00 04/08/2009 15:15
Tanto per fare un po’ di luce sulla questione, riporto il brano dedicato all’episodio di Abele e Caino nel commento alla Genesi di Don Antonio Schena:


(Gen. 4, 1-16)
Se nel secondo capitolo avevamo il progetto che Dio aveva disegnato e sognato per noi e per il mondo, ora si apre la vicenda dell’uomo che con la sua libertà ha voluto decidere lui quale sia il bene e quale il male. E subito la violenza dilaga.
La coppia dell’uomo e della donna (ora presentati col nome di Adamo ed Eva) ha un figlio, chiamato Caino.
Di questo nome l’autore sacro dà una spiegazione popolare, facendolo derivare dalla preghiera della donna che, diventata madre, elevava a Dio: “Ho formato un uomo...” Il verbo ebraico “formare” (qanah) suona come il nome Caino.
Tuttavia è quasi certo che il nome “Caino” voglia far riferimento anche a una tribù ostile a Israele, che razziava l’area meridionale della terra promessa. Si trattava dei Keniti, il cui nome è ricondotto appunto a Caino, come moro progenitore.
Secondo alcuni esegeti questo racconto, può anche essere stato un’esaltazione della vita seminomade (Abele) in contrasto alla vita sedentaria (Caino prima del delitto) e a quella strettamente nomade (Caino dopo Il delitto).
Secondo altri esegeti, i conflitti con i Cananei sedentari e con le selvagge tribù del deserto (ad es. i Madianiti), potrebbero aver condizionato questo atteggiamento.
Il nome di “Abele” (hebel), non viene spiegato, ma l’etimologia del termine ebraico: (“soffio”, “alito”), rimanda alla natura transitoria della vita di Abele.
Il contesto di questo brano presenta una civiltà ben sviluppata (v. 2b); l’istituzione del sacrificio (vv. 3-4ss.), l’esistenza di altri popoli (vv. 14-l5ss.).
Pertanto la verità religiosa che questo episodio insegna è questa: la rivolta dell’uomo contro Dio conduce alla rivolta dell’uomo contro i suoi simili. Il crimine dell’assassinio conferma questo stato di decadenza dell’uomo. Dio è giusto nel punire il peccato ma misericordioso nell’applicare la pena (v. 15); il sacrificio deve essere offerto nelle giuste condizioni di spirito; il peccato deve e, per ciò stesso, può essere dominato dall’uomo (v. 7).La figura di questi due fratelli viene ripresa lungo la tradizione biblica come un episodio di contrapposizione del giusto (Abele) e del malvagio (Caino).
Nel Libro della Sapienza è chiara l’allusione alla loro drammatica vicenda (“Un ingiusto, che nella sua via si era allontanato dalla sapienza, peri per i suoi furori fratricidi” Sap. 10,3). Nei libri del N.T. vengono ricordate la figura di “Abele il Giusto” (Mt. 23,35) e la sua offerta gradita a Dio (Ebrei 11,4: “Per la fede Abele offrì a Dio un sacrificio più prezioso di quello di Caino... e per esso anche dopo la morte continua a parlare”); mentre la sua morte mette in piena luce la superio-rità del Sangue di Cristo “che parla meglio di quello di Abele” (Ebrei 12,24).
Caino è invece presentato come esempio da non imitare (lGv. 3,12: “Non come Caino, il quale era dal maligno e ha ucciso suo fratello... perché le sue opere erano malvagie, mentre quelle del fratello erano giuste”), e la cui condotta va riprovata (Giuda 11: “Guai a loro, perché si sono messi sulla via di Caino”). Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e l’offerta di lui.
L’offerta dei frutti e dei primogeniti era una richiesta a Dio perché benedicesse il lavoro. Questa espressione vuole indicare che Abele, a differenza di Caino, sperimenta il successo e la benedizione di Dio nella sua attività. Ma non bisogna dimenticare che da essa traspare anche un tema caro alla Bibbia, quello delle libere scelte di Dio. E’ Lui che preferisce Abele a Caino, come preferirà Isacco a Ismaele (Gen. 21), Giacobbe a Esaù (Gen; 25,23 e Rom. 9,13), Davide a Saul (I Sam. 15,28 e Salmo 89,20).
La scelta divina, quindi, come accadrà in futuro, cade sul secondo, sul minore. L’autore non spiega il mistero dell’elezione, anche se l’espressione “guardare l’offerta” può semplicemente indicare la prosperità di una persona; a muovere l’odio di Caino sarebbe, perciò, il benessere del fratello rispetto alle sue difficoltà. Il Signore, però, lancia un monito a Caino: (“Se agisci bene puoi tenere alta la testa”).
Alla porta di ogni uomo c’è, accovacciato, il peccato come una specie di belva: il serpente tentatore. Ma l’uomo con la sua libertà lo può dominare! Caino, però, non lo vuol vincere; anzi ne segue la tentazione. Ed ecco il delitto, dipinto dallo scrittore con una sola pennellata tragica: “Caino si scagliò contro suo fratello e lo uccise”.
La storia del primo assassinio, emblema di tutta quella catena di sangue che attraversa nei secoli l’umanità, è modellata sullo schema della narrazione del peccato di Adamo.
Alla domanda incalzante di Dio l’uomo cerca di sottrarsi, mentendo e rifiutando ogni legame col fratello. Ma secondo una vigorosa immagine cara alla Bibbia, il sangue versato “grida a Dio dal suolo”, esigendo giustizia (per evitare questo “grido” si usava coprire con sabbia o terra il sangue degli uccisi).
Scatta allora la sentenza di maledizione: il delitto di Caino ha spezzato l’armonia della famiglia e della società; la conseguenza-pena sarà l’essere “ramingo e fuggiasco”, fuori della società, lontano dal terreno coltivato.
Caino “erra” nel paese del Nord, un vocabolo che in ebraico allude appunto al “vagare” qua e là senza meta.
A questo punto si accendono in Caino il pentimento e la paura. Egli si sente solo e indifeso, emarginato e senza la protezione della famiglia o della tribù. Ecco, allora, come nel caso dell’uomo peccatore rivestito da Dio stesso, che Caino riceve da Dio un segno di protezione, “affinché chiunque lo incontrasse non lo uccidesse”. Cosa sarà mai questo segno? Per comprenderne il senso bisogna risalire al nome di “Caino”, a cui già abbiamo accennato precedentemente, e cioè il nome è ricondotto alle tribù dei Keniti; ebbene è probabile che costo¬ro - come altre tribù - avessero un proprio segno di riconosci¬mento (un tatuaggio o un’acconciatura dei capelli e delle vesti?). Si spiega così, in modo religioso, una prassi sociale o un qual¬che segno caratteristico tribale di cui si vuole ritrovare l’ori¬gine. Caino se ne va, dunque, ramingo con quel segno che non è certo da intendere in senso razzista o vendicativo. Anzi, dopo aver condannato il peccatore, Dio non lo abbandona al suo destino ma lo tutela accogliendolo sotto la sua suprema giurisdizione a cui appartengono tutte le vite, anche quelle dei criminali.

(Gen. 4, 17-26)
Subito dopo l’episodio del primo omicidio, appare una delle tante genealogie che si distribuiranno a intarsio nella Genesi. E’ quella che descrive i Cainiti (con allusione ai citati Keniti).
Questo elenco, la Tradizione Jahwista lo ha preso da una tradizione distinta. In origine il Caino del v. 17, che fonda una città, non poteva essere Caino, il nomade. L’autore sacro ha fuso insieme le due fonti. L’elemento comune ad entrambe e che giustifica la fusione, è il dilagare del male nel mondo.
In questa genealogia il male è rappresentato dallo sviluppo della civiltà urbana, che l’autore della Tradizione Jahwista ed altri autori ispirati considerano nociva alla vita religiosa.
Questi progressi sono attribuiti dall’autore Jahwista, alla stirpe di Caino, il maledetto. La stessa condanna della vita urbana si ritroverà nel racconto Jahwista della torre di Babele.
Qui Caino è il costruttore della prima città, quindi l’antenato degli allevatori, dei musicisti, dei fabbroferrai, e forse delle figlie del piacere, che sovvengono alle comodità e ai piaceri della vita urbana. Difatti:
 IUBAL (il cui nome in ebraico rimanda alla tromba o al corno), è il padre della musica.
 TUBALKAIN (il cui nome rimanda a un popolo sito in una regione mineraria) è il padre dei fabbri.
 IABAL, sembra essere l’iniziatore dei grossi proprietari di bestiame.
 NAAMA (sorella di Tubalkain) , la “bella”, l’ “affascinante” potrebbe discretamente alludere alle donne di piacere.
In conclusione nei vv. 17-22, vengono evidenziate le origini delle arti e dei mestieri, che vengono ricondotte al clan di Caino.
La prima attività è l’allevamento del bestiame su larga scala che comporta un sempre più frequente spostamento delle tende alla ricerca di nuovi pascoli.
Si segnala poi l’arte musicale, indice di benessere e di un tenore di vita ormai elevato.
Si parla anche della lavorazione dei metalli con un ulteriore avanzamento del progresso e della tecnica (utensili più comodi e precisi; prima apparizione delle armi)
Dall’ambiente semplice e primitivo si è passati ad una società più progredita. In questo nuovo scenario l’autore sacro coglie i segni della decadenza dell’uomo (vendetta e poligamia) e lo vede avviato alla tragedia del diluvio (Gen. 6-9), e della Torre di Babele (Gen. 11).
La vendetta e la poligamia sono incarnati in LAMECH, un eroe del deserto. La vendetta non deve conoscere limiti. Dio puniva l’ingiustizia contro Caino “sette volte”, cioè in modo perfetto (secondo il simbolismo dei numeri), Lamech, invece, si vendica senza limiti, andando oltre ogni confine: Il “settantasette” volte indica un numero infinito.
Questo canto della violenza fa risaltare l’equilibrio della legge del taglione che regolava in parità le tensioni (“occhio per occhio, dente per dente”). Ma soprattutto, fa brillare il detto di Cristo che allude proprio a questo passo. Pietro è pronto a perdonare fino a sette volte; Gesù replica: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt. 18, 21-22).



Fonte: www.corsobiblico.it/

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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)