umani autentici.
Mi ricordo in particolare di un "fratello", A.I. (che divenne in seguito sorvegliante di circoscrizione), con il quale trascorrevo la maggior parte del tempo. Questo "fratello" mi apprezzava molto per la mia passione nello studio, e quando doveva fare qualche discorsetto nelle adunanze che si tenevano nel carcere, mi consultava per avere qualche suggerimento.
Quando venne il momento per lui di uscire dal carcere, rimasi molto colpito dal fatto che si mise a piangere a dirotto. Ricordo che gli dissi: "Ma perché piangi così? Ci rivedremo quando uscirò, verrò a trovarti a casa...".
Ma queste mie parole non bastarono a consolarlo. Intuiva evidentemente che quel rapporto speciale, quel legame affettivo, che si era creato lì dentro, non si sarebbe più ricreato fuori. Ed infatti, purtroppo, così avvenne.
L'ho risentito poco tempo dopo la mia uscita dall'organizzazione.
Mi telefonò (dopo anni che non lo sentivo) per chiedermi come stavo.
Gli dissi che non ero più TdG, e questo lo fece rimanere di sasso.
Dopo qualche parola di circostanza riattaccò, e da allora (1998) non l'ho più risentito.
Tutto normale nella "teocrazia".
Ricordo anche a Gaeta alcuni "fratelli" poco spirituali, che erano piuttosto malvisti.
Ce n'era uno in particolare che non veniva mai alle adunanze settimanali e che se stava un po' in disparte.
Però quel "fratello", per quanto non avessi parlato molto con lui, mi rimase impresso.
Chissà cosa passava per la mente di questa persona, mal vista dai "fratelli sprirituali", pur essendo costretto dalle circostanze a rimanere in quel luogo.
Non ricordo che nessuno fosse stato disassociato in carcere. Mi domando cosa sarebbe successo in quel caso...
Sarebbe stato piuttosto difficile evitare tale persona, trovandosi nella stessa camerata con lui...
C'erano poi anche i "fratelli" molto zelanti e "spirituali".
Con uno di questi in particolare non riuscii mai a legare.
Dato che allora ero molto "teocratico" era mio proposito stringere con tutti i "fratelli" un buon rapporto ("Allargatevi nell'amore", dice la Bibbia). Ricordo quindi che per un certo periodo mi svegliavo la mattina con il proposito di socializzare con questo "fratello", di avere con lui lo stesso rapporto amichevole che avevo con la stragrande maggioranza degli altri compagni. Purtroppo, a causa dell'atteggiamento di questa persona - che, a distanza di decenni ho incontrato di nuovo, e che ho scoperto non essere fondamentalmente cambiata! -, non ci sono mai riuscito.
Di solito nella vita si ricordano di più le cose particolarmente negative o particolarmente positive.
Ecco, questo "fratello" mi rimase impresso per la prima ragione: ogni giorno che passava e che i miei sforzi di riuscire a socializzare con lui (così come facevo con tutti) fallivano, mi lasciava una sensazione spiacevole, quasi un senso di colpa per non avere (io) cercato abbastanza di "allargarmi nell'amore".
Alla fine rinunciai a questi tentativi, rendendomi conto - con delusione - che anche nella "fratellanza" i rapporti fraterni/affettivi non erano una cosa così scontata ed automatica come pensavo.
Forse direte che avevo scoperto l'acqua calda, ma allora ero giovane ed ero convinto che i TdG fossero i veri cristiani (mi ero battezzato da pochi mesi). Quindi il fatto che non ci fosse lo stesso legame di "amicizia" con tutti mi deludeva.
Uscendo dal carcere, la consapevolezza che tali legami affettivi erano molto superficiali, se non addirittura inesistenti, si concretizzò sempre di più. E mi resi conto man mano che il tempo passava che i rapporti umani nell'organizzazione non sono autentiche espressioni di amore per il prossimo, ma sono basati fondamentalmente sul formalismo...
Tutto questo lo si comprende solo con il tempo ed è qualcosa che si può solo percepire, intuire, agli inzizi, quando si comincia a frequentare la congregazione, e si viene sommersi da innumerevoli espressioni di "amicizia" e di "interesse personale". Si chiama "love bombing".
Saluti
Achille
[Modificato da Achille Lorenzi 14/01/2007 11.09]