Re:
Scritto da: pcerini 27/02/2006 10.46
Cosi' come non si puo' provare con certezza assoluta l'esistenza di Dio,non si puo' provare con certezza assoluta la NON-ESISTENZA di Dio.
Paolo
No, Paolo, non sono d'accordo. Non c'è equivalenza tra le due posizioni poiché la dimostrazione a favore è davvero certa.
Permettimi di notare che lo "assoluta" aggiunto da te a certezza è supefluo. Forse lo usi nel senso di "sicura" ma non serve. Se una cosa è certa vuol dire che la conoscenza che se ne ha risponde alla realtà delle cose. Aggettivi del tipo "assoluto" aiutano solo a confondere le idee o a tirare consensi perché ventilano lo spauracchio, istintivamente repellente, dello "assolutismo" con correlata "presunzione del monopolio della verità" eccetera...
Dunque, dal momento che la storia delle religioni mostra che la percezione dell'esistenza del Creatore è un fatto universale, che precede ogni (diciamola pure presunta) rivelazione da parte Sua, è chiaro che essa deve venir fuori da un procedimento comune della mente umana, oserei dire elementare. Ed infatti si tratta dello stesso tipo di ragionamento che ci permette - anzi ci obbliga! - trovando in una spiaggia ciottoli levigati, conchiglie e sabbia, di non porci alcuna domanda relativa a una qualsiasi intelligenza che abbia causato la presenza di quei prodotti (che possiamo chiamare anche entità, fenomeni, realtà, effetti). Infatti basta il mare con il suo moto ondoso a spiegarne la presenza.
Non così se insieme ad essi trovassimo un orologio. Esso, sarebbe intuitivo, non potrebbe essere spiegato come prodotto del moto ondoso. E sarebbe la sua stessa intima struttura finalistica interna, che dice progettualità per un fine, ordine e intelligenza nelle connessioni, ad obbligarci non dico ad "ipotizzare" poiché è sbagliato definirla ipotesi, ma ad ESIGERE come deduzione obbligata e logica una causa adeguata a produrre quell'effetto. Una causa al minimo intelligente, cioè personale.
Il fatto che non lo si incontri mai vis-à-vis tale Orologiaio non è un motivo sufficiente per escluderne l'esistenza. Se si insiste a volerlo per forza vedere per poter dire che c'è, questo è sufficiente solo a dimostrare che abbiamo poca logica noi e non che difetti di logica chi ne ha affermato l'esistenza senza vederlo.
Ciò è garantito dalla nostra stessa ragione.
Ed è confermato anche dalla rivelazione, laddove Paolo, nella lettera ai Romani, rimprovera chi non ha saputo fare tale procedimento logico.
NON SI PARTE DA SOGNI MA DALLA REALTA'
La forza dimostrativa a favore dell'esistenza di Dio deriva tutta dal punto di partenza, che non è una aspirazione alienante (così che Dio sarebbe un desiderio/sogno/ipotesi immaginifica ipostatizzato e trasformato in realtà dal nostro bisogno di un padre, di sicurezza, di giustizia insoddisfatta, di aspirazione alla beatitudine e ad essere per sempre) ma è la concretezza palpabile della realtà che tutti tocchiamo con mano e che è come se gridasse: io non mi sono prodotta da me! non ho in me né la ragione della mia esistenza poiché sono causata, né la spiegazione del mio ordine intrinseco (pensare al vivente).
Il ricorso dei casualisti al caso non ha assolutamente senso logico perché se si ammette che a forza di tentativi il caso potrebbe innescare i meccanismi dell'ordine ciò sarà sempre possibile solo perché si deve presupporre e perciò ammettere che la natura stessa delle parti componenti il futuro organismo ordinato era già predotata di quei meccanismi.
L'esistenza stessa delle cose nelle loro componenti iniziali (nuclei, particelle, energia) esige la fondazione del proprio essere; prima ancora dell'ordine finalistico che si è come abbarbicato ad ogni loro prodotto futuro.
Per fare un esempio con un numero del lotto che si ostina a non uscire e che ci si illude che più si tenta più la probabilità che esca è grande, diremo che questo sarebbe vero solo se ad ogni tentativo la pallina interessata fosse avvicinata sempre più al foro di uscita, cioè, di nuovo, se il moto delle palline non fosse puramente casuale ma causante, esso cioè causerebbe progressivamente un avvicinamento sempre maggiore ad un certo effetto. Ebbene questo tipo di caso non è più tale, ma finalizzato a... e perciò anch'esso ordine che richiede un'ordinatore.
La materia non se l'è messa in testa lei di creare un centro gravitazionale allorquando una certa quantità di particelle sono abbastanza vicine. E così pure se è vero che ultimamente deriviamo dal toporagno e questo dai primi organismi unicellulari marini, questa splendida evoluzione non è venuta perché sono state le leggi della materia ad inventarsela. le leggi della materia l'hanno semplicemente causata, ma l'invenzione sia della materia/energia che la creazione dello spazio/tempo in cui esse si evolvono e infine le leggi intrinseche che la portano ad essere da caffettiera astronave per endogeno dinamismo, tutto questo non ha origine dalla materia stessa.
E su questa origine dell'inizio di questa realtà non hanno voce in capitolo gli scienziati che sono deputati, per deontologia professionale, solo a studiare le caratteristiche e il funzionamento delle cose che esistono.
Se quegli stessi scienziati, oltre le loro domande a cui si risponde con il metodo scientifico, si pongono anche le domande circa il primo perché dell'essere delle cose, allora essi in quel momento smettono la veste dello scienziato e vestono quella del filosofo.
E la pace sarà fatta solo quando essi, come noi che da filosofi facciamo onore alla scienza, si decideranno a onorare il sapere filosofico facendo onore alle sue regole e non pretendendo di valutarlo con il criterio scientifico che al riguardo è del tutto impertinente e deviante.
Io penso che potrebbero partire da realtà come l'amore, l'intelligenza, la intuizione creativa, la tenacia della volontà... insomma tutto ciò che abbiamo di più propriamente umano e che è di natura spirituale, per iniziare un procedimento di ricerca su una dimensione della realtà a cui la strumentazione e l'esperimento sono del tutto estranei.