Amico Polymetis che sorpresa!
Non nascondo la mia gioia.
CERTA-MENTE
POL: Ryle è un’antidualista, la sua critica a Cartesio discende solo da questo: la coscienza secondo il filosofo non è altro che la consapevolezza di certe attività od operazioni, ed in questo caso non è esente da errori. Io invece sostengo che alcune verità sono immediatamente intuibili, e non vedo come un ipse dixit potrebbe smentirmi.
RIC: Non discende certo solo da questo: il fatto che per Ryle la coscienza non sia più il supremo tribunale della verità dipende dal fatto che una intera concezione del linguaggio viene smontata pezzo per pezzo. Si tratta della concezione “ideazionale” del linguaggio, quella concezione che accomuna in una sola famiglia quasi tutti i pensatori moderni a partire da Cartesio, per cui pensiero e mondo sono due universi paralleli e speculari, retti dalle stesse regole razionali.
Sensazioni, impressioni, idee, mente, coscienza, oggetto, soggetto ecc.: tutti accettano questo vocabolario filosofico e questo idealismo di corrispondenze.
Con Wittgenstein questo paradigma crolla. Crolla per il postulato della relatività linguistica (inteso come
terminus ad quem, non come
terminus a quo), per cui una regola non può spiegare se stessa attraverso se stessa (ineffabilità della semantica).
Ma crolla anche perché l’orizzonte delle funzioni degli atti linguistici si allarga.
Perciò ti direi che neanche Ryle nega la possibilità di intuire ciò che è vero. La possibilità di distinguere il vero dal falso (che avviene intuitivamente, nel senso ordinario del termine) tuttavia presuppone delle regole implicite. Dentro queste regole si gioca la partita del vero e del falso.
Ci sono poi delle certezze che sono sempre presupposte, e che rendono possibile questa partita.
Fuori da queste regole il motore del linguaggio “gira a vuoto”, perciò si parla di qualche cosa che non si può “verificare” o “provare”, propriamente parlando.
RIC:Ci sono delle certezze indubitabili che sono tali non perchè sono evidenti, ma perchè sono la condizione indispensabile di ogni possibile discorso. In quanto tali, sono fuori discussione, e dunque fuor di dubbio”.
POL: E’ quello che ti dicevo citandoti l’elenchos aristotelico.
RIC: No. C’è un problema di termini e di prospettive. Queste certezze non sono fondate metafisicamente, e non sono autoevidenti nel senso mentalista in cui le intende Cartesio.
Sono dei termini che accettiamo come condizioni indispensabili per pensare, imparare, parlare, credere, agire ecc. (gli assunti del tipo “A=A”, “Questa è la mia mano” o “La terra è rotonda”, stanno sullo stesso piano, svolgono la stessa funzione).
E'TUTTO VERO?!?!
RIC: "Tutto è vero" è un non senso”
POL: E perché mai?
RIC: Perché non esprime alcuna possibilità di essere vera o falsa. E’ come dire “il cane miagola”.
Se io dicessi “questo cane miagola” allora il discorso cambierebbe (e tu, da buon amico quale sei, potresti portarmi dal solito psichiatra…)
In questo senso tu la scambi per una proposizione empirica.
POL: No, nella sua auto-confutazione non mi risulta d’aver fatto ricorso ad alcun dato fenomenico.
RIC: Voglio dire che attribuisci ad essa una precisa funzione, che invece io riservo alle proposizioni che si riferiscono a delle possibilità.
CLASSICI INTRAMONTABILI
RIC:Il realismo tomistico non è mai stato scalfito negli ultimi cinque secoli.
POL: Considerato che io non sono tomista la cosa non mi tocca.
RIC: Mumble mumble… lo dicevo io che di platonici telematici ce n’erano due… e dunque : a quali lidi filosofici sei approdato, amico Odisseo internauta?
IMMANUEL
POL: Kant presume di aver trovato delle antinomie non risolvibili, il problema è se questo sia un limite suo o della metafisica. Se alla fine processo a suo avviso si può argomentare sia a favore di una posizione A sia a favore di una posizione B forse l’errore sta nel suo procedimento e non nella metafisica in sé.
RIC: Si dà il caso che il suo procedimento abbia superato il vaglio della critica, piccolo fondamentale dettaglio.
Certo resta il paradosso della ragione che processa se stessa (ritorniamo alla coscienza fosforescente di Cartesio) a cui i nostri contemporanei hanno risposto essenzialmente in due modi: con la svolta linguistica e con la svolta ontologica.
LUDWIG
RIC: Se Wittgenstein parte da un paradigma verificazionista…
POL: Che è fuori moda da quarant’anni e da lui stesso fu abbandonato nell’ultima fase della sua vita.
RIC: Che sia fuori moda, detto da te, non so quanto importi (OVVIAMENTE è UN COMPLIMENTO).
...Comunque, [la questione era] non tra parole e cose, ma tra logica e fatti.
POL: Su questo hai ragione. Dicevo comunque che lo stesso Wittgestein nella sua II fase ha abbandonato il verificazionismo del circolo di Vienna sostenendo che il criterio di significanza degli enunciati consiste nel rispetto delle regole del gioco linguistico in cui vengo usati. Ha senso dunque parlare di Dio in un contesto di fede ma non di fisica. (Se poi Dio esuli dalla fisica è un altro punto da dibattere).
RIC: C’è in effetti una scuola di filosofi della religione di matrice wittgensteiniana.
Io non direi tanto in un contesto di fede… o perlomeno non nel contesto dualistico “idealista” di fede come “altra” rispetto alla ragione.
Tuttavia la differenza di contesti (di giochi) ci invita a tener presente che gli enunciati della fisica funzionano diversamente rispetto a quelli della religione.
“Provare” o “dedurre” giocano ruoli diversi nei due ambiti. Questi ruoli non vanno confusi.
MARTIN
RIC : Non so se questo si possa proprio chiamare giocare con le parole
POL: A mio avviso [Heidegger] è un giocoliere delle parole, e non sono l’unico a pensarlo (gli esistenzialisti non mi fulminino per questo!). La filosofia dell’essere di Heidegger, specie quella di Sein und Zeit, non ha mai dimostrato nulla. Un’analisi linguistica può fare a pezzi Heidegger in qualunque momento. Gli pseudo problemi di certa filosofia, ad esempio il “nulla” in Heidegger, sono vuoti giochi di parole senza significato.
RIC: Credo proprio che il suo obiettivo non fossero “dimostrazioni”.
Certo, un’analisi linguistica può fare a pezzi Essere e Tempo, ma può fare a pezzi anche il Teeteto.
KONVINZIONI
POL: Non hai risposto alla mia domanda, se tutto è relativo perché il paradigma che tu dici “degli ultimi quattro secoli” non sarebbe relativo (cioè proprio frutto dei secoli che citi)? Cosa sia questo paradigma poi devi spiegarmelo, perché nel vano tentativo di confutare la metafisica tutti dicono il contrario di coloro che li avevano preceduti. Non puoi mettermi insieme Kant ed Hegel come se appartenessero ad un unico blocco antimetafisico, le loro posizioni non sono tomiste ma sono comunque agli antipodi l’una dell’altra. Ti chiedo dunque qual è il tuo paradigma per rifiutare l’ontologia classica e perché sarebbe vero?
RIC: Ti posso dire semplicemente che la metafisica classica non mi convince?
Ho l’impressione che, presupponendo passin passetto un’insieme di contenuti di pensiero nel suo stesso porsi, svilupparsi e procedere, cerchi con un ragionamento astratto di provare proprio gli assunti precedentemente accolti senza riserve.
In questo senso mi convince di più un pensiero che cerchi di riferirsi ai fenomeni, additando fatti, fornendo esempi, mostrando tanti possibili lati delle questioni.
Mi sento vicino alla fenomenologia critica, al pensiero del secondo Wittgenstein.
Questo per dire su due piedi quello che “mi convince”.
RIC:[Ti chiedevo se] Nei paesi dove l'aborto è proibito, questa pratica è meno frequente...
POL: Visto che è fatto clandestinamente non vedo come sia possibile avere dati attendibili.
RIC: Si possono fare statistiche indicative sensate e realistiche, valutare vari fattori e indicatori sociali.
POL: Ad ogni modo ritorna il problema di prima, perché mai liberalizzare una pratica solo perché tanto la gente la farebbe comunque? Lo stato dovrebbe ergersi a baluardo e non assecondare i desideri dei libertini.
RIC: Intanto cosa dovrebbe fare lo stato lo vediamo tutti quanti insieme.
Premesso questo, la mia personale opinione è che su certe questioni il massimalismo non serve (nel senso che non migliora lo stato dei fatti).
[Dicevamo che]...Resta il problema di far convivere ragioni differenti
POL: Se dicono l’una il contrario dell’altra è evidente che non possono avere ragione contemporaneamente.
RIC: Si, ma resta il problema di farle convivere, che è un problema politico, un problema di fatto. Per questo servono regole di garanzia.
POL: ...Solo la forza del logos.
RIC: Ripeto: nella cornice delle garanzie liberali. Altrimenti arriviamo allo stato etico di Gentile, che poi in pratica era olio di ricino ai disfattisti che non capivano l’ideale (il motivo era proprio: non capivano).
…[Dicevamo anche che]Il normale dibattito perciò non deve scandalizzare nessuno.”
POL: A me non scandalizza il dibattito, mi scandalizza il relativismo etico.
RIC: Credo che nessuno sia relativista, propriamente parlando, in campo etico. Alcuni sono più libertari, altri sono più “spirituali” se mi passi il termine. Alcuni hanno più a cuore la libertà, altri la verità.
Tutti votano.
RIC: ...Concludevamo con una massima "contrattualista.
POL: Contrattualista ma di fondazione divina (Tobia 4,15).
RIC: Si, il che ti fa onore. Io dico anche: fondazione divina che, per causa di forza maggiore (se non mi sbaglio nel caso del cattolicesimo è così), si è aperta alla democrazia e “sopporta” il liberalismo.
A PRESTO
Alex
[Modificato da Ricercasulterzo 28/11/2005 0.12]