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A chi dobbiamo il NT?

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    Trianello
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    00 23/08/2006 08:16
    Gesù riconobbe l’Antico Testamento come insieme di Libri sacri e, sulle Sue orme, così fecero i cristiani fin dai primissimi tempi. Agli insegnamenti presenti nella Bibbia ebraica, ovviamente, i cristiani affiancarono però quanto aveva insegnato Gesù. Tali insegnamenti, da principio, furono trasmessi solo oralmente. Gesù aveva detto ai Suoi di “predicare il vangelo” (Mt 28,18-20; Mc 16,15; Lc 24,47), non di mettersi a scrivere dei libri.
    Però, a mano a mano che la Chiesa si andava allargando, sorse la necessità materiale di “fermare” una parte della Tradizione orale per iscritto: non a caso, i testi più antichi del NT sono le epistole di Paolo, il quale non potendo essere contemporaneamente nelle varie Chiese, cominciò a comunicare con queste per iscritto. Come ci attesta la stessa Scrittura (ICor 11,2; IITes 2,15; IITes 3,6; 2 Tm. 2,2), gli scritti non andarono a sostituire l’insegnamento orale, ma ad affiancarsi al medesimo.
    Ecco le probabili date di composizione dei vari Libri neotestamentari secondo quanto stabilito dagli studiosi:

    Vangelo secondo Matteo (45?) - 80
    Vangelo secondo Marco 50 - 65
    Vangelo secondo Luca 55 - 75
    Vangelo secondo Giovanni 80 - 95
    Atti degli Apostoli 62 - 75
    Lettere:
    ai Romani 57
    I e II ai Corinzi 54 - 57
    ai Galati 55
    agli Efesini 61 - 63
    ai Filippesi 61 - 63
    ai Colossesi 61 - 63
    I e II ai Tessalonicesi 50 - 52
    I e II a Timoteo 60 - 67
    a Tito 60 - 67
    a Filemone 61 - 63
    agli Ebrei 64 - 67?
    di Giacomo 50 - 58?
    I di Pietro 60 - 65
    II di Pietro 64 - 125
    I di Giovanni 80 - 100
    II di Giovanni 80 - 100
    III di Giovanni 80 - 100
    di Giuda 70 - 80?
    Apocalisse 75 – 96?

    [Alcuni studiosi, comunque, hanno proposto datazioni diverse per alcuni degli scritti succitati]

    Fu tra la fine del I e l’inizio del II secolo che alcuni di questi Libri cominciarono ad avere un’autorità uguale, o simile, a quella goduta dai testi dell’AT. Troviamo l'attestazione uno scritto propriamente cristiano considerato allo stesso livello di quelli della Bibbia ebraica nella II Lettera di Pietro (scritta tra il 64 e il 125) in cui l’autore, riferendosi alle epistole di Paolo, afferma che queste sono difficili a comprendersi “come le altre Scritture” (II Pt 3,16).Nel frattempo, la Lettera di Barnaba (scritta attorno alla fine del I secolo) aveva citato un passo del Vangelo di Matteo (Mt 22,14) facendo uso dell’espressione utilizzata nella tradizione giudaica per l’identificazione dei libri sacri: “sta scritto”. Verso il l’anno 96 (alcuni studiosi però posticipano la stesura di questo scritto all’anno 150), nella Seconda Lettera di Clemente romano ai Corinzi si cita invece il Vangelo di Marco (Mc 11,17) con la medesima formula.
    Ignazio di Antiochia scrisse intorno al 107 alle chiese dell'Asia Minore mentre era trasportato in catene a Roma per essere martirizzato, in una di queste epistole (Ignazio agli Efesini 12,2) è tirata in causa come testimonianza di un uomo degno di fede, l'epistola di Paolo agli Efesini. Nelle epistole di Ignazio sono poi riconoscibili parecchie citazioni da scritti che poi sarebbero confluiti nel NT: dai vangeli "canonici" di Matteo (7 volte), Luca e Giovanni , e da I Corinzi (8 volte), II Corinzi (2 volte), Efesini (2 volte), Colossesi (1 volta), I Tessalonicesi (3 volte), I Timoteo (5 volte), II Timoteo (1 volta), I Pietro (2 volte), Apocalisse (3 volte).
    Policarpo scrisse intorno al 107-108 d.C. una prima (di cui non ci resta che un frammento) ed una seconda lettera ai Filippesi, in quest'ultima egli cita, senza nominarli esplicitamente: i vangeli di Matteo (5 volte), e di Luca (2 volte), Romani (1 volta), I Corinzi (2 volte), II Corinzi (2 volte), Galati (2 volte), II Tessalonicesi (1 volta), I Timoteo (2 volte), II Timoteo (1 volta), Atti (2 volte), I Pietro (7 volte), II Pietro (1 volta), I Giovanni (1 volta), non operando nell'introdurre tali citazioni alcuna distinzioni rispetto a quelle tratte dall'AT.
    Papia di Gerapoli scrisse un trattato "Sulle Parole del Signore" intorno al 130-140 d.C. , di cui alcuni brani sono citati dallo storico della Chiesa Eusebio nel suo scritto dal titolo: "Storia della chiesa". Papia documenta i motivi che spingevano le comunità cristiane del suo tempo a ritenere autorevoli i vangeli di Matteo (la critica però ritiene che Papia non stia discutendo del vangelo che attualmente và sotto il nome di Matteo) e di Marco.
    Giustino Martire scrisse intorno al 150 libri in difesa della fede cristiana. Nello scritto dal titolo "Prima Apologia" cita in modo non esplicito i vangeli dopo averli presentati come: "memorie degli apostoli" (cap.67). Giustino riconosce come autorevole anche l'Apocalisse e l'attribuisce all'apostolo Giovanni.
    Quasi tutti scritti che oggi compongono il NT erano quindi ampiamente diffusi ed apprezzati nella Chiesa tra la fine del I e l’inizio del II secolo, anche se sappiamo con certezza che solo le Lettere di Paolo (ma non sappiamo se tutte o solo una parte di queste), il Vangelo secondo Marco ed il Vangelo secondo Matteo erano considerati alla stregua degli scritti veterotestamentari.
    A questo punto, però, avvenne un fatto che cambiò le carte in tavola: l’avvento del Marcionismo. Come molti già sapranno, Marcione (85 ca – 160 ca.) era un eretico di ispirazione gnostica (mi rifaccio qui alla lettura che del Marcionismo ha fatto H. Jonas, uno dei maggiori studiosi dello gnosticismo), il quale rifiutò in blocco l’AT, il quale a suo avviso conteneva la parola di un Dio “malvagio”, da non confondersi col Dio di Gesù. D’improvviso, quindi, i suoi seguaci si trovarono privi di un Canone di Scritture Sacre (in quanto nessuno ancora aveva definito il Canone del NT). Egli stesso decise di sopperire a questa mancanza, stabilendo una lista di Testi ispirati, una lista molto breve, invero. A suo avviso, infatti erano da considerarsi ispirati esclusivamente il Vangelo di Luca (in una versione ampiamente rimaneggiata) e dieci Lettere di Paolo (furono escluse la I e la II lettera a Timoteo e la Lettera a Tito).
    Come se questo non bastasse, nell’anno 155 un ex-sacerdote pagano convertito al cristianesimo, Montano, iniziò ad insegnare che egli era il Paraclito che Gesù aveva promesso di inviare sulla terra (Gv 14,16; 16,12-13) per rivelare la verità completa ai cristiani. Egli cominciò pertanto a proclamare che le sue parole dovevano essere considerate altrettanto sacre quanto le parole di Gesù, poiché contenenti le nuove rivelazioni promesse da Questi. Scrisse poi alcuni testi, i quali a suo avviso, dovevano essere considerati quali Libri Sacri.
    A questa situazione, la comunità cristiana di Roma fu la prima a reagire, stilando (tra il 170 e il 190) una prima lista di testi onde fissare un Canone di scritti propriamente cristiani. Questa lista, nota come Canone Muratoriano (da Luigi Muratori, che la scoprì nel 1740 presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano) conteneva 24 libri: tutti gli scritti dell’odierno NT, tranne cinque (la Lettera agli Ebrei, la Lettera di Giacomo, la I e la II Lettara di Pietro e la III Lettera di Giovanni), più due scritti successivamente considerati apocrifi (la Sapienza di Salomone e l’Apocalisse di Pietro).
    Questo primo Canone fu un gran passo avanti, anche se era ritenuto valido esclusivamente dalla Chiesa di Roma. Col passare degli anni, però, anche altre Chiese incominciarono a dotarsi di Canoni propri, i quali, pur se non sempre coincidenti, servirono a porre un freno al diffondersi delle eresie.
    Quali furono i criteri che le autorità ecclesiastiche adottarono per discernere i Libri autentici da quelli che non lo erano? Possiamo dedurre dalle opere posteriori dei Padri della Chiesa che questi furono fondamentalmente tre:
    1) La “conformità della fede”. Era necessario sincerarsi che il contenuto dei Libri coincidesse con quanto si insegnava presso le varie comunità cristiane. Qualunque testo riportasse dottrine in contrasto con la Tradizione in queste tramandata doveva essere necessariamente escluso.
    2) L’”origine apostolica”. I Libri dovevano procedere, per tradizione e per insegnamento della dottrina, direttamente da un apostolo di Gesù o da qualcuno che era stato in stretta relazione con uno o più apostoli, in modo da poter garantire che il loro contenuto risalisse direttamente a Gesù.
    3) L’”uso liturgico continuo”. Quei Libri che da molti anni si leggevano in occasione delle riunioni o delle assemblee liturgiche con sommo profitto spirituale, e che pertanto godevano di un prestigio indiscusso.
    Alla fine del II secolo erano stati accettati come Canonici da tutte le Chiese i quattro Vangeli, le 13 Lettere di Paolo, gli Atti degli Apostoli, la I Lettera di Pietro e la I Lettera di Giovanni. Fu sempre in questo periodo che apparve per la prima volta (ad opera di Tertulliano) la dicitura “Nuovo Testamento”, adoperata per far riferimento all’insieme dei Libri propriamente cristiani considerati senza ombra di dubbio come Parola di Dio.
    Sette Libri continuavano a destare perplessità da parte di alcuni, non sembrando disponessero dei requisiti necessari per poterli considerare effettivamente ispirati. Si trattava dei seguenti:
    1) La Lettera agli Ebrei, che in alcuni paragrafi sembrava negare il perdono per i peccati commessi dopo il battesimo.
    2) La Lettera di Giacomo, perché non dice una sola parola su Gesù Cristo (se non di sfuggita).
    3) La II Lettera di Pietro, perché troppo differente dalla prima attribuita all’apostolo.
    4) La II e la III Lettera di Giovanni, perché si tratta di scritti estremamente brevi, il cui contenuto appariva ad alcuni troppo “insignificante” per poter essere considerato Parola di Dio.
    5) La Lettera di Giuda, poiché cita tre libri apocrifi (Il Testamento dei 12 patriarchi, il Primo Libro di Enoc e l’Assunzione di Mosè), oltretutto decisamente osteggiati dai cristiani.
    6) L’Apocalisse, perché col suo contenuto altamente simbolico e a tratti nebuloso rischiava di condurre i più sprovveduti ad errori di interpretazione, facendoli così deragliare dall’ortodossia.
    Il largo consenso che questi Libri avevano però da sempre goduto nella maggioranza delle Chiese cristiane, indusse, poco a poco, le autorità ad includerli nel Canone del Nuovo Testamento. Nel 235, Ippolito di Roma accettava la II Lettera di Pietro. Nel 240, Origène accettava la Lettera agli Ebrei e l’Apocalisse. Nel 250 Dionisio di Alessandria accetta la II e la III lettera di Giovanni.
    Arriviamo così all’anno 367, quando Attanasio di Alessandria, nella sua Lettera Pasquale 39, per la prima volta elenca come canonici tutti e 27 i Libri del nostro attuale Nuovo Testamento. Tale Canone fu ufficialmente accettato in Occidente nel 382, con il cosiddetto Decreto Gelasiano di Papa Damaso I.
    Tuttavia si trattava di decisioni prese in ambito locale e non dalla Chiesa nel suo complesso. Solo nel 393 un Concilio della Chiesa fissò i 27 libri del Nuovo Testamento. Si trattò del Concilio di Ippona, riunito da Sant’Agostino. Ma la cosa non finì lì, tanto che sempre Sant’Agostino riunì a Cartagine altri due Concili (rispettivamente nel 397 e nel 419) onde ratificare questa decisione.
    Anche questi solenni pronunciamenti ed il consenso della collegialità ecclesiale non dissiparono i dubbi di alcuni. Solo a partire dal VI secolo, infatti, assistiamo alla definitiva accettazione del Canone dei nostri 27 Libri per il Nuovo Testamento.
    Chi ha riunito dunque i Libri del Nuovo Testamento? A nessun individuo in particolare. E’ stata la pratica quotidiana, protrattasi anno dopo anno, delle Chiese locali, certamente ispirate dallo Spirito Santo, ad accettare, a poco a poco, alcuni Libri e a respingerne altri, finché, finalmente, a partire dalla fine del IV secolo, le autorità ne ufficializzarono la raccolta definitiva.
    Quando si prende la Bibbia tra le mani e la si legge come se fosse un libro composto in un’unica modalità, non è possibile nemmeno immaginare le grandi discussioni e polemiche che lungo la storia della Chiesa si svolsero per chiarire quali Libri fossero ispirati da Dio e quali no. Sappiamo che Gesù aveva promesso che lo Spirito avrebbe guidato la Sua Chiesa alla verità tutta intera (Gv 16,13) e fu su questa certezza che la Chiesa seppe di aver in fine raggiunto la verità sul tema dell’ispirazione dei Libri neotestamentari.
    Pertanto, quando oggi ci chiediamo “Perché devo credere che i Libri della Bibbia sono Parola di Dio?”, non possiamo che darci una sola risposta: perché così ha insegnato la Chiesa. Con buona pace di tutti i fautori della Sola Scrittura e di coloro che credono che possa esserci un Cristianesimo senza una Chiesa.

    [Modificato da Trianello 23/08/2006 12.41]


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    Deus non deserit si non deseratur
    Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)

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    :P filippo;)
    Post: 20
    Registrato il: 10/06/2006
    Utente Junior
    00 23/08/2006 12:36
    Grazie Trianello...
    [SM=g27811] [SM=x570892]
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    (Mario70)
    Post: 359
    Registrato il: 17/07/2005
    Utente Senior
    00 23/08/2006 13:48
    per completezza
    Ricordo che qualche mese fa si affrontò l'argomento canone e risposi con le parole sotto riportate (molte delle quali sono uguali a quelle usate da Trianello dal momento che parliamo di storia):

    Intorno alla fine del primo secolo accanto agli scritti dell'AT si associò per i cristiani in maniera naturale un'altra autorità ossia gli insegnamenti di Gesù e i suoi detti raccolti dai suoi apostoli e dai suoi discepoli.
    Già lo scrittore di 2 pietro 3:15,16 considerava ispirate le lettere di Paolo:

    " 15 e considerate che la pazienza del nostro Signore è per la vostra salvezza, come anche il nostro caro fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; 16 e questo egli fa in tutte le sue lettere, in cui tratta di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a
    capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture. ".

    Anche Paolo (o chi per lui) in 1 timoteo 5:18 cita le parole di luca 10:7 introducendole con la frase "poiche dice la scrittura".

    Queste lettere e queste memorie di Gesù circolavano tra le varie chiese di allora le quali le ricopiavano e le trasmettevano alle altre.
    Già nel 150-170 Taziano, allievo di Giustino Martire, compose il Diatessaron, una narrazione della vita di Gesù compilata armonizzando le informazioni degli stessi quattro Vangeli che troviamo nelle Bibbie attuali.
    Questo dimostra che considerava autentici solo quei Vangeli, i quali dovevano essere già in circolazione.
    Verso il 170 fu compilato il più antico catalogo conosciuto dei libri del "Nuovo Testamento", il cosiddetto Frammento Muratoriano, che elenca quasi tutti i libri che fanno parte oggi delle Scritture Greche Cristiane.
    Verso la fine del I sec. Clemente vescovo di Roma conosceva la lettera di Paolo indirizzata alla chiesa di Corinto. Dopo di lui le lettere sia di Ignazio vescovo di Antiochia che di Policarpo vescovo di Smirne, attestano la diffusione delle lettere paoline entro il secondo decennio del II secolo.
    Tutti questi antichi scrittori - Clemente di Roma (30?-100? E.V.), Policarpo (69?-155? E.V.) e Ignazio di Antiochia (fine I e inizio II secolo E.V.) - inclusero nei loro scritti citazioni e brani di vari libri delle Scritture Greche Cristiane, mostrando così di conoscere bene quegli scritti che in seguito furono inclusi nel canone.
    Giustino Martire (morto nel 165 E.V. ca.), nel suo Dialogo con Trifone (XLIX), usa l'espressione "è scritto" nel citare Matteo, così come fanno i Vangeli stessi quando citano le Scritture Ebraiche. La stessa cosa fa una precedente opera anonima, la "Lettera di Barnaba" (IV). Giustino Martire
    nella "I Apologia" (LXVI, LXVII) chiama "vangeli" le "memorie degli Apostoli".
    Teofilo di Antiochia (II secolo E.V.) dichiarò: "Circa la giustizia comandata dalla legge, espressioni di conferma si trovano sia fra i profeti che nei Vangeli, perché tutti parlarono mentre erano ispirati dal medesimo
    Spirito di Dio". Teofilo usa quindi espressioni come 'il Vangelo dice'(citando Mt 5:28, 32, 44, 46; 6:3) e "la parola divina ci dà istruzioni" (citando 1Tm 2:2 e Ro 13:7, 8). - Ad Autolycum (XII, XIII).
    Origene, verso il 230 E.V., accettava fra le Scritture ispirate i libri di Ebrei e Giacomo, entrambi mancanti nel Frammento Muratoriano.
    Sebbene egli indichi che alcuni dubitavano della loro canonicità, questo in effetti conferma che a quel tempo la canonicità della maggior parte delle Scritture
    Greche era riconosciuta, e solo qualcuno dubitava delle epistole meno note e fin qui nessun concilio si tenne per fissare quale fosse il canone autentico.

    In questo periodo non era molto avvertito il bisogno di definire quali scritti fossero ispirati e quali no, questa necessità fu invece avvertita verso la metà del II secolo quando cominciarono a circolare strane idee
    sulla figura del Cristo da parte degli gnostici con a capo Marcione, Montano e Valentino.
    In questo periodo gli gnostici fecero una loro versione del canone che rifletteva ovviamente le dottrine da loro professate, smentite dai "padri apostolici" a loro contemporanei, questa discussione si protrasse fino al IV
    secolo, qui Atanasio, Girolamo e Agostino accettarono le conclusioni degli elenchi precedenti, includendo nel canone gli stessi 27 libri che abbiamo ora.
    E questa è storia, potremmo dire che la storia del canone non è altro che una presa di coscienza delle chiese cristiane nei riguardi della loro fede.



    Riassumendo:
    1) gli autori degli scritti neotestamentari avevano un autorità indiscussa in quanto gia nel primo secolo compilarono quei libri, e cominciarono a circolare nella comunità cristiana primitiva la quale gia li considerava ispirati.
    2) La definizione del canone, cioè dell'elenco dei libri che si considerano ispirati e fanno parte del Nuovo testamento, è la dichiarazione di quali libri il "sensus ecclesiae", cioè i fedeli organicamente considerati e illuminati dallo Spirito, e non la gerarchia cattolica romana, considerava già di fatto come libri sacri.
    Quando il concilio di Cartagine del 397 elencò i 27 libri del NT, esso non riconobbe a quei libri un'autorità che non avessero già, ma offrì una testimonianza che quei libri e non altri formavano il canone del NT.

    3) I padri della chiesa codificarono la tradizione degli apostoli nel canone e stabilirono che da quel punto in poi nessun'altra dottrina sarebbe stata accettata.
    Loro consideravano *solo* il canone come ispirato da Dio e si attennero solo a questo, al contrario della gerarchia papale che ebbe necessità della tradizione extra canonica chiamata "magistero ecclesiastico" per avvalorare le deviazioni nei vari periodi storici seguenti.
    Spero di essere stato esauriente,
    un saluto Mario


    Con questo non voglio continuare una diatriba che ha piu di 800 anni (se prendiamo i valdesi come i primi a far proprio il discorso della "sola scriptura"), anche perchè come visto non si approda a niente, l'ho fatto solo per completezza di opinione.
    Ciao

    [Modificato da (Mario70) 23/08/2006 13.49]


    "Il messaggio è chiaro. Il nostro amore per Geova dev’essere più forte del nostro amore per i familiari che gli divengono sleali.
    Oggi Geova non mette immediatamente a morte quelli che violano le sue leggi.
    Amorevolmente dà loro l’opportunità di pentirsi delle loro opere ingiuste. Ma come si sentirebbe Geova se i genitori di un trasgressore impenitente continuassero a metterLo alla prova frequentando senza necessità il loro figlio disassociato?"(La torre di Guardia 15 luglio 2011 pagine 31)
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    Polymetis
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    00 23/08/2006 15:54
    Faccio anch’io alcune precisazioni al testo di Mario col quale concordo in gran parte:

    “Già lo scrittore di 2 pietro 3:15,16 considerava ispirate le lettere di Paolo:”

    Non è esatto, egli dice che nelle lettere di Paolo ci sono cose difficili da comprendere. Ma la categoria dell’ispirazione non è presente nel testo che citi, sicuramente egli le considerava didattiche, importanti, ortodosse, ma da qui a ispirate ce ne passa. Inoltre sebbene consideri istruttive le lettere di Paolo non ci dice quali siano, è questo che tenne il canone aperto fino al IV secolo, cercare di stabilire sia gli autori sia l’ispirazione tra le lettere che circolavano. Ad esempio la lettera di Giacomo è entrata nel canone verso il 350, quella agli Ebrei avrà un riconoscimento universale anche più tardi, verso il 380.

    “Verso il 170 fu compilato il più antico catalogo conosciuto dei libri del "Nuovo Testamento", il cosiddetto Frammento Muratoriano, che elenca quasi tutti i libri che fanno parte oggi delle Scritture Greche Cristiane.”

    E pure degli altri che oggi sono considerati apocrifi.

    “Giustino Martire (morto nel 165 E.V. ca.), nel suo Dialogo con Trifone (XLIX), usa l'espressione "è scritto" nel citare Matteo, così come fanno i Vangeli stessi quando citano le Scritture Ebraiche.”

    Quest’argomento è stato di recente criticato perché s’è visto che nei Padri venivano introdotti con gegraptai anche gli apocrifi.

    “Origene, verso il 230 E.V., accettava fra le Scritture ispirate i libri di Ebrei e Giacomo, entrambi mancanti nel Frammento Muratoriano.”

    In primis la questione come s’è già ricordato non è cosa facessero i singoli ma cosa facesse l’ecumene cristiana, perché appunto di questo si parla: la transizione dai libri accettati solo a livello provinciale dalle singole ecclesiae sino all’accettazione in tutto l’impero, con comunque sfasature tra Oriente e Occidente. E’ Origine stesso che ci fa una lista dei libri accettati ovunque e invece una lista di quelli discussi e accettati solo da qualcuno. Quelli ritenuti ispirati ubique et ab omnibus sarebbero (i 4 vangeli, le 13 lettere paoline, At, 1 Pt, 1 Gv e Ap), gli scritti discussi (2 Pt, 2 e 3 Gv, Ebr e Gc)

    “Greche era riconosciuta, e solo qualcuno dubitava delle epistole meno note e fin qui nessun concilio si tenne per fissare quale fosse il canone autentico.”

    Ciò è ovvio, per la banale ragione che non era sentito come un problema che le singole comunità non avessero gli stessi libri, la fonte dell’ortodossia non era in primis la Scrittura ma la Traditio. I Concili stessi poi non arrivano per inventare ma per confermare dogmaticamente un accordo cui è già giusta la Chiesa.

    “In questo periodo non era molto avvertito il bisogno di definire quali scritti fossero ispirati e quali no, questa necessità fu invece avvertita verso la metà del II secolo quando cominciarono a circolare strane idee
    sulla figura del Cristo da parte degli gnostici con a capo Marcione, Montano e Valentino.”

    Lo gnosticismo veramente inizia anche prima. Inoltre l’apporto dell’eresia nella formazione del canone come “spinta” è stato ridimensionato dagli ultimi studi su Marcione.

    “qui Atanasio, Girolamo e Agostino accettarono le conclusioni degli elenchi precedenti, includendo nel canone gli stessi 27 libri che abbiamo ora.”

    Il problema è che non c’è nessun elenco precedente ad Atanasio che riporti tutti e soli i 27 libri del NT, manca sempre qualcosa.

    “potremmo dire che la storia del canone non è altro che una presa di coscienza delle chiese cristiane nei riguardi della loro fede.”

    Una presa di coscienza svoltasi in seno alla Chiesa nell’arco di tre secoli ove uno dei criteri per stabilire l’ortodossia di uno scritto era appunto il confronto con la Traditio universale.

    “gli autori degli scritti neotestamentari avevano un autorità indiscussa in quanto gia nel primo secolo compilarono quei libri, e cominciarono a circolare nella comunità cristiana primitiva la quale gia li considerava ispirati.”

    No. Di solito le testimonianze che attribuiscono gli scritti a questo o quell’apostolo sono di fine II secolo, cioè quando si comincia a ritenere che ci siano solo 4 Vangeli, mentre il resto del canone dovrà attendere. Inoltre non c’è una comunità cristiana che li considerava ispirati bensì le singole Chiese che consideravano ispirato questo o quel Vangelo, magari composto per loro o per gente della stessa area, e queste comunità non si davano reciprocamente delle eretiche per la semplice ragione che il Vangelo di x piuttosto che di y era solo un complemento all’insegnamento, ciò che raggruppava nella famiglia cristiana e rendeva possibile definirsi cristiani era l’essere legati ad un vescovo che trasmettesse l’insegnamento degli apostoli.

    “cioè i fedeli organicamente considerati e illuminati dallo Spirito, e non la gerarchia cattolica romana, considerava già di fatto come libri sacri. “

    Che banalità In primis la Chiesa non è la gerarchia cattolica romana ma la gerarchia dell’ecumene, e sono proprio questi vescovi che nel corso dei secoli hanno deciso quali fossero i libri canonici. Inoltre il “considerava già di fatto libri sacri” vorrei proprio sapere dove stia prima del III/IV secolo, epoche in cui nessuno si sognerebbe di dubitare che la Chiesa fosse già gerarchizzata, visto che lo era già nel I secolo (vedasi Ignazio). Come già detto è irrilevante se da una lista di inizio III secolo manchino 3 o 7 libri per raggiungere il fatidico ventisette, resta il fatto che se volete il NT così come lo avete adesso con tutti e soli i libri dovete attendere il IV secolo. Se volete dirmi a quale comunità di quale secolo precedente vorreste appellarvi potrò subito dirvi quali libri buttar fuori dal canone. Ciò ci fa inoltre capire che il criterio per cosa sia cristiana e cosa no non è l’astratto e astorico sola Scriptura, perché il Nuovo Testamento è un prodotto tardo della Chiesa, e nei secoli precedenti la voce dell’ortodossia era la Traditio, non era possibile un confronto con quest’idolo chiamato “Nuovo Testamento”, con questo e solo questo, perché non c’era.

    “Loro consideravano *solo* il canone come ispirato da Dio e si attennero solo a questo, al contrario della gerarchia papale che ebbe necessità della tradizione extra canonica chiamata "magistero ecclesiastico" per avvalorare le deviazioni nei vari periodi storici seguenti. “

    Sciocchezze, tutti i Padri della Chiesa citati erano ben consapevoli dell’imprescindibilità della traditio apostolica, che poi è stata la fonte per sapere a chi attribuire gli scritti neotestamentari. Agostino stesso dice che non crederebbe a quei libri se non ci fosse la Chiesa a garantirgli che sono davvero ispirati, proprio perché la Chiesa universale uniformò i particolarismi locali. Cerchiamo di discutere da filologi (o almeno chi può farlo lo faccia), senza sparare cliché del più becero fondamentalismo protestante defunto da 50 anni tra gli studiosi di qualunque professione. Lasciamo gli adoratori della lettera e dell’idolo dei 27, convinti che la Bibbia sia caduta rilegata dal cielo e non prodotta da dinamiche ecclesiali, ai loro sogni. Chi è capace di trovarmi un sostenitore del Sola Scriptura prima del IV secolo venga da me affinché lo possa proporre per una laurea honoris causa, giacché tale persona non esiste.

    Ad maiora
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    Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
    Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
    Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
    (Κ. Καβάφης)
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    Polymetis
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    Registrato il: 08/07/2004
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    00 23/08/2006 16:30
    Vorrei chiarire meglio un punto che forse è rimasto oscuro. Se dico che è un discorso insignificante mettersi a dire che nel III secolo c’erano “quasi tutti i libri”, o che a fine II secolo “ne mancavano solo 6 o 7”, come spesso sento, è per le seguenti ragioni.
    Prima dell’unanimità sul canone nel IV secolo c’erano già stati 300 anni di cristianesimo. Orbene chi è seguace del Sola Scriptura ed è convinto che la Parola di Dio sta “tutta lì” e “solo lì” dovrà confrontarsi con gente che s’è detta cristiana per tre secoli e non aveva tutta la parola di Dio. Per il letteralista che ci rifletta è inconcepibile: ma come, erano cristiani, potevano definirsi tali e non avevano tutta la parola di Dio, gli mancavano delle lettere, magari l’Apocalisse, ecc? Potevano definirsi cristiani ed esserlo perché l’insegnamento di Dio gli veniva oltre che dai libri che avevano dalla comune Traditio apostolica che tutti possedevano e si tramandavano, ed era l’essere inscritti in questa continuità a garantire l’ortodossia e a distinguere dagli eretici. Gente come Ireneo, vissuta secoli prima della formazione del canone, viveva benissimo senza molti dei libri che noi oggi consideriamo irrinunciabili perché in essi c’è quello che anche la Traditio insegnava. Il criterio d’ortodossia per il cristiano non era il fantomatico “tutto e solo il NT”, perché non esisteva il NT, esistevano raccolte di libri che variavano da comunità a comunità. Per questo è un’assurdità dire che i Padri della Chiesa consideravano ispirato solo il canone, più che assurdo è ignoranza di una molteplicità di testi in cui i Padri della Chiesa si richiamano alla Traditio apostolica. E come poteva essere diversamente visto che il canone non esisteva bensì esistevano solo delle raccolte che variavano geograficamente a seconda della comunità e diacronicamente a seconda dei tempi? E come già detto è inutile ricordare che il nucleo era più o meno lo stesso, perché un protestante di oggi non esiste se gli tolgono ad esempio 5 o 2 libri del Nuovo Testamento, eppure s’è vissuti per tre secoli così, da qui l’assurdità di considerare che la parola di Dio sia “tutta solo lì”, o peggio, che i Padri basassero le loro dottrine e il loro essere cristiani su un inesistente Sola Scriptura.

    Ad maiora
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    Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
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    Achille Lorenzi
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    00 23/08/2006 20:34
    (Mario70) ha scritto:

    Ricordo che qualche mese fa si affrontò l'argomento canone e risposi con le parole sotto riportate...

    Non mi ricordo di questo tuo intervento.
    Ho comunque notato che questo messaggio è composto in gran parte di informazioni che sono state copiate da pubblicazioni della WTS:
    *** it-1 p. 415 Canone ***

    "verso la fine del I sec., Clemente vescovo di Roma conosceva la lettera di Paolo indirizzata alla chiesa di Corinto. Dopo di lui le lettere sia di Ignazio vescovo di Antiochia che di Policarpo vescovo di Smirne attestano la diffusione delle lettere paoline entro il secondo decennio del II secolo". (The International Standard Bible Encyclopedia, a cura di G. W. Bromiley, 1979, vol. 1, p. 603) Tutti questi antichi scrittori - Clemente di Roma (30?-100? E.V.), Policarpo (69?-155? E.V.) e Ignazio di Antiochia (fine I e inizio II secolo E.V.) - inclusero nei loro scritti citazioni e brani di vari libri delle Scritture Greche Cristiane, mostrando così di conoscere bene quegli scritti canonici.

    Giustino Martire (morto nel 165 E.V. ca.), nel suo Dialogo con Trifone (XLIX), usa l'espressione "è scritto" nel citare Matteo, così come fanno i Vangeli stessi quando citano le Scritture Ebraiche. La stessa cosa fa una precedente opera anonima, la "Lettera di Barnaba" (IV). Giustino Martire nella "I Apologia" (LXVI, LXVII) chiama "vangeli" le "memorie degli Apostoli".

    Teofilo di Antiochia (II secolo E.V.) dichiarò: "Circa la giustizia comandata dalla legge, espressioni di conferma si trovano sia fra i profeti che nei Vangeli, perché tutti parlarono mentre erano ispirati dal medesimo Spirito di Dio". Teofilo usa quindi espressioni come 'il Vangelo dice' (citando Mt 5:28, 32, 44, 46; 6:3) e "la parola divina ci dà istruzioni" (citando 1Tm 2:2 e Ro 13:7, 8). - Ad Autolycum (XII, XIII).
    ...
    Ricordo che quando si copia/incolla è doveroso - ed obbligatorio, dal punto di vista legale - citare sempre le fonti.

    Saluti
    Achille
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    Polymetis
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    00 23/08/2006 21:51
    Volevo aggiungere qualcosa sul problema del "sta scritto", è vero che in genere introduce libri canonici ma è attestato anche come formula per introdurre citazioni dagli apocrifi, o comunque per introdurre deuterocanonici vetero-testamentari da parte di autori che però li consideravo apocrifi.
    Ecco la lista:

    Gregorio di Nazianzo, Or. 29,16 s; 45,15
    Erma, Vis. 2,3,4
    Origene, Hom. in Lc. 3
    Cipriano, Ep. 73(74), 9
    Ireneo, Haer. 4,20,2
    Cirillo, Catech. 9,2; 9,16; 11,19; 22,8
    Gerolamo, Pelag. 1,3; Ep. 58,1; 75,2; 66,5; 77,4; Adv. Iovinianum 2,3

    Questo ovviamente non toglie il fatto che solitamente "gegraptai" è una formula di canonicità.

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    Trianello
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    00 24/08/2006 01:09
    Ovviamente, la mia non voleva essere un’esposizione esaustiva: alla materia sono stati dedicati volumi di centinaia di pagine i quali, a loro volta, non pretendono di essere esaustivi. Mi sono limitato a dare alcune indicazioni storiche onde evidenziare come fino al IV secolo non ci fosse un Canone del Nuovo Testamento (pur essendoci dei Cristiani) e come il Canone stesso sia “opera” di quella Chiesa apostolica, gerarchicamente organizzata, dalla quale i fautori della Sola Scrittura via via si sono successivamente staccati. Il mio intento era quello di mostrare, come ho accennato alla fine del mio primo intervento, come sia assolutamente inconsistente la posizione di chi nega il valore di quella Tradizione di cui la Scrittura stessa non è che una parte e di chi pensa che possa esserci un cristianesimo senza la Chiesa.
    In effetti non ho menzionato il caso di I Tm 5,18 in cui oltre a Dt 19,15 viene citata una massima che conosciamo anche tramite Lc 10,7 preceduta dalla dicitura “Dice infatti la scrittura” perché il Vangelo in oggetto non viene esplicitamente citato, per cui non c’è la certezza che l’autore sacro conoscesse questo specifico testo (il detto di Gesù in questione poteva essergli noto per altra via) e che quindi considerasse come Scrittura proprio l'opera lucana. Non ho nemmeno menzionato Ireneo di Lione col suo “canone” di 20 libri, negli scritti del quale, nella seconda metà del II secolo, troviamo una strenua difesa dei Vangeli canonici contro i vari vangeli di ispirazione gnostica che all’epoca spuntavano come funghi. La mia trattazione per sommi capi, infatti, voleva solo essere uno schizzo indicativo delle complesse vicende che condussero la Chiesa, sulla base della Tradizione tramandata nei secoli nelle varie diocesi da vescovo a vescovo e con l’assistenza dello Spirito, a stabilire alla fine quali fossero gli Scritti cristiani effettivamente ispirati.
    Il fatto che la maggior parte degli Scritti poi considerati effettivamente ispirati fossero ampiamente usati dalle varie Chiese fin dagli inizi del II secolo non deve condurci fuori strada, del resto uno dei criteri grazie al quale la Chiesa ha potuto discernere gli i Libri ispirati da quelli che non lo erano è stato, come del resto ho indicato nel mio post precedente, proprio “l’uso liturgico continuo” che di questi era da sempre stato fatto. Quello che volevo mettere in evidenza, invece, è che fino alla lista stilata nel 367 da Atanasio nessuno aveva mai citato come canonici i 27 libri del nostro attuale NT e come ci vollero poi ancora parecchi decenni (se non secoli) perché questa stessa lista fosse accettata da tutta la cristianità ortodossa. La Chiesa ha faticato quattro secoli per mettere insieme il Nuovo Testamento e questo è un “dono” che la Chiesa ci porge, un dono che non possiamo accettare se non riconosciamo quella medesima Chiesa come il Corpo Spirituale di Cristo e la validità di quella Tradizione attraverso cui questa ha DA SEMPRE trasmesso, di generazione in generazione, la buona novella di Cristo.

    [Modificato da Trianello 24/08/2006 9.28]

    [Modificato da Polymetis 24/08/2006 14.25]


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    Deus non deserit si non deseratur
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    (Mario70)
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    00 24/08/2006 11:49
    Re:

    Scritto da: Achille Lorenzi 23/08/2006 20.34
    (Mario70) ha scritto:

    Ricordo che qualche mese fa si affrontò l'argomento canone e risposi con le parole sotto riportate...

    Non mi ricordo di questo tuo intervento.
    Ho comunque notato che questo messaggio è composto in gran parte di informazioni che sono state copiate da pubblicazioni della WTS:
    *** it-1 p. 415 Canone ***

    "verso la fine del I sec., Clemente vescovo di Roma conosceva la lettera di Paolo indirizzata alla chiesa di Corinto. Dopo di lui le lettere sia di Ignazio vescovo di Antiochia che di Policarpo vescovo di Smirne attestano la diffusione delle lettere paoline entro il secondo decennio del II secolo". (The International Standard Bible Encyclopedia, a cura di G. W. Bromiley, 1979, vol. 1, p. 603) Tutti questi antichi scrittori - Clemente di Roma (30?-100? E.V.), Policarpo (69?-155? E.V.) e Ignazio di Antiochia (fine I e inizio II secolo E.V.) - inclusero nei loro scritti citazioni e brani di vari libri delle Scritture Greche Cristiane, mostrando così di conoscere bene quegli scritti canonici.

    Giustino Martire (morto nel 165 E.V. ca.), nel suo Dialogo con Trifone (XLIX), usa l'espressione "è scritto" nel citare Matteo, così come fanno i Vangeli stessi quando citano le Scritture Ebraiche. La stessa cosa fa una precedente opera anonima, la "Lettera di Barnaba" (IV). Giustino Martire nella "I Apologia" (LXVI, LXVII) chiama "vangeli" le "memorie degli Apostoli".

    Teofilo di Antiochia (II secolo E.V.) dichiarò: "Circa la giustizia comandata dalla legge, espressioni di conferma si trovano sia fra i profeti che nei Vangeli, perché tutti parlarono mentre erano ispirati dal medesimo Spirito di Dio". Teofilo usa quindi espressioni come 'il Vangelo dice' (citando Mt 5:28, 32, 44, 46; 6:3) e "la parola divina ci dà istruzioni" (citando 1Tm 2:2 e Ro 13:7, 8). - Ad Autolycum (XII, XIII).
    ...
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    Saluti
    Achille


    Hai ragione Achille questa parte era presa da perspicacia, ma non me lo ricordavo essendo passati mesi da quando feci questa conversazione...

    freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=47801&idd=...

    post numero 182
    ciao caro

    "Il messaggio è chiaro. Il nostro amore per Geova dev’essere più forte del nostro amore per i familiari che gli divengono sleali.
    Oggi Geova non mette immediatamente a morte quelli che violano le sue leggi.
    Amorevolmente dà loro l’opportunità di pentirsi delle loro opere ingiuste. Ma come si sentirebbe Geova se i genitori di un trasgressore impenitente continuassero a metterLo alla prova frequentando senza necessità il loro figlio disassociato?"(La torre di Guardia 15 luglio 2011 pagine 31)
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    berescitte
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    00 05/09/2006 16:18
    una sottolineatura

    Come ha ricordato Poly, nei primi secoli non erano tanto importanti gli scritti, ai fini della uniformità del credere, ma la Traditio, perché era su quella base che si giudicava la validità (e si sarebbe giudicato ultimamente) degli scritti.
    Ciò spiega anche - è la sottolineatura - la pratica tranquillità della circolazione del similoro (futuri apocrifi) in mezzo ai preziosi autentuci (futuri canonici), potendo i primi essere utilizzati sia a livello morale che esortativo/efidicatorio, tranquilli che in caso di devianza dalla retta dottrina gli Epìscopi avrebbero corretto ogni devianza (come del resto accade ora tra il popolo che tira avanti liberamente retta dottrina e superstizione. Cosa che avviene a livello popolare e non sul Catechismo Ufficiale).

    Se già non esiste sarà utilissimo se un domani qualcuno raccoglierà il quantum di retta dottrina che era contenuta nei vari apocrifi, sfrondandola dalle fantasie, e mostrerà quindi la loro utilità e il perché non venissero subito espunti nella catechesi cristiana da un "Canone" che era ancora in formazione ed esisteva non come libri ma come "pensiero del Signore" o "summa della dottrina rivelata da Cristo" nella mente dei pastori e dell'ecumene cristiana.
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    est modus in rebus
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    Trianello
    Post: 936
    Registrato il: 23/01/2006
    Utente Senior
    00 08/09/2006 11:49
    Inserisco un importante riferimento bibliografico relativo alla materia in oggetto:

    Bruce M. Metzger, Il Canone del Nuovo Testamento. Origine, sviluppo e significato. Paideia; Brescia; 1997

    Si tratta decisamente dell’opera più esauriente oggi in circolazione.

    Sulla formazione del Canone Neotestamentario, si veda anche questo interessante articolo di Clementina Mazzucco e Andrea Nicolotti reperibile qui:

    www.christianismus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=2...

    Buona lettura.

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    Trianello
    Post: 1.197
    Registrato il: 23/01/2006
    Utente Veteran
    00 28/10/2006 06:30
    Per chi conosce l’inglese, segnalo la voce “Canon of the New Testament” della Catholic Encyclopedia, disponibile qui:

    www.newadvent.org/cathen/03274a.htm

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