Terri votata a morte
Patibolo nella vetrina del mondo
Giuseppe Anzani
www.avvenire.it
Ha cominciato a morire, la fanno morire, le hanno tolto l'acqua e il nutrimento, muore goccia a goccia nell'agonia prolungata - infinita - della disidratazione, con lo sfacelo del corpo che correda questo protocollo di morte. Un protocollo previsto, descritto, mappato nelle sue crudeli stazioni intermedie, che i medici sanno e che il pudore ci vieta di evocare in chiaro, solo soffocando nella "sedazione" i picchi del tormento deciso.
Terri Schiavo muore così, perché qualcuno non vuole che le sia più data l'acqua e il cibo che lei non può assumere da sé.
Il suo cuore batte, il suo respiro la ossigena, è autonoma nelle sue fondamentali funzioni biologiche, non è legata a una "spina", ma a un sondino gastrico perché non può prendere cibo e acqua con le sue mani. Ha sguardo e cenni, e sorrisi e fonemi, e mentre la scienza investiga le frontiere che distinguono la coscienza non comunicante dal coma e dallo stato vegetativo, nel territorio della disabilità cerebrale, Terri è semplicemente viva e disabile.
E suo padre e sua madre ne intendono lo sguardo e i cenni, il sorriso e le voci, e l'avvocato Barbara Weller ne ha inteso il grido, poco prima dell'annunciato distacco della cannula. Terri Schiavo muore perché alcuni dottori della legge, uno dopo l'altro, e con verdetti alterni ma alfine confluenti nel supremo verdetto che "è legale che muoia" hanno girato il pollice nel verso della morte.
Se ci riuscisse di scrostarci dal cuore per un attimo l'emozione che ci schiaccia, come una pugnalata di crudeltà; se ci desse tregua questo sbigottito dolore, di guardare con occhio freddo dentro i teoremi della giurisdizione di morte, ci piacerebbe meditare i percorsi di quei sillogismi giudiziari, e analizzare se abbiano avuto per posta il senso della vita e della morte, la libertà, il diritto, l'umanesimo, o si sian o infilati a forza nei vicoli che gerarchizzano riesami e ricorsi e controricorsi nel labirinto causidico segnato dalle procedure anteriori (si è giudicato "legalmente"), come un catino per farsi innocenti del sangue prenotato.
Anche più forte è questo pensiero di fronte alla singolarità della legge varata virtuosamente a tappe forzate e notturne dal Senato americano (unanime) e dal Congresso, per salvare l'innocente; ci dà il segno che il valore della vita sormonta i "sistemi", e che la razionalità di ogni schema giuridico convenzionale riposa sulla "copia dal vero" dei diritti che scaturiscono ontologicamente dalla dignità dell'uomo, dalla verità della vita.
Terri Schiavo sta morendo e la legge dice sì alla sua croce, lo ha deciso la legge, lo ha deciso un tribunale, a Terri non è stato chiesto nessun parere.
Noi diventiamo oggi testimoni di una passione senza evangelista. Ma non ce ne andremo da sotto questa croce, nel giorno dell'anno che fa memoria del Venerdì Santo.
Sono gli occhi ad apprendere, tutto il filosofare viene dopo. Sono gli occhi fissati negli occhi dell'agonizzante Terri, che ha sete.
Le stilettate delle ultime ipocrisie sulla morte "sedata" sono un fiele e un aceto di maggior disgusto che l'atroce spicciata. Persino il dibattito sull'eutanasia in questo caso diverrebbe astratto, spiazzato perché Terri è viva e non terminale, è viva per il bicchiere d'acqua e di cibo che le diamo, o invece sta morendo se… Ora viene il tempo di capire che tutta la biblioteca di Babele sulla vita e sulla morte prende senso se dà risposta all'amore o al disamore. Lo shock di questa vicenda è il contatto incandescente con la verità vitale o mortale dell'amore o del disamore per Terri Schiavo. E per ogni altro vivente umano. È l'amore che ci fa vivi, è il disamore che ci fa disertori della vita.
***********************