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ecco un'altra spiegazione che in parte conferma la veduta WT

LA PIANTA DEL FICO STERILE (11, 12-33)

Il racconto della maledizione del fico era probabilmente in origine un racconto unitario e a sé stante (maledizione del fico - cacciata dei venditori dal tempio - parole sulla fede e la preghiera). Marco lo spezzò in due e ne fece un racconto-cornice: il quadro sul quale bisogna puntare l'attenzione è l'episodio della purificazione del tempio. Le tre parti della pericope sono unite da Mc. in modo intelligente, dobbiamo sforzarci di cogliere il significato di questo legame.

La maledizione del fico è un gesto parabolico che esprime plasticamente il giudizio di Dio su Israele. L'informazione che non era la stagione dei fichi rende assurda la pretesa di Gesù. Questo significa che l'episodio è simbolico: non è la sterilità del fico che interessa, ma quella di Israele. E Israele non ha scuse: è già stato più volte rimproverato (Ger. 8,13; Gioele 1,7; Michea 7,1) e dovrebbe sapere quali sono i frutti che Dio vuole raccogliere. Comunque, Mc. ce lo dice attraverso l'episodio del tempio e le parole sulla fede.

Il gesto di Gesù al tempio ha senza dubbio un significato messianico e ripropone il tema del giudizio: i riferimenti a Isaia 56,7 ("la mia casa è casa di preghiera per tutti i popoli") e Ger. 7,11 ("ne avete fatto una spelonca di ladri") sono in proposito chiari. Ed è molto più di un gesto di purificazione: non una semplice riforma ma un superamento. I venditori di animali e i cambiavalute non costituivano una presenza illegale, e neppure erano un disturbo (sedevano infatti nel cortile dei gentili). La loro presenza era necessaria al normale svolgimento del culto: i numerosi pellegrini giunti da ogni parte dovevano comperare animali per offrire i sacrifici prescritti, e per le offerte era necessario che le monete straniere (ritenute impure) venissero cambiate in monete ebraiche.

Il gesto di Gesù sembra, dunque, impedire lo svolgimento delle funzioni normali del tempio, i suoi sacrifici e il suo culto. Forse è nello stesso senso che va interpretata la strana annotazione di Marco (11,16). "non permetteva che si portasse qualcosa attraverso il tempio". Gesù proclama che il tempio è decaduto, ha finito la sua funzione (non solo il tempio ma l'intera economia ebraica): la presenza di Dio è un fatto "universale" (ecco perché Mc. prolunga la citazione di Isaia fino a comprendere "per tutte le genti") ed è una presenza per tutti, anche per i rifugiati (ecco perché Mt. 21,24 parla di "ciechi e zoppi").

Se Dio giudica Israele è perché questi si è chiuso e non vuole decidersi ad aprirsi al Messia e alle genti. Non si considera più una realtà aperta, provvisoria e disponibile.

Ed è così che il discorso arriva alla fede. C'è fede e fede, e non sempre ciò che gli uomini chiamano fede è tale agli occhi di Dio. Lungo il racconto evangelico diverse parole di Gesù ci hanno richiamato alla fede: qui si vuole sottolinearne la potenza (la vera fede è capace di sollevare le montagne). Ma la potenza della fede non sta nella quantità: le molte preghiere e le molte pratiche dei giudei non erano la vera fede. Che cos'è, allora, la fede? Quali sono le condizioni della sua potenza?

Fede è attendere da Dio, e non da noi o dalle nostre opere: la fede è gratuità, ed è per questo che si esprime nella preghiera.

Fede è attendere da Dio quello che Egli vuole darci: non dobbiamo ostinarci a voler essere noi la misura del progetto di Dio. E' Dio la misura del dono, non noi.

Fede è rendersi disponibili, perché Dio ci apra alla "novità" del regno messianico e alla "universalità" delle genti: la negazione della fede è il ripiegamento su di sé, la gelosa conservazione del proprio privilegio.

Fede è l'atteggiamento di chi "non esita nel suo cuore" (11,23): la negazione della fede è il continuo "ondeggiare fra Dio da una parte, e tutte le altre possibili idee dall'altra".

Fede, infine, è prolungare a tutti ciò che Dio ha fatto per noi: sta qui la sorgente e la misura del perdono. Ma ciò suppone la consapevolezza di essere per primi perdonati, gratuitamente da Dio.

Il capitolo si chiude con una polemica contro i gran sacerdoti, gli scribi e gli anziani (11, 27-33): "Con quale autorità fai queste cose?". L'interrogativo è importante, e si riferisce a tutta l'attività di Gesù, non solo al gesto del tempio. Ma Gesù non risponde: "Nemmeno io vi dirò con quale autorità faccio questo". La risposta può essere accolta solo da coloro che vogliono decedersi e non hanno paura di rispondere con chiarezza.

"Visto da lontano un fico che aveva delle foglie": testi quali Ger. 8,13; Os 9,10; Mc. 7, 1-6 suggeriscono l'idea che la pianta del fico simboleggi Israele.

"Nessuno possa mangiare più i suoi frutti": la maledizione dell'albero da parte di Gesù è una parabola che rappresenta drammaticamente il giudizio di Dio contro lo sterile Israele.

"Entrando nel tempio": è impossibile determinare se questo avvenimento abbia avuto luogo all'inizio del ministero di Gesù (Gv. 2, 13-17) o alla fine.

"Si mise a cacciare": nel contesto della maledizione del fico da parte di Gesù e nella luce di Is. 56,8; Ez. 40-48; Os. 9,15; Mal. 3,1, l'azione di Gesù è vista come un esercizio della sua autorità messianica, simboleggiante il giudizio di Dio contro gli abusi del tempio.

"Non è forse scritto": Gesù cita Is. 56,7 e Ger. 7,11 e la prima parte di queste citazioni è una profezia messianica che si riferisce al posto che i gentili prenderanno nel tempio. Tenendo conto del fatto che Mc. fu scritto per i pagani e che l'azione di Gesù ebbe luogo nel cortile del tempio che separava i gentili dai giudei, può risultare significativo che soltanto Mc. citi l'intero versetto di Is. 56,7 inclusa la frase "tutti i popoli (gentili)".

"La mattina seguente videro il fico seccato": questa pericope è una raccolta di detti eterogenei artificiosamente riuniti dalle parole-richiamo "fede" e "preghiera".

"Con quale autorità fai queste cose?": nel contesto la domanda di scribi e sommi sacerdoti si riferisce all'ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme e all'espulsione dei mercanti dal tempio.

"Il battesimo di Giovanni era dal cielo o dagli uomini?": la contro-domanda di Gesù pone i suoi avversari di fronte a un dilemma che viene spiegato nei vv. 31-32. Incapaci di esprimere una decisione autorevole circa il battesimo, le autorità giudaiche preferiscono lasciare la domanda di Gesù senza risposta.

"Essi temevano il popolo": la paura impedisce loro di esprimere un'opinione negativa contro Giovanni, esattamente come in 12,12 la stessa paura impedirà loro di arrestare Gesù immediatamente.

"Neppure io vi dico con quale autorità": il nocciolo di questa narrazione è in questa solenne affermazione di Gesù; è una tacita rivendicazione di possedere un'autorità messianica concessagli da Dio.


fonte:
www.corsobiblico.it/marco.htm#_Toc477492801