Caro Michele, il nostro è un dialogo difficile e mi chiedo se che ci legge capisca che sia un dialogo cristiano. Il tuo continuo definirmi arrogante e ignorante non è certamente un bell’esempio di quella mansuetudine e di quel rispetto che l’apostolo Pietro incoraggia ad accogliere come segno della nostra testimonianza cristiana (1 Pt 3:16). Non mi sembra neppure coerente con quel linguaggio ecumenico nel quale, anche se a fatica, sta camminando la chiesa cattolica.
Oltre al problema del rispetto reciproco, il nostro dialogo mi sembra inoltre poco produttivo perché non c’è ascolto. Un dialogo vero presuppone disponibilità a capire l’altro e le sue ragioni e a rispondere sulla base di quello che l’altro ha detto, non solo aggiungendo altre ragioni alle nostre ragioni. Per rendere una testimonianza più completa e più accurata della questione che abbiamo trattato, ho deciso di chiedere aiuto di un caro fratello in fede, e vengo incontro anche alla tua pretesa perché il testo sia scritto in italiano perfetto.
Il problema che stavamo discutendo non è quello del modo in cui Gesù rimane con i suoi discepoli (Mt 28:16-20). È comunque giusto che anch’io dica qualcosa su un testo come questo e altri simili. Certo, il testo che tu citi si riferisce agli Undici, ma è limitato solo a loro o gli Undici sono menzionati perché sono in quel momento gli unici presenti? Penso che tu sia d’accordo con me nel pensare che Gesù è rimasto con loro attraverso lo Spirito Santo, ma lo Spirito Santo non è dato anche a tutti i credenti? Alla Pentecoste, ad esempio, non scese su tutti i 120 equipaggiando tutti loro alla predicazione? Questo, vuol forse dire che tutti loro erano apostoli? È buona norma considerare ogni testo sulla base del suo contesto. Ora anche tu penso potrai essere d’accordo con me che il contesto in cui Gesù pone le parole che sto esaminando, non è il quello dell’autorità apostolica in quanto tale, ma quello del mandato alla predicazione. Anche tu riconoscerai che il compito di essere testimoni di Gesù spetta a ogni cristiano, indipendentemente dal ruolo che rivestiamo nella comunità. Tu potrai forse rispondermi che ogni cristiano deve predicare nel rispetto dell’ufficio del vescovo e del papa perché loro sono i successori degli apostoli, ma io potrei risponderti che per sapere quello che io debbo predicare, lo imparo direttamente dalla testimonianza che gli Apostoli originali mi hanno detto e che ritrovo nelle sacre Scritture, senza bisogno dei loro successori umani. Potrei poi anche ricordare che storicamente Gesù ha mandato a predicare durante la sua stessa vita anche altri, i 70 di cui parla Luca 10. Potrei anche ricordare che alla Pentecoste, la responsabilità della predicazione non fu assunta sulla base di una trasmissione gerarchica dell’autorità ma alla libertà dello Spirito che investi ugualmente ed equamente tutti i credenti. Penso anche che sarebbe opportuno considerare il fatto che, secondo il Nuovo Testamento, i vescovi o anziani di chiesa di cui parlano gli scritti apostolici, non sono i successori degli apostoli ma fratelli che hanno un ministero distinto, difatti essi cominciano ad esercitarlo quando gli Apostoli sono ancora in vita e non alla loro morte come avviene quando c’è una successione. Oltre la realtà storica che ognuno può vedere da sé leggendo gli scritti apostolici, quello che dico risulta anche da un testo come quello di 1 Corinzi 12:28 “E Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi miracoli, poi doni di guarigioni, assistenze, doni di governo, diversità di lingue.” Vedi che il ministero dell’apostolato, in qualunque modo lo si comprenda, è distinto dal dono di governo che probabilmente più ragionevolmente fa riferimento al ministero dei diaconi e degli anziani locali.
Caro Michele, tu hai una visione caratteristicamente cattolica della chiesa. La vedi come una struttura gerarchicamente organizzata sotto la guida del papa e dei vescovi. Potremmo discutere da un punto di vista storico come si sia sviluppata una tale concezione, e forse lo potremo fare in seguito se vorrai. Per ora rimaniamo sul piano biblico. Io ti ponevo un problema: basta la continuità istituzionale a legittimare la nostra posizione come chiesa davanti a Dio? Ti facevo l’esempio dell’atteggiamento di Dio riguardo al tempio di Gerusalemme, ai suoi riti e al suo sacerdozio, ma su questo non hai detto niente. Avrei potuto continuare facendo notare che Gesù ha scelto come suoi rappresentanti persone non legate alla casta sacerdotale che pure lui stesso aveva contribuito a stabilire. Come si può spiegare questo se non con il fatto che a Dio interessa più la fedeltà alla sua Parola che gli strumenti umani ai quali è stata affidata? Mi permetto di ricordare un episodio biblico in cui Dio stesso comanda la costruzione di un serpente di bronzo quale simbolo della salvezza in quel particolare momento storico. Ebbene quando i tempi cambiarono e il popolo, travisando il valore di quel segno, ne fece un idolo, un re giusto lo ridusse in polvere e lo sparse al vento dicendo : “È solo un pezzo di rame!” (Num 21:8; 2 Re 18:4). Se diventiamo altro da quello che Dio vuole, anche noi siamo solo “un pezzo di rame”. L’apostolo Paolo esprime lo stesso concetto dicendo che noi abbiamo un tesoro in vasi di argilla: quello che conta è il tesoro, che sia conservato puro e immacolato. Il Signore di vasi ne può trovare quanti ne vuole (2 Cor 4:7) ma chiunque sia a svolgere questa funzione, egli deve essere onorato se trasmette il tesoro incontaminato. Paolo dice infatti: “Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema. Come abbiamo già detto, lo ripeto di nuovo anche adesso: se qualcuno vi annunzia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema” (Galati 1:8,9). Nota come Paolo metta in discussione se stesso: se anche lui cambiasse il vangelo non dovrebbe più essere seguito anche se è un apostolo, perché sarebbe venuto meno alla sua funzione vera. Non ti sembra che sia un modo buono di porci di fronte alla questione dell’autorità nella chiesa? Chi ha l’autorità finale: la persona che trasmette il messaggio di Dio o il messaggio stesso? Non dobbiamo avere un punto di riferimento che ci permetta di giudicare se il messaggero è ancora fedele al messaggio? Possiamo trovare questo punto di riferimento nella storia della chiesa e nei suoi dirigenti o nel messaggio di Dio che gli apostoli originali ci hanno trasmesso attraverso le pagine delle Sacre Scritture?
Vengo comunque alla obiezione principale che mi hai fatto: apostoli non sono solo quelli che Gesù ha mandato personalmente. Hai ragione: il Nuovo Testamento chiama apostoli anche altre persone tra cui quelli che tu stesso citi e che erano nella fede ancora prima di Paolo. E allora io chiedo, proprio sulla base di quello che tu dici: se tutti questi apostoli sono tali senza distinzione, il papa e i vescovi ricevano la loro autorità anche da questi o solo dai Dodici?
Probabilmente, la tua forza polemica nei miei riguardi ti ha trascinato su un sentiero di cui tu stesso non comprendevi la portata. Il cattolico J. Duplacy, nel suo articolo “Apostolato” in Enciclopedia della Bibbia, edita dalla Elle Di Ci nel 1969, fa notare quello che io ti facevo notare a proposito dell’elezione di Mattia al posto di Giuda e cioè che “Per Pietro, apostoli debbono essere testimoni della risurrezione ed avere accompagnato Gesù, ma soprattutto devono avere ricevuto una speciale chiamata da parte di Dio.” Io aggiungerei solo che, questa chiamata deve essere fatta da Dio senza mediatori umani, come infatti avvenne nel caso di Mattia la cui scelta fu riservata direttamente a Dio.
È quindi evidente che la parola “apostolo” ha due significati distinti. Il primo significato è quello relativo ai Dodici ai quali Gesù affida l’autorità di rappresentarlo in modo pieno. Di questi si dice che sono, insieme ai profeti, il fondamento della Chiesa cristiana (Efesini 2:20). Lo sono, insieme ai profeti, perché solo questi due gruppi di persone hanno avuto il privilegio di una diretta comunicazione e chiamata da parte di Dio. Tutti gli altri vivono sul fondamento della loro testimonianza e quindi non sono essi stesso il fondamento. Apocalisse 21:14 ci dice che la nuova Gerusalemme ha dodici fondamenta con i nomi dei Dodici Apostoli. È quindi chiaro che ci si riferisce agli apostoli in senso stretto ed originario, ai Dodici. Questi hanno un ministero unico, storicamente limitato, ed intrasmissibile. Ci sono poi altri fratelli che hanno ricevuto una mandato attraverso la chiesa per predicare il vangelo in modo specifico e continuativo. Anch’essi sono “inviati” ma non sono il fondamento della chiesa, della sua dottrina e della sua autorità. La loro figura corrisponde probabilmente a quella dell’evangelista, del predicatore del vangelo. Non bisogna lasciarsi ingannare dalla identità di parole. Ogni parola ha un suo significato tecnico come, ad esempio, quella di “avvocato” anche se tutti siamo spesso “avvocati” di qualche causa. La parola “maestro” si riferisce a delle figure particolari della nostra organizzazione sociale, ma questo non impedisce a molti di agire da maestri in date situazioni. Per andare su un terreno più biblico, gli anziani di chiesa (presbiteri), detti anche vescovi (episcopi) (confronta Atti 20:17 con Atti 20:28) hanno il compito che dice il loro nome di episcopoi, cioè sorveglianti, ma questo non impedisce che tutti i cristiani abbiano la responsabilità morale di vegliare sui loro fratelli senza essere vescovi in senso tecnico. Insomma, bisogna distinguere il senso tecnico che una parola assume in un particolare contesto storico, come avvenne per i Dodici, dal significato più generico che può essere applicato a molti altri.
Se il Papa e i Vescovi cattolici attuali ricevano la loro autorità per un processo istituzionale e gerarchico che li lega ai primi Apostoli, i Dodici, o se siano espressione di una struttura che storicamente si è sviluppata sulla base di altri elementi, questo è da studiare. Come è da studiare se l’attuale insegnamento dato dal Papa e dai Vescovi cattolici sia rimasto fedele e in che misura all’insegnamento originale. Questo compito è affidato al compito di ogni credente e se possibile, anche a un dialogo comune, rispettoso e mansueto.
Quello che ti sto dicendo, non è qualcosa che sia stato inventato nel 1843 come tu ti esprimi riguardo alle origini della Chiesa avventista. È la convinzione di centinaia di milioni di persone, di tutte le chiese evangeliche e protestanti, e non è detto che si tratti di persone ignoranti come me. Ti ricordo a questo proposito come l’elezione dei vescovi sia rimasta per secoli oggetto della scelta popolare e non del papa come avviene attualmente. Uno degli esempi più noti è quello del vescovo Ambrogia di Milano eletto vescovo dalla comunità.
Con affetto fraterno