00 01/11/2005 00:00
“Se ci fai caso dopo aver elencato i codici ho messo una "e" e poi ho elencato i nuovi testamenti in greco usati come base per le traduzioni”

E come avrei potuto capire che quell’ “e” introduceva delle edizioni critiche? A me sembra un banale passaggio dalla coordinazione per asindeto a quella per polisindeto, infatti dopo aver citato il Textus receptus e l’edizione curata dal Estienne hai aggiunto altri manoscritti. Mi spieghi come un “e” dovrebbe far immaginare al lettore la frase: “adesso sto introducendo dei testi critici fatti da umanisti ”?

“onestamente credo che io stia parlando con persone che queste cose le sappiano gia o no?”

Questo forum è letto da chiunque, si esige chiarezza, giacché per chi non abbia fatto studi classici, (o non si interessi personalmente di filologia), non c’era alcun modo di evincere dal tuo testo che il Textus Receptus non fosse il nome di un altro codice bensì il testo di un umanista olandese; e non so quanti prima di oggi conoscessero la famiglia degli Estienne, venerata tra i filosofi per aver fornito una scansione dei dialoghi platonici.

“Ti ricordo comunque che il WH mette il "me" tra quadre indicando che è un'aggiunta”

I passi spuri vanno in nota, non tra parentesi. Comunque W&H vivono nell’ottocento in piena KJV-egemonia, dopo un secolo di evoluzione nella ricostruzione delle famiglie testualil e edizioni critiche non mettono più il “me” tra parentesi. Il più grande filologo neo-testamentario del XX secolo, B. Metzger, revisore del Nestle-Aland insieme a C.M. Martini, ha classificato il “me” con B, “quasi sicuro”. Perché mai non dovrei fare teologia su una particella che non manca in nessun manoscritto greco prima del V secolo ma solo in un testimone latino contaminato dal testo occidentale (da cui infatti sgorga il codice Beza)? La Vetus Latina, unico testimone prima del V secolo in cui manca il “me”, è un testo talmente era così alterata che ne erano in circolazione tante versioni differenti quanti erano i codici esitenti: “tot enim sunt(sint) exemplaria quot codices, et unusquisque pro arbitrio suo vel addiderit vel subtraxerit quod ei visum est” (Prologi sancti Hieronymi in Biblia Sacra, incipit praefatio in libro Iosue)


“Non so se invocare qualcuno sia sempre esattamente ed ineccepibilmente uguale al pregarlo...”

I TdG dicono la medesima cosa da anni,hai letto le loro pubblicazioni? Abbiamo analizzato e smontato questi sofismi dai secoli dei secoli. Mi spieghi quale sarebbe la differenza? Qual è la definizione di preghiera? Chiedere qualcosa a qualcuno superiore a noi affinché ce la conceda. Qui Stefano cosa fa? Fa una richiesta indirizzandosi a Cristo, Gli chiede di accogliere la sua anima. Cosa cavolo c’entra il verbo che precede? Potrebbe essere anche légô o il verba dicendi più generico di questo pianeta per quanto mi riguarda, non cambierebbe nulla di quello che segue, ossia che in quella frase di Stefano c’è una preghiera rivolta direttamente a Gesù. Se trovaste in un libro la frase: “Dario disse «Signore, fammi andare in paradiso»”, qualcuno sano di mente potrebbe forse pensare che non è una preghiera? Ne dubito, è palese che lo sia, eppure ho usato un banalissimo “dire”, il contenuto tra virgolette poi è identico a quello di Stefano, giacché ho lasciato il “Signore” e ho semplicemente modificato la richiesta, ma sempre di una richiesta si tratta nel caso di Stafano, e dunque di una preghiera giacché rivolta è rivolta ad un essere sovrannaturale.

“Se fosse stata una preghiera senza voler lasciare dubbi avrebbe usato proseukomai”

Il fatto che si possa usare un verbo non implica che non si possa usare un altro verbo, in greco epikaleo è usato tra le altre cose per introdurre preghiere agli dèi, in particolare nell’accezione “invocare gli dèi affinché vedano qualcosa”.

“E comunque non posso pregare Cristo in base a una scrittura dubbia o a un'altra interpretabile, quando decine di volte mi ha insegnato di pregare il padre tramite lui.”

E’ questo che fa l’eresia: sceglie. Eresia viene da haíresis, una parola greca che significa “scelta”, ossia selezionare i versetti che ci vanno bene. Questo sì, questo no. Il tuo ragionamento mi ha ricordato questa peculiarità degli eretici, hai sostenuto infatti “non posso fare questo perché altrove…”, il problema è che quell’altrove non è per nulla in contraddizione con quanto sto sostenendo qui ora, ecco perché l’ortodossia segue la logica dell’et-et, del “sia quel versetto sia quello”, e non la logica dell’ “aut…aut”, o quel versetto o quell’altro.

Ad maiora
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)