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“Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano.” (Mt 18,15-17)
Ecco, secondo Gesù, il modo in cui comportarsi con i membri della Chiesa che abbiano peccato.
A queste parole, in un certo qual modo, fa eco Paolo.
“Vi ho scritto nella lettera precedente di non mescolarvi con gli impudichi. Non mi riferivo però agli impudichi di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolàtri: altrimenti dovreste uscire dal mondo! Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolàtra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme.” (ICo 5,9-11)
Qui Paolo dice che, in pratica, il peccatore non deve essere più considerato come un membro della Chiesa, a questi deve essere impedito di mescolarsi con i fedeli. Il divieto di mangiarci assieme è relativo, con tutta probabilità, al pasto eucaristico. Vale a dire: il peccatore non può partecipare all’eucaristia. Egli, infatti, come aveva detto Cristo, deve essere considerato a tutti gli effetti come un pagano e un pubblicano.
Comportati col fratello peccatore come con un pagano e un pubblicano, dice il Figlio di Dio. Ora, come si deve comportare il cristiano con i pagani e i pubblicani? Seguendo, come in ogni cosa, l’esempio di Gesù, ovviamente. Ma come si comportava Gesù con i pagani ed i pubblicani?
“Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».” (Mt 9,10-13)
Proprio il peccatore ha bisogno della nostra assistenza e della nostra solerzia, egli è infatti quella pecorella smarrita per il cui ritrovamento spirituale dobbiamo prodigarci.
Differente è, a mio avviso, il caso della Seconda Lettera di Giovanni.
“Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio. Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo; poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse.” (IIGio 9-11)
Qui si sta semplicemente mettendo in guardia i fedeli contro coloro che predicano dottrine diverse da quelle, vere, insegnate dagli apostoli di Cristo: si parla infatti espressamente della “dottrina” del Cristo. Quando dice che i predicatori della falsa dottrina non vanno nemmeno salutati, Giovanni sta usando un'espressione iperbolica, tipica del linguaggio semitico, proprio come quando Gesù invitava a cavarsi l'occhio che desse occasione di scandalo.[Modificato da Trianello 14/04/2006 15.46]
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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)
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