Assai banalmente lo stato in luogo figurato è usato in moltissime lingue per indicare un’unione intima e profonda tra due persone. In Italiano ad esempio per dire che siamo uniti a qualcuno diciamo “io sono nel tuo cuore”. En+dativo in greco non è un complemento di compagnia, esprime l’unione tra due persone proprio sulla base di una metafora spaziale figurata: essere in qualcuno vuol dire essere intimi. Bisogna dunque fare dei debiti distinguo: non è che “en” possa voler dire “unito a”, bensì, proprio perché vuol dire “in”, indica l’essere uniti a qualcuno. Vorrei che fosse chiara la cosa.
Se En+dativo nel Vangelo di Giovanni indica l’intima unione con qualcuno, la indica proprio perché questa unione è resa, come in italiano, da una metafora spaziale data dal significato locativo della preposizione. Il testo di Romani dice “coloro che sono in Cristo”, e come capisce qualunque europeo, giacché in tutte le lingue esiste lo stato in luogo figurato, vuol dire essere uniti a Cristo.
La Nuovissima in questo caso non traduce letteralmente ma sceglie di esplicitare la metafora, il che va benissimo, ma sarebbe da segnare come errore se fosse stata richiesta una traduzione letterale, cosa che nessun biblista ovviamente farà mai, perché i grecisti raramente traducono con la letteralità richiesta ad uno studente: ci hanno obbligato a farlo al ginnasio e non avete idea di quanto possa essere pesante. Ma il punto centrale è: perché non può essere fatto anche nel passo giovanneo incriminato?
a)Perché quel passo è di importanza teologica capitale, ergo si esigerebbe in passi simili la letteralità, che invece può essere abbandonata in altri punti del testo. In questo caso rimarcare che Giovanni ha scelto “en” al posto di “syn+dativo” è significativo.
b)Perché la TNM si vanta di essere letterale anche a conto di creare esiti ridicoli, eppure qui, in una frase che sta perfettamente in piedi in italiano, greco e latino, che puntualmente riportano “en”/”in”, si sceglie una resa non letterale. In greco come ripeto “en+dativo” non è mai un complemento di compagnia; solo in espressioni metaforiche, che però sono tali proprio perché si reggono sulla metafora spaziale, “essere in qualcuno” vuol dire essergli legato. Questo è vero sia in greco che in italiano, il costrutto è il medesimo. La prova del loro scempio premeditato a mio avviso sta nella NWT in greco moderno, lingua che ha conservato i casi esattamente come il greco antico. Anziché lasciare il costrutto originale o di mettere un “mesa”, come fanno le traduzioni neogreche, hanno utilizzato un pasticciatissimo “ego eimai se enoteta me ton patera kai o pateras einai se enoteta me emena”
“mentre "EN" veniva correntemente usato per significare una unità ontologica”
No, l’uso è il medesimo che in italiano, c’è scritto proprio quello che leggi: “essere in qualcuno”, metafora che noi usiamo per qualsiasi coppietta di piccioncini. La grammatica si ferma qui, se vuoi vedere nell’inabitazione qualcosa che vada oltre la metafora sei liberissimo di farlo ma non è più questione di come tradurre quell’ “en”, che è “in” come ripeto. Anzi non è neppure una traduzione, è proprio la stessa parola indoeruropea, che infatti condividiamo con tutti.
“a) strumentale b) di relazione”
Relazione vuol dire che è da tradurre “in riguardo a” et similia, non è il nostro caso.
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)