Tennis e religione

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Achille Lorenzi
00lunedì 19 dicembre 2005 18:22
Da La Stampa di ieri: www.lastampa.it/search/albicerca/ng_articolo.asp?IDarticolo=1206401&sezio...

Nell'articolo si parla anche delle sorelle Williams, tenniste TdG.

TENNIS MEDITAZIONE E SPIRITUALITÀ SONO I SEGRETI DI PARADORN SRICHAPHAN
Il guerriero della racchetta

Sabato 29 novembre l'hanno rapato a zero, vestito con una tunica bianca e issato su un elefante bardato a festa. Riparato da vezzoso ombrellino verdeoro, è sfilato per le strade di Bangkok fino alle porte del tempio buddista Thung Sethi. E' seguita una breve cerimonia di ordinazione, poi il novizio è rimasto sette giorni a meditare fra incensi, sistri tintinnanti e statue panciute. Tutto normale, visto che la grande maggioranza dei maschi thailandesi prima dei 25 anni segue la stessa trafila, considerata di buon auspicio per la famiglia. Se non fosse che il muscoloso monacello è Paradorn Srichaphan, di professione tennista, attuale numero 43 del mondo (ma nel 2003 è stato anche n. 9). I suoi colleghi, nella manciata di giorni che separano una stagione dall'altra, si spalmano esausti su qualche spiaggia esotica. Lui ha preferito recitare mantra inseguendo l'illuminazione. Il suo nome religioso sarà «Maha Viro», forte e coraggioso.

«La meditazione è qualcosa che mi tornerà utile anche nel tennis», ha spiegato il pellegrino del dharma, congiungendo i palmi nel tradizionale gesto del wai (pace, amicizia, accoglienza, perdono) in cui si esibisce a beneficio del pubblico al termine di ogni match. Srichaphan sul campo è un guerriero. Batte prime palle a 210 km orari e si slancia a rete con l'hybris elastica e feroce di un fumetto manga, ma non rinuncia mai al suo cocktail molto thailandese di cortesia e spiritualità. Sorride a tutti, è corretto fino allo sfinimento, e quando alloggia a Londra per i Championships spezza con regolarità legnetti odorosi nel tempietto buddista di Wimbledon Common. «Ci vado ogni due giorni - racconta -. Parlo con un monaco, medito per dieci minuti. E tutto diventa più facile».

Figlio di un ex bancario che un bel giorno ha piantato sportello e distinte per fare di Paradorn e di suo fratello maggiore Tanakorn i Siddharta del tennis, Srichaphan in patria cavalca una popolarità da rock-star. Due anni fa è comparso sulla copertina di Time, volto ideale per lanciare un servizio sui «nuovi eroi» asiatici. Al pranzo di gala per la sua monacazione, a intrattenere gli ospiti che occupavano ben 100 tavoli imbanditi di leccornie cinesi è arrivato Chaiya Mitchai, star delle soap opera thailandesi. Dopo l'interruzione forzata della love story con Tata Young, una Britney Spears sudorientale giudicata di costumi troppo sciolti (papà Chanachai non gradiva), oggi flirta con la top model Odette Henriette Jacqmin.

Il primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra gli ha concesso da tre anni un passaporto diplomatico e lo status di ambasciatore. Sua Altezza Bhumibol Adulyadej, il re di Thailandia, ha voluto incontrarlo in un'udienza privata. Quando un paio di anni fa Srichaphan ha esibito il suo fisicaccio alla Bruce Lee in una dimostrazione di fitness davanti al Palazzo Reale di Bangkok, sono accorsi in 47 mila per vederlo sotto una pioggia battente. Se torna vincitore da un torneo, all'aeroporto lo accolgono con gli elefanti. «Paradorn è la nostra prima icona di livello internazionale che sa attirare le masse», spiega Pana Janviroj, direttore del quotidiano The Nation di Bangkok, ma il diretto interessato ha deciso che scalare le classifiche è un po' come inseguire il Nirvana: occorre allargare l'anima oltre che gonfiare i muscoli e sorridere alle telecamere.

Paradorn non è certo il primo, né il solo divo del tennis che palleggia con l'assoluto. Sania Mirza, la campioncina indiana che fa arrabbiare gli ulema con le sue gonnelline e i piercing all'ombelico, rispetta il Ramadan e prega cinque volte al giorno. Lotta per l'emancipazione femminile (ultimamente alcune sue dichiarazioni sul sesso pre-matrimoniale hanno fatto arricciare altre barbe integraliste), ma si definisce con puntiglio una «buona musulmana». Michael Chang, il cinese di New York, fu battezzato nell'88, l'anno prima di vincere al Roland Garros, e ha sempre sostenuto che la lettura della Bibbia ha cambiato la sua vita. Era convinto di avere come coach l'Altissimo e lo ha dichiarato più volte, attirandosi nutrite ironie e i fischi di pubblici miscredenti, per esempio quello parigino. Le sorellone Williams sono Testimoni di Geova, e forse frequentare con devozione sfilate di moda e set cinematografici è il loro modo di attendere la fine del mondo prossima ventura (oltre che di accelerare la fine della carriera). Andre Agassi è un orgoglioso «born again christian», David Wheaton, n. 12 del mondo nel 1991 e oggi ritirato, si prodiga per la «Fellowship of Christian Athletes», un’organizzazione cristiana con base a Kansas City che dal 1954 si propone di evangelizzare il mondo attraverso lo sport e raccoglie atleti professionisti e dilettanti nel Team Jesus Christ, la squadra di Gesù. Non tutti puntano al proselitismo spicciolo. Aisam Ul Haq Qureshi, il musulmano pakistano che tre anni fa decise di giocare in doppio con l'israeliano Amir Hadad nonostante il parere contrario della sua federazione, la mise giù chiara e laica: «Non è giusto che politica e religione interferiscano con lo sport». Sarebbe d'accordo John Thorneycroft Hartley, il reverendo anglicano che vinse la terza e quarta edizione di Wimbledon (nel 1879 e 1880). La vigilia della sua prima finale Hartley la passò al capezzale di uno dei suoi parrocchiani, nello Yorkshire. Gli somministrò l'estrema unzione alle prime luci dell'alba, quindi tornò al vicariato, agguantò qualche sandwich e cavalcò fino alla stazione di Thirsk, dove saltò sul treno per Londra. A King Cross noleggiò un calesse e durante il tragitto verso Worple Road cambiò il clergyman con il completo bianco da tennis. Poi scese in campo e rifilò un 6-4, 6-4, 6-3 all'irlandese St Legere Gould, che si era riposato per 2 giorni. Dopo una finale persa nell'81, si ritirò nella sua parrocchia di Burneston, dove morì nel 1935, a 86 anni, senza aver mai predicato il verbo su un campo di lawn tennis. Sarebbe stato giudicato unfair, sconveniente e poco sportivo, a quei tempi.
genesis2000
00martedì 20 dicembre 2005 09:30
Come no!? Io sono il Dalai Lama!

williams esemplare

[Modificato da genesis2000 20/12/2005 9.31]

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