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L'episodio della tentazione di Gesù nel deserto viene riportato con dovizia di particolari da Matteo e da Luca, un accenno alla cosa fa pure Marco, ma senza entrare in particolare. La descrizione delle tentazioni di Gesù nel deserto viene fatta da Matteo che da Luca in un modo diverso, modo che rende esplicito il diverso sfondo teologico sul quale si fonda la narrazione dei due.

In Matteo

La presenza della tentazione, e precisamente di una tentazione messianica, nel quadro dell’esistenza di Gesù è storicamente credibile. La tentazione messianica si armonizza con tre dati sicuri del Vangelo:

1) il netto rifiuto da parte di Gesù nei confronti di ogni richiesta di “segni” che non fossero altro che prodigi e dimostrazione di sé,

2) il costante conflitto con Satana nel quale Gesù si trovò impegnato per la sua missione redentrice,

3) la volontà di purificare in tutti i modi le speranze messianiche dei discepoli.

La tentazione che Gesù ha incontrato, non solo nel deserto ma in tutta la sua esistenza, era concentrata su una continua lotta tra la strada messianica indicata dalla parola di Dio (cioè la via della croce) e le sollecitazioni provenienti dalle attese messianiche dell’epoca. Le sollecitazioni messianiche erano sostanzialmente tre:

1) quella della rivoluzione e del potere (messianico zelota)

2) quella del messianismo restauratore (sia politico che religioso)

3) quella del messianismo convincente (accompagnato da segni spettacolari).

Gesù rifiutò energicamente tutti e tre questi suggerimenti, rinunciando a utilizzare la strada del potere, del prestigio, dei miracoli a ogni costo.

La risposta di Gesù a ognuna delle tre richieste è tratta dal Deuteronomio (8,3; 6,16.13), ed evoca con molta chiarezza le tentazioni d’Israele nel deserto: la tentazione di concepire la speranza in termini di benessere e di far coincidere la salvezza messianica con un progetto terrestre. Matteo è molto interessato a questo confronto tra Gesù e Israele. Egli vuole mostrare che Gesù è il compimento dell’intera storia d’Israele, ne subì le medesime tentazioni, ma a differenza di Israele le superò. Gesù, quindi, è il vero Israele.

Il racconto anche se fa riferimento alle tentazioni di Israele nel deserto, tuttavia non le riproduce nella loro forma, ma in forme che ricalcano le attese messianiche del tempo di Gesù e, ancora più fortemente, degli anni 60-70 (allorché Matteo scrive il suo Vangelo).

La forma letteraria delle tentazioni riecheggia i dibattiti tra gli scribi, nei quali ciascuna parte ricorreva a citazioni scritturistiche. Il dibattito tra Gesù e Satana si svolge in tre riprese, in ciascuna delle quali i due avversari si appellano alle Scritture. Questa forma letteraria può benissimo essere un ricordo della situazione di Gesù e delle sue polemiche. Si vuol dire che c’è modo e modo di riferirsi alle Scritture. Questo riflette anche le diatribe bibliche tra cristiani ed ebrei: si riferivano alle medesime Scritture, ma arrivavano a conclusioni opposte (come Gesù e satana). Non basta leggere le Scritture, bisogna leggerle bene. Il vangelo di Matteo ci fa ulteriormente riflettere su questo punto: il discepolo di Cristo, a differenza del fariseo, legge le Scritture in modo da scoprire la logica divina che le guida, non rimanendo invece prigioniero della lettera che finisce col distorcere lo stesso disegno di Dio.

Infine, il racconto di Matteo ha una dimensione ecclesiale oltre che cristologia. Basta ricordare in proposito come si sono formati i Vangeli. Se il racconto della tentazione ebbe un posto in tutta la tradizione sinottica è perché esso serviva non solo a chiarire le idee su Gesù e sul suo messianismo (del resto chiaro a tutti dopo la crocifissione), ma perché serviva a chiarire le idee sulla Chiesa e sul suo compito. Nella tentazione del Cristo la Chiesa ritrova le proprie tentazioni.



In Luca

Luca introducendo la genealogia rischia di eliminare il legame fondamentale stabilito dalla tradizione tra il battesimo e la tentazione. Egli ricorda, dunque, questa scena dicendo che Gesù ritorna dal Giordano ed esplicita il legame con la genealogia e la teofania battesimale: è come Figlio di Dio riempito dello Spirito Santo che Gesù sarà messo alla prova. Viene condotto dallo Spirito nel deserto, luogo ambiguo dove, secondo la Bibbia, l'essere umano può entrare in contatto con forze maligne, oppure entrare in comunione con il Dio vivente.

Dalla fonte "Q" Luca attinge una riflessione cristiana sul Cristo basata su tre citazioni del Deuteronomio accuratamente scelte, allo scopo di illustrare un'esperienza fondamentale di Gesù. Caso unico nella letteratura evangelica: Gesù in quest'occasione non si esprime che attraverso tre prove che il popolo d'Israele aveva conosciuto durante l'esodo e alle quali aveva ceduto; Gesù, invece, risulta vincitore dell'Avversario.

La tradizione presentava probabilmente i tre episodi nello stesso ordine di Matteo: il pane ( la ricerca dei soli beni materiali); la parte più alta del tempio (è il mettere Dio alla prova nella ricerca di segni messianici che sbalordiscono); i regni del mondo (il compromesso con il male per assicurare il proprio potere di messia).

Luca avrà invertito la seconda con la terza tentazione, in modo che l'ultima - la più importante - si svolgesse a Gerusalemme.

Qual è, ci si chiederà, la radice storica di questa scena iniziale che Luca ha ereditato? Alcuni studiosi negano la storicità della scena della tentazione. Dobbiamo tuttavia tenere conto del fatto che gli altri vangeli ci descrivono Gesù provato e tentato nell'ultima parte della sua vita, e dobbiamo prendere atto della forte tradizione a favore della realtà della scena del deserto. E' possibile che Mt e Lc (oppure Q) abbiano ampliato un'antica ma breve tradizione (Mc) e abbiano aggiunto dettagli tratti da avvenimenti più tardivi in base a definite e diverse prospettive teologiche.

La prima tentazione di Lc ci richiama alla mente Gv 6, 26-34; la seconda, Gv 6,15, la terza, Gv 7, 1-4. Altre somiglianze ricorrono in Mt 12, 38-42; 16, 1- 4; 27,42. Come Matteo e Luca raggruppano secondo un loro ordine personale detti e azioni di Gesù, ignorando dettagli cronologici o geografici, allo scopo di comporre o il discorso della Montagna (Mt 5-7) o la relazione del viaggio (Lc 9,51 ss.), così un procedimento analogo potrebbe essere la spiegazione del modo in cui reali tentazioni sparse lungo la via di Gesù sono trasposte in un nuovo contesto al fine di concentrare l'attenzione su implicazioni teologiche.

Perché la Chiesa fece ciò? E infatti certo che il racconto della tentazione esisteva già in "Q" quando Luca si mise a scrivere. Di fronte a un determinato episodio (Gesù che dopo il suo battesimo si ritira nel deserto) dobbiamo tenere conto di una duplice realtà: certamente quella delle tentazioni, ma soprattutto quella di un messianismo terreno, è stata certamente una dimensione costante del ministero di Gesù, ma allo stesso tempo c’è stato il continuo rifiuto di Gesù nel cedervi. Nel vangelo di Lc (10,25; 11,6 ss; 22,42) se ne incontrano tracce precise, che culminano in una realtà inoppugnabile: Gesù è stato un messia povero e sofferente.

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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)