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Geovismo e psicologia: autocritica, autoesame, auto ed eteroaiuto fraterno

Ultimo Aggiornamento: 22/09/2009 23:59
07/02/2005 19:37
 
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COME SOPRAVVIVERE QUANDO SI LASCIA IL GEOVISMO (9)
Forse il passo più importante, per le persone che lasciano l'Organizzazione, è quello di unirsi a un gruppo di sostegno di ex Testimoni. E’ evidente che principalmente gli ex Testimoni possono capire bene e aiutare a gestire i problemi che sorgono quando si lascia l’Organizzazione. Il sostegno è molto importante in questo momento, e proprio per la loro esperienza, gli ex Testimoni sono nella posizione migliore per aiutare. Molti di questi gruppi esprimono grande preoccupazione per le persone e spesso sono molto disponibili a trascorrere del tempo con gli ex Testimoni, discutendo preoccupazioni comuni, e a far visita a questo o a quello per vedere se stanno bene. Ciò è molto importante perché pensieri negativi non sono infrequenti in questo periodo. Pertanto, gli ex Testimoni non dovrebbero spaventarsi se tali pensieri appaiono. Essi dovrebbero essere aiutati a capire come ciò che lui o lei sta passando è stata l'esperienza di molti devoti ex Testimoni quando si sono visti venir meno quel centro che serviva da sostegno alla loro vita, cioè l’ideologia del gruppo. La maggior parte di loro sopravvive e molti sono persone migliori proprio per questo. E' anche di molto aiuto a quegli ex Testimoni che si stanno rimettendo dal trauma, dedicare parte del loro tempo ad aiutare altri Testimoni. Aiutare gli altri è di grande aiuto anche a se stessi nel processo di guarigione dalla geovistite.
E con questa conclusiva riflessione siamo arrivati alla significativa funzione che forum come questo possono svolgere nell’accompagnare gli ex Testimoni nel proprio cammino di ristabilimento dopo l’abbandono dell’Organizzazione. A conclusione di questa non breve (e spero non tediosa) disamina, mi piace richiamare quanto scritto altrove:
Probabilmente quelli, come me, che hanno fatto l'esperienza di adesione al geovismo, hanno abbandonato l'Organizzazione perché si erano - più o meno consapevolmente - resi conto che essa era semplicemente un gruppo e non una vera e propria comunità: esclusivismo settario, eccessiva strutturazione e quant'altro sono la negazione di una comunità. Nel geovismo, dove l'esigenza di "restare uniti" è decisamente pressante, l'abbandono comporta il rifiuto della missione trascendente attribuita ai vertici del gruppo e un fardello di esami di coscienza e di sensi di colpa: gli affiliati giungono a decidere per l'abbandono in un certo lasso di tempo, mentre continuano a vivere all'interno del gruppo. Chi abbandona è indotto a rendersi conto che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, una vita equilibrata difficilmente è caratterizzata dall'assenza di crisi; l'equilibrio psicologico di un individuo dipende invece dalla rapidità con la quale egli è capace di reagire alle crisi.
Chi di noi, e qui mi rivolgo in particolare agli ex Testimoni, non si è reso conto, a un certo punto della propria esperienza di adesione, che i "fratelli" si sforzavano di mantenere il gruppo estraneo a ogni forma di conflitto, facendone una pseudocomunità tutta sorrisi e gentilezze: non si trattava della finzione malvagia di chi mente sapendo di mentire, piuttosto era un processo inconscio attraverso il quale persone che desiderano essere amabili cercano di esserlo ricorrendo a piccole bugie innocenti, tacendo parte della verità su se stesse e sui propri sentimenti in modo da evitare i conflitti; le regole di tale finzione si possono così sintetizzare: se qualcuno fa o dice cose che ti offendono o ti infastidiscono, reagisci come se niente fosse e fai finta che l'accaduto non ti abbia per nulla toccato; se si manifesta qualche segno di disaccordo, cambia argomento il più rapidamente possibile; non fare e non dire nulla che possa offendere qualcuno. È evidente che, attivando questa ostentazione di buone maniere, un gruppo può funzionare perfettamente, ma a discapito del singolo, della sincerità e dell'intimità: i membri fingono di pensarla tutti allo stesso modo. In tale contesto i "fratelli" imparano a parlare per generalizzazioni: ciascuno tiene per sé i propri sentimenti e si arriva perfino ad annuire in segno di assenso, come se l'interlocutore avesse proferito una verità universale. Parlare in termini generali non consente di stabilire un contatto sincero. Comunque, oltre ad imparare a valutare gli aspetti più negativi dell'adesione, dovremmo riconoscere gli aspetti positivi (pochi?) della nostra esperienza, e trarne profitto. Far questo richiede un confronto costruttivo per trovare un'alternativa alle indicazioni, alle motivazioni e alle risposte a problemi fondamentali che il movimento aveva offerto. Alcuni trovano un'alternativa in una delle religioni tradizionali, altri semplicemente vengono a patti con il fatto di dover vivere senza risposte chiare e precise a questi problemi. Chi di voi, abbandonando l'Organizzazione, non ha realizzato una rivalutazione del dubbio considerandolo una virtù, addirittura una responsabilità? Un'autentica crescita spirituale non può evitare la fase del dubbio. Da adepti si era legalistici, dogmatici: si temeva chiunque la pensasse diversamente; da ex affiliati comprendiamo la necessità di mettersi in discussione, di chiedersi se l'ideologia del gruppo sia così certa e completa da giustificare la conclusione che tutti gli altri "increduli" non saranno salvati. Da adepti non tolleravamo il dubbio perché dubitare equivaleva ad ammettere di non sapere e, forse, perfino ammettere che non si riuscirà mai a sapere pienamente; da ex adepti abbiamo cominciato ad accettare il dubbio, a capire che non tutto è "bianco o nero", che la realtà ha più dimensioni e spesso significati contraddittori.
Grazie per l’attenzione e un cordiale augurio di “buona vita” a tutti!
geovologo
FINE[SM=g27817]
Cordialmente
geovologo

Non è vero che chi non parla non ha nulla da dire: il silenzio è ricco di significati che spesso perdiamo perché prigionieri di una specie di ebbrezza della parola.
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