Nobile Trutina,
porti degli argomenti validi e profondissimi nel tuo oceano di riserve, e questo ti fa onore. Mi armo di gommone e comincio a remare facendo la parte dell’inglese difensore del
common sense.
Le tue argomentazioni pesano come pietre: mi è toccata una bella gatta da pelare, lo ammetto sinceramente.
Non hai contestato, mi pare, il mio argomento sul relativismo culturale e su quel “baratro” che separa il comune sentire moderno dal non-moderno.
Al contrario, la tua risposta all’argomento di Polymetis mi sembra confermare quello che io volevo dire e cioè che le idee “vivono” su di un sostrato di credenze e di valori che le precede e ne cosituisce il presupposto pre-logico. Ogni idea è compresa e funziona all’interno di un certo sistema di credenze, una certa “immagine del mondo”, composta da assunti primari di vario genere, verità indubitabili che sono fuori discussione, che non sono in un contesto ma “fanno” un contesto.
In modo approssimativo possiamo chiamare questo sistema, questa mappa di riferimento, “cultura”. Anche l’etica abita da queste parti: è un insieme di norme e di convinzioni su cui noi facciamo affidamento per regolare la nostra condotta.
Questo intendevo dire e in questo senso mi riconosco nel relativismo (seppur moderato).
D’altronde questo metodo è l’unico in grado di affrontare la complessità del rapporto fra sistemi di credenze diversi.
Quanto al valore della vita hai ragione, mi sono espresso male. La mia espressione sul suo valore “assoluto” è imprecisa e grossolana. Era una maniera per far risaltare l’importanza maggiore che riveste nella società contemporanea il valore della vita delle persone rispetto, come già detto, alle verità metafisiche o all’onore.
Quanto ai casi che citavi (aborto, embrioni, malati privi di corteccia cerebrale) sai bene anche tu che si tratta di “casi di frontiera” estremamente controversi, per cui non ci sono parametri etici universalmente accettati (e neanche imponibili, secondo me).
La mia indole liberale si preoccupa molto, quando affronta questi temi, di come diverse posizioni (diverse visioni della vita) possano coesistere nella società in modo che a tutti possa essere dato un margine di libertà e di scelta su questioni etiche estremamente difficili e controverse.
Le soluzioni univoche e definitive (specie quando imposte per legge) non mi sono mai piaciute perché troppo facilmente schiacciano l’autonomia e la responsabilità personale dei singoli, covando un danno maggiore di quello che pretendono di risolvere.
Questo per quanto riguarda l’aspetto “sociale” della questione, per cui accetto il contrattualismo. Ritengo dunque che vi sia una base di valori ragionevolmente condivisibile da tutti gli uomini, che essi accettano implicitamente come norme per poter vivere insieme pacificamente.
Dico ragionevolmente: fatemi fare la parte del filosofo del senso comune.
Dal punto di vista del singolo, il mio argomento non impedisce ad alcuno di adottare e difendere un’etica assoluta (in fondo un’etica lo è per sua natura, non si fanno sconti in questo campo) fermi restando i principi normativi del patto sociale.
Lo so, sono un po’ protestante nell’anima, ma che ci posso fare?
Per Polymetis
In una società di cannibali
non si pone il problema di condannare il cannibalismo. Il problema se lo pone una società che si dice più o meno civile.