Gocciazzurra, 01/06/2008 2.38:
Senza dubbio le varie tematiche sviscerate sono molto interessanti, tuttavia ci si è discostati non poco dal tema iniziale che è "Peccato originale: c'entra il sesso?"
Sarebbe il caso di aprire uno o più thread specifici.
Gocciazzurra/Mod.
Condivido. Offro una risposta limitatamente al "Peccato Originale", ma sulla questione Bibbia e Mito, sarebbe il caso di aprire una discussione a parte, come suggerito.
L'ebraismo si è occupato approfonditamente del peccato commesso da Adamo ed Eva, i nostri progenitori, ma di una colpa trasmissibile in modo ereditario, alle generazioni successive, non ne parla nè la Torah, nei Profeti, nè gli Scritti, nè la letteratura rabbinica, nè la mistica ebraica.
Le vie che ebraismo e cristianesimo hanno percoroso nella valutazione delle conseguenze del Peccato Originale, sono differenti.
Solo nella letteratura ebraica apocrifica (non canonica) emerge in maniera isolata, in un periodo tardo del giudaismo, in 4Esdra l'idea di una colpa ereditaria. E’ nella tradizione enochica che Paolo derivò il concetto del Peccato Originale così come lo concepisce la teologia cristiana che non è un elemento della fede ebraica. Studiosi come
G.Boccaccini, Sacchi, Penna o
Becker ci ricordano che l’influsso della letteratura enochica su Paolo fu decisiva.
Presso l’ebraismo, dicevo, ci si è anche occupati di questa prima colpa commessa dall’uomo, e sono state offerte una molteplicità di commenti a riguardo, il che mostra come davvero l’ebraismo si connoti come civiltà del commento.
Tutti gli individui senza eccezione possiedono “
l’immagine di Dio” e il peccato terrestre di Adamo ed Eva (l’Umanità) non ha cambiato niente a questo dato di fatto. Se ci fu rottura, ci fu con la natura, non con Dio. Nell'universo ebraico trova posto solo l' ipotesi per cui una generazione può rendere vulnerabili, ma sempre libere, quelle successive.
Mosè Maimonide in “Ritorno a Dio. Norme sulla Teshuvà” un breve trattato articolati in 10 capitoli, riaffermava come presso l’ebraismo non esiste alcuna concezione del peccato originale come inteso dalla dottrina cristiana presso la quale le conseguenze di tale atto sono talmente infauste da richiede un evento straordinario e liberatorio di origine sovrannaturale, quale l’invio di un messia divino. L’ebraismo piuttosto riconosce all’uomo la possibilità di plasmare il proprio futuro facendo ritorno a Dio attraverso la teshuvà (il termine ebraico indica: il pentimento,la risposta, il ritorno all'Eterno). Ad ogni uomo è riconosciuta un’altra possibilità di cominciare da capo la propria vita. Nulla è scritto, nulla è sigillato: la stessa volontà di Dio può cambiare. Questo è l’insegnamento biblico di Giona.
Scriveva
Dante Lattes in “L’idea d’Israele” come, il mito ebraico conosce un Adamo anima del mondo che il peccato fa diventare piccolo, ma che poi è capace di redimere se stesso e anche la divinità ricongiungendola al mondo da cui l’allontanarono i peccati degli uomini; la filosofia ebraica interpreta con alto orgoglio e ottimismo la leggenda dell’albero della conoscenza: “l’uomo è diventato ora come uno di noi, conoscitore del bene e del male”.
Kushner, rabbino e teologo americano, annotava come ciò che la prima coppia umana fece nel giardino dell’Eden fu solo quello che ci si aspettava che accadesse; ciò che è accaduto da allora, in ogni generazione: i figli disobbediscono ai propri genitori e così facendo segnano la separazione da essi. Adamo ed Eva furono indotti a quel originario atto di disobbedienza che implicò la loro separazione da Dio e l’espulsione dal giardino (la casa dei genitori, e la loro infanzia). Il prezzo dell’autonomia, il divenir adulti è il trauma della separazione dai genitori.
Non mi è nuova questa sua considerazione, poiché ricordo di aver ascoltato qualcosa di simile ad una conferenza sul mondo dell’esegesi rabbinica, in cui si illustrava come Adamo ed Eva furono indotti a disobbedire da Dio, il quale pose l’albero della conoscenza nel bel mezzo del giardino di proposito, in modo che esso catturasse l’attenzione dei nostri progenitori i quali passeggiavano per tutto il giorno (non avevano tv, ne connessione Adsl) in lungo e in largo, per l’Eden.
Yosef B.Soloveitchik, altro noto rabbino autore della corrente neo-ortodossa dell’ebraismo, appuntava come i Maestri, non videro nell’albero piantato in Eden alcunché di soprannaturale, ed ipotizzarono che si trattasse di una pianta ordinaria, i cui frutti potevano ben essere uva, fichi, o etrog ( cedro). E se così stavano le cose come mai da quella originaria trasgressione derivò l’espulsione dal giardino dell’Eden? Una risposta ebraica è che la proibizione fosse stata stabilita per insegnare ad Adamo il concetto di “
adnut”, il riconoscimento che Dio non è soltanto un Borè, il Creatore del mondo e Colui che ne provvede il suo sostentamento, ma anche il suo Padrone; “
Adonai” contiene i significati di “
signore” e “
padrone” nel senso di proprietà, e proclama che Dio è il signore di tutto il Creato ("Tutta la terra appartiene al Signore, tutto il mondo ed i suoi abitanti” Sal.24:1). Avere una proprietà comprende il diritto di restringere o negare il suo uso ad altri. Adamo vide invece il mondo come una “res nullis”, accettava l’idea che Dio ne fosse il Creatore e la Fonte della sua esistenza, ma non intendeva riconoscere che Egli avesse diritto di proprietà su tutta la Creazione e, invocò a sé il diritto di carta bianca nell’acquisire la sua porzione a propria esclusiva discrezione. Il suo peccato consistette nel macchiarsi di furto, facendo proprio ciò che non gli apparteneva, divenendo usurpatore e ladro.
Di commenti approfonditi ne ho ritrovati tantissimi nella letteratura rabbinica ma non ho mai incontrato sino ad ora un solo testo rabbinico che indicasse nell’atto di disobbedienza della prima coppia umana una qualche implicazione di natura sessuale, e questo è coerente con quanto ci rammentano gli studi giudaici:
“Se prendiamo in considerazione la Bibbia ebraica, certamente è chiaro come la dimensione erotico-sessuale sia stata perfettamente integrata nella sua Weltanschauung, del tutto libera da visioni pessimistiche e negative del sesso e della corporeità, mentre non trova posto in essa alcuna forma di sessuofobia, grazie ad un’antropologia profondamente ancorata alla dottrina della creazione compiuta da Dio, in cui tutto è '
molto buono'. Nell’ebraismo il rapporto sessuale è considerato generalmente come il segno del vincolo che assicura l’unione di due persone per tutta la vita nel reciproco sostegno, nel piacere, nella procreazione e nell’educazione dei figli. Non c’è nell’ebraismo l’ossessionante concetto che i rapporti sessuali siano, in qualche modo peccaminosi” (
Mauro Perani, Professore ordinario di Lingua e letteratura ebraica “Alma Mater Studiorum, Università di Bologna; Ebraismo e sessualità - Pubblicato in «Annali di storia dell’esegesi» 17/2 (2000), pp. 463-485).
[Modificato da Topsy 01/06/2008 17:03]