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Il Protestantesimo, dottrina della felicità individuale

Il Protestantesimo si diffonde in paesi con uno spirito nazionale forte e governi locali. Si vuole anche accedere in proprio a ricchezze prima destinate alla lontana Chiesa di Roma. Si vuole decidere con attenzione alla realtà locale, l'universalità di Roma è qualcosa di vago, costoso e corrotto. Si vuole un rapporto più diretto e semplice con ogni forma di autorità. Si vuole che i fedeli capiscano la religione che professano e si usa per la fede la stessa lingua usata per tutte le altre relazioni umane. Si cerca il rapporto diretto fra singolo e Dio. C'è una rivalutazione della persona umana, dell'opera umana, il rapporto diretto di ogni singolo con la Sacra Scrittura, senza interferenze e controllo, è un grande stimolo all'istruzione. Il singolo è responsabile di fronte a Dio e agli altri del suo operato. La libertà dell'individuo, non soggetto a venerare altre persone, o a pratiche di penitenze e sacrifici, in grado di affrontare con pari dignità ogni forma di autorità, diviene non solo importante come concetto, ma praticabile in concreto. Le persone si abituano ad agire con indipendenza e non solo e sempre da sudditi. Il contesto che si crea coinvolge anche la figura femminile, le donne reali vi possono avere cittadinanza e dignità, anche se non pari. Mentre nel cattolicesimo si è sudditi della Chiesa, qui si è "cittadini" della Chiesa. Formalità e burocrazie hanno molto meno peso nell'esistenza dei fedeli. Non si è figli, ma artefici, responsabili della Chiesa e di conseguenza del mondo. Dal momento che si subisce meno coercizione, meno potere istituzionale, in libertà si progetta e con efficienza si agisce. Si condivide anche meno la dimensione collettiva, si fa beneficienza senza forti legami di solidarietà. L'individuo può avere successo, cercare la propria felicità (la propria felicità individuale soltanto) e ritenersi completamente non responsabile della sofferenza e/o felicità altrui.

Il successo è la manifestazione della propria predestinazione alla salvezza, le opere sono utili a sé e al mondo terreno, sono il "certificato" dell'essere prescelti. Non si ha l'individuo suddito impotente o ribelle, si ha l'individuo consapevole del proprio diritto di cittadinanza, convinto della legittimità del proprio agire. E fin qui tutto bene, ma ecco il problema: il confine fra potenza e pre-potenza, fra consapevolezza dei propri diritti e priorità sempre di ciò che è noi, rispetto a tutto ciò che è altro da noi, fra la libertà rispetto agli altri e la nostra libertà anche sugli altri, vedo un pericolo di onnipotenza che per me va eliminato come l'impotenza. Sarà forse perché, a me, tutti quelli che pensano di essere "eletti", non da elezioni democratiche, ma dall'alto, o dall'Altissimo, o di avere particolari "meriti" o "buoni sconto" etici, o si autoproclamano "al di sopra" della "gente comune", proprio non mi finiscono di piacere, ma non proseguirei il viaggio né col feudalesimo del cattolicesimo, né con l'arroganza del protestantesimo.