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"Perchè guardi la pagliuzza nell'occhio di tuo fratello quando non scorgi la trave che è nel tuo?"

Ultimo Aggiornamento: 28/11/2005 17:19
13/11/2005 17:43
 
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Revoluti0n(s)
Per Polymetis.

Sul relativismo filosofico e culturale:
"Non ti sei mai chiesto se anche i tuoi ragionamenti sulla relatività della conoscenza siano dettati da un’epoca di pensiero debole anziché da una logica ferrea? A volte mi chiedo perché i relativisti ritengano assoluta un'unica cosa: il relativismo. Costoro si tappano le orecchie e non vogliono sentire più nessuno perché l’unico assoluto atemporale è il loro pensiero. Ma se affermano che nessuna dottrina è assoluta in quanto deriva sempre dal sentire di un’epoca perché mai non applicano a se stessi questo ragionamento dicendo che sono pro pensiero debole solo perché è l’aria che tira tra l’intellighenzia filosofica? … Nessun relativista infatti è mai riuscito a spiegarmi perché la sua filosofia non si dovesse autodistruggere".

Noto che l’invettiva contro l’intellighenzia filosofica odierna è sempre a portata di mano, come l’antizanzare nel mese di Luglio.
Scherzi a parte, intanto mi pare di non aver parlato di “relativismo assoluto”, ma di relativismo moderato. Ma non complichiamo il discorso.
Ti chiedo: sei tu in grado di trovare un metodo di indagine che meglio sappia render conto della complessità (anche drammatica) delle cose, senza riduzionismi di sorta né semplificazioni? Se si, accomodati pure: un mio insegnante di latino diceva sempre “al mondo c’è posto per tutti”.
Quanto all’argomento di base (il relativismo come assoluto che confuta se stesso) ti chiedo: A=A è un assunto empirico? Si può provare con l’esperienza? O esso stesso è prova? Non sarebbe qualunque prova meno evidente dell’assunto da provare? Si tratta di una verità auto-evidente? Possiede in se stesso una qualità (in questo caso la verità?).
Con un esempio: possiamo dimostrare che il “metro campione di Parigi” (l’unità di misura conservata al museo della scienza) è un metro? Lo possiamo dimostrare? Come lo dimostriamo?
Posso dimostrare logicamente che io sono proprio io? Che questi pensieri sono i miei? Secondo me no, non posso dimostrarlo logicamente. Una dimostrazione ha senso quando c’è qualcosa da provare. Se cercassi di dimostrare che questi pensieri sono i miei faresti meglio ad accompagnarmi da uno psichiatra.
Questo per dire che alcuni assunti non si discutono e non si provano. Secondo me non è sufficiente rigirare le proposizioni come se fossero frittate, spacciandole per proposizioni empiriche.
Questa visione o si accetta o si respinge, non si dimostra con la logica e non ha questa pretesa.
Resta comunque il fatto che, se tu riuscissi a far passare indenne l’ontologia classica attraverso il dubbio cartesiano, la rivoluzione copernicana di Kant, la relatività linguistica di Wittgenstein e la differenza ontologica di Heidegger, ti farei i miei più sinceri complimenti.
A questo punto mi chiedo però: la constatazione dei limiti del mio pensiero mi impedisce di giudicare, di usare l’intelletto, di riflettere responsabilmente, di trovare delle ragioni per quello che dico, di ricercare il senso intimo delle cose?
Per quanto mi riguarda, concordo con l’ultima affermazione del Tractatus di Wittgenstein:
“Su ciò di cui non possiamo parlare, dobbiamo tacere”.
Tuttavia, concordo anche con l’ammonimento di un noto porporato che proseguiva dicendo:
“Però , possiamo anche ascoltare”.
Non nego che in sede filosofica si possa pensare l’Assoluto, o possano porsi delle domande sulle Verità ultime (e prime). Il punto è, secondo me, che l’ontologia classica non funziona per la filosofia allo stesso modo di come non funziona il sistema tolemaico per la scienza.
Per me la rivoluzione copernicana è un dato acquisito sul piano filosofico, così come la rivoluzione francese lo è su quello politico (temo - e tremo - per un intervento di Trutina su questa mia ultima affermazione).

Sul relativismo etico:

Apprezzo molto le tue parole sull’aborto e le condivido profondamente sul piano morale. Ripeto: le condivido profondamente sul piano morale. Questo, a scanso di equivoci.
Vedo che hai citato il mio pensiero a questo proposito:

“Le soluzioni univoche e definitive (specie quando imposte per legge) non mi sono mai piaciute perché troppo facilmente schiacciano l’autonomia e la responsabilità personale dei singoli”

Vedo anche che non hai citato tutto il pensiero (…), che così prosegue:

“…covando un danno maggiore di quello che pretendono di risolvere”.

Qui sta il punto. Qui si trovano le ragioni del mio argomento.
Non voglio neanche pensare al dato di fatto dell’aborto clandestino. Mi fa ancora più orrore per i danni aggiuntivi che conseguono al divieto imposto per legge.
Quanto alle questioni etiche controverse, dal punto di vista politico ti chiedo: ci sono dei metri di giudizio validi per tutti i cittadini su queste questioni? Ci sono dei principi che tutti riconoscono come veri e indubitabili? Tutti quanti consideriamo sacri gli stessi principi religiosi?
Tutti riconosciamo allo stesso modo che un organismo monocellulare è una persona? Tutti mettiamo al primo posto la vita del feto rispetto all’autodeterminazione della madre? Siamo tutti d’accordo che Terry Schiavo era viva?
Guardiamoci intorno: l’intera comunità scientifica e accademica fa risuonare all’unisono il suo pensiero concorde su temi simili a questi?
Quali criteri dobbiamo adottare per regolare la vita pubblica, a cui partecipano persone di ogni credo e fede, oltre che molti non credenti? Lo stato legislatore chi è tenuto ad ascoltare? Si dovrebbe basare su un’autorità religiosa per formulare le leggi? Quale delle autorità religiose?
Dovendo garantire il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge mi chiedo:
Se un mussulmano cittadino italiano rivendica la poligamia come norma lecita consentita da Dio, lo stato gliela dovrebbe concedere? Se un testimone di Geova non vuol far trasfondere sangue a suo figlio, oppure discrimina un fratello perché ha cambiato fede, lo stato glielo dovrebbe permettere? Si dovrebbe fare altrettanto per l’orrenda pratica della circoncisione femminile che ancora molte donne africane perpetrano sulle loro figlie? Se il papa ci dice che non dobbiamo usare il profilattico, dobbiamo impedirne la commercializzazione? E nei paesi poveri, dove ogni anno milioni di persone muoiono di aids, come si dovrebbero comportare le organizzazioni umanitarie? Se due persone vogliono avere un figlio con l’inseminazione artificiale, glielo dobbiamo impedire? Se una lesbica è in ospedale, è lecito impedire alla sua compagna di essere informata sulla situazione clinica della sua convivente? Nel caso di un malato privo di corteccia cerebrale (per cui la scienza decreta la morte cerebrale), è opportuno che lo stato provveda alle spese sanitarie anche per venti o trenta anni, o è giusto destinare ad altri malati queste risorse? E’ giusto concedere per legge il divorzio? Se un vescovo non denuncia e anzi nasconde un prete pedofilo (perché per pietà cristiana vuole evitare lo scandalo) è perseguibile penalmente?

Come vedi, di questioni sul tavolo ce ne sono tante. Alcune sono più chiare, altre meno.
Mi chiedo dunque: su cosa si deve ancorare la legge per garantire tutti i cittadini nei loro diritti? Si può ancorare a dei principi religiosi, o metafisici? O piuttosto a delle convenzioni fra gli uomini che stabiliscano dei diritti inviolabili e inalienabili per tutti?
Lascio la domanda in sospeso.

Infine i nostri amici cannibali:

"Ti ho chiesto come TU condanneresti il cannibalismo in una società di cannibali visto che il loro contratto sociale non prevede che sia errato uccidere per nutrirsi".

Lo condanno perché, appunto, ho la pretesa di essere una persona più o meno civile.

Cari saluti
Alex [SM=x570892]




[Modificato da Ricercasulterzo 13/11/2005 18.10]

[Modificato da Ricercasulterzo 13/11/2005 18.34]

[Modificato da Ricercasulterzo 14/11/2005 10.57]


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