se ti converti alla “vera” religione sarai salvo, altrimenti sarai dannato.

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Agabo
00sabato 14 luglio 2007 09:29

"Volere la conversione di qualcuno non è – come alcuni tra voi mi hanno detto - un semplice atto d’amore, ma un gesto intimamente velato da un senso di superiorità. Come a dire: “Io sono nel giusto, tu no. Se segui il mio credo avrai l’anima salva, altrimenti no”. E’ questo il motivo per cui – in buona fede, non lo metto in dubbio! – venivano rapiti i bambini agli ebrei e venivano battezzati per forza. E’ sempre questo il motivo per cui l’islam suddivide – altrettanto in buona fede - il mondo in fedeli e infedeli: coloro i quali possono vivere e coloro i quali, se non si convertono, devono sottostare alla legge della spada. Ed è ancora su questo principio che si regge il fortissimo proselitismo messo in atto dai Testimoni di Geova e dai Mormoni: se ti converti alla “vera” religione sarai salvo, altrimenti sarai dannato."


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liberopensiero.blogosfere.it/2007/07/perche-da-ebrea-dico-no-al-rito-latino-di-benedetto-...

By Agabo.

[Modificato da Agabo 14/07/2007 9.31]

Polymetis
00sabato 14 luglio 2007 13:11
Da parte cattolica il problema della conversione non riguarda la salvezza altrui ma la sua maggior partecipazione alla verità. Come ho già scritto altrove se io penso d’essere nel vero è ovvio che per me sia doveroso pregare per la conversione dei Giudei come di chiunque altro(atei, protestanti, ecc.), perché ritengo che il mio credo sia il bene dell’uomo e dunque voglio filantropicamente che anche gli altri abbiano questo bene. Ma siccome le più grandi disgrazie dell’umanità si sono avute quando qualcuno ha pensato di sapere cosa fosse il bene comune e ha tentato di imporlo, il problema si pone solo quando, oltre che sperare in una conversione, si forza qualcuno ad essa. (Ma nulla di tutto ciò sta nella preghiera)
Per i giudei la cosa è diversa: non fanno proselitismo perché non ci tengono affatto che qualcuno diventi ebreo. Sono il popolo eletto e sono gelosi di questa prerogativa, e siccome tale appartenenza non è necessaria alla salvezza dei gentili(basta seguire la legislazione noachide) si chiedono giustamente perché mai dovrebbero convincere qualcuno a farsi ebreo. Ma per noi cristiani non è così: noi pensiamo che conoscere Cristo sia la cosa migliore che possa capitare a qualcuno, e nessuno può dirci di non pregare per questo.



“Ora il Papa riabilita la preghiera alla conversione dei giudei, non più perfidi”

Mai stati. “Perfidus” in latino medievale vuol dire “senza fede”

“ma comunque ciechi. Mi chiedo se, di questo passo, non arriverà giorno in cui non riabiliterà anche il Limbo e le indulgenze per accorciare le pene del Purgatorio (che poi di questi due “regni” il testo biblico non dica una parola è un semplice dettaglio).”

Veramente le indulgenze nessuno le ha mai abolite. Ma suppongo che la mentalità luterana abbia contaminato anche l’autrice di questa lettera, nello spiacevole malinteso che le indulgenze si paghino.

“un modo cristiano di intendere la fede, non giudico e non chiedo certo a Dio la conversione dei cristiani perché si sono allontanati dalla Legge divina (che pure Gesù stesso rispettava) e pregano di fronte a immagini e a reliquie”

Io credo sbagli. Se crede che sia errato dal punto di vista della legge di Dio dovrebbe sperare e pregare Dio che noi ci ravvediamo.

“E non sono mai riuscita a concepire la devozione ai santi, come non sono mai riuscita a tollerare che si potesse uccidere in nome di Dio”

Ha mai letto il suo libro di Giosuè?

“. Sono venuta a conoscenza, ad esempio, di una sentenza di rabbi Jonathan, contemporaneo di Gesù, riportata nel Talmud (Joma 85b): "Il sabato è nelle vostre mani, come è scritto 'Il sabato è per voi' (Es. 16.29; Ez. 20,12)".”

Questa frase nel contesto rabbinico aveva un significato opposto a quello che l’autrice vuole far sembrare, ma francamente ho fretta.

“Ma ho anche "scoperto" (per me, passo dopo passo, tutto era una grande scoperta) che persino il "discorso della montagna" che io credevo il punto di rottura tra ebraismo e cristianesimo, altro non era se non un brano di dottrina ebraica!”

Non c’è che dire, evidentemente ne sa più del rabbino Neusner che in quel brano invece identifica una rottura radicale.

Ci sarebbe troppo da dire, mi fermo qui. Ho un treno da prendere e non ho molto tempo, torno nella mia Venezia per la festa del Redentore, ci si vede tra un paio di giorni.

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 14/07/2007 13.13]

Topsy
00sabato 14 luglio 2007 15:36
Re:
Scritto da: Agabo 14/07/2007 9.29

"Volere la conversione di qualcuno non è – come alcuni tra voi mi hanno detto - un semplice atto d’amore, ma un gesto intimamente velato da un senso di superiorità. Come a dire: “Io sono nel giusto, tu no. Se segui il mio credo avrai l’anima salva, altrimenti no”. E’ questo il motivo per cui – in buona fede, non lo metto in dubbio! – venivano rapiti i bambini agli ebrei e venivano battezzati per forza. E’ sempre questo il motivo per cui l’islam suddivide – altrettanto in buona fede - il mondo in fedeli e infedeli: coloro i quali possono vivere e coloro i quali, se non si convertono, devono sottostare alla legge della spada. Ed è ancora su questo principio che si regge il fortissimo proselitismo messo in atto dai Testimoni di Geova e dai Mormoni: se ti converti alla “vera” religione sarai salvo, altrimenti sarai dannato."









Quando chiesero nel corso di una intervista al rabbino Elio Toaff : Perchè gli ebrei non vogliono che ci si converta all'ebraismo?
Egli rispose: Perchè noi non vogliamo che il mondo sia tutto di ebrei, noi vogliamo che il mondo sia formato di uomini che credono nel Dio unico, creatore del cielo e della terra. Questa è la missione del popolo ebraico. Tale popolo si dice eletto non perchè sia migliore degli altri, ma perchè è stato scelto per svolgere la missione di portare tutti i popoli a credere nel Dio unico (e non convertire all'ebraismo).

Affermava Dante Lattes in un suo scritto quale fosse l'Idea di Israele, quella dei suoi profeti e dei Farisei: "...la religione non è soltanto una somma di principi dogmatici che possono apparire più originali quanto incomprensibili, inattuabili o inattuati; la religione è eticità in atto, non eticità in principio. L'uomo "capisce" Dio operando.

Popolo "eletto" significa popolo scelto da Dio per esercitare una particolare funzione (sacerdotale): vivere secondo la Torah. Per l'ebreo i precetti costituiscono l'opportunità di santificare le cose di ogni giorno riparando ciò che è rotto e guasto nel mondo, cogliendo l'invito dei Profeti che affrontavano, seguendo la stessa Torah, i problemi della giustizia sociale, dei diritti dei poveri e dei deboli, della condanna dei prepotenti.
Israele è un popolo santo, nel senso di "separato", diverso. Ragionando per categorie ebraiche: Dio ama e promuove la diversità.
Rav Philippe Haddad che insegna pensiero ebraico nel quadro incontri e delle conferenze interreligiose, così scrive: Il "vivere separati" significa salvaguardare i propri valori, non assimilarsi, affrontare la sfida di stabilire la giusta distanza dall'altro affinchè il dialogo non divenga sincretismo o sterile esposizione di discorsi paralleli. Se comprendiamo bene la lezione biblica, quando Dio si rivolge a Israele, attraverso Israele si rivolge all'intera umanità, e allora ogni popolo è chiamato a vivere "separatamente", ossia a essere autenticamente se stesso, a sviluppare il proprio genio, la propria cultura, la propria religione e a condividere poi la sua maniera di essere segno di benedizione.

Dunque, in questo senso ogni popolo è eletto, e per i gentili (non ebrei) invece delle 613 mitzvot ce ne sono sette, numero simbolico in realtà, ed aderire pienamente ai sette precetti noachidi non è un'obiettivo così facile. Attraverso questo concetto , gli ebrei tuttavia riconoscano una comunità di intenti con chi, tra gli altri popoli segue la "propria" rivelazione e mette in atto la propria "elezione", cooperando alla creazione e avvicinando il mondo all'era messianica, lo Shabbat (giorno di riposo e di pace) dell'Umanità.

Shalom
Topsy


[Modificato da Topsy 14/07/2007 17.26]

Trianello
00domenica 15 luglio 2007 05:08

Ma ho anche "scoperto" (per me, passo dopo passo, tutto era una grande scoperta) che persino il "discorso della montagna" che io credevo il punto di rottura tra ebraismo e cristianesimo, altro non era se non un brano di dottrina ebraica!



Voglio rispondere a questa osservazione con alcune delle parole che Rinaldo Fabris (uno dei massimi biblisti italiani) pone a commento di Mc 12,28-34.

[28] Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?".
[29] Gesù rispose: "Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore;
[30] amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.
[31] E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi".
[32] Allora lo scriba gli disse: "Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui;
[33] amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici".
[34] Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: "Non sei lontano dal regno di Dio". E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.



“La novità del vangelo […] non consiste nel proporre l’amore come comandamento principale. Gesù risponde allo scriba dapprima riportando alla lettera la professione di fede del Dio unico; con questa professione di fede detta Shemà (ascolta), dalla prima parola, ogni buon giudeo iniziava la sua giornata. Secondo la concezione biblica la professione di fede nel Dio unico comportava immediatamente un impegno operativo e pratico: l’uomo nella totalità della sua persona ed esistenza è legato a Dio con un patto di obbedienza dedizione e fedeltà. Nella tradizione deuteronosmista, dalla quale è desunto il testo iniziale dello Shemà (Dt 6,4), questo impegno fondamentale è riassunto nella parola “amare”. Ma Gesù di sua iniziativa aggiunge un secondo comando, riportando ancora un testo biblico, posto a conclusione di un antico elenco delle clausole del patto conservato nel Levitino, 19, 1-8: “ama il prossimo tuo come te stesso”.
La novità evangelica non consiste nell’aver allargato l’orizzonte dell’amore del prossimo estendendo il concetto di prossimo ad ogni uomo bisognoso. Questa tensione universalistica era già avviata nell’AT e nel giudaismo. Nel contesto del Levitico al prossimo connazionale era equiparato anche l’immigrato o lo straniero residente (cfr. Lva 19, 33-34).
La novità evangelica forse non consiste neppure nell’intima connessione stabilita tra il comando dell’amore di Dio e quello del prossimo: l’amore di Dio si esprime e si attua nell’amore del prossimo. Questa unità dei due comandamenti viene rimarcata esplicitamente dal commento che lo scriba fa alla risposta di Gesù. Egli non si limita a provocare e a riprendere la risposta, ma fonde insieme l’amore di Dio e del prossimo, dichiarando che questo è assai più di tutti gli olocausti e le offerte. L’ultima espressione è ripresa dal primo libro di Samuele, dove si esaltano la fedeltà e l’obbedienza al di sopra degli atti di culto (cfr. 1 Sm 15,22). Ma è un dato costante nella tradizione profetica e sapienziale l’identificazione della pratica della giustizia e della fedeltà al prossimo con il culto genuino gradito a Dio (cfr. Os 6,6; Is 1,11-17; Am 5,22-24; Pr 21,3; Sir 35,2). […]
La novità evangelica, il lieto annuncio, si ha nella esclamazione finale di Gesù. Essa ha il suo corrispondente nelle sentenze con le quali Gesù saluta il tempo nuovo, la nuova situazione inaugurata dalla sua presenza e azione personale: il regno di Dio è vicino (Mc 1,15). Nell’incontro con Gesù lo scriba non ha trovato semplicemente la conferma autorevole delle istituzioni morali alle quali la sua formazione scolastica e religiosa lo aveva già preparato, ma ha fatto l’esperienza della vicinanza di Dio, del regno vicino, della giustizia di Dio. Amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stesi non è più soltanto una nuova sintesi morale, il comandamento più importante o il principio etico di grado superiore, ma è la nuova possibilità offerta all’uomo qui e ora nell’incontro con colui che rende visibile e accessibile l’amore di Dio. In Gesù amare Dio e il prossimo è un dono, un dinamismo immenso in colui che si apre nella fede.”

Tratto da R. Fabris, Marco, in I Vangeli, pp. 823-825, Cittadella Editrice, Assisi, 2004
Trianello
00domenica 15 luglio 2007 08:02
PS

Da quanto detto sopra, si evincerà anche il perché dell'urgenza per il cristiano di fare proseliti: il cristiano, che è stato toccato dal quel meraviglioso dono che è l'amore di Cristo, amando il suo prossimo, non può che comunicargli tale amore, sperando che questi possa corrisponderlo.
Agabo
00domenica 15 luglio 2007 08:26
Che cos'è un'esperienza?
E' la conoscenza pratica della vita o di una determinata sfera della realtà, acquistata col tempo ...la conoscenza di qualcosa per prova diretta.

Uno potrebbe relegare il tutto nel mondo del soggettivismo: emozioni, sentimenti ..., ma quando si portano esempi di esperienza con dati alla mano, illustrazioni, racconti di vita vissuta, si deve per forza di cose tirare fuori la testa dal soggettivismo e forse anche dal relativismo e prendere in considerazione il modo in cui l' "altro" vive, esperisce, appunto, una data cosa.

Anche per me il messaggio cristiano è il più bello, il più grande che vi sia. Ma gli uomini generalmente osservano il comportamento dei cristiani per provare la genuinità del messaggio del quale si dicono portatori.

Molti grandi personaggi storici moderni non hanno accettato il cristianesimo pu essendo passati alla Storia per gradi cose che hanno compiuto nel campo umanitario, sociale e politico, pur avendo studiato la Bibbia a dato prova di conoscerla profondamente. Un esempio per tutti: Gandhi.

A questo punto, quello che veramente conta non è tanto quello che noi diciamo a un altro riguardo al cristianesimo, ma quello che l'altro ha vista, vissuto, esperito personalmente attraverso il contatto diretto con i cristiani.

Mi chiedo spesso perché un cristiano ad un certo punto si converte all'ebraismo, all'induismo, al buddismo, o diventa mussulmano... non ho la risposta. Non la cerco in me. Dovrei chiederlo a chi ha fatto una simile scelta. Ma rispetto e intimamente comprendo la sua scelta di vita.

Il fatto che in ogni religione vi siano contraddizioni non mi consola perché se il cristianesimo è superiore, se il cristianesimo è la religione rivelata, quella in cui Dio stesso si rivela attraverso gli uomini, la differenza dovrebbe esserci, essere palpabile, concreta, attraente, coinvolgente... [SM=x570866]
By Agabo.
predestinato74
00domenica 15 luglio 2007 10:12
agabo
Mi chiedo spesso perché un cristiano ad un certo punto si converte all'ebraismo, all'induismo, al buddismo, o diventa mussulmano... non ho la risposta. Non la cerco in me. Dovrei chiederlo a chi ha fatto una simile scelta. Ma rispetto e intimamente comprendo la sua scelta di vita.


ognuno verrà giudicato in base a ciò che ha conosciuto ed esperimentato della Verità (e a quanto vi ha corrisposto).
senza togliere il fatto che Dio ci ha donato la Ragione, non per poterci vantare davanti ad un mulo dicendo "io sono più intelligente di te", ma perchè l'usassimo nella ricerca della verità.

non è un optional, ma un dovere grave per ogni uomo ricercare la verità, e trovatola adeguarsi ad essa.(qualsiasi sia il risultato di tale ricerca)

sono anche convinto che quei cristiani che cambiano religione lo facciano per svariati motivi: ignoranza del cristianesimo (vedi quei che diventano tdg, persone che solitamente ignorano le verità più elementari della rivelazione cristiana)
un altro motivo potrebbe essere lo scandalo che allontana le persone e le fa confluire su altre strade.

penso sia molto difficile una volta conosciuto bene il messaggio cristiano e vissutolo, confluire in un altra religione.

grazie al cielo Dio è Amore e giudica ognuno in modo retto.

a noi cristiani il compito di urlare il vangelo sui tetti delle case e viverlo ogni giorno.
[SM=x570889]
Topsy
00domenica 15 luglio 2007 15:52
Che la formula del "ama il prossimo tuo come te stesso", non sia una novità assoluta, perchè essa appare in Levitico 19,18 è cosa nota. Forse lo è meno la circostanza che il Medio Giudiasmo ( quello del II Tempio, per intenderci) è percorso dalla convinzione che vada rintracciata all'interno della Legge un principio unificatore. La salvezza derivava dalla corretta e globale osservanza e applicazione della Legge e la presentazione della Legge in maniera facile ed accessibile si presentava come una necessità!
Il problema era quale fosse il principio che governava tutta la Legge...era certo che la Legge doveva contenere un tale principio che necessariamente andava al di là dei singoli comandamenti e divieti.

Hillel(60 a.c.)riassumerà tutta la Legge in "Non fare ad altri ciò che non vuoi sia fatto a te" (b.Shabbat 31a). Ed è per questa via che si muoverà il pensiero rabbinico sino ai nostri giorni. Affermare che il messaggio di fondo di Gesù costituisca una sorta di "frattura" rispetto alla religiosità del mondo giudaico, potrebbe risultare pericolosamente fuorviante.
Gesù vive profondamente immerso nella cultura del suo tempo,e quanto predica,poggiava saldamente su basi giudiache.Il pensiero che governa Gesù è lo stesso dei suoi contemporanei:riassumere in un solo comando l'intera Legge, e la strada era stata già tracciata da chi lo precedette.
Paolo Sacchi ci espone il suo studio a questo riguardo in maniera assai scorrevole attraverso le sue tante opere. In Apocrifi dell'Antico Testamento, II volume, Edizione TEA, lo studioso tratta del "Testamento di Beniamino". Esso è compreso nei "Testamenti dei dodici patriarchi", una delle opere più interessanti del pensiero "tardo giudaico".
Si tratta di una raccolta in unico libro i testamenti spirituali che i 12 figli di Giacobbe lasciarono in eredità ai loro discendenti. Così lo intese ovviamente l'autore dell'intera opera che era giudeo, e il suo pensiero sul comandamento dell'amore per il prossimo fu tema dominante del pensiero giudaico all'epoca in cui predicò Gesù. L'autore del "Testamento di Beniamino", considera fondamentale, il comandamento dell'amore per il prossimo, e nella sua opera, l'amore per Dio e l'amore per il prossimo coincidono,poichè l'amore per il prossimo non è che l'amore stesso per Dio.

La domanda che ci si pone è: chi è questo prossimo?

Se andiamo più avanti, e seguiamo il discorso presso gli altri 11 "testamenti" raccogliamo le indicazioni più diverse; in alcuni di questi testi si predica l'amore per il prossimo inteso come amore per il compatriota, mentre in altri, l'amore assume connotati universali come quando l'autore dice che l'amore non deve limitarsi agli uomini, ma raggiungere anche gli animali privi di ragione...alle volte ci si imbatte in posizione ben più radicali di quanto detto nei Vangeli.

Tratto dal Testamento di Gad(VI,3-7):
"Ametevi gli uni gli altri di cuore;e se uno pecca contro di te,parlagli di pace,...se poi si pente e confessa,perdonagli.Ma se nega non litigare con lui,lascialo in pace senza convincerlo...se poi è spudorato e insiste nel male,anche in questo caso perdonagli di cuore e lascia la vendetta a Dio".

Gli esegeti sostengono che si insegni esplicitamente l'obbligo del perdono anche nel caso in cui l'offensore non si penta. Qui l'obbligo del perdono pare davvero essere ben più radicale che in Gesù, il quale (Matt XVIII,17)consiglia di considerare chi si comporta in tal modo,alla stregua del pubblicano.

Paolo Sacchi e alla sua scuola che si deve la scoperta di un giudaismo variegato, complesso e vitalissimo all'epoca di Gesù, quando invece lungamente si è creduto l'ebraismo del Secondo Tempio monolitico, anchilosato e povero di nuove ideologie...ma non poteva essere diversamente poichè l'ebraismo si caratterizza per la sua straordinaria capacità di rinnovarsi e rigenerarsi costantemente, mantenendosi contemporaneamente fedele al Patto dell'Alleanza.




La novità evangelica, il lieto annuncio, si ha nella esclamazione finale di Gesù. Essa ha il suo corrispondente nelle sentenze con le quali Gesù saluta il tempo nuovo, la nuova situazione inaugurata dalla sua presenza e azione personale: il regno di Dio è vicino (Mc 1,15).



Queste considerazioni sono perfettamente coerenti con la plurimillenaria dottrina ebraica dell'avvento dell'era messianica in terra. Un regno che inaugura la discesa di Dio in un mondo finalmente redento. Il messianismo ebraico ha posseduto diversi volti, quello più vicino al messianismo cristiano è certamente quello mistico/apocalittico che si "concretizza" con il realizzarsi di un nuovo tempo per la presenza del messia e della sua azione (tikkun = di riparazione). L'idea che Dio scenderà ad abitare con gli uomini presente presso il giudaismo apocalittico, sarà la base della dottrina ripresa e sviluppata dalla corrente cristiana.

Gesù, Abulafia, Shabbetay Tzevi, e di recente il rebbe di Lubavich, ect...sono solo alcuni dei più noti mistici-Messia della tradizione ebraica che diedero spesso origine a veri movimenti di massa offrendo una varietà di modelli impiegati nell'attività di redenzione volta a sconfiggere il male e l'imperfezione del cosmo. E' detto che il cristianesimo produce teologi, mentre l'ebraismo messia. Io ritengo che questi movimenti apportino ricchezza, e che la loro idea abbia fecondato non solo la storia di Israele, ma quella dell'umanità nel suo insieme. Da ebrea non posso che esserne lieta, perchè tutto ciò riflette quell'invito rivolto a tutte le nazioni di condividere la propria maniera di essere segno di benedizione, seguendo la "propria" rivelazione e mettendo in atto la propia "elezione". Ogni popolo è chiamato a sviluppare e dar corpo a questa sua unicità e irripetibilità.


Topsy

[Modificato da Topsy 15/07/2007 18.54]

Polymetis
00domenica 15 luglio 2007 19:34
Per Topsy

“Affermare che il messaggio di fondo di Gesù costituisca una sorta di "frattura" rispetto alla religiosità del mondo giudaico, potrebbe risultare pericolosamente fuorviante.”

Il punto di rottura a mio avviso non è negli insegnamenti ma nella sua stessa persona, ed è quello che Neusner mette in luce nel suo libro “A rabbi talks with Jesus”. Gesù mette se stesso costantemente in mezzo e secondo Neusner pare attribuirsi il potere di incitare a trasgredire i comandamenti della Thorà in virtù della sua pretesa figliolanza divina, si vedano frasi del tipo “il figlio dell’uomo è il Signore del sabato”, impossibili in bocca al giudeo osservante.

“Gli esegeti sostengono che si insegni esplicitamente l'obbligo del perdono anche nel caso in cui l'offensore non si penta. Qui l'obbligo del perdono pare davvero essere ben più radicale che in Gesù, il quale (Matt XVIII,17)consiglia di considerare chi si comporta in tal modo,alla stregua del pubblicano.”

Veramente nessun comandamento cristiano dice che si deve perdonare solo chi si è pentito, anzi spesso il nostro perdono è ciò che mette in atto il suo processo di ravvedimento. Gesù ad esempio perdona i legionari che lo crocifiggono, e nessuno gli aveva chiesto scusa. Il brano che citi non riguarda il perdonare qualcosa o il non perdonarlo, infatti bisogna vedere cosa significa per un cristiano “sia per te come un pagano o un pubblicano”. Gesù infatti aveva insegnato: “se amate solo quelli che vi amano, che merito ne avete? Non fanno così anche i pagani e i pubblicani”? Siccome Dio fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti, e poiché noi vogliamo emulare nostro Padre, il nostro amore va ad entrambi.

Ad maiora
Trianello
00domenica 15 luglio 2007 23:42
Il libro di Neusner è molto citato dal Santo Padre nel suo libro su Gesù.

Sulla dottrina evangelica del perdono, cosiglio di leggere questo breve scritto presente sul mio Sito:

www.esserecattolici.com/modules.php?name=News&file=articl...
Topsy
00lunedì 16 luglio 2007 17:30
Scritto da: Polymetis 15/07/2007 19.34


Il punto di rottura a mio avviso non è negli insegnamenti ma nella sua stessa persona, ed è quello che Neusner mette in luce nel suo libro “A rabbi talks with Jesus”. Gesù mette se stesso costantemente in mezzo e secondo Neusner pare attribuirsi il potere di incitare a trasgredire i comandamenti della Thorà in virtù della sua pretesa figliolanza divina, si vedano frasi del tipo “il figlio dell’uomo è il Signore del sabato”, impossibili in bocca al giudeo osservante.




Conosco il libro, in italiano porta il titolo "Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù".
Ma non vedo una frattura nel fatto che Gesù metta se stesso costantemente in mezzo nel suo insegnamento identificandosi nel messia. Sei a conoscenza dell' affascinante argomento concernente la secolare "tensione" tra Halackàh e Messianismo?
Presso i movimenti apocalittici (e non solo, anche in ambienti più tradizionalisti) vi è l'idea che il messia avrebbe apportato delle "modifiche sostanziali" alla Torah dovuta alla nuova condizione dell'uomo e a quella di un "tempo nuovo". E spesso negli ambienti maggiormente interessati al messianismo mistico/apocalittico/teurgico si svilupparono correnti antinomiste, contrarie alla Legge, delle vere e proprie correnti anarchiche nella casa della Torah, controbilanciate dai rappresentati più autorevoli dell' Halackàh. Due correnti in tensione ma solo in momenti assai delicati della storia di Israele, tra cui va messo in debito conto quella del II Tempio. Tutto ciò ci riconduce sempre in seno all'ebraismo e non al suo esterno.

In realtà, la frattura si è verificata non tanto perchè Gesù avrebbe voluto apportare delle modifiche alla legge di Mosè in quanto messia, quanto piuttosto per la mancata realizzazione dell'idea messianica che, per l'ebraismo si situa irrevocabilmnete alla fine della storia in maniera tangibile, mentre per il cristianeismo si colloca piuttosto nel centro, operando nell'invisibile, e nello spirituale.

L'invito esplicito o meno di Gesù (nel suo ruolo di messia) nel disattendere l'osservanza delle leggi di purità rituale, non era cosa così "scandalosa" da concepire in un ottica messianica, i farisei discutevano anche della circostanza che in epoca messianica l'osservanza di tali norme sarebbe potuta benissimo cessare come del resto sarebbero venuti meno altri precetti. La questione piuttosto è quella che non ve stato alcuna Fine dei Tempi alcuna "Fine della Storia" per come noi la conosciamo, alcun Shabbat dell'Umanità, come annunciato dai Profeti.



Veramente nessun comandamento cristiano dice che si deve perdonare solo chi si è pentito, anzi spesso il nostro perdono è ciò che mette in atto il suo processo di ravvedimento. Gesù ad esempio perdona i legionari che lo crocifiggono, e nessuno gli aveva chiesto scusa.



Gesù chiede a Dio Padre di concedere il perdono ("Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,24). Quando non c'è presa di coscienza della gravità del male compiuto, allora non vi è altra via che confidare nel Dio giusto e misericordioso, la cui misericordia è sovrabbondante. E' insegnato quanto Infinita sia la capacità del Signore di distinguere e perdonare celermente le colpe di coloro che non sono perfettamente consapevoli di aver peccato e tale è il modo di operare dell'Attributo di "Grande nel Gratuitamente Donare".


Il brano che citi non riguarda il perdonare qualcosa o il non perdonarlo, infatti bisogna vedere cosa significa per un cristiano “sia per te come un pagano o un pubblicano”. Gesù infatti aveva insegnato: “se amate solo quelli che vi amano, che merito ne avete? Non fanno così anche i pagani e i pubblicani”? Siccome Dio fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti, e poiché noi vogliamo emulare nostro Padre, il nostro amore va ad entrambi.





Non lo cito io, ma Sacchi e la sua scuola. Le massime gesuane, come alcuni testi dell'AT e del NT, non sfuggano certo all'esame attento degli esegeti che ne mettono in evidenza di volta in volta, la durezza, la severità, la crudezza ed ora, la profonda sensibilità. Non vi è ombra di dubbio che le Scritture registrino il concetto di retribuzione divina, ma anche la critica di una tale concezione; e tornano ripetutamente ad insitere sulla libertà di un Dio inefferabile che proclama: " ...farò grazia e avrò pietà di chi vorrò aver pietà" (Esodo 33,19 ripreso in Romani 9,15). Anche se gli autori dell'AT e del NT cercano di rendere comprensibile Dio e il suo operare, essi conoscevano anche molto bene i pericoli di tale procedimento, e ... sono stati abili a mettersi al riparo.


Shalom a te!
Topsy
Polymetis
00lunedì 16 luglio 2007 18:33
Mi chiedo però se queste correnti che tu citi e che avrebbero voluto l’anarchia della Thorà siano ebraiche quanto i TdG sono cristiani, cioè non lo siano affatto. C’è decisamente un limite oltrepassato il quale ti trovi al di fuori di ciò che con la comune definizione tutt gli altri indicano. A me non sembra particolarmente ebraico che un tale uomo si definisca “Signore del Sabato”, mi sembra che solo Dio potrebbe dire una cosa simile. Non sapevo però che per alcune correnti il messia avrebbe potuto anche cambiare la Thorà, ad esempio Gesù pretende di cambiare la legislazione mosaica sul ripudio, ma al contempo dice di non voler cambiare alcunché, evidentemente nella convinzione che l’essenza della Thorà stesse in altro. Oso poi interpretare l’idea di alcuni farisei che tu citi, secondo i quali con l’avvento del messia avrebbe potuto anche porre fine all’osservanza dei precetti, con ciò che secondo i cristiani è effettivamente avvenuto con Gesù sulla croce, quando disse “tutto è compiuto”, aprendo una nuova fase della storia. La differenza, come tu stesso hai ricordato, è la tangibilità del regno di Dio che nella prospettiva cristiana in realtà ha avuto il suo avvento con la venuta di Cristo, ma in una forma spiritualizzata e ben lontana da quella che per me è invece un’ingenua trasfigurazione dei bisogni umani, cioè una sorta di restaurazione paradisiaca. Certo nessuno può dire cosa avverrà in un’eventuale restaurazione della comunione tra uomo e Dio, ma non riesco a figurarmelo a suon di frutta fresca e arcobaleni. Più mi documento sull’ebraismo del II tempio e più il cristianesimo mi sembra il compimento dei fervori che circolavano, di quelle idee, sebbene sotto una luce inaspettata, una luce che mostra quando era stato predetto dalle speranze umane e che Dio ha saputo far suo, in altra chiave.

Ad maiora
Topsy
00mercoledì 18 luglio 2007 01:04
Scritto da: Polymetis 16/07/2007 18.33

Mi chiedo però se queste correnti che tu citi e che avrebbero voluto l’anarchia della Thorà siano ebraiche quanto i TdG sono cristiani, cioè non lo siano affatto. C’è decisamente un limite oltrepassato il quale ti trovi al di fuori di ciò che con la comune definizione tutti gli altri indicano.




Cercherò di illustrarlo in sintesi.
1)La nozione di messianismo ha preso forma nel periodo dei profeti e si è cristallizata come reazione alla situazione dell'esilio nei tempi post-biblici. Nei testi biblici le allusioni all'attesa del Messia sono molto evasive. E' cmq doveroso precisare che, la preoccupazione fondamentale dell'escatologia profetica verte sia sul futuro di Israele che sulla salvezza della nazione ebraica. La salvezza dell'umanità non viene persa mai di vista (la dimensione universale dei testi profetici è evidente), ma sbiadisce di fronte all'urgenza dei problemi immediati posti dalla perdita di indipendenza, della distruzione del Tempio e della perdità delle strutture etiche, religiose e culturali dell'identità nazionale. Per cui fino a che l'idea messianica manterrà con intensità variabile i due fattori (Israele e l'Umanità) che la compongono, meriterà l'attributo di messianismo ebraico. Se uno dovesse diventare così fondamentale da scalzare totalmente l'altro, alla lasceremo il contesto specificamente ebraico che non è mai stato nè una religione, nè una storia, ma tutte e due le cose indissolubilmente insieme.


2)In seno all'ebraismo, anche in quello rabbinico, convivono attivamente anche due tipi di forze:
conservative, ovvero, forze che mirano alla difesa di un'esistenza costantemente minacciata dai contesti storici, forze che operano ed hanno operato con continuità ed efficacia nell'ambito della Legge (Halackah);
utopiche, ovvero forze nutrite dall'ispirazione utopica del futuro, correnti che guardano ad uno stato di cose non ancora esistente: l'epoca messianica, sentita in misura variabile ( a secondo del contesto storico), come pronta ad accadere in ogni istante. L'apocalittica giudaica fa capo a queste forze. All'interno della tradizione rabbinica si è sviluppata un'intensa corrente apocalittica che non ha mai cessato di attraversare il mondo ebraico già in epoca immediatamente successiva al I d.C , ed è andato a confluire negli scritti talmudici e aggadici. Vale davvero la pena dare un'occhiatina questo genere di studi concernenti l' apocalittica rabbinica.
L'apocalittica rabbinica con le sue istanze messianiche non poteva che affrontare delle questioni che tuttavia ai maggiori esponenti rabbinici dell'Halackah non preoccupavano minimamente. Per sua natura, il rinnovamento messianico doveva indurre la questione: "Quale sarebbe stato nel Mondo Futuro, la statuto della Torah e dell'Halackah che da essa deriva?". Quanto più grandiose erano pensate le trasformazioni della natura, della storia o le modificazioni della morale umana nel tempo messianico, tanto più significative dovevano rivelarsi le modificazioni concernenti la Legge in quel contesto. Appunto per questo i maestri del Talmud interessati maggiormente al messianismo, questionano sulla abolizione delle norme di purità rituale, del giorno di Yom Kippur, dei i sacrifici di espiazione (ma non quelli di ringraziamento), ect... in tal modo un fattore anarchico irrompe nell'orizzonte, ma produrrà reali tensioni solo nel momento in cui tale istanze produranno, di volta in volta, grandi movimenti di speranza messianica che eserciteranno notevole influenza diretta sugli spiriti ( tra i tanti è sufficente pensare al messia apostata Shabbatai Zevi).

All'ebraismo rabbinico dunque non è estranea la questione del superamento di norme e precetti comandati dalla Torah in epoca messianica, e questa si realizzerà alla Fine dei Tempi, in maniera tangibile, poichè nella concezione ebraica, la redenzione sarà un evento pubblico che si compirà sulla scena della storia, come evento che si produce essenzialmente nel mondo del visibile, vista e mantenuta nella sua prospettiva originaria.





A me non sembra particolarmente ebraico che un tale uomo si definisca “Signore del Sabato”, mi sembra che solo Dio potrebbe dire una cosa simile.




Al momento conosco solo le considerazioni piuttosto divergenti circa la figura superumana del "Figlio dell'Uomo" così come inteso all'epoca del II Tempio. Bisognerebbe tentare di comprendere in che modo Gesù lo intendesse in riferimento a se stesso e cosa intedesse con quella specifica affermazione. Ad esempio, non credo di aver sino ad ora incontrato espressioni ebraiche che qualificano Dio, ovvero l'Onnipotente "Signore dello Shabbat". E sarebbe interessante tentare di comprendere in che senso Gesù, riferendosi a se stesso si proclama "Signore del Sabato".








Non sapevo però che per alcune correnti il messia avrebbe potuto anche cambiare la Thorà, ad esempio Gesù pretende di cambiare la legislazione mosaica sul ripudio, ma al contempo dice di non voler cambiare alcunché, evidentemente nella convinzione che l’essenza della Thorà stesse in altro. Oso poi interpretare l’idea di alcuni farisei che tu citi, secondo i quali con l’avvento del messia avrebbe potuto anche porre fine all’osservanza dei precetti, con ciò che secondo i cristiani è effettivamente avvenuto con Gesù sulla croce, quando disse “tutto è compiuto”, aprendo una nuova fase della storia. La differenza, come tu stesso hai ricordato, è la tangibilità del regno di Dio che nella prospettiva cristiana in realtà ha avuto il suo avvento con la venuta di Cristo, ma in una forma spiritualizzata e ben lontana da quella che per me è invece un’ingenua trasfigurazione dei bisogni umani, cioè una sorta di restaurazione paradisiaca. Certo nessuno può dire cosa avverrà in un’eventuale restaurazione della comunione tra uomo e Dio, ma non riesco a figurarmelo a suon di frutta fresca e arcobaleni. Più mi documento sull’ebraismo del II tempio e più il cristianesimo mi sembra il compimento dei fervori che circolavano, di quelle idee, sebbene sotto una luce inaspettata, una luce che mostra quando era stato predetto dalle speranze umane e che Dio ha saputo far suo, in altra chiave.




Bè, dopotutto non è forse così? Ovvero, non corrisponde forse a realtà che ebraismo e cristianesimo offrono semplicemente risposte diverse alle stesse domande? Ebrei e cristiani sono due risposte diverse agli stessi interrogativi.

Arcobaleni? Frutta fresca? Perchè no?! Dio non ha forse mani, orecchi, un volto, e persino un di dietro... gioca con il Leviatano, siede su di un trono, indossa il tallet e prega!!!^_______^


Materia e spirito, visibile e invisibile, interiorità ed esteriorità, vanno a braccetto, e ciò che per il cristiano è una conquista gloriosa, agli occhi dell'ebreo appare una forma di evasione, una fuga, la liquidazione totale di una delle due faccie della stessa medaglia. I maestri d'Israele hanno disquisito lungamente attorno all'idea messianica proprio perchè i suoi contorni sono volutamente vaghi ed indeterminati: epoca di pace e giustizia sociale, nuovo ordine cosmico che ne inaugura un'altro fuori del tempo, epoca di rinnovamento spirituale/morale...epoca di transazione tra questo mondo e uno che, nessuno occhio ha veduto( nessuno ha veduto ciò che Dio e nessuno altro al di fuori di Lui, opererà per colui che l'attende).

Nel mondo a venire non c'è mangiare nè bere, nè procreazione di figli, nè contrattazioni commerciali, nè invidia , nè odio, nè rivalità ... ma i giusti seggono in trono, la corona in capo e godono lo splendore della Sheckinàh (Ber, 17 a).


Shalom
Topsy

[Modificato da Topsy 18/07/2007 2.11]

berescitte
00mercoledì 18 luglio 2007 03:29

>Nel mondo a venire non c'è mangiare nè bere, nè procreazione di figli, nè contrattazioni commerciali, nè invidia , nè odio, nè rivalità ... ma i giusti seggono in trono, la corona in capo e godono lo splendore della Sheckinàh (Ber, 17 a).

R- Anche qui, si spera, metafora! Altrimenti chi ci salverà (e dico "ci" perché ovviamente io sono uno dei pochissimi giusti [SM=x570867] [SM=g27835] ) dalle emorroidi, dal mal di testa e dalla blefarite? [SM=x570876] [SM=x570897] [SM=x570894]
Topsy
00mercoledì 18 luglio 2007 13:16
Ma certo che ci sarai Bery!!! Dico che ci si incontrerà perchè ovviamente sarai uno dei "tanti" giusti delle Nazioni che "affollerà" il Mondo Futuro ove sono state messe al bando emorroidi ed emicranie ma non sò nulla a proposito della blefarite, per cui nel dubbio, portati gli occhiali da sole da casa ^____^ Io sto pensando seriamente di prenotare quanto meno uno sgabello in seconda fila, magari proprio dietro a te, ma ... per sbirciarci qualcosina, dovresti avere la compiacenza di fare a meno della corona in testa, te ne sarei "eternamente" grata!!!
[SM=x570864] [SM=x570865]


Shalom
Topsy

[Modificato da Topsy 18/07/2007 13.16]

berescitte
00venerdì 20 luglio 2007 12:12
Io, come pensava il grande teologo Balthasar, fautore della salvezza universale, penso che in paradiso ci saremo proprio tutti. E ci faremo risate da matti ricordando tutto questo nostro agitarsi nelle varie religioni.
Comunque stai serena perché io sono fautore anche del "prima le donne (che ritengo tutte regine) e poi i bambini (che ritengo tutti principi e signori dei cuori degli adulti)".
Quindi io starò sicuramente dietro di te e... e ti aliterò sul collo paroline così dolci che neanche immagini. [SM=x570890]
Topsy
00venerdì 20 luglio 2007 13:00
Re:
Scritto da: berescitte 20/07/2007 12.12

Io, come pensava il grande teologo Balthasar, fautore della salvezza universale, penso che in paradiso ci saremo proprio tutti. E ci faremo risate da matti ricordando tutto questo nostro agitarsi nelle varie religioni.
Comunque stai serena perché io sono fautore anche del "prima le donne (che ritengo tutte regine) e poi i bambini (che ritengo tutti principi e signori dei cuori degli adulti)".
Quindi io starò sicuramente dietro di te e... e ti aliterò sul collo paroline così dolci che neanche immagini. [SM=x570890]




^______^ Bery, che ti devo dire?
Quasi mi spiace che nel Mondo Futuro "non ci sarà nè bere, nè mangiare" ... ti avrei certamente passato volentieri il bicchiere del popcorn

Shalom!
Topsy
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