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Si possono citare un buon numero di argomenti che depongono a favore della data antica e quindi dell’autenticità di Daniele.
A. Se Daniele fosse stato redatto effettivamente al tempo di Antioco Epifane, sarebbe logico aspettarsi di cogliervi accenni espliciti o impliciti alle epiche lotte dei Maccabei, come si può riscontrare nella IV sezione del libro di Enoc che risale realmente al II secolo. In Daniele invece non c’è il minimo accenno agli avvenimenti tragici che vissero i Giudei nel II secolo a.C.
B. La concezione universalista, che permea tutto il libro di Daniele, contrasta fortemente con lo spirito nazionalistico radicale del tardo giudaismo che si riflette nella letteratura contemporanea.
C. Daniele mostra una conoscenza dell’ambiente babilonese e della storia primitiva dell’impero persiano più accurata di qualunque storico posteriore al VI secolo a.C. Infatti:
a) egli sa che Nabucodonosor fu l’artefice della nuova Babilonia (4:30). Questa circostanza ha messo in imbarazzo i critici di Daniele. R. PFEIFFER ha dovuto ammettere: “Forse non sapremo mai come il nostro autore abbia potuto essere a conoscenza del fatto che la nuova Babilonia fu una creazione di Nabucodonosor”

b) Daniele sa che Nabucodonosor promulga e modifica le leggi a suo talento(Dn 2:12,13,48) e che le leggi dei Medi e dei Persiani sono irrevocabili (Dn 6:8,15). Nell’antico Oriente il dispotismo regio non aveva limiti. Sulla inflessibilità delle leggi dei medo-persiani, lo storico Diodoro Siculo riferisce che Dario III dopo avere pronunciato una sentenza di morte a carico di un suddito di nome Charidemos, si accorse che il verdetto era ingiusto, se ne rammaricò ma non poté revocarlo. Daniele è al corrente che i Babilonesi punivano col fuoco i nemici dello Stato (vedi cap.3) e che i Persiani li davano in pasto alle belve (cap.6). Il supplizio babilonese è conosciuto anche da Gr
(29:23). Nella pianura caldea abbondavano le fornaci da mattoni. I Persiani aborrivano questo tipo di supplizio perché il fuoco era un elemento sacro a Zoroastro13.
c) Daniele sa che nel regno di Babilonia la dignità più alta dopo quella di Belzasar viene al terzo e non al secondo posto (Dn 5:16). Egli è dunque al corrente del fatto che Belzasar esercita le funzioni regie come correggente e che al di sopra di lui c’è un’autorità più alta.
d) Daniele conosce il linguaggio aulico in uso nelle corti orientali. La frase: “O re, possa tu vivere in perpetuo” (Dn 2:4; 3:9; 5:10) è una formula cortigianesca tipica dell’Oriente antico. Una formula simile è attestata in 1Re 1:39 e Nehemia 2:3 e in testi cuneiformi del periodo neo-babilonese.
D. In Dn 4:10-12 Babilonia, personificata nel suo re, è paragonata ad un albero grande e rigoglioso che estende i suoi rami in tutte le direzioni e sotto la cui chioma trovano riparo e nutrimento tutte le creature. In un testo di Nabucodonosor trovato a Wadi Brissa, nella Mesopotamia centro-meridionale, Babilonia è paragonata a un grande albero che estende la sua ombra a tutti i popoli14.
E. Nella visione riportata in Dn 7, Babilonia è raffigurata da un leone. Il leone era effigiato 120 volte in mattonelle smaltate policrome lungo la via processionale di Babilonia. Un grande leone di basalto fu rinvenuto dagli archeologi fra le rovine di Babilonia. Il leone era l’emblema della superba città caldea.
F. Nel capitolo cinque del suo libro Daniele descrive la fine repentina della sovranità caldea su Babilonia con la caduta subitanea della città. Questo rapido trapasso di poteri si rispecchia nella “Cronaca di Babilonia”, pubblicata da D.J. WISEMAN nel 1956, e nei testi amministrativi di Nippur. Il racconto di Daniele inoltre ha stretta affinità con notizie parallele nella Ciropedia di Senofonte
e nelle Storie di Erodoto. Il prof. R.P. DAUGHERTY scrive: “Di tutte le fonti non babilonesi che c’informano sugli avvenimenti collegati con la fine del regno neo-babilonese, il cap.5 di Daniele è la più vicina ai testi cuneiformi”
15. E conclude: “Resta screditata l’opinione che il capitolo cinque
di Daniele risalga all’epoca dei Maccabei”16. Non è credibile che uno scrittore del II secolo a.C. fosse così bene informato sugli usi, i costumi e la storia dei babilonesi, addirittura meglio informato degli storiografi greci del V e IV secolo a.C.!
G. Per motivi che ignoriamo il libo di Daniele comincia in ebraico (1:1 fino a 2:4a), prosegue in aramaico (2:4b fino a 7:28) e finisce in ebraico (8:1 fino a 12:13). Per lungo tempo il bilinguismo del libro, e soprattutto il lessico e la morfologia delle due lingue, furono invocati come indizi di una data tardiva del libro stesso. Oggi la situazione si è capovolta soprattutto grazie agli ultimi
studi nell’ambito della lingua aramaica17. In realtà l’aramaico di Daniele si allontana dall’aramaico recente quanto si avvicina a quello antico; l’ebraico è molto vicino a quello di Ezechiele, delle Cronache e di Esdra18.
H. Almeno due degli 8 titoli ufficiali elencati in Dn 3:2 sono d’origine persiana, e nella forma in cui si leggono nel libro di Daniele non li si riscontra più dopo il III secolo a.C. È più facile ammettere che una terminologia tecnica in lingua persiana fosse conosciuta ed usata in Babilonia all’inizio dell’età persiana piuttosto che in Giudea in piena età ellenistica.
Militano ancora a favore dell’origine antica di Daniele varie circostanze esterne al libro.
a) Nell’elogio dei padri che il vecchio sacerdote Mattatia, padre dei Maccabei, fa nel suo testamento (1Maccabei 2:51-60), accanto ad altre figure illustri, come Abramo, Giuseppe, Fineas, Giosuè, Caleb, Davide ed altri, figurano Daniele e i suoi tre compagni. Il sacerdote era un rappresentante ufficiale della cultura ebraica. Pertanto se il sacerdote Mattatia pone Daniele e i suoi compagni tra i protagonisti della storia patria, vuol dire che questi personaggi nel II secolo a.C. erano accreditati in Israele come figure storiche.
b) GIUSEPPE FLAVIO in Antichità Giudaiche (libro II, 8,5) dice che Alessandro Magno dopo la conquista di Gaza fece visita a Gerusalemme dove il sommo sacerdote gli mostrò le profezie di Daniele che lo concernevano.
Molti studiosi influenzati dal pregiudizio sull’età recente di Daniele, ritengono leggendaria questa notizia, altri, fra i quali il LINDER, la giudicano autentica.
c) Gesù Cristo, nel citare Daniele, lo riconosce esplicitamente come “profeta”(Mt 24:15). Per ogni cristiano che crede all’autenticità dei Vangeli e all’autorità di Cristo, questo è l’argomento principe a favore dell’autenticità del libro di Daniele, l’argomento decisivo. Il peso della documentazione storica, archeologica e biblica, è nettamente a favore dell’antichità e perciò dell’autenticità del libro di Daniele. Su questa posizione si sono schierati studiosi
seri e preparati come PUSEY, KEIL, ROHLING, FULLER, AUBERLEN, FABRE D’ENVIEU, KNABENBAUER nel secolo XIX, e PHILIPPE, DAUGHERTY, MOELLER, HARTENSTEIN,LINDER, YOUNG, WALVOORD, ARCHER, HASEL, SHEA ed altri nel secolo XX. L’insigne assiriologo francese LENORMANT ha scritto: “Quanto più leggo e rileggo il libro di Daniele e lo confronto coi dati dei documenti cuneiformi, tanto più mi colpisce la veridicità del quadro della corte babilonese descritto nei sei capitoli... e tanto più vedo l’impossibilità di far risalire la redazione originale
del libro all’epoca di Antioco Epifane”19."

Tratto da: "Capire Daniele" di A. Caracciolo-pp 31-33 (Note del testo omesse).

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