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8 X mille..la resa dei Valdesi

Ultimo Aggiornamento: 18/11/2005 13:05
27/10/2005 09:24
 
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Per quello che conosci; quando sono iniziate le soppressioni “postunitarie dello stato LAICO”?
Nel volume di Cucinotta, verrà certamente detto perché avvenivano questi “espropri proletari”.

Di questo libro ho adesso solo qualche fotocopia per una mia ricerca personale.
Ecco qualche stralcio:
(pag. 75)
1. I colpiti dalle leggi di soppressione. Con le due leggi, 7 luglio 1866 e 15 agosto 1867, calpestati i principi del diritto naturale, dello Statuto e del codice civile, fu operata una riforma della Chiesa riducibile a tre assetti principali:
1) I religiosi sono cacciati dai conventi e i loro beni, immobili e mobili, incamerati dallo Stato. Trattasi di conventi maschili, monasteri femminili, case religiose regolari e secolari, conservatori e ritiri, "che comportano vita comune e con carattere ecclesiastico". In una parola cancellati tutti gli Ordini e le Congregazioni religiose.
2) Sono altresì soppressi collegiate, comunie, cappellanie senza cura d'anime, abbazie e priorati, tutti i benefici senza cura d'anime, legati pii, benefici e cappellanie di patronato regio e laicale, cioè tutte le istituzioni ecclesiastiche con carattere di perpetuità sotto qualsiasi denominazione. I loro beni vanno al demanio.
3) Enti conservati, ma con obbligo di conversione dei beni immobili in rendita pubblica (vescovati, seminari, capitoli delle cattedrali con canonici ridotti a 12 e beneficiali a 6).
Enti conservati senza alcuna restrizione: i benefici parrocchiali.
Tutti i beni immobili, rustici e urbani, degli enti soppressi passano in dominio dello Stato, che li pone in vendita assegnando al Fondo per il Culto la rendita del 5% del valore accertato in precedenza per la tassa di manomorta, trattenendo il 5% per spese di amministrazione, eccetto i fabbricati da destinarsi al culto, quelli dei vescovadi e dei seminari e, provvisoriamente, quelli dei monasteri femminili, concessi per abitazione delle monache fino a quando non si fossero ridotte al numero di 6. Comuni e Province potevano chiedere i fabbricati monastici per utilità pubblica. Le rendite mobiliari (titoli di Stato, canoni e censi) date al Fondo Culto, ma amministrate dal demanio, che tratteneva il 5% per spese di amministrazione. Il ricavato della vendita dei beni degli enti conservati soggetti a conversione era trasformato in rendita pubblica al 5% intestata ai legittimi possessori, con trattenuta del 5% per spese di amministrazione.
Mai in Sicilia, se si eccettua l'occupazione araba del sec. IX, era avvenuta una soppressione così violenta. Uniche riforme la chiusura di piccoli conventi poveri nel 1650 (Innocenzo X), che ne abolì un centinaio con esiguo numero di frati. Seguì nel 1767 l'espulsione dei Gesuiti dall'isola e, dal 1769 al 1799, la chiusura di 85 conventini. L'ultima riforma, ordinata nel 1847 da Pio IX, non venne attuata a causa delle contingenze politiche.
La soppressione del 1866 era stata preparata nei minimi particolari già da alcuni anni. Infatti, il 27 gennaio 1862, i sindaci di Sicilia, a richiesta del Governo, fornirono l'elenco dei monasteri femminili, col numero delle professe, novizie e converse, i loro beni e il valore capitale, lo stato dei fabbricati, delle chiese e dei pesi di culto; inoltre, la consistenza dei fondi rustici di tutte le corporazioni religiose (oltre tutto già risultanti dalle commissioni comunali per l'enfiteusi).
Cresciuto il disavanzo statale, imminente la guerra del 1866, fallite ormai le trattative per risolvere la questione romana, la soppressione diventa problema prioritario con contraddizioni evidenti: il diritto di proprietà riconosciuto a tutti, anche agli Israeliti e alla chiesa Valdese, è negato alla Chiesa cattolica. E in Sicilia, considerata dopo i fatti garibaldini, borbonica e clericale, la soppressione fu dura e violenta, all'insegna di "sciupare" i beni della Chiesa.



(pag. 81)
3. Religiosi dopo la soppressione. Non disperati né dagli esiti inconsulti o temerari accettano con rassegnazione la situazione persecutoria e, dopo i primi periodi di smarrimento, comprensibile, ognuno si ingegna a trovare un modo per sopravvivere.
Quale attività, insomma, potevano svolgere i sacerdoti se non continuare in ambito diocesano e parrocchiale le loro mansioni o trovare un posto di insegnamento o qualcosa di assimilabile?
Primo problema da risolvere l'abitazione: la maggior parte era ritornata in famiglia presso genitori o zii, fratelli o sorelle, nipoti o parenti; Vito Bondì, domenicano di Termini, raggiunse i parenti negli Stati Uniti d'America; altri domenicani si rifugiarono a Malta, dove il convento di Notabile era ormai strapieno.
Chi non aveva più genitori o familiari si ridusse a vivere solo in qualche camera d'affitto, aiutando i parroci in attività pastorali, celebrando in monasteri di monache, con nomina del vescovo. Un domenicano era il cappellano del monastero di S. Lucia di Adernò, un altro a Caltanissetta nel monastero di S. Croce, un altro nel Collegio di Maria; a Mirto uno celebrava nel monastero delle Benedettine; a Piazza uno nel monastero di S. Anna e un altro ancora in quello di S. Agata.
Certo in condizioni miserevoli si trovavano i vecchi, peggio se malati, e qualcuno anche paralitico.
A Catania tre padri domenicani vivevano insieme in casa d'affitto, a Noto altri tre in casa comprata coi loro risparmi; due a Palazzolo in casa d'affitto, similmente altri tre a Mirto.
Più fortunati quelli nominati dallo Stato come rettori delle loro chiese, avendo l'alloggio in qualche stanza del convento insieme con un fratello laico in funzione di sagrestano; colà facevano capo altri frati locali anche per celebrare messa. Nel 1873, nella chiesa di S. Domenico di Palermo si ritrovavano come punto di riferimento 10 sacerdoti e 11 conversi domenicani.
Molti fratelli laici risultano utilizzati come sagrestani in chiese parrocchiali (Ucria, Randazzo, Milazzo, Messina, Caccamo, Marsala, Cefalù, Montalbano, Naro, Taormina). Queste condizioni invogliano i frati, con l'aiuto dei fedeli, a comprare i loro conventi (Randazzo 1874 per i Domenicani, e altri di cui si parlerà sotto).
Molti sindaci, ad onor del vero, fecero di tutto per dare loro un posto di lavoro: ad Alcamo un frate laico venne assunto come messo comunale; a Modica, Noto e Trapani tre sacerdoti insegnavano nel Ginnasio; a Carini, Savoca, Vizzini due insegnavano nelle scuole elementari comunali; a Mussomeli un altro era vicebibliotecario della biblioteca comunale ed un fratello laico infermiere nell'ospedale; a Marsala un sacerdote era cappellano del carcere; a Catania altri due fungevano da rettore e vicerettore dell'ospizio di beneficenza, un altro era cappellano del Reclusorio del SS. Salvatore.
A Licodia, nella chiesa domenicana del SS. Salvatore, la confraternita omonima chiamò un padre domenicano ad officiarla. Miglior sorte toccò ai Domenicani di Taormina, che potevano alloggiare nel convento rivendicato dal principe di Cerami. A Scicli, però, va notato che il demanio mise in vendita convento e chiesa, e anche le tre campane.
(fine citazione)

Chiaro no? E questo solo in Sicilia...


“….illazione in perfetto stile comunista…” Questa non mi è nuova , deve essere la frase che Silvio Berlusconi grida ogni volta che legge sui giornali l’aumento dell’inflazione

Diciamo che se aumenta l'inflazione ci sono dati ISTAT che lo confermano o smentiscono; non penso invece che l'ISTAT possa confermare quella "illazione in..." su Craxi. [SM=g27822]
Con simpatia.

Saluti, Mario
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