00 06/03/2009 21:49
Re:
Polymetis, 06/03/2009 19.47:

Sui casi in cui la gravidanza porta certamente alla morte della madre, non credo di poter sostenere una posizione definita basandomi su argomenti solo razionali e laici. A meno che qualcuno non mi mostri il contrario, ovviamente.



Io ritengo che sia di etica razionale (o laica) la posizione asserente che la vita dell'innocente è intangibile.
Che non sunt facienda mala ut eveniant bona, pur essendo di fede rivelata, è prima ancora un principio di etica razionale, in quanto asserisce che la persona umana non è strumentalizzabile; il farlo la declasserebbe al livello del bruto o delle cose di cui si può disporre. La posizione contraria è quella machiavellica del fine che giustifica i mezzi; una posizione che genera un istintivo ribrezzo perché dichiara apertamente che si può fare qualsiasi ingiustizia in vista di una utilità ritenuta importante. E lo stalinismo sta là a dimostrare come questo principio, assunto a ragion di stato, induce a usurpazioni inimmaginabili.

Anche l'etica laica comunque (ne sono convinto) ha la sua codificazione ultima oltre la coscienza, in Dio. Non sarà ovviamente un'etica basata sulla fede in una rivelazione, ma sulla religiosità ricavata da ragione; non sul Dio Trino ma sul Dio creatore, legislatore, ordinatore e remuneratore del bene e del male.

E' tempo, io credo, di riaffermare, e fondare con la dimostrazione dell'esistenza di Dio ottenuta per sola ratio, una teodicea (o teologia razionale) che evidenzi come la posizione ateo-agnostico-laica è insufficiente a fondare qualsiasi etica (non è stato scritto "se Dio non c'è tutto è permesso". Dostojewsky?) ed è, al fondo una castrazione delle possibilità razionali, cioè una illogicità o una rinuncia ad aprirsi alla verità.
E' in coerenza con questa posizione che io dico di non credere in Dio ma di credere in Cristo. Dio so che c'è. La conoscenza di Lui deve precedere la fede nella persona di Gesù e nelle verità da lui rivelate. Per il semplice motivo che se così non fosse quella rivelazione non sarebbe rivelazione di Dio ma di... non si sa cosa. Giovanni Paolo II, ancora prima di scrivere la Fides et Ratio, disse che "il cristiano accanto a un 'io credo' coltiva un 'io so'".
Gli ebrei del tempo di Gesù non ne avevano bisogno perché Dio i loro padri lo avevano visto all'opera e avevano trasmesso con molta forza alle generazioni future la sua esistenza come una delle convinzioni normali, e anzi quella che veniva richiamata ogni giorno grazie alla struttura sacerdotale dello Stato. Gesù ha presupposto tale convinzione. Noi abbiamo bisogno di rifondarla, ma non sulla fede; sarebbe una petitio principii.

Quanto alla problematica la più grave che il problema dell'aborto pone, che è quella dell'aborto cosiddetto terapeutico ma che in realtà viene visto come una uccisione per legittima difesa, il retto giudizio (sottolineato anche dalla Chiesa che avvalora la ratio con la luce della fede) sta nel distinguere una morte causata da disfunzioni della natura dalla morte inflitta per opera dell'uomo. La prima non contiene, come la seconda, la valenza di "peccato". Perciò la seconda "pesa di più" sulla bilancia della giustizia divina, anche se la prima invece di una sola vittima ne dovesse creare due. Ribadisco: la cosa sta in piedi anche per la sola teodicea.

Ma siccome il dilemma è tale da sbalestrare anche il raziocinio dei credenti, sarebbe da ricordare loro che, ovviamente, per Dio la morte non è il male più grande. E' un male fisico a cui c'è rimedio. Esso viene superato alla grande con il paradiso e con la risurrezione. Mentre il peccato è, ai suoi occhi non certo ai nstri poveri occhi miopi, così immenso da aver indotto la Trinità a inventarsi una incarnazione e passione del Figlio di Dio per sanarlo.


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est modus in rebus