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Grande Apostasia

Ultimo Aggiornamento: 12/04/2006 06:16
10/04/2006 21:34
 
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Re:

Scritto da: Trianello 10/04/2006 21.27

dice:"Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù



Qui si parlava della schiavitù della LEGGE. Non capisco in cosa questo passo contrasti con la possibilità della Chiesa di regolare la propria vita interna secondo quelle che alle Sue gerarchie paiono le opzioni più opportune.



appunto.

stò mettendo in discussione il diritto delle gerarchie di essere tali e di imporre in nome dell'autorità religiosa norme che non vengono da cristo.

bruno
10/04/2006 21:49
 
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appunto.

stò mettendo in discussione il diritto delle gerarchie di essere tali e di imporre in nome dell'autorità religiosa norme che non vengono da cristo.



La strutturazione interna della Chiesa di Cristo ha sempre comportato una gerarchia, sin dal tempo degli apostoli: lo apprendiamo sia dal Nuovo Testamento che dagli scritti dei Padri Apostolici. Gli apostoli stessi, quando fondavano le Chiese locali, non le abbandonavano all'anarchia, ma designavano delle "guide" per queste e le consacravano tramite l'imposizione delle mani.
La questione del celibato dei sacerdoti, poi, non riguarda i dogmi di fede, quindi nessuno pretende che la Chiesa sia infallibile su questo campo (al massimo, noi che ci riconosciamo nella Chiesa, possiamo confidare nella Divina Provvidenza... e, comunque, non è poca cosa). Questa è una faccenda su cui si può discutere e di cui, infatti, si discute, ma spetta alle "guide" della Chiesa la decisione finale.

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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)

10/04/2006 22:10
 
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ti rispondo come farebbe R.Franz...

nel descrivere la situazione esistente nella congregazione cristiana primitiva,Schaff;nel suo libro History of the Christian Church scrive:

"il N.T. non conosce nessuna aristocrazia nè nobiltà spirituale,ma chiama santi tutti i credenti,sebbene molti possano venire meno,per un certo periodo,alla loro vocazione.Nè esso riconosce un sacerdozio paricolare distinto dal popolo in funzione di mediatore fra dio e i laici.esso riconosce soltanto un sommo sacerdote,Gesù Cristo,ed insegna chiaramente il sacerdozio universale come regalità universale dei credenti"

bruno

[Modificato da giainuso 10/04/2006 22.17]

10/04/2006 22:20
 
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Onestamente, non so quali siano le fonti a cui si è ispirato l'autore di questa frase, ma da quelle a cui mi ispiro io (il Nuovo Testamento e gli scritti dei Padri Apostolici) ricavo ben altro genere di conclusioni.
Del resto, nella Chiesa di Cristo non esiste nessuna distinzione in ceti (aristocrazia e popolo), ma una semplice distinzione di ruoli: ci sono vari carismi e varie vocazioni nella Chiesa, tutto qui.

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10/04/2006 22:40
 
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Re:

Scritto da: Trianello 10/04/2006 22.20
Onestamente, non so quali siano le fonti a cui si è ispirato l'autore di questa frase, ma da quelle a cui mi ispiro io (il Nuovo Testamento e gli scritti dei Padri Apostolici) ricavo ben altro genere di conclusioni.
Del resto, nella Chiesa di Cristo non esiste nessuna distinzione in ceti (aristocrazia e popolo), ma una semplice distinzione di ruoli: ci sono vari carismi e varie vocazioni nella Chiesa, tutto qui.

Quoto per intero quest'ultimo post di Trianello infatti se esiste un comandamento di crescere e moltiplicarsi, dato all’umanità in generale (Gn 1,28; 9,1-7), questo, non dev’essere obbligatoriamente osservato da ogni individuo, così come, analogamente, la missione della Chiesa di predicare il Vangelo a tutte le nazioni (Mt 28,16-20) non vuol dire che ogni cristiano debba trasformarsi in predicatore o evangelizzatore itinerante, anche se tutti devono evangelizzare perlomeno con il loro esempio e la loro condotta di vita. Per quanto riguarda il celibato, Paolo lo vedeva come un dono di Dio che alcuni ricevono.
Egli vedeva anche il matrimonio come un dono di Dio e una vocazione cui la maggioranza dei cristiani è chiamata.
Paolo riecheggiava la dottrina di Gesù, che sosteneva che non sposarsi – e rimanere celibi o vergini - , quando ciò avviene a causa del Regno dei Cieli, ha una dignità speciale (cf Mt 19,12; 1Cor 7,34-35). Al contrario, non sposarsi per puro egoismo, semplicemente perché il celibato pare che consenta all’individuo di godersi di più la vita, pertanto senza instaurare e gestire legami di sorta, dimostra invece una grande povertà di spirito.
Nel caso dei sacerdoti, il celibato permette loro una maggiore libertà d’azione nell’ambito del loro ministero; pertanto offre una maggiore opportunità di consacrarsi, più pienamente e con maggiore senso di continuità, alla propagazione del Regno di Dio. È dunque meno difficile lasciare tutto per andare a servire generosamente dove ce ne sia più bisogno. Poiché non sono legati a un amore umano, sessuale, e matrimoniale, i sacerdoti possono condividere maggiormente e con piena responsabilità il loro amore con la gente e compiere la missione evangelizzatrice cui sono invitati con impegno costante.
La Chiesa, fino dai tempi antichi, ha insistito nella necessità del celibato per i sacerdoti e soprattutto ne ha sottolineato il suo valore positivo: una condizione che facilità la persona chiamata al sacerdozio alla disponibilità a operare per il Regno di Dio. Con questo tipo di richiesta, la Chiesa, in parte reagiva anche a certi eretici che insegnavano che tutti avevano l’obbligo di sposarsi e che non farlo era una cosa negativa, perché disubbidiva ad un comando divino: quello, appunto, che invita il genere umano a diffondersi nel pianeta che Dio gli ha messo a disposizione.
Il celibato, inoltre, anticipa la vita celeste; una realtà futura dove l’amore raggiungerà la pienezza e dove saranno una realtà le parole di Gesù: “Quando risusciteranno dai morti non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli” (Mc 12,25).

Ciao

Bruno
______________________________


---Verba volant scripta manent---
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--- www.vasodipandora.org ---
10/04/2006 22:42
 
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allora...
ciò che sostengo è questo.

sicuramente nel periodo post-apostolico abbiamo assistito ad una centralizzazione del potere religioso nelle mani dei vescovi e poi una graduale e sistemetica organizzazione delle diverse comunità cristiane.
organizzazione che trova la sua realizzazione nel concilio di nicea e nella nascita poi della chiesa universale(cattolica).

eppure agli inizi le comunità cristiane non rispondevano tutte ad un unico centro di potere.

vigeva il sistema della fratellanza tra le chiese e non quello monarchico tant'è che paolo nell'intraprendere il suo pellegrinaggio dopo la conversione non sentì il bisogno di organizzare la sua attività di concerto con nessuna sede di umana autorità.

egli stabilì la sua base ad antiochia,vicino gerusalemme dove pure erano gli apostoli eppure scrive:"Non conferii subito con carne e sangue.Nè salì a gerusalemme da quelli che erano apostoli prima di me,ma me ne andai in arabia,e tornai di nuovo a damasco."

si recò a gerusalemme dopo ben tre anni.

e poi dopo altri quattordici anni.

bruno

[Modificato da giainuso 10/04/2006 22.45]

10/04/2006 23:11
 
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Re: Re:

Scritto da: brunodb2 10/04/2006 22.40
Paolo lo vedeva come un dono di Dio che alcuni ricevono.
Egli vedeva anche il matrimonio come un dono di Dio e una vocazione cui la maggioranza dei cristiani è chiamata.
Paolo riecheggiava la dottrina di Gesù, che sosteneva che non sposarsi – e rimanere celibi o vergini - , quando ciò avviene a causa del Regno dei Cieli, ha una dignità speciale (cf Mt 19,12; 1Cor 7,34-35). Al contrario, non sposarsi per puro egoismo, semplicemente perché il celibato pare che consenta all’individuo di godersi di più la vita, pertanto senza instaurare e gestire legami di sorta, dimostra invece una grande povertà di spirito.
Nel caso dei sacerdoti, il celibato permette loro una maggiore libertà d’azione nell’ambito del loro ministero; pertanto offre una maggiore opportunità di consacrarsi, più pienamente e con maggiore senso di continuità, alla propagazione del Regno di Dio. È dunque meno difficile lasciare tutto per andare a servire generosamente dove ce ne sia più bisogno. Poiché non sono legati a un amore umano, sessuale, e matrimoniale, i sacerdoti possono condividere maggiormente e con piena responsabilità il loro amore con la gente e compiere la missione evangelizzatrice cui sono invitati con impegno costante.
La Chiesa, fino dai tempi antichi, ha insistito nella necessità del celibato per i sacerdoti e soprattutto ne ha sottolineato il suo valore positivo: una condizione che facilità la persona chiamata al sacerdozio alla disponibilità a operare per il Regno di Dio.



ciò che io contesto è proprio questo.
ossia,la nascita di una struttura gerarchica autorevole ed autoritaria che priva il credente della possibilità/dovere di esercitare la SUA coscienza mentre si muove nel percorso della storia cercando di applicare i principi cristiani.

se ora quella scelta di dedicazione e celibato non è più scelta ma imposizione il valore di tale rinuncia(e la sua dignità speciale) viene offuscato.

oggi il cristiano (cattolico) non deve più rispondere al solo cristo delle sue azioni,ma si deve preoccupare che tali scelte siano anche condivise dall'autorià umana che si presenta come vicario di gesù,e ritiene parimenti vincolante la sua sensibilità e la sua tradizione.

il risultato è la totale deresposabilizzazione del semplice credente che si rifugia nei dettami di una organizzazione fatta di uomini...."tanto che sia da cristo o meno poco importa io ho ubbidito alla mia chiesa"...

notte

bruno

[Modificato da giainuso 11/04/2006 15.06]



[ho messo un paio di virgole...]
giainuso

[Modificato da giainuso 11/04/2006 15.35]

11/04/2006 06:10
 
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>il risultato è la totale deresposabilizzazione del semplice credente che si rifugia nei dettami di una organizzazione fatta di uomini...."tanto che sia da cristo o meno poco importa io ho ubbidito alla mia chiesa"...

R- Forse pecchi di generalizzazione.
Ci sono scelte che, se sono in dubbio, posso fare fidandomi del giudizio (preventivamente conosciuto come saggio e amoroso) della Chiesa, la quale, essa stessa, a volte decide sulla base della prudenza e della probabilità di cosa sia il meglio in situazione storica.
Ma altre, e sono la maggior parte, che anche se le fa la Chiesa e le prescrive, gravano totalmente sulla mia responsabilità personale in quanto Dio ne chiede conto a me come a tutti i membri della Chiesa singolarmente.
E il fatto che io abbia la possibilità (che non è lo stesso che la "liceità"!) di disprezzare ciò che fanno tutti è appunto il fattore che mi rende personalmente libero e responsabile di ogni singola scelta.
La maggior parte delle scelte morali non sono vere perché le dice la Chiesa ma il contrario: la Chiesa le dice perché sono vere e lei è la prima a dovervisi sottomettere e a insegnare a tutti di fare altrettanto sennò... sennò non ne risponde lei per te ma tu.
La deresponsabilizzazione esiste solo nell'ottusità dell'obbedienza militare quando si dice che "gli ordini non si discutono". Noi sappiamo che il cristiano è tenuto a "discutere" cioè a vagliare personalmente SE NE HA LA POSSIBILITA OVVIAMENTE ogni ordine ricevuto e, se lo trova in contrasto con l'etica, di disobbedirvi a costo di rimetterci.

Giorno!
Bery
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est modus in rebus
11/04/2006 15:47
 
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Re:

Scritto da: berescitte 11/04/2006 6.10
>il risultato è la totale deresposabilizzazione del semplice credente che si rifugia nei dettami di una organizzazione fatta di uomini...."tanto che sia da cristo o meno poco importa io ho ubbidito alla mia chiesa"...

R- Forse pecchi di generalizzazione.
Ci sono scelte che, se sono in dubbio, posso fare fidandomi del giudizio (preventivamente conosciuto come saggio e amoroso) della Chiesa, la quale, essa stessa, a volte decide sulla base della prudenza e della probabilità di cosa sia il meglio in situazione storica.
Ma altre, e sono la maggior parte, che anche se le fa la Chiesa e le prescrive, gravano totalmente sulla mia responsabilità personale in quanto Dio ne chiede conto a me come a tutti i membri della Chiesa singolarmente.
E il fatto che io abbia la possibilità (che non è lo stesso che la "liceità"!) di disprezzare ciò che fanno tutti è appunto il fattore che mi rende personalmente libero e responsabile di ogni singola scelta.
La maggior parte delle scelte morali non sono vere perché le dice la Chiesa ma il contrario: la Chiesa le dice perché sono vere e lei è la prima a dovervisi sottomettere e a insegnare a tutti di fare altrettanto sennò... sennò non ne risponde lei per te ma tu.
La deresponsabilizzazione esiste solo nell'ottusità dell'obbedienza militare quando si dice che "gli ordini non si discutono". Noi sappiamo che il cristiano è tenuto a "discutere" cioè a vagliare personalmente SE NE HA LA POSSIBILITA OVVIAMENTE ogni ordine ricevuto e, se lo trova in contrasto con l'etica, di disobbedirvi a costo di rimetterci.

Giorno!
Bery



pomeriggio !

dici:"Noi sappiamo che il cristiano è tenuto a "discutere" cioè a vagliare personalmente SE NE HA LA POSSIBILITA OVVIAMENTE ogni ordine ricevuto e, se lo trova in contrasto con l'etica, di disobbedirvi a costo di rimetterci."

cosa vuole dire a costo di rimetterci ?
chi deve pagare il prezzo di essere accusato di apostasia ed eresia per aver semplicemente risposto alla propria coscienza ?

e chi pagarà il risarcimento se l'infamante accusa dovesse causare gravi problemi al cristiano che ne è vittima ?

ignazio come cipriano,strenui fautori dell'autorità ecclesiastica,ci ricordano che dobbiamo la nostra ubbidienza all'autorità preposta all'interno della chiesa.
ma fino a che punto devo spingere questo concetto ?

io credo fino a quando trovo riscontro nelle scritture di ciò che mi viene "consigliato",altrimenti il ruolo del testo scacro ne uscirebbe profondamente ridimensionato.

e a mio avviso è proprio questo il limite della chiesa cattolica,nel suo autoleggittimarsi che la pone oltre la bibbia e di fatto impedisce,perchè inutile,la personale riflessione sui temi di cui lei solo vanta la chiave.

ciao

bruno [SM=x570892]

[Modificato da giainuso 11/04/2006 15.49]



[ho tolto un'h di troppo....] [SM=g27816]
giainuso

[Modificato da giainuso 12/04/2006 9.27]

11/04/2006 20:01
 
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Prescindendo sempre dalla questione che le Scritture sono nate in seno alla Chiesa e che spetta alla Chiesa il compito di dare Loro la giusta interpretazione, voglio sottolineare un paio di cose.
Nessuna delle regole che la Chiesa si impone al fine di “funzionare” meglio può essere in contrasto con la Scrittura. Il celibato sacerdotale non è in contrasto con la Scrittura, come non è in contrasto con la Scrittura la possibilità che i presbiteri possano sposarsi. Coloro che nella Chiesa hanno il compito di essere i “pastori” (in Occidente) hanno ritenuto e ritengono che si possa adempiere meglio a questo compito non dovendosi anche occupare di una propria famiglia naturale, ma facendo di tutti i fedeli la propria famiglia.
La Scrittura, in particolare i Vangeli, non sono una raccolta di minuziosi precetti a cui il fedele deve attenersi per compiacere Dio e guadagnarsi la salvezza, ma il messaggio d’amore che Dio ha inviato all’uomo. Ora, i nostri “pastori” pensano che per loro sia più opportuno essere celibi per poter diffondere questo messaggio d’amore, pensano che il celibato permetta loro di fare meglio la parte loro spettante del lavoro che tutti noi cristiani siamo chiamati a svolgere nella vigna del Signore. Quella al sacerdozio è una vocazione particolare, una chiamata che il Signore rivolge ad alcuni di noi, anche quella della famiglia è una vocazione (non a caso per noi cattolici il matrimonio è un sacramento proprio come l’ordine sacerdotale), oggi nella Chiesa si ritiene che, qui da noi in Occidente, sia meglio tener distinte queste due diverse vocazioni, al fine di poterle attuare al meglio.

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12/04/2006 06:16
 
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Caro giainuso. Quoto l'intervento di Trianello e spiego esemplificando...
L'episodio di Enrico VIII a cui è stato negato lo scioglimento del matrimonio, a costo di quello che prevedibilmente ne sarebbe seguito, risponde alla tua seguente domanda...

>cosa vuole dire ha costo di rimetterci ?

R- vuol dire a costo di rimetterci in persecuzione, perdita del lavoro, rischio di minacce varie da parte di potenti che si sentono colpiti dai tuoi gesti e parole giuste. Come Gesù che ha continuato a dire la verità sapendo che l'avrebbe portato in croce.


>chi deve pagare il prezzo di essere accusato di apostasia ed eresia per aver semplicemente risposto alla propria coscienza ?

R- il discepolo, esattamente come il Maestro che ha pagato accusato di eresia contro la Legge mosaica e di bestemmia, mentre diceva la verità


>e chi pagarà il risarcimento se l'infamante accusa dovesse causare gravi problemi al cristiano che ne è vittima ?

R- Il Padre. Beati voi quando vi perseguiteranno a causa mia. Esultate ecc... perché il vostro risarcimento sarà grande nei cieli


>ignazio come cipriano,strenui fautori dell'autorità ecclesiastica,ci ricordano che dobbiamo la nostra ubbidienza all'autorità preposta all'interno della chiesa.
ma fino a che punto devo spingere questo concetto ?

R- Come padre pio. Al punto di obbedire alle cocenti ingiunzioni di restare appartati e di non fare il bene da parte della legittima autorità (che adopera la persecuzione morale dell'isolamento, del sospetto ecc... per verificare se dietro al discorso c'è Dio o un furbastro che cerca una forma di potere). La gloria verrà, in genere e quasi per tutti, solo dopo morte.

Riassumendo
L'episodio di Enrico VIII ti fa capire che la Chiesa vede nella sua amministrazione cose di "diritto divino", cioè stabilite fermamente dal Suo Santo Fondatore, come il dovere di celebrare la Cena/Messa. E su quelle essa sa di non avere alcun potere di modifica o di tralasciarle, ma ha solo il dovere di obbedire.
E poi di cose che Gesù non ha stabilito e perciò si suppone che, quando non contrastano con il diritto divino, Egli le approvi lasciandole alla libera intelligenza pastorale della dirigenza della Chiesa: e sono dette di "diritto ecclesiastico". Così è di diritto ecclesiastico, e perciò variabile secondo il tempo e i luoghi, il modo/rito della Messa, la frequenza della celebrazione, la lingua, le preghiere aggiunte alla sua essenza (che consiste nella consacrazione e comunione di pane e vino) ecc...

E così, mentre è stata disposta a sopportare la persecuzione scatenata da Enrico VIII, semplicemente perché non aveva potere di cambiare ciò che era avvenuto per diritto divino (il matrimonio sacramento tra lui e Caterina d'Aragona), la Chiesa si è sentita libera di imporre, come forma di utilità pastorale, il celibarto ai sacerdoti di rito latino. E questo perché la ricezione del matrimonio, secondo quanto lei capisce dalle Sacre Scritture e dalla Sacra Tradizione, non era stata stabilita tassativamente da Gesù come previa e necessaria alla ricezione dell'Ordine sacro che trasmette il sacerdozio.

La Chiesa toglierà istantaneamente il celibato obbligatorio per i suoi sacerdoti di rito latino non appena ne percepirà (e potrebbe avvenire anche nei nostri tempi) una utilità pastorale maggiore che non la forma celibataria. Potrà lasciare la cosa libera e avere sacerdoti sposati e non.
Senza dire che, se li vai a intervistare, la stragrande maggioranza dei sacerdoti celibi, ti dichiareranno di aver inquadrato il proprio celibato come un DONO e non come un peso.
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