Sabato, 23 Giugno 2007
Un miracolo? «Suvvia, non scherziamo...». ...
Un miracolo? «Suvvia, non scherziamo...». Un'operazione eccezionale? «Forse, ma a dire il vero il giorno successivo ho eseguito un intervento ben più complesso». Sarà, ma quella che Carlo Valfrè, direttore dell'unità operativa di Cardiochirurgia dell'ospedale Ca' Foncello e la sua équipe hanno effettuato ha tutt'altro che i crismi della routine. Pure per un reparto all'avanguardia come quello trevigiano. Primo, perchè si tratta pur sempre di un'operazione a cuore aperto. E secondo perchè, a causa della convinzioni religiose del paziente, non è stata usata nemmeno uno sacca di sangue in trasfusione.
N.E. è un signore di 62 anni di Roncade, soffre di obesità cronica e di una grave ipertensione. Gli diagnosticano una dissezione acuta dell'aorta: una lacerazione dell'arteria che esce dal cuore portando, attraverso il reticolo di arterie minori e capillari, il sangue ricco di ossigeno agli organi di tutto il corpo. I due più interni dei tre strati concentrici che formano l'arteria presentano uno "squarcio" che va dal cuore fino alle arterie femorali. Oltre al vaso centrale, si è creata un'ulteriore "intercapedine" in cui scorre il sangue (quello che in gergo viene definito un "falso lume"). In casi simili, l'80\% dei pazienti va al Creatore entro dodici ore, un altro 15\% resiste per 48 ore, e solo 5 su cento hanno la fortuna di sopravvivere al massimo per un paio di mesi.
Bisogna intervenire tempestivamente. Ma c'è un problema: il paziente in questione è un Testimone di Geova e il suo culto gli proibisce di ricevere qualsiasi apporto di sangue esterno. I medici spiegano all'uomo la criticità della sua situazione e i rischi a cui va incontro. Ma di fronte alla sua irremovibilità, ottenuto il placet del comitato medico legale, procedono con un metodo innovativo.
Per prima cosa lo sottopongono (naturalmente sempre con il suo consenso, vista la pericolosità dell'attesa) ad una "cura" a base di eritropoietina (un farmaco che consente di alzare l'emoglobina). Poi lo portano in sala operatoria: con Valfrè, c'è una ventina di medici, tecnici e infermieri, compreso Carlo Sorbara, primario di anestesia e rianimazione. «Proprio il perfetto coordinamento di tutta la squadra è stato il fattore determinante - spiega il dottor Valfrè -: un solo errore sarebbe stato fatale».
Il sessantenne ha una lesione all'arco aortico, un tratto ricurvo molto vicino al muscolo cardiaco: è da lì che si dipartono le arterie che irrorano cervello e arti superiori. Il dilemma: per riparare, occorre aprire; per aprire, occorre sospendere l'afflusso di sangue al cervello. Cosa possibile solo a condizione di indurre un'"ipotermia profonda", ovvero abbassare la temperatura corporea fino a 18 gradi. In questo stato di semi-ibernazione il sangue diventa viscoso e deve essere diluito, ma ciò, a sua volta, rende difficile la coagulazione. Un "effetto collaterale" che nei pazienti "comuni" si neutralizza con trasfusioni. In questo caso, invece, "impossibili".
I chirurghi, allora, limitano l'ipotermia a 30 gradi e poi attaccano l'uomo a un apparecchio che pompa il suo stesso sangue, alternativamente al cervello e al resto del corpo, utilizzando anche una speciale doppia canula inventata sul momento. Riparano la valvola aortica, sostituiscono l'intero arco aortico con uno artificiale e sistemano la lesioni.
Dopo nove ore e mezzo N.E. può lasciare la sala e, dopo una ventina di giorni, torna a casa. «Abbiamo dovuto modificare alcune tecniche che si usano già in altri interventi - commenta Valfrè - per adattarle alle esigenze del paziente. Tutte le strategie adottate erano volte a effettuare l'intervento nel miglior modo possibile, ma, contemporaneamente, evitando di trasfondere e garantendo la coagulazione alla fine dell'intervento. Fatto che è avvenuto». Poco più dell'uno per cento delle 700 persone operate nel reparto in un anno sono Testimoni di Geova (rappresentati ieri dal portavoce Giorgio Ballarin). I medici trevigiani stanno pensando di progettare un apparecchio per facilitare tali operazioni, ma chi non ha limitazioni religiose in materia continuerà ad essere trattato secondo procedure standard: «Il dispendio di uomini e tempi sarebbe troppo alto».
Mattia Zanardo
Fonte:
gazzettino.quinordest.it/VisualizzaArticolo.php3?Luogo=Treviso&Codice=3421318&Pagina...
E io osservo: considerando quali sono le "motivazioni religiose" (gli attuali 'intendimenti' del CD) che inducono i TdG a rifiutare questo trattamente sanitario, si può senz'altro dire che si tratta di un elevato "dispendio di uomini e tempi" privo di una valida motivazione.
Achille