00 18/08/2008 11:08
Re:
Achille Lorenzi, 17/08/2008 9.02:

Agharti64 ha scritto:

Non mi sembra particolarmente strano che la mia coscienza sia in armonia con ciò che insegna la mia religione. Se non lo fosse farei altre scelte.

Non penso che la coscienza e gli insegnamenti di una religione debbano necessariamente coincidere.
La coscienza fa parte dell'intimo di ogni essere umano, e non dipende da ciò che viene insegnato da una religione.
La Bibbia stessa, parlando di coloro che non avevano una legge (o una specifica religione) afferma che costoro osservavano "la legge" seguendo la loro coscienza:

«...essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda» (Rom. 2:15).

Ad ogni essere umano, in quanto tale, l'idea di lasciar morire un bambino che potrebbe essere salvato solo con una trasfusione appare ripugnante ed inaccettabile. E questo perché la coscienza umana fa comprendere quanto tale comportamento sia assurdo.
E' solo perché i TdG devono ubbidire agli 'intendimenti' del CD che costringono le "loro coscienza" ad accettare un tale insegnamento.
Ma se "domani" il CD - come ha fatto già con altri insegnamenti analoghi - riconoscesse finalmente che Dio non vuole una cosa del genere e che ognuno è davvero libero di scegliere, secondo la sua coscienza, se accettare o meno una trasfusione di sangue in simili circostanze, sicuramente moltissimi, se non tutti i TdG acconsentirebbero alla trasfusione se questa fosse l'unico modo per salvare la vita dei loro figli.
Attualmente tale "libera scelta" non esiste, anche solo considerando il fatto che chi davvero seguisse la sua coscienza, acconsentendo alla trasfusione, verrebbe escluso ("dissociato") dalla congregazione, con le pesantissime conseguenze sociali che ben conosciamo.

Achille

L'israelita che era soggetto alla Legge, agiva in armonia con essa perchè "obbligato" dalle regole e dal timore dell'eventuale punizione, oppure ubbidiva perchè pensava che fosse giusto farlo? In altri termini, seguiva la coscienza della Legge (dei sacerdoti e dei giudici che erano predisposti a farla osservare) o la propria, personale, coscienza?

Un genitore che portava davanti agli anziani un figlio ribele, ubriacone e ghiottone (Deut. 21:18-21) sapendo che poteva finire lapidato, lo faceva perchè lo diceva la sua religione o perchè lo diceva la sua coscienza? E una donna che rimaneva vedova senza figli e doveva farsi mettere incinta dal fratello del marito defunto, perchè ubbidiva? E un/una giovane che non poteva frequentare né sposare altri giovani che non fossero israeliti, seguiva la propria coscienza, o quella di chi?

E una persona delle nazioni che, come dice Paolo, "per natura" facevano le cose della Legge perchè spinti dalla coscienza, come credi considerassero queste, come anche altre, norme seguite dagli israeliti? Non è che ai loro occhi gli israeliti ci facevano un po' la figura dei "condizionati mentali"?

Quando Paolo fa il ragionamento contenuto in Romani non sta certo dicendo che le persone delle nazioni facevano TUTTO ciò che diceva la Legge. L'israelita invece, che per nascita era soggetto alla Legge, non aveva scelta, DOVEVA ubbidire. Che lo facesse obbligato da delle norme o dalla propria coscienza era una questione tra lui e Dio. Ma se effettivamente lo faceva con coscienza, che problema c'era? Era un fanatico? Un bigotto? Un condizionato mentale? Oppure gli insegnamenti della propria religione coincidevano (in effetti dovevano coincidere) con la propria coscienza?

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