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Ricordiamoci di non dimenticare...

Ultimo Aggiornamento: 07/02/2006 19:06
23/01/2006 08:18
 
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La storia dovrebbe ricordare agli uomini i propri errori…
Oggi voglio ricordare la grande lucidità di questa ragazza che in condizioni davvero non favorevoli, scrive il suo diario e gli avvenimenti della sua famiglia in maniera nitida, forse con l’entusiasmo tipico dei ragazzi della sua età, col trasporto dirompente di chi ha qualcosa da dire, forse ancora prima che venga qualcuno ad impedirglielo, un entusiasmo non  avvelenato dai drammi della guerra…nonostante la sua vita in quel periodo, lei e la sua famiglia erano costretti a nascondersi a causa delle persecuzioni razziali. Viviamo tutto in maniera davvero lontana, oggi,  non possiamo lontanamente immaginare cos’è stato il nazismo, e cosa sono stati i campi di concentramento, tutti conoscono Anna Frank, non mi sembra necessario quindi produrre anche se breve, una biografia essenziale, che comunque potete trovare quì.  
Il motivo e il pretesto, è che anche qui in questo tread isolato e collegato ‘’ La  personalità dello scrittore’’ è giusto secondo me ricordare un opera letteraria di gran rilievo,  una scrittrice nel suo unico ineguagliato ed inestimabile lavoro di testimonianza di una vita quotidiana come tante in quel contesto. Il suo ‘’scrivere’’ distaccato dai drammi della guerra,  i suoi gesti, le sue abitudini, le liti, le piccole discussioni, l’affetto del Peter, come volesse con questa stesura…allontanare in qualche modo il terrore di essere scoperta in quell’alloggio segreto, come fosse diverso il mondo visto da lì, e comunque l’abbandonava mai la consapevolezza del male terribile della guerra
“È un gran  miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità”.
Pochi giorni dopo i tedeschi irrompono nell’alloggio segreto Anna Frank viene portata in un campo di concentramento  (Bergen Belsen) muore di tifo otto mesi più tardi.
 
Sabato, 20 giugno 1942
Per alcuni giorni non ho scritto nulla, perché prima ho voluto riflettere un poco su questa idea del diario. Per una come me, scrivere un diario fa un curioso effetto. Non soltanto perché non ho mai scritto, ma perché mi sembra che più tardi né io né altri potremo trovare interessanti gli sfoghi di una scolaretta di tredici anni. Però, a dire il vero, non è di questo che si tratta; a me piace scrivere e soprattutto aprire il mio cuore su ogni sorta di cose, a fondo e completamente.
"La carta è più paziente degli uomini", rimuginavo entro di me questa massima in una delle mie giornate un po' melanconiche mentre sedevo annoiata con la testa fra le mani, incerta se uscire o restare in casa, e finivo col rimanermene nello stesso posto a fantasticare.
Proprio così, la carta è paziente, e siccome non ho affatto intenzione di far poi leggere ad altri questo quaderno rilegato di cartone che porta il pomposo nome di "Diario", salvo il caso che mi capiti un giorno di trovare un amico o un'amica che siano veramente l'amico o l'amica, così la faccenda non riguarda che me. Eccomi al punto da cui ha preso origine quest'idea del diario: io non ho un'amica.
Per essere più chiara debbo aggiungere una spiegazione, giacché nessuno potrebbe credere che una ragazza di tredici anni sia sola al mondo. Neppur questo è vero: ho dei cari genitori e una sorella di sedici anni; conosco, tutto sommato, una trentina di ragazze di alcune delle quali potreste dire che sono mie amiche, ho un corteo di adoratori che mi guardano negli occhi e, se non possono fare altrimenti, in classe cercano di afferrare la mia immagine servendosi di uno specchietto tascabile. Ho dei parenti, care zie e cari zii, un buon ambiente familiare; no, apparentemente non mi manca nulla, salvo l'amica. Con nessuno dei miei conoscenti posso far altro che chiacchiere, né parlar d'altro che dei piccoli fatti quotidiani. Non c'è modo di diventare più intimi, ecco il punto. Forse questa mancanza di confidenza è colpa mia; comunque è una realtà, ed è un peccato non poterci far nulla.
Perciò questo diario. Allo scopo di dar maggior rilievo nella mia fantasia all'idea di un'amica lungamente attesa, non mi limiterò a scrivere i fatti del diario, come farebbe qualunque altro, ma farò del diario l'amica, e l'amica si chiamerà Kitty.
(Da "Il diario di Anna Frank")
(Nota mia) la famiglia di Anna Frank è una di quelle famiglie di ‘’affaristi ebrei’’ (anche se non americani) alle cui spalle, Rutheford, il secondo presidente della Watch Tower and trac society of Pensilvania
cercando di ingraziarsi il nazismo si parò le chiappe gettando disprezzo  addosso agli ebrei, con Hitler per altro all'epoca della ''dichiarazione dei fatti'' già autore del suo ''delirante mein kampf''.
(* Natalia Ginzburg autrice della prefazione  di un edizione del ‘’Diario di Anna Frank’’) ‘’Sono ebrei benestanti, che hanno avuto in passato una vasta rete di affari e di conoscenze, e abitudini di vita piacevole e comoda: e tuttavia né tali abitudini né il denaro li hanno provveduti di quella sicurezza, di quel senso di stabilità cieca e incrollabile che è proprio di chi appartiene al loro stesso gruppo sociale, perché gli ebrei della Mittel-Europa hanno nel sangue il senso della persecuzione, del terreno malfermo, del pericolo. Irrequieti e dolenti anche nei tempi sereni, essi si adattano senza fatica alla condizione più disagiata e pericolosa; dolendosi, ma senza stupore, ritrovando forse nelle loro più antiche memorie vetrine di negozi infrante, quartieri devastati e incendiati. Ma questo adattamento alla miseria o al pericolo è, nella famiglia di Anna e nei suoi amici Van Daan, l’unica forza: perché essi hanno poi tutta l’infantilità, tutto il puerile attaccamento alle cose futili che è proprio di chi è spinto nel pericolo senza una vera coscienza responsabile, senza una fede. E l’insofferenza di Anna per quanti la circondano proviene forse proprio da questo, senza che lei stessa se ne renda conto chiaramente: lei, sola bambina tra adulti, si sente in verità la sola adulta, la sola che in qualche modo si disponga a morire: la sola che cerchi nel pensiero della morte qualcosa che non sia puramente orrore o pena: la sola che cerchi di guardare oltre a sé, che spinga il proprio pensiero fuori della monotona vicenda di speranza e paura: la sola che cerchi nella propria storia un significato universale.’’
 
(* Rutheford nella dichiarazione dei fatti ’’) Siamo stati accusati falsamente dai nostri nemici di aver ricevuto aiuti finanziari per la nostra opera dagli Ebrei. Niente è più lontano dalla verità. Fino ad ora gli Ebrei non hanno contribuito alla nostra opera nemmeno con un centesimo. Noi siamo fedeli seguaci di Cristo Gesù e crediamo in lui quale Salvatore del mondo, mentre gli Ebrei lo rigettano totalmente e negano con vigore che egli sia il Salvatore del mondo mandato da Dio per il bene dell'uomo. Ciò di per sé, dovrebbe costituire prova sufficiente a smentire ogni accusa che noi riceviamo sostegno dagli Ebrei e quindi che le accuse contro di noi sono malignamente false e provengono certamente da Satana, il nostro grande nemico.
L’impero più grande e oppressivo della terra è quello anglo-americano. Vale a dire l’impero britannico, del quale gli Stati Uniti d’America fanno parte. Sono stati gli affaristi ebrei dell’impero britannico-americano che hanno costituito l’Alta Finanza allo scopo di sfruttare e opprimere i popoli di molte nazioni. Questo è vero in modo particolare per le città di Londra e di New York, le fortezze dell’Alta Finanza. Questo fatto è così noto in America che vi è un proverbio riguardante la città di New York che dice: ‘Gli Ebrei la posseggono, i Cattolici irlandesi la governano, e gli Americani pagano i conti’. Non abbiamo niente contro le persone che abbiamo menzionate, ma, quali Testimoni di Geova ed in obbedienza al suo comandamento contenuto nelle Scritture, siamo obbligati a spiegare con correttezza i fatti, affinché  le persone possano essere illuminate intorno a Dio e al suo proposito. 

Lucy
 
23/01/2006 11:36
 
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...si può cominciare adesso ad attaccare qualcosa che ci ha colpito, per la giornata della memoria...
un bacio



Tratto dal volume di Alessandro Galante Garrone "Amalek il dovere della Memoria" – Ed. Rizzoli 1989.

[…] Durante una proiezione del Dittatore folle, quello che più colpì non solo me, ma tutto il pubblico (lo si capiva dall'altissimo silenzio che si fece nella sala), fu la lunga sequenza, inedita, sul ghetto di Varsavia. La commozione nasceva, irresistibile, dal rifrangersi dell'immensa tragedia collettiva – duecentomila ebrei rinchiusi e soffocati nel recinto di un esiguo quartiere, la selvaggia eliminazione, la resistenza disperata – in mille e mille tragedie individuali, ciascuna col suo dramma intimo, il suo inconfondibile volto. Mi tornava a mente quel che Norberto Bobbio ha detto così bene: la difficoltà, quasi l'impossibilità di scorgere, entro l'apocalittica strage di milioni di esseri umani, sotto la figura mostruosa del genocido, gli individui uno per uno, il loro singolare destino, il loro affanno, il loro nome.
I nazisti, nella loro ottusità spirituale, ritraendo con la macchina da presa le scene del ghetto di Varsavia forse pensavano di farne un film di propaganda; e solo quando svilupparono la pellicola si accorsero dell'errore commesso; e non ne fecero più nulla. L'arido numero dei morti si trasformava in una sequenza di persone vive che, tremende, accusavano. Quei volti scarni e impietriti, quei sussulti di spavento e di orrore; e i poveri vecchi intabarrati, con i superstiti segni di un agio e una dignità perduta, trascinati nell'abiezione; e i fanciulli, soprattutto i fanciulli: quello che, atterrito, alza le braccia in segno di resa, e un soldato gli sta dietro col mitra puntato; quello che ostinato danza sul marciapiede, trascinando su e giù i poveri piedini goffamente calzati , e si sforza di cantare, e di ridere invocando un boccone che lo sfami, fra la gente che si accascia esausta intorno a lui, quelli che sono con violenza afferrati e scossi dalle SS, e devono scrollarsi di dosso quel po' di rape e di carote che si erano illusi di nascondere sotto gli stracci di cui sono avvolti. E non parlo delle scene più orrende.
Le immagini tratte dal vero, spoglie come sono d'ogni artificio e intento persuasivo, colpiscono per la loro genuina immediatezza, più di ogni calcolata parola: hanno l'efficacia nuda e terribile del documento.


Le Deportate di Ravensbrück

Quando Rosa P.G. giunse al campo tedesco di Ravensbrück, lesse sul portone tre iniziali, F.K.L. Volevano dire: campo di concentramento per donne. Un lungo muro, altissimi pali di cemento che reggevano del filo spinato ad alta tensione, file di baracche a perdita d'occhio. Nel vasto piazzale, un gruppo di donne in casacche a strisce grigio-azzurre trainavano un carro ricolmo di salme femminili; e cantavano, su comando, una strascicata canzone, che risuonava in quel vuoto come lugubre nenia.
Fu, per anni, una vita inumana. Sotto la frusta degli aguzzini, e di femmine perverse, migliaia di donne abbatterono tronchi d'albero nella foresta, costruirono strade, scavarono sabbia, scaricarono mattoni: lì come in tanti altri campi, ma lì più che altrove, in quel campo fatto tutto per loro, meticolosamente organizzato per spremerne ogni residua energia di lavoro; fino a che, esauste, malate, ridotte a larve esangui, erano avviate al forno crematorio. Di notte, un bagliore rossastro aleggiava attorno al tozzo camino; di giorno si levava una nuvola nera che poi si spandeva sul campo. Erano donne ebree, ma anche "politiche" d'ogni paese; e non mancavano quelle arrestate a casaccio, e qualcuna d'infimo livello morale, che poi si prestava ai più degradanti servigi.
Così si compì in quei campi, e specialmente a Ravensbrück, una lenta, crudele disgregazione di ogni femminilità. Bruno Piazza, purtroppo scomparso, ha lasciato scritto: "Nel Lager le donne hanno certamente sofferto più degli uomini […]. Con le teste rapate, i piedi e le gambe gonfie, deturpate in tutto il corpo da piaghe e da ascessi purulenti, la faccia piena di macchie nere e violacee, scheletri ambulanti, noi le vedevamo girare in una ridda vorticosa nel campo attiguo, sotto la sferza di una prostituta".
Secondo accurate statistiche, si calcola che le donne, le giovinette, i bambini passati al campo di Ravensbrück fossero più di centotrentamila. Novantamila e più morirono. Le donne italiane furono molte centinaia, ebree e politiche. Lì come altrove, fu una barbara ecatombe. Quintali di ceneri buttate nello Schwedtsee, tenera pelle trasformata in paralumi, montagne di lucenti capelli ridotte a pagliericci. C'è forse ancora qualche tedesco che dorme i suoi placidi sonni su uno di questi giacigli nefandi?
Claire Van Den Boom scrisse ai propri figli prima di essere decapitata: "Muoio per dare la prova che si può amare appassionatamente la vita e accettare la morte come una necessità. Sono caduta perché il cielo del Belgio sia più chiaro, perché quelli che verranno dopo di me possano vivere in libertà, come lo avrei fatto io stessa con tanto piacere. Ma nonostante tutto, non rimpiango nulla… Penso a voi, figli miei, che domani sarete liberi". Con questa stessa speranza un'altra deportata di Ravensbrück, Lidia Rolfi, poco prima di essere liberata dalle truppe sovietiche ripensava alla sua terra piemontese, e annotava nel suo diario, miracolosamente scampato alla distruzione: "Guardo le stelle: tanti punti nella volta scura, uguali a quelli che vedevo da casa mia. Laggiù, ora, i prati sono verdi, i meli sono in fiore, sui castagni spuntano le prime foglie e chissà se i lillà sono già fioriti… Chissà se papà avrà abbattuto il pero gobbo che stava seccando".
Dopo la Liberazione, una parte del campo di Ravensbrück, adibito a deposito dalle truppe di occupazione, cominciò a cadere in rovina. Ma si salvarono i bunker, la prigione, il forno crematorio, il muro di cinta; e furono trasformati in museo. Ai piedi del muro, sulla lunga fossa comune, sono stati trapiantati cespi di rose, portati da Ridice e Oradour. Si conserva ancora intatto, e fosco tra due alti muri, il "corridoio delle fucilazioni", dove le infelici erano finite con un colpo alla nuca. Su una lapide vicino all'ingresso sono incise le parole dettate da Anna Seghers per le giovani generazioni che verranno in pellegrinaggio "Sono le madri e le sorelle di tutti noi. Voi oggi non potreste studiare e giocare in libertà, e forse non sareste neppure nati, se queste donne, con i loro corpi teneri e fragili, non vi avessero protetto, voi e il vostro avvenire, come con uno scudo di acciaio".
Nei primi mesi di Lager l'ostinata speranza di queste donne alimenta favole assurde. C'è chi dice di aver visto, al di là dei reticolati, donne anziane e bambini. Chi sa, forse quello è il campo che accoglie pietoso le vecchie madri e gli infanti, da cui erano state staccate al momento dell'arrivo. Solo più tardi si saprà che tutte queste creature più deboli erano state portate al crematorio la cui fiamma sinistra nella notte, accompagnata dall'odore di carne umana bruciata, finirà per svelare, anche alle più incredule, la realtà atroce. E allora tutte sapranno dove sono diretti i camion stipati di donne ignude, urlanti, consapevoli.
C'è una sposa francese che aspetta un bimbo. "Come tutte le madri del mondo Edith non sapeva se il bimbo sarebbe nato vitale o no, ma non sapeva ancora se avrebbe potuto vivere o no, se avrebbe avuto il diritto alla vita o se appena nato l'attendesse il crematorio". Un giorno di ottobre la notizia: Edith sta bene, era nato un bel maschio di circa quattro chili, aveva aperto gli occhi, vagito, e tosto li aveva richiusi per sempre. A quella notizia, dice la scrittrice, "piansi con la testa nascosta nelle coperte, non so se più per la tua nascita o più per la tua morte, mio piccolo bimbo".
Un giorno, una squadra di queste donne adibite ai lavori più assurdi, esce dal campo e va, attraverso un bosco di betulle, a un magazzino che raccoglie la preda dei convogli. Deve trasportare una cinquantina di carrozzelle da bimbo. "Lo strano corteo si mosse: le madri che avevano lasciato dei figli lontano poggiavano le mani sul manubrio cercando istintivamente la posizione più naturale, alzando dinanzi agli ostacoli prontamente le ruote anteriori…. Le donne che avevano perduto i bambini al crematorio provavano lo struggimento fisico di avere un bambino attaccato al seno… Quelle che non erano state madri, spingendo maldestre la carrozzina, pensavano che mai lo sarebbero diventate, e ringraziavano Dio".
Se in Danimarca, in Olanda, in Cecoslovacchia, anche nell'Italia fascista, e in molti altri paesi dell'Europa occupata, ci sono stati privati cittadini e autorità politiche e militari che sfidando i nazisti hanno aiutato in mille modi gli ebrei (e il processo di Gerusalemme ha messo bene in luce tutti questi episodi di generosità), non sono neppure mancati gli sgherri che per lucro o per odio di razza o per servilismo abietto hanno dato man forte agli assassini, facendosi delatori o dando la caccia all'ebreo.





23/01/2006 14:23
 
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se i corpi straziati, bruciati, potessero elevarsi in un unico grido saprebbero chiedere il perdono perché il loro sacrificio ha reso nobili i loro animi,
ciao Siria [SM=x570865]
23/01/2006 15:19
 
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Re:

Scritto da: irias 23/01/2006 14.23
se i corpi straziati, bruciati, potessero elevarsi in un unico grido saprebbero chiedere il perdono perché il loro sacrificio ha reso nobili i loro animi,
ciao Siria [SM=x570865]



non credo di aver sentito mai nulla di piu atroce
non condivido e alla domanda di Wisental
risponderei ''no''
magari con le stesse macerazioni nel dubbio di aver fatto una cosa giusta o meno in coscienza, cosa ho lasciato e cosa perduto, ma un ebreo in questo caso ne ha tutto il diritto di dire no a un nazista colpevole di persecuzione razziale genocidio e crimini contro l'umanità che gli chiede il perdono...anche in punto di morte,
secondo me.
ciao
lucy

[Modificato da animhatua 23/01/2006 15.23]

23/01/2006 15:24
 
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QUEL DILEMMA SUL PERDONO
La Repubblica


QUEL DILEMMA SUL PERDONO
di GIORGIO BOCCA
21-09-2005

Il 12 aprile del 2003 Simon Wiesenthal, l´uomo che aveva dedicato la vita alla caccia dei criminali nazisti, diceva: «Il mio lavoro è fatto. Se ci sono ancora criminali nazisti che non ho trovato sono troppo vecchi e fragili per sostenere un processo». Il suo motto era «giustizia mai vendetta», il motto di un architetto ebreo che nel 1945 venne assunto dal War Crime Section americano per raccogliere prove, documenti, nomi di nazisti colpevoli di delitti contro l´umanità, per fornire una testimonianza al processo di Norimberga. Era necessaria la testimonianza raccolta da un ebreo tenace e instancabile come Wiesenthal per affermare davanti alla storia che quel crimine spaventoso, incredibile contro l´umanità era davvero avvenuto? La rilevanza del personaggio Wiesenthal più che alla sua opera si affida alla domanda che essa pone a tutti noi: il perdono ha un senso? Il bisogno di giustizia spiega una caccia all´uomo senza esitazioni e senza eccezioni? Una risposta netta e convincente non esiste, più delle ragioni contano le formazioni culturali, religiose, di chi è chiamato a rispondere. Ho incontrato Wiesenthal cinque o sei volte, l´ho per così dire seguito passo a passo nella caccia a Eichmann, il capostazione della morte, nella periferia di Buenos Aires, ma pur non essendo un cattolico credente e praticante c´è troppo cattolicesimo in me per aderire alla sua giustizia implacabile e univoca. Del resto il primo a porsi il problema del perdono, se sia possibile o no, se sincero o ipocrita, se utile o meno nella generale malvagità del mondo, è stato proprio Wiesenthal che nel 1970 scrisse nella prefazione del suo libro «Il girasole»: «Nel giugno del 1942 a Leopoli, in circostanze insolite una giovane SS che stava per morire mi confessò i suoi delitti. Voleva morire in pace dopo aver ottenuto il perdono da un ebreo. Ritenni di doverglielo rifiutare. Ne discussi poi a lungo con i miei compagni di deportazione e finita la guerra andai a trovare la madre del giovane nazista ma non trovai il coraggio di rivelarle la verità su suo figlio. Questa vicenda continuava a tormentarmi. Così decisi di rivolgere la domanda sul perdono ad alcune persone importanti di diverse nazionalità». Le risposte di queste persone importanti sono contrastanti e in buona sostanza dicono che una risposta netta e definitiva è impossibile. Primo Levi è incerto: «Lei non avrebbe potuto perdonarlo se non mentendo e infliggendo a lei stesso una terribile violenza morale. E´ chiaro tuttavia che un suo rifiuto non risolve tutto, e si capisce abbastanza bene che lei abbia conservato dei dubbi. In casi come questo il sì e il no non si possono separare con un taglio netto, qualcosa resta sempre dall´altra parte». Stefano Levi della Torre aggiunge: «Il pentimento è anche un affare. Al pentimento in extremis manca per lo più qualcosa, manca la possibilità e quindi la responsabilità di redimersi con gli atti. Qui invece ha chiamato un ebreo di nascosto che ha tradotto il proprio crimine storico in una crisi privata». Le persone che rispondono a Wiesenthal sono degli intellettuali che hanno fatto della sincerità una ragion d´essere, eppure non si può non vedere che ciascuno tira l´acqua al suo mulino, intellettuale o di vita. L´architetto Albert Speer, l´esempio più noto dell´ambiguità verso il nazismo, il più stretto collaboratore di Hitler scampato al processo di Norimberga, ci racconta un Wiesenthal diversissimo da quello che seguiva come un segugio Eichmann su un tram, nella periferia di Buenos Aires, che organizzava il suo sequestro e il trafugamento su un aereo, piratesco e illegale pur che il colpevole dell´Olocausto pendesse impiccato nella veste rossa dei condannati a morte in un carcere segreto di Israele. Il Wiesenthal incontrato da Speer nel centro di documentazione ebraica è molto diverso. «Non mi ha accusato e non mi ha buttato in faccia la sua collera, ha dimostrato clemenza e umanità. L´ho guardato negli occhi, gli occhi che avevano visto la sofferenza, il degrado, il fatalismo e l´agonia dei suoi compagni, e tuttavia quegli occhi non esprimevano odio, erano caldi e tolleranti e pieni di comprensione per le sventure altrui. Sono venuto da lei traumatizzato, gli dissi. E lei mi ha molto aiutato, come ha aiutato quella giovane SS morente quando non ha ritirato la sua mano e non l´ha rimproverato. Ogni essere umano deve portare il suo fardello. Nessuno può assumersi quello di un altro, ma il mio, dopo il nostro incontro, è diventato più leggero». E qui bisogna riconoscere a Speer l´arte dell´inganno per cui è sfuggito alle forche di Norimberga. E Paolo De Benedetti: «Se il secolo XX dovesse trasmettere al XXI un solo messaggio vorrei che fosse l´angosciosa domanda del Girasole». Forse il disagio che ho provato di fronte a Wiesenthal le volte che l´ho incontrato deriva da un diverso atteggiamento verso la giustizia. Non cattolico ma imbevuto di cattolicesimo, ho sentito nei giorni della resa dei conti della guerra partigiana, aprile del ´45, che quella giustizia non avrebbe lavato i peccati del mondo e che la voglia di fascismo sarebbe, nonostante tutto, ritornata. Mi sono sbagliato?
23/01/2006 16:08
 
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alla domanda"Il perdono ha un senso?"
rispondo: "Non capisco il senso della domada"
e mi chiedo: "Cosa è il perdono?"
Siria
24/01/2006 18:55
 
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Re:

Scritto da: irias 23/01/2006 16.08
alla domanda"Il perdono ha un senso?"
rispondo: "Non capisco il senso della domada"
e mi chiedo: "Cosa è il perdono?"
Siria


il perdono è una ''liberazione''
la liberazione che avviene mediante la giustiza per questi fatti non certo irrilevanti,
dopo forse come è gia successo qualcuno lo ha fatto davvero
lo ha sentito davvero...il perdono, non lo comprendo ma lo accetto aspettando di capire.
ciao
lucy

[Modificato da animhatua 24/01/2006 18.56]

24/01/2006 22:30
 
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il dramma umano dell'Olocausto può anche suscitare sentimenti diversi in due diverse persone.
Per me è un sentimento d'amore che rende immortale il ricordo di queste persone; per me il loro sacrificio li ha innalzati al di sopra dell'odio, per questo parlo di perdono.
Non chiederei mai ad un ebreo di rinunciare ad un atto di giustizia nei confronti dei responsabili di questo sterminio.
Ho espresso solo un mio pensiero
Siria [SM=x570865]
24/01/2006 23:49
 
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Re:
Scritto da: irias 23/01/2006 16.08

alla domanda"Il perdono ha un senso?"
rispondo: "Non capisco il senso della domada"
e mi chiedo: "Cosa è il perdono?"
Siria

Il perdono non è un qualcosa che si può comprendere razionalmente perchè ci viene concesso PER DONO.

Un abbraccio a tutti

Bruno

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25/01/2006 15:41
 
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Re: Re:

Scritto da: brunodb2 24/01/2006 23.49
Scritto da: irias 23/01/2006 16.08

alla domanda"Il perdono ha un senso?"
rispondo: "Non capisco il senso della domada"
e mi chiedo: "Cosa è il perdono?"
Siria

Il perdono non è un qualcosa che si può comprendere razionalmente perchè ci viene concesso PER DONO.

Un abbraccio a tutti

Bruno



appunto, e concordo
non ci si puo forzare in questo senso, sopratutto se si parla di certe cose...terribili.
concordo quindi.
un abbraccio a te

25/01/2006 20:30
 
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OLOCAUSTO di Michael Zeller


Olocausto: "sacrificio supremo nell'ambito di una dedizione totale a motivi sacri o superiori"; "Sacrificio alla divinità, in cui la vittima veniva interamente arsa". Così il Devoto-Oli, e definizioni analoghe si leggono su tutti i principali dizionari. Alcuni di essi, però, hanno recentemente aggiunto un altro significato: "Olocausto" come strage degli ebrei operata dal regime nazista. Che cos'hanno a che vedere l'accezione tradizionale e quest'ultima che va di moda in questi anni? Si può ravvisare nello sterminio nazista un intento religioso? O una superiore finalità, che conferirebbe un'utilità al "sacrificio"? A me non sembra, perciò mi chiedo il perché della fortuna di questa parola in questa impropria accezione. La spiegazione più semplice è che venne scelta come titolo di una serie televisiva che ricostruiva con attori le vicende degli ebrei deportati nei campi di sterminio. E si sa che, come diceva Jannacci "La televisiùn la gà la forsa de un leùn". Eppure sospetto che debbano esserci anche ragioni più profonde. Lo sterminio nazista costituisce per molti aspetti la più grande barbarie registrata dalla nostra storia. La crudeltà con la quale le vittime vennero destinate, trasportate, selezionate, torturate, costrette spesso a farsi del male a vicenda o a collaborare con il detentore per sopravvivere qualche giorno, nell'impossibilità di qualsiasi tentativo di fuga o di ribellione, suscitano un orrore che la maggior parte di noi stenta a reggere. Forse si può intuire perché, negli anni che seguirono la guerra, i sopravvissuti non avevano voglia di parlare di tutto ciò, o gli altri non avevano voglia di ascoltarli. E molti si sono decisi a parlare della propria esperienza solo ora, magari (come una deportata milanese) perché da parte di qualcuno si sente dire addirittura che tutto ciò non è vero. Ma a chiunque viene voglia di dire "non è possibile, non può essere accaduto, non voglio crederci". Allora, una parola che sembra attribuire agli orrori del nazismo un significato religioso, sacrificale, è un modo di allontanare un pochino la realtà storica, di respingerla verso un piano lievemente metafisico, come per diminuire l'angoscia che suscita. In questi decenni abbiamo assistito con stupore al fenomeno del cosiddetto "revisionismo storico", cioè dell'affermazione che lo sterminio nazista non ci fu, che le morti nei campi di concentramento furono dovute a malattie, o che comunque i numeri dello sterminio sono stati artatamente esagerati di molto. La reazione più logica a queste affermazioni sarebbe di opporre la realtà delle inoppugnabili prove materiali, delle testimonianze, dei numeri. Sicuramente è stato fatto. Ma per lo più si è reagito con lo scandalo. Mentre il negare che la terra sia rotonda apparirebbe ridicolo, il negare la realtà dello sterminio nazista sembra non un'offesa alla storia, ma un'offesa al popolo ebraico. In Germania è stato addirittura vietato affermare che lo sterminio nazista non sarebbe avvenuto: una sconcertante eccezione alla democratica libertà di parola. Ma supponiamo per un minuto che al posto di "olocausto" si dica "la grande sfiga". Avrebbero senso affermazioni dl tipo: "la grande sfiga è un patrimonio del popolo ebraico, che nessuno ha diritto di negare"? Eppure ho letto questo genere di affermazioni. Le persecuzioni naziste sono state per gli ebrei (e per le altre vittime, naturalmente) una colossale sfortuna, perché vengono sentite anche come "patrimonio"? Le risposte non sono facili, ma la più interessante si comprende solo alla luce del problema dell'identità ebraica. E' noto che con l'assimilazione, la perdita di importanza della religione, l'esistenza di uno stato ebraico, molti ebrei si chiedono cosa significhi, in pratica, per loro essere ebrei. Anzi, personalmente tendo a definire "ebreo" chiunque si chieda che cosa significhi per lui essere ebreo. La coscienza, o quasi il culto delle sofferenze patite dalle generazioni che ci precedono giunge a costituire una ragione, quasi un pretesto, per rafforzare un'identità in crisi, un'identità non più tenuta viva dalle credenze religiose, né da tradizioni che da molti vengono sentite e seguite sempre meno. Forse qualcuno ne ha parlato, ma io ho letto su questo argomento solo un articolo di Fiamma Nirenstein di diversi anni fa. Come ha detto Elie Wiesel, se non siamo in grado di capire fino in fondo le ragioni degli orrori del nazismo, è importante conservarne il ricordo e la coscienza. Secondo me la parola "Olocausto" rischia solo di offuscarle.

http://www.gndesign.it/shoahnet/riflessioni_02.htm
25/01/2006 21:35
 
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Lo sterminio nazista costituisce per molti aspetti la più grande barbarie registrata dalla nostra storia.

.... nel giorno della memoria lo ricorderanno anche coloro che non sanno neppure cosa è il Devoto-Oli, ricorderanno le vittime di quello che loro conoscono sotto il nome di Olocausto.
Siria
25/01/2006 21:49
 
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Primo Levi: ''Se questo è un uomo''




presentazione dell’opera

Romanzo autobiografico pubblicato per la prima volta nel 1947.



Intervista

L’annullamento della personalità, il degrado dell’essere umano alla condizione di animale, la privazione della dignità: che cos’è tutto questo se non una morte anticipata, una morte ancora più grave, non fisica, bensì spirituale?.

Tutto nei campi di sterminio era finalizzato al raggiungimento di questo obiettivo, dalla scritta sul cancello d’entrata fino all’orchestra che scandiva le ore di lavoro. Anche i kapò, come ricorda Levi, erano vittime e allo stesso tempo carnefici di questa progressiva distruzione della personalità. L’essere umano è da considerarsi tale in quanto insieme di domande, di memorie, di emozioni, di sentimenti, di pensieri, tutti fattori che all’interno del Lager venivano ridotti al minimo e dai meno forti addirittura abbandonati, per lasciare posto agli istinti animali, dettati dalla sopravvivenza. Questa è la cosa più terribile che veniva attuata, perché, anche nella schiavitù, un uomo ha la capacità di rimanere tale, di rimanere se stesso, pur subendo angherie, sopraffazioni. Nei Lager no, il target primario era l’annullamento totale, del corpo e dell’anima: a queste persone non era neanche consentito morire da esseri umani, ma da animali.



Il testo seguente è tratto da un’intervista effettuata a Primo Levi nel 1982 per la trasmissione televisiva ”Sorgente di vita”.



Si può ottenere secondo lei l’annullamento dell’umanità dell’uomo?



Purtroppo si, purtroppo si. E direi che è proprio la caratteristica del lager nazista - degli altri non so , perché non li conosco, forse in quelli russi avviene altrettanto - è di annullare la personalità dell’uomo, all’interno e all’esterno, e non soltanto del prigioniero, ma anche del custode del Lager perde la sua umanità; sono due itinerari divergenti, ma che portano allo stesso risultato: Direi che è toccata a pochi la fortuna di conservarsi consapevoli durante la prigionia; alcuni hanno riacquistato la consapevolezza di cosa era stata questa esperienza dopo, ma durante l’avevano persa. Molti hanno dimenticato tutto, non hanno registrato le loro esperienze mentalmente, non le hanno incise nel nastro della memoria, per così dire. Quindi avveniva si, sostanzialmente in tutti una profonda modificazione delle personalità, con una attenuazione della sensibilità, soprattutto, per cui della casa, le memorie della famiglia, passavano in secondo piano di fronte al bisogno urgente , alla fame, al bisogno di difendersi dal freddo, al difendersi dalle percosse, al resistere alla fatica. Tutto questo portava a delle condizioni che si potevano chiamare animalesche, come quelle degli animali da lavoro. […]



( “La Stampa”, Torino, domenica 26 gennaio 2003, p. 19)



Introduzione
Il campo di sterminio è stato organizzato fin dall’inizio per distruggere l’umanità dei deportati, oltre che sterminarli. E dalla testimonianza di Levi si può capire che i nazisti sono riusciti anche in questo, sebbene lentamente, togliendo al deportato tutto quanto possedeva, spingendolo a lottare per obiettivi a prima vista futili, ma indispensabili alla sopravvivenza.



Le persone erano vuote e come degli spettri si aggiravano nel campo seguendo la routine imposta dai nazisti. Dopo pochi giorni all’interno del campo i deportati rinunciavano già a ribellarsi o soltanto guardare male una SS. Avevano compreso che l’unica cosa importante era mangiare quel poco che veniva distribuito. Di conseguenza cercavano di ingannare gli altri e di derubarli, non essendoci più posto né per la gratitudine né per il rispetto.



Ma è interessante notare come appena il campo venne abbandonato, i valori umani vengono recuperati velocemente. I nazisti, quindi, erano riusciti ad “animalizzare” l’uomo, ma allo stesso è bastato poco per ritornare indietro e recuperare le capacità di pensare, riflettere, essere generoso e provare gratitudine, che sono tipiche dell’uomo.





passi scelti



1. Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case

Questa poesia costituisce la Prefazione di“Se questo è un uomo”.

Essa riassume in sé il contenuto del libro stesso e la sua funzione di testimonianza e di ammonimento per le generazioni future.



Se questo è un uomo



“Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:



Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno.



Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.



O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.”





(Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976, p.1)





2. La solitudine e la forza dell’uomo

L’uomo, ogni singolo uomo, è solo. Nessuno lo può aiutare. I legami di sangue sono svaniti, le amicizie non sussistono. Dio, in un momento tale, non esiste. O è molto lontano.

Questa frase riassume l’intero orrore dei campi di sterminio, di tutti i campi di sterminio della storia dell’umanità, non solo quelli nazisti.

Questa frase è il momento della scelta: trovare se stessi, saggiare la base del proprio essere, oppure annegare nell’oblio. Nessuno di noi può sapere quale potrebbe essere la sua scelta, in tali condizioni: per chi non è parte in causa, è molto facile schierarsi.

Non si tratta di coraggio, di orgoglio, di rabbia; nulla di tutto ciò. Si tratta di trovarsi faccia a faccia con il proprio io, nudi, sospesi nel nulla; si tratta di urlare la propria umanità, più forte, o meno, dipende da sé, di tutta la disumanità di una massa numerosa, urlante, forte della violenza. Si tratta di annichilire in un solo momento tutti coloro i quali credono di poter distruggere altro che il corpo dei propri avversari. Si tratta di rendere impotente chi crede di essere il più forte, senza sfiorarlo con un dito.

Se chi sta di fronte avesse ancora un barlume di lucidità, capirebbe; del resto, se avesse ancora un barlume di lucidità, non porterebbe la parte in causa fino ad un tale bivio.



Forse è egoismo: affermare il proprio io su tutto ciò che sta intorno, affermare la propria inviolabilità sino al punto di annullare l’esistenza di chi si pone come oppressore.


Non mi toglierai il nome: troverò in me la forza di conservarlo, e sarai tu stesso, con il tuo odio, con il tuo disprezzo, a donarmi tale forza; tu stesso ti distruggerai per l’inutile desiderio di annullare il mio corpo. È questo ciò che un osservatore esterno riesce a pensare.



Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.



(Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976, p.



3. La facoltà di negare il consenso

In questo brano è rappresentata la lotta quotidiana dei deportati per rimanere umani. Una lotta combattuta contro l’intera concezione di Lager, studiata a tavolino per annientare l’animo degli uomini prigionieri.

Sono descritte le fatiche e le rinunce che il campo di sterminio imponeva: la possibilità di lavarsi con la consapevolezza di sporcarsi completamente in breve tempo; molti si attaccavano anche a queste piccole cose pur di rimanere uomini, di mantenere una dignità che li differenziasse dai musulmani, gli uomini, se così si potevano chiamare, ormai stanchi di vivere e lottare che non aspettavano altro che la morte.



Steinlauf mi vede e mi saluta, e senza ambagi mi domanda severamente perché non mi lavo. Perché dovrei lavarmi? starei forse meglio di quanto sto? [...] Più ci penso, e più mi pare che lavarsi la faccia nelle nostre condizioni sia una faccenda insulsa, addirittura frivola: un’abitudine meccanica, o peggio, una lugubre ripetizione di un rito estinto. Morremo tutti o stiamo per morire: se mi avanzano dieci minuti fra la sveglia e il lavoro, voglio dedicarli ad altro, chiudermi in me stesso, a tirare le somme, o magari a guardare il cielo e a pensare che lo vedo forse per l’ultima volta; [...] appunto perché il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell’acqua sporca, e asciugarci nella giacca. Dobbiamo dare il nero alle scarpe, non perché così prescrive il regolamento, ma per dignità e proprietà. Dobbiamo camminare dritti, senza strascicare gli zoccoli, non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire.



(Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976, p. 35 – 36)







4. Letti

I brani che seguono dimostrano il diverso modo in cui erano organizzati i "letti" dei prigionieri nei Lager e nei Gulag durante la Seconda Guerra mondiale, come attestano le opere di Levi e di Solzenicyn. Inoltre permettono di intravedere quelle piccole differenze che nei Lager riducono l’uomo a mero strumento di lavoro, nei gulag consentono la sopravvivenza delle caratteristiche umane.



Non so chi sia il mio vicino; non sono neppure sicuro che sia sempre la stessa persona, perché non l'ho mai visto in viso se non per qualche attimo nel tumulto della sveglia, in modo che molto meglio del suo viso conosco il suo dorso e i suoi piedi. Non lavora nel mio Kommando e viene in cuccetta solo nel momento del silenzio; si avvoltola nella coperta, mi spinge da parte con un colpo delle anche ossute, mi volge il dorso e comincia subito a russare. Schiena contro schiena, io mi adopero per conquistarmi una superficie ragionevole di pagliericcio; esercito con le reni una pressione progressiva contro le sue reni, poi mi rigiro e provo a spingere con le ginocchia, gli prendo le caviglie e cerco di sistemarle un po’ più in là in modo da non avere i suoi piedi accanto al viso: ma tutto è inutile, è molto più pesante di me e sembra pietrificato dal sonno."



(Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976, p.52)



Solo che la buona giornata l'aveva reso tanto di buon umore che gli sembrava di non avere più sonno. Andare a letto era una cosa semplice: bastava sollevare la coperta nerastra, sdraiarsi sul materasso (su un lenzuolo Suchov non dormiva dal '41, da quando, cioè, era partito da casa, e gli sembrava persino una cosa strana che le massaie si preoccupassero di lavare le lenzuola, un lavoro perfettamente inutile), sistemare la testa sul cuscino imbottito di trucioli, coprire i piedi con il giaccone imbottito, stendere sopra la coperta, la casacca, e , grazie a Dio, un'altra giornata era trascorsa.



(Aleksandr Solzenicyn, Una giornata di Ivan Denisovic, Einaudi, Torino, 1963, p.163)





5. Considerate la vostra semenza



All’episodio prendono parte Levi e Jean, il pikolo della baracca, mentre si stanno dirigendo velocemente per mettersi in fila per avere la loro razione di zuppa. Egli esprime il desiderio di imparare l’italiano e a Levi viene in mente il canto di Ulisse della Divina Commedia. Quasi senza pensarci si trova a recitarlo, mentre Jean attentissimo cerca di ripetere. Levi si aggrappa a quei ricordi, è quasi come se non avesse inteso il vero senso del canto fino a quel momento.

Il passo può quasi essere definito un elogio alla letteratura consolatoria e, inoltre, se viene fatto il confronto tra il canto e la situazione in cui viene recitato, si trovano delle analogie e delle contrapposizioni estremamente significative: dall’elogio della virtù dell’uomo, in contrasto con la situazione, alla fine tragica della nave di Ulisse che sembra coinvolgere la barca di ogni uomo.



…Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest’ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto.

…Chi è Dante. Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso. Virgilio è la Ragione, Beatrice la Teologia.

Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato:



Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando,

Pur come quella cui vento affatica.

Indi, la cima in qua e in là menando

Come fosse la lingua che parlasse

Mise fuori la voce, e disse: Quando…



Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare che prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere “antica”.
E dopo “Quando”? Il nulla, Un buco della memoria. “Prima che sì Enea la nominasse”. Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile: “…la pietà Del vecchio padre, né’l debito amore Che doveva Penelope far lieta…” sarà poi esatto?



…Ma misi me per l’alto mare



Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché “misi me” non è “je me mis”, è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là della barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane.
Siamo arrivati a Kraftwerk, dove lavora il Kommando dei posacavi. Ci dev’essere l’ingegner Levi. Eccolo, si vede solo la testa fuori dalla trincea. Mi fa un cenno con la mano, è un uomo in gamba, non l’ho mai visto giù di morale, non parla mai di mangiare.

“mare aperto”. “Mare aperto”. So che rima con “diserto”: “…quella compagna Picciola, dalla qual non fui diserto”, ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la pena di fermarcisi:



…Acciò che l’uom più oltre non si metta.



“Si metta”: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, “ e misi me”. Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia un’osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda.

Ecco, attento Pikolo, apri gli occhi e la mente, ho bisogno che tu capisca:



Considerate la vostra semenza:

Fatte non foste a viver come bruti,

Ma per seguir virtute e conoscenza.



Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono.

Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo bene. O forse è qualcosa di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.



Li miei compagni fec’io sì acuti…



…e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol dire questo “acuti”. Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. “…Lo lume era di sotto della luna” o qualcosa di simile; ma prima?… Nessuna idea, “keine Ahnung” come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.

- ça ne fait rien, vas-y tout de meme.



…Quando mi apparve una montagna, bruna

Per la distanza, e parvemi alta tanto

Che mai veduta non ne avevo alcuna.



Sì, sì, “alta tanto”, non “molto alta”, proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano…le montagne…oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino!

Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda.

Darei la zuppa di oggi per sapere saldare “non ne avevo alcuna” col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. Mi danno per il capo altri versi: “…la terra lagrimosa diede vento…” no, è un’altra cosa. E’ tradi, è tradi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:



Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque,

alla quarta levar la poppa in suso

E la prora ire in giù, come altrui piacque…



Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo “come altrui piacque”, prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui…

Siamo oramai nella fil per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. –Kraut und Ruben?- Kraut und Ruben-. Si annuncia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: -Choux et navets.- Kaposzta es repark.



Infin che’l mar fu sopra noi rinchiuso


(Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976, pp. 100 - 103)





6. La difficile libertà

Questo passo è molto importante perché racchiude in sé la condizione morale in cui si ritrovavano i deportati, ormai ridotti allo stremo delle forze, anche a causa del rigidissimo inverno.

Primo Levi sostiene che l’unica libertà ad Aushwitz era rappresentata dal suicidio, ma per convincersene avrebbe dovuto avere le forze ed il tempo necessario per attuarlo.

E’ la testimonianza di un uomo che sembra aver perso definitivamente la propria dignità umana e la speranza.



“24 gennaio. Libertà. La breccia nel filo spinato ce ne dava l’immagine concreta. A porvi mente con attenzione voleva dire non più tedeschi, non più selezioni, non lavoro, non botte, non appelli, e forse, più tardi, il ritorno. Ma ci voleva sforzo per convincersene e nessuno aveva tempo di goderne.”



(Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976, p. 152)







7. Lo sguardo d’altri

La seguente frase di Levi colpisce particolarmente perché esprime il bisogno assoluto che l’uomo ha dei suoi simili, tanto che una parte dell’esistenza di ognuno appartiene a coloro che gli sono vicini. Anche in un contesto disumano come fu quello di Auschwitz questo istinto naturale non è mai venuto meno, persino nelle situazioni più dolorose e raccapriccianti.

E siccome lì, nel campo di Auschwitz, quello che prima si chiamava “uomo” era diventato una “cosa”, non si può che considerare l’esperienza di ogni deportato non-umana; essa rispecchiava infatti il non essere uomo, l’aver superato ogni limite della sopportazione, l’annientamento della dignità umana, una condizione in cui la vita e la morte parevano la stessa cosa.



Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non-umana l’esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l’uomo è stato una cosa agli occhi dell’uomo.



(Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976, p. 152)
























25/01/2006 22:13
 
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Nel sito della Rai sono archiviati diversi libri letti la mattina alla radio sulla terza rete. Vi è anche il libro di Primo Levi per chi volesse ascoltarlo invece di leggerlo.

L'opera di Primo Levi, per me, è ancor più sconvolgente di tanti films o doicumentari fatti sull'argomento. Conoscere quell'esperienza può essere un modo per fare quello che Lucy ha dato come titolo a questo topic.

www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/alta_voce/archivio_2004/eventi/2004_01_01_se_questo_e_...

Matisse
La verita' non danneggia mai una giusta causa. M. K. GANDHI
26/01/2006 07:12
 
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Re:

Scritto da: Muscoril 25/01/2006 22.13
Nel sito della Rai sono archiviati diversi libri letti la mattina alla radio sulla terza rete. Vi è anche il libro di Primo Levi per chi volesse ascoltarlo invece di leggerlo.

L'opera di Primo Levi, per me, è ancor più sconvolgente di tanti films o doicumentari fatti sull'argomento. Conoscere quell'esperienza può essere un modo per fare quello che Lucy ha dato come titolo a questo topic.

www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/alta_voce/archivio_2004/eventi/2004_01_01_se_questo_e_...

Matisse



Grazie, un documento graditissimo.
ciao
lucy
26/01/2006 09:18
 
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Il Diario di Anna Frank,
fù il libro che lessi quando frequentavo la 4°elementare che "segnò"per sempre la mia vita interiore infondendole
la spinta,forza e volontà di combattere le ingiustizie
e i sopprusi contro la dignità umana.
Quello che è successo durante il Nazismo ricapita tutte le volte che si calpestano i diritti umani.
La memoria è l"unico "vaccino" da somministrare alle generazioni future.
Quello che viene svolto in questo forum dove gli ex tg si raccontano a se stessi e a gli altri ha il valore terapeutico di far sì che le nuove generazioni e non,siano messe in guardia
sull"assurdità di far parte di una setta ove il senso critico
viene raso al suolo.

a presto.

Anna. [SM=x570888]

[Modificato da ganlioclo 26/01/2006 9.22]

26/01/2006 17:50
 
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Re: Il Diario di Anna Frank,

Scritto da: ganlioclo 26/01/2006 9.18
fù il libro che lessi quando frequentavo la 4°elementare che "segnò"per sempre la mia vita interiore infondendole
la spinta,forza e volontà di combattere le ingiustizie
e i sopprusi contro la dignità umana.
Quello che è successo durante il Nazismo ricapita tutte le volte che si calpestano i diritti umani.
La memoria è l"unico "vaccino" da somministrare alle generazioni future.
Quello che viene svolto in questo forum dove gli ex tg si raccontano a se stessi e a gli altri ha il valore terapeutico di far sì che le nuove generazioni e non,siano messe in guardia
sull"assurdità di far parte di una setta ove il senso critico
viene raso al suolo.

a presto.

Anna. [SM=x570888]

[Modificato da ganlioclo 26/01/2006 9.22]



io lo lessi che ero adolescente alle medie
non capivo come poteva succedere che una intera famiglia, una intera genia... fosse costretta a nascondersi...
26/01/2006 20:09
 
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pensiero di oggi.
I nazisti di oggi;
son quelli che negano i fatti avvenuti,
quelli che vogliono addolcirli, revisionarli,
I nazisti di oggi si confondono tra di noi
si nascondono tra i nostri figli, fra i nostri fratelli,
son quelli che vanno in giro a pestare i barboni,
son quelli che vanno in giro di sera a insultare i travestiti,
son quelli che odiano gli omosessuali,
e tutte le diversità .
27/01/2006 05:27
 
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>Non chiederei mai ad un ebreo di rinunciare ad un atto di giustizia nei confronti dei responsabili di questo sterminio

Neanche Dio lo chiede.
Quando uno si confessa, pentito, è perdonato
ma gli resta il sacrosanto dovere della penitenza
o qui o nell'altra vita.

Lo stesso è stato per la redenzione dell'umanità
non bastava che Dio perdonasse solo su richiesta
c'era un prezzo da pagare
e c'è Chi lo ha pagato.
----------------------
est modus in rebus
27/01/2006 07:17
 
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Significato e istituzione del “Giorno della Memoria”
Parlamento Italiano Legge 20 luglio 2000, n. 211 ("Gazzetta Ufficiale" n. 177 del 31 luglio 2000)
Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti
Art. 1

1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Art. 2

1. In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.






Significato del “Giorno della Memoria”

''La storia del genere umano ha conosciuto innumerevoli eccidi e stermini. Quello attuato in Europa nel Novecento contro gli ebrei differisce dagli altri per le sue caratteristiche di radicalità e scientificità. Mai era accaduto, ad esempio, che persone abitanti nell’isola di Rodi o in Norvegia venissero arrestate per essere deportate in un luogo (Auschwitz) appositamente destinato ad assassinarle con modalità tecnologicamente evolute. Per questo si parla di “unicità” della Shoah; definizione che pertanto costituisce il risultato di una comparazione storica, e non un pregiudiziale rifiuto di essa.

Shoah è un vocabolo ebraico che significa catastrofe, distruzione. Esso è sempre più utilizzato per definire ciò che accadde agli ebrei d’Europa dalla metà degli anni Trenta al 1945 e in particolar modo nel quadriennio finale, caratterizzato dall’attuazione del progetto di sistematica uccisione dell’intera popolazione ebraica.

Tale progetto venne deciso e concretizzato dal Terzo Reich nel corso della seconda guerra mondiale; venne attuato con la collaborazione parziale o totale dei governi o dei movimenti politici di altri Stati; venne interrotto dalla vittoria militare dell’Alleanza degli Stati antifascisti e dei movimenti di Resistenza. Se invece i vincitori fossero stati la Germania nazista, l’Italia fascista, la Francia di Vichy, la Croazia degli ustascia ecc., non un solo ebreo sarebbe rimasto in vita nei territori controllati da questi.

Ricordarsi di quelle vittime serve a mantenere memoria delle loro esistenze e del perché esse vennero troncate. E la memoria di questo passato serve ad aiutarci a costruire il futuro.

Molti Stati hanno istituito un “giorno della memoria”. L’Italia
lo ha fissato al 27 gennaio: la data in cui nel 1945 fu liberato il campo di sterminio di Auschwitz. In effetti altri ebrei, d’Italia e d’Europa, vennero uccisi nelle settimane seguenti. Ma la data della Liberazione di quel campo è stata giudicata più adatta di altre a simboleggiare la Shoah e la sua fine.

Ovviamente la Shoah fu un evento storico interrelato con gli altri avvenimenti storici; per questo la legge italiana indica altri gruppi di persone la cui memoria va mantenuta viva: coloro che, a rischio della propria vita, combatterono il fascismo e il nazismo e coloro che comunque contrastarono lo sterminio e salvarono delle vite.''

Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC

[Modificato da animhatua 27/01/2006 7.21]

27/01/2006 07:24
 
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Re:

Scritto da: berescitte 27/01/2006 5.27
>Non chiederei mai ad un ebreo di rinunciare ad un atto di giustizia nei confronti dei responsabili di questo sterminio

Neanche Dio lo chiede.
Quando uno si confessa, pentito, è perdonato
ma gli resta il sacrosanto dovere della penitenza
o qui o nell'altra vita.

Lo stesso è stato per la redenzione dell'umanità
non bastava che Dio perdonasse solo su richiesta
c'era un prezzo da pagare
e c'è Chi lo ha pagato.



Una volta e per sempre...
invece ci sono ancora parti di questo mondo...
a cui non basta mai...

Un abbraccio stretto.

27/01/2006 19:25
 
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» Auschwitz «» Francesco Guccini »


Son morto con altri cento, son morto ch' ero bambino,
passato per il camino e adesso sono nel vento e adesso sono nel vento....

Ad Auschwitz c'era la neve, il fumo saliva lento
nel freddo giorno d' inverno e adesso sono nel vento, adesso sono nel vento...

Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio:
è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento...

Io chiedo come può un uomo uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento, in polvere qui nel vento...

Ancora tuona il cannone, ancora non è contento
di sangue la belva umana e ancora ci porta il vento e ancora ci porta il vento...

Io chiedo quando sarà che l' uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare e il vento si poserà e il vento si poserà...

Io chiedo quando sarà che l' uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare e il vento si poserà e il vento si poserà e il vento si poserà...
27/01/2006 19:31
 
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Zaccaria 2:6
Ohi, ohi! «Fuggite dal paese del nord», dice l'Eterno, «perché vi ho disperso come i quattro venti del cielo», dice l'Eterno.
Ohi, Sion, mettiti in salvo, tu che abiti con la figlia di Babilonia!
Poiché così dice l'Eterno degli eserciti: «La sua gloria mi ha mandato alle nazioni che vi hanno depredato, perché chi tocca voi tocca la pupilla del suo occhio.....
27/01/2006 22:11
 
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Re:

Scritto da: alex.kirk 27/01/2006 19.31
[SM=x570866]




Zaccaria 2:6
Ohi, ohi! «Fuggite dal paese del nord», dice l'Eterno, «perché vi ho disperso come i quattro venti del cielo», dice l'Eterno.
Ohi, Sion, mettiti in salvo, tu che abiti con la figlia di Babilonia!
Poiché così dice l'Eterno degli eserciti: «La sua gloria mi ha mandato alle nazioni che vi hanno depredato, perché chi tocca voi tocca la pupilla del suo occhio.....



un abbraccio fraterno.
lucy
30/01/2006 23:18
 
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memoria .... corta
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Roma, 30 gennaio 2006
Stadio Olimpico - Roma vs Livorno
(«Lazio-Livorno, stesse iniziali, stesso forno»),
31/01/2006 02:27
 
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Re: memoria .... corta

Scritto da: alex.kirk 30/01/2006 23.18
[SM=g27816]



Roma, 30 gennaio 2006
Stadio Olimpico - Roma vs Livorno
(«Lazio-Livorno, stesse iniziali, stesso forno»),


ehmm...non m'intendo molto di calcio,
che significa?

ciao
lucy
31/01/2006 08:36
 
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Re: Re: memoria .... corta
Scritto da: animhatua 31/01/2006 2.27

ehmm...non m'intendo molto di calcio,
che significa?

ciao
lucy
*******************************
Ciao,
Più che di calcio si tratta di striscioni, nella foto è molto piccolo. E' antisemita in maniera disgustosa, parla di forni. Lo hanno fatto vedere in qualche telegionale.Il testo dovrebbe essere quello fra parentesinel messaggio di "AlexKirk"
Penso che il problema non sia solo quello di avere memoria di quella tragedia, ma anche del tipo di persone (è un eufemismo), che mettono quelli striscioni.

Buona giornata
Matisse

[Modificato da Muscoril 31/01/2006 8.38]

La verita' non danneggia mai una giusta causa. M. K. GANDHI
31/01/2006 08:38
 
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Re: Re: memoria .... corta

Scritto da: animhatua 31/01/2006 2.27

ehmm...non m'intendo molto di calcio,
che significa?

ciao
lucy



Il testo di uno striscione uscito in occasione della partita Roma Livorno di domenica, accompagnato da svastiche etc..... e tutto questo centra poco con il calcio... :(
31/01/2006 09:20
 
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ciao Muscoril,
il problema è proprio l'esistenza di simili persone che permette che certe tragedie si verifichino
ciao Siria [SM=x570865]
31/01/2006 17:44
 
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Dopo i fatti di domenica nella partita con il LivornoStriscioni:Roma, 1 turno squalifica(ANSA) -
MILANO, 31 GEN - Una giornata di squalifica dell'Olimpico con disputa della gara in campo neutro a porte chiuse. Questa la sanzione del giudice sportivo alla Roma per gli striscioni nazisti di domenica scorsa.© Ansa

ciao Siria
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