Prima ostracizza i genitori, poi si suicida – 1994

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Cerebrale
00mercoledì 28 novembre 2007 21:14
Ho appena letto su un forum francese, nell'ambito di un post che trattava l'ostracismo subito di recente da alcuni giovani Testimoni disassociati in Francia, la traduzione di uno stralcio di un periodico tedesco del gennaio 1994, su una delle tante storie di ostracismo dovuto alla disassociazione.

Questo però è terminato con una tragedia. Se lo riporto qui di seguito, traducendolo dal francese, è perché si riferisce ad un caso di suicidio che sarebbe avvenuto alla Bethel di Roma in quel periodo, dunque interesserebbe anche voi qui del forum italiano di InfoTdGeova:


« Aus Christlicher Verantwortung 1/94 » (Per responsabilità cristiana)
Ernst Ritzmann cita un caso da lui conosciuto.

Una coppia da lui conosciuta aveva abbandonato l'Organizzazione. La figlia, fedele testimone di Geova, ha scritto ai propri genitori una lettera orribile. In precedenza, i genitori avevano voluto spiegare a loro figlia e a suo marito le ragioni del loro allontanamento volontario dall'Organizzazione.
La lettera dei genitori è tornata al mittente con la menzione “lettera rifiutata”. Hanno cercato di rimettersi in contatto una seconda volta, questa volta tramite una terza persona. La risposta fu d'avvero terribile per i genitori.

La figlia, ha citato il Salmo 139:21 come “ragione” del proprio disgusto per i propri genitori, scrivendo:

Cari genitori,
siamo rimasti sorpresi di ricevere una lettera da un mittente da noi sconosciuto. Aprendola, le vostre foto sono cadute tra le nostre mani. Abbiamo così scoperto da dove veniva la lettera. Vogliamo segnalarvi che abbiamo subito strappato la vostra lettera senza neppure leggerla. Così ora è chiaro che non vogliamo più ricevere tali informazioni che sono per noi “veleno”.
Desideriamo indicarvi il nostro punto di vista, citandovi il Salmo 139:21,22:
“21 Non odio io quelli che ti odiano intensamente, o Geova, E non provo nausea per quelli che si rivoltano contro di te?
22 Li odio con odio completo.Mi sono divenuti veri nemici.”
FIRMATO: con la firma della figlia e del genero.

Una tale risposta è una dimostrazione dell'attitudine fondamentalista dei Testimoni di Geova, influenzati da questa Organizzazione. Da loro, “perdono” e “amore” non esistono. La vita in famiglia, al lavoro, nel vicinato e in società è semplicemente impossibile secondo i criteri di questa “Organizzazione che ci ha insegnatole verità preziose che ci distinguono da Babilonia la Grande” (Torre di Guardia del 15 febbraio 2004, pag.17). Che derisione!

La sofferenza dei genitori non era ancora finita. La tempesta è arrivata qualche anno più tardi. A causa dei problemi menzionati, la figlia si è suicidata gettandosi dalla finestra. Lavorava a quel tempo alla filiale dei Testimoni di Geova di Roma. Non ha trovato conforto in loro compagnia né tanto meno nella speranza che gli avevano dato. Eppure, secondo le pretese della Watchtower, faceva parte “del popolo più felice della terra”!


Per chi volesse seguire la cosa in francese, eccovi il link:
temoins-jehovah.forumactif.com/abus-sexuels-et-mauvais-traitements-f6/sortie-du-livre-de-nicolas-jacquette-t...

Vorrei chiedere a coloro che si trovavano a Roma, durante o dopo quel periodo, dunque prima del gennaio 1994, se sono al corrente di questo fatto.

Ho cercato conferma su Internet, ma non ho trovato traccia della rivista tedesca menzionata, né del nome dell'autore dell'articolo. Non vorrei che non fosse verificabile.
Allora se ci sono sul forum alcuni che lavoravano alla Bethel di Roma in quel tempo o in una delle congregazioni vicine e che potrebbe confermare la notizia, sarebbe interessante.
Grazie
.
Achille Lorenzi
00giovedì 29 novembre 2007 05:53
Penso che carlomagno1955 potrà confermare l'accaduto.

Di questa lettera parlo anch'io nel sito Infotdgeova:

...
Non c’è dubbio che i TdG hanno capito molto chiaramente che gli "apostati" sono nemici di Dio e della verità e che quindi meritano di essere odiati. Quest’odio non guarda in faccia nessuno, nemmeno i familiari, come dimostra la seguente lettera, scritta da una zelante sorella (che prestò servizio alla Betel di Roma) ai genitori che avevano "apostatato" dall’organizzazione:
Cari genitori, siamo stati sorpresi di ricevere una lettera da un mittente sconosciuto. Aprendola, ci siamo trovato fra le mani la vostra foto. Abbiamo compreso allora da chi proveniva la lettera. Vi facciamo sapere che l'abbiamo strappata senza leggerla. Sia chiaro che noi non vogliamo più ricevere tali informazioni "avvelenate". Vi facciamo notare che il nostro punto di vista è quello riportato nel Salmo 139, 21 e 22: “Non odio io quelli che ti odiano intensamente, o Geova, E non provo nausea per quelli che si rivoltano contro di te? Li odio con odio completo. Mi sono divenuti veri nemici”.
Ovviamente il fatto che Davide odiasse i "nemici di Dio" non autorizza nessuno ad "usare" le sue parole per insegnare che i cristiani devono odiare delle persone, tanto meno i propri genitori. Non è scritto da nessuna parte nel Vangelo che i cristiani possano odiare chicchessia. Per il cristianesimo bisogna odiare il male ma mai le persone (cfr. Matteo 5:44, 45; Romani 12:9, 17, 19.).

...

Tratto da: www.infotdgeova.it/sanzioni/odiate.php

Achille
Cerebrale
00giovedì 29 novembre 2007 17:09
Re:
Achille Lorenzi, 11/29/2007 5:53 AM:

Penso che carlomagno1955 potrà confermare l'accaduto.

Di questa lettera parlo anch'io nel sito Infotdgeova:
Tratto da: www.infotdgeova.it/sanzioni/odiate.php
Achille



Grazie Achille,

Se non troppo confidenziale, ci puoi dire dove hai ottenuto la tua informazione che sembra confermare la lettera ricevuta dai genitori fuoriusciti dall'Organizzazione?

Non mi sembra aver letto nulla seguendo il link che ci hai dato, circa il suicidio.

Spero che Carlomagno o qualcun altro a conoscenza dei fatti possa confermare anche il risvolto drammatico della situazione.

Achille Lorenzi
00giovedì 29 novembre 2007 18:34
Cerebrale, 29/11/2007 17.09:


Se non troppo confidenziale, ci puoi dire dove hai ottenuto la tua informazione che sembra confermare la lettera ricevuta dai genitori fuoriusciti dall'Organizzazione?

Non mi sembra aver letto nulla seguendo il link che ci hai dato, circa il suicidio.

Spero che Carlomagno o qualcun altro a conoscenza dei fatti possa confermare anche il risvolto drammatico della situazione.

Avevo trovato tempo fa questa lettera nel sito di Michel Leblank:

pages.globetrotter.net/mleblank/wt/exclusion-tempete.html

Ricordo anche che Carlomagno mi aveva confermato l'accaduto.

Ciao
Achille
carlomagno1955
00giovedì 29 novembre 2007 20:17
Diciamo che il caso citato ha alcune inesattezze.
La donna non si suicidò gettandosi dalla finestra ma si impiccò nella stanza all'interno della Filiale di Roma.
Cerebrale
00giovedì 29 novembre 2007 22:09
Re:
carlomagno1955, 11/29/2007 8:17 PM:

Diciamo che il caso citato ha alcune inesattezze.
La donna non si suicidò gettandosi dalla finestra ma si impiccò nella stanza all'interno della Filiale di Roma.



Grazie delle precisazioni!
C'è forse qualcos'altro che puoi aggiungere su questa faccenda?
Non so, come si fa a collegare questo suicidio con la "sorella" che ha disconosciuto i suoi genitori, menzionata in questo thread?

Cosa è stata la reazione dei fratelli alla Bethel, cosa hanno annunciato di "ufficiale" e cosa si diceva di "ufficioso"?
Si sapeva già alla Bethel che avesse dei problemi? che avesse "liquidato" i genitori?

Forse queste ulteriori precisazioni ci faranno apprezzare di più come questa Organizzazione rovina le famiglie, ti porta alla depressione ed infine perfino al suicidio.

Grazie.

Vitale
00giovedì 29 novembre 2007 22:28
Altro caso: Rachele che non sorride più

www.bispensiero.it/index.php?option=com_content&task=view&id=360&It...

Aveva quindici anni. Aveva finito la scuola media e s'era iscritta all'alberghiera. Ma i suoi genitori s'erano opposti. Allora s'era iscritta ad un corso per parrucchiera. S'erano opposti ancora.
Si chiamava Rachele, Rachele Scicolone. Aveva 15 anni e sua madre e suo padre erano Testimoni di Geova. Rachele non poteva studiare solo per questo. Rachele non doveva mischiarsi con "le persone del mondo", avrebbero potuto corromperla, traviarla. Rachele era mora, slanciata, solare: entrava in un posto e il suo sorriso illuminava la stanza. Rachele aveva la vita che le fioriva negli occhi.
Aveva sogni da ragazzina, Rachele. Sognava i jeans della Levi's, le scarpe della Nike, la maghietta di CocoNuda. Ma non avrebbe mai potuto averli, perchè la madre e il padre di Rachele erano Testimoni di Geova, e le "cose del mondo" a Rachele erano proibite: niente Nike, niente Levi's, niente maglietta. Un mondo piccolo, troppo piccolo, per un sorriso così grande, per tutta quella vita negli occhi. E tutti i suoi desideri ruotavano intorno all'hamburger da McDonald's, ad una passeggiata per le strade di Licata, a qualche chiacchierata con gli amici. Amici. Rachele aveva solo compagni di fede, di una fede che non riconosceva sua. Una fede subita. Aveva il permesso di uscire di casa solo per "servizio": con in braccio i suoi giornalini, a bussar casa per casa, per diffondere la parola di Geova. Rachele sentiva il bisogno di amici. Amici veri, che non stessero lì a controllarne ogni gesto, a misurarne ogni respiro, a valutarli nell'ottica del peccato, con le uniche categorie mentali di bene e male, di giusto e sbagliato. Troppo stretto, quel mondo, troppo stretti quei lacci che non aveva mai riconosciuto come suoi.
E per le Nike, per l'hamburger da McDonald's, Rachele aveva rubato. Pochi spicci, durante le adunanze, rubati dalle tasche dei cappotti. I soldi di un hamburger, di un rossetto. Cose comuni, tra ragazzini. Un sintomo di disagio, una muta richiesta d'aiuto. Ma non l'avevano vista così suo padre e sua madre. Rachele era una peccatrice. E da peccatrice era stata trattata, denunciata agli anziani della congregazione. E "per il suo bene" gli anziani della congregazione l'avevano segnata. Dinanzi all'intera congregazione dei fedeli avevano raccontato il suo peccato, coprendola di vergogna, di disonore, di umiliazione. Pochi spicci, un peccatuccio veniale, da ragazzi.
Se Rachele avesse fatto un'altro sbaglio l'avrebbero "disassociata", buttata fuori dalla congregazione, trattata da reietta. Rachele aspettava di compiere diciott'anni, aspettava il giorno in cui avrebbe potuto gettar via il giogo e assaporare la libertà. La libertà di una passeggiata, di un libro, di un hamburger. Ma quanto sembrano lunghi tre anni, quando se ne hanno quindici! La vergogna, l'umiliazione, le bruciavano la faccia. Se gli anziani l'avessero buttata fuori, anche sua madre e suo padre l'avrebbero cancellata dalla loro vita. Avrebbe perduto il loro affetto, il calore di casa, quel sentirsi al sicuro e protetta nel suo letto. Certo, sua sorella le aveva detto che se la sarebbe presa in casa, ma non sarebbe mai stata davvero a casa.
E poi c'era stata la faccenda delle sigarette. La madre le aveva trovate nel suo zaino, nascoste sotto i libri, il portafogli, il pacchetto di fazzoletti di carta. Rachele sapeva che lo avrebbe detto agli anziani. Sapeva che bastava quello a farla mettere fuori. A perdere l'amore di sua madre, di suo padre, l'amore di casa.
Era il 21 settembre 2006. Giornata di adunanza. Rachele era andata con sua madre. Erano tornate tardi. Sua madre l'aveva lasciata davanti al portone di casa, le aveva detto di salire a riscaldare la cena mentre lei andava a parcheggiare. Pochi minuti, il tempo di trovar uno spazio libero ai bordi della carreggiata. Cinque minuti. Rachele aveva aperto il portone, aveva fatto cinque rampe di scale, aveva aperto la porta di casa. E forse aveva pensato che in quella casa non ci sarebbe rimasta a lungo. Bastava una parola degli anziani. Una parola, una sola, e avrebbe perso tutto.
Aveva spalancato il balcone, aveva preso una sedia, l'aveva accostata alla ringhiera. Aveva afferrato un foglio, scritto con mano malferma poche parole: "Perdonatemi, vi voglio bene". Poche parole, e tutta la vita negli occhi consumata in un rigo, consumata nel salire sulla sedia. Era tardi. Era buio. Era notte. I lampioni erano occhiate di luce sull'asfalto. C'era un'aria leggera, calda ancora d'estate. Chissà quanto pesava quell'aria. Meno del peso che sentiva nel cuore, nella testa, nello stomaco. Era buio. Meno buio del buio che le aveva mangiato la vita dagli occhi. Meno buio. Sembrava buono, quel buio. Caldo, sicuro. Sembrava chiamarla. Piano, in un sussurro gentile. Era buono, quel sussurro. Caldo, sicuro. E Rachele chiuse gli occhi e si gettò nel buio.

Vitale


Vitale
00venerdì 30 novembre 2007 00:08
Figlio suicida ...

... la madre diventa tdG.

Senza aprire una nuova discussione, riporto qua.

Il Foglio Quotidiano
settembre 2007

Maurizio Stefanini

A Las Heras, centro petrolifero nella Patagonia argentina, il 31 dicembre 1999 “Juan Gutiérrez, ventisette anni, celibe, senza figli, buon calciatore” nel mezzo della kermesse per il nuovo millennio “capì che non voleva continuare a vivere. Alle sei del mattino, con la testa che gli girava per il troppo bere, umido per la pioggerellina dell’alba di quella che sarebbe stata una giornata radiosa, bussò alla porta della madre”. “Chiese da mangiare, e mangiò”. Poi “fuori di sé, uscì di nuovo”. Quando la madre corse a cercarlo, “penzolava come un frutto maturo da un cavo della luce, nel bel mezzo della strada. Erano le sette e un quarto del mattino”. Las Heras fa festa lo stesso. In altri dodici si sono suicidati, a partire al marzo del 1997, e la gente ci ha fatto il callo, pur confezionando fosche leggende su sette sataniche o maledizioni dei “troppo indios sepolti nella zona”.
Ma sui giornali della capitale quella strage non fa notizia: fin quando Leila Guerriero, cronista tignosa, non decide di indagarci sopra. “Il vento alzava nuvolini di polvere, sferzava le facciate delle case basse e tutte le finestre erano chiuse”, il giorno del suo arrivo. Parla col fratello della prima suicida, fotografo della rivista locale. Le mostra raccapriccianti immagini di delitti e tragedie. Poi la zia del secondo suicida, un orfano che si toglieva dal collo la croce perché i compagni lo prendevano in giro. E col padre del ragazzo da cui la terza suicida aveva avuto un figlio, e che come impresario di pompe funebri è l’unico ad aver tenuto la lista dei morti. La quarta era la fidanzata del fratello della terza; il quinto un 85enne; il sesto un impiegato. Poi ancora il bagnino della piscina comunale; il figlio dell’ultima donna che il bagnino aveva salvato; un 21enne arrabbiato; un funzionario travolto da uno scandalo;un allenatore di calcio. La madre di Juan Gutiérrez si è intanto convertita ai Testimoni di Geova, nella speranza che dopo il Giudizio universale Geova le restituirà il figlio. Leila parla pure con Cecilia, a sua volta diventata Testimone di Geova dopo essere stata “meretrice”, come lei spiega con un linguaggio biblico; e con l’insegnante gay Pedro; e con la tenutaria di bordello Naty; e col dj Ricciolo. Storie di solitudine, di miseria, di discriminazione, di lontananza, di un luogo dove “il tempo è un fiume di pietra e ciò che conta è drammaticamente altrove”. Il reportage diventa un bestseller in Sudamerica. Ma la ragione vera dell’epidemia dei suicidi in capo al mondo, non salta fuori. Anzi, dopo il ritorno di Leila a Buenos Aires, le e-mail di Ricciolo parlano di nuovi suicidi. Numero tredici, quattordici, quindici.

(grassetto mio)

Vitale


scop@
00venerdì 30 novembre 2007 14:00

Cosa è stata la reazione dei fratelli alla Bethel, cosa hanno annunciato di "ufficiale" e cosa si diceva di "ufficioso"?
Si sapeva già alla Bethel che avesse dei problemi? che avesse "liquidato" i genitori?

Forse queste ulteriori precisazioni ci faranno apprezzare di più come questa Organizzazione rovina le famiglie, ti porta alla depressione ed infine perfino al suicidio.

Grazie.






Io abito vicino a Roma e ricordo benissimo di un caso di suicidio alla Bethel, se parliamo della stessa persona, dovrebbe essere la moglie di un sorvegliante di circoscrizione, noi, nella nostra congregazione non lo abbiamo saputo in maniera ufficiale ma lo sapemmo per vie traverse, anche perchè l'accaduto non fu reso pubblico, si faceva di tutto per nasconderlo.
Aveva già molti problemi di natura emotiva e la Bethel lo sapeva benissimo, visto che lo sapevamo tutti, anzi il motivo per cui il marito lasciò il servizio di sorvegliante si sapeva benissimo che era proprio la depressione della moglie, il fatto che avesse liquidato i genitori anche quello era di dominio pubblico anche perchè, lei non lo nascondeva ma anzi ne faceva un vanto.
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