E' giusto ASTENERSI??SI!!!
E' GIUSTO ASTENERSI DAL REFERENDUM SENZA LEDERE IL DIRITTO DEL CITTADINO DI ANDARE A VOTARE?
SI!! PERCHE' L'ASTENSIONE NON E' UN FREGARSENE DEL REFERENDUM, MA E' UN "NON" VOTO, CIOE', NON DELEGARE A CHI, POLITICO, NON SA DISTINGUERE LA VERITA' SULLA VITA QUALE ATTO DI DIO........IL NOSTRO VOTO...NON RAGGIUNGERE IL QUORUM FARA' IN MODO CHE SI EVITINO IMBROGLI SULLA LEGGE SE VINCESSERO I "NO"....
Ma leggiamo cosa dice la Legge........
Quando l’elettore vota senza votare
www.avvenire.it
di Pierluigi Fornari
Come tutti i giuristi che hanno approfondito il tema dei referendum, Aldo Loiodice, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Bari, sottolinea la sostanziale diversità del voto politico da quello sui quesiti abrogativi. Sulla base della nostra Carta fondamentale, il secondo non costituisce un «dovere civico». Il primo, invece, sì. Di più, Loiodice evidenzia che nel dettato costituzionale la scelta di non votare, al referendum, non si configura come una mera omissione, ma una risposta «obbligata» alla richiesta di una valutazione politica di grande peso: un giudizio, cioè, sulla scelta della procedura referendaria nel caso in questione, sull’opportunità di "sfiduciare" il Parlamento dopo un lungo e meditato iter su una materia molto complessa, sull’opportunità di "premiare" con il rimborso delle spese i promotori di quesiti equivoci. «Non si può parlare quindi di astensione – sottolinea –, ma di una vera e propria scelta politica. È ovvio che non andando a votare si pronuncia anche un "no" sul contenuto specifico del quesito, la abrogazione della legge, con l’intenzione semmai di affidarne la modifica al Parlamento».
Eppure, professore, il Consiglio nazionale dei Ds ha parlato di "sotterfugio"...
«Usare questa espressione significa voler distogliere l’opinione pubblica dalla verità costituzionale».
La Costituzione parla di dovere civico…
«È l’articolo 48 ad affermarlo, ma si riferisce al voto politico. Comunque si tratta solo di un richiamo di natura morale. Non c’è alcuna conseguenza giuridica. Nessuna penalizzazione. Un tempo la non partecipazione veniva annotata sui registri dello stato civile. Oggi neppure quello. Comunque il voto politico rimane sempre un dovere civico, perché bisogna dare il proprio contributo al governo del Paese, della regione, degli enti locali».
E il voto referendario...
«Il voto sul contenuto di una legge richiesto dal quesito abrogativo è solo un secondo livello. Prima di esso c’è una scelta politica: quella di andare a votare o meno. È la stessa Costituzione a prevederlo».
Come?
«Il referendum è valido solo se vota la maggioranza degli aventi diritto al voto. Vale a dire che i quesiti vengono respinti se la maggioranza degli elettori decide per il non voto».
L’astensione?
«Non è un’astensione, è un "no" più forte ai quesiti referendari. Dunque non c’è alcun obbligo, neppure morale, di andare a votare per i referendum, anzi di fatto c’è l’obbligo di scegliere tra il recarsi o non alle urne. Il "non voto" non è un’astensione, è una scelta politica precisa: è la scelta di dire "no" due volte».
Ma perché questa differenza con le elezioni politiche?
«Dare il proprio contributo al governo del Paese è un dovere civico, la procedura referendaria invece è una proposta fatta da alcuni, dunque è su di essa in primo luogo che si deve dare un giudizio politico. Solo dopo viene la scelta sul contenuto dei quesiti».
Non vi sono già sufficienti passaggi istituzionali per validare i referendum?
«Prima spetta alla Cassazione dichiararli regolari, poi alla Corte costituzionale giudicare sull’ammissibilità. A quel punto conferirgli validità è compito degli elettori».
Su che base?
«Devono giudicare sull’opportunità politica di quella consultazione popolare. Devono, in altri termini, valutare se il referendum fa spendere il pubblico denaro giustamente, oppure si tratta di uno spreco».
Qual è il messaggio politico del non voto?
«Se una persona non va a votare dice ai promotori del referendum: "Io non sono disponibile a perdere tempo, e non condivido lo spreco di pubblico denaro, per problemi che non si prestano a essere affrontati in una consultazione referendaria"».
Quanto lei dice è confermato dalla legge n.157 del 3 giugno 1999 che consente il rimborso delle spese sostenute dal comitato promotore solo se è stato raggiunto il quorum.
«Se la maggioranza degli elettori ha ritenuto non opportuna quella consultazione popolare, magari perché il quesito è equivoco o ingannevole, lo Stato ne trae le conclusioni. Quel comportamento è infatti l’espressione di un dissenso, non di un’astensione. Si può parlare di astensione quando si tratta di votazioni politiche. Nel caso dei referendum invece è una valutazione precisa sulla scelta di adottare la procedura referendaria per risolvere quei problemi legislativi.
Più volte si è parlato di uso strumentale del refe-
rendum…
«Infatti parecchi referendum non hanno raggiunto il quorum necessario, quindi sono stati dichiarati non validi. L’elettore italiano ha operato delle scelte intelligenti: ad alcuni referendum la maggioranza degli aventi diritto ha dato il voto, che si trattasse di un "sì" o un "no", in modo da raggiungere il quorum; su altri quesiti invece, ci si è comportati diversamente. In questo modo si è espresso un dissenso».
Viene detto "non voto"...
«In realtà è l’unica forma di voto palese. Perché mentre il "sì" o il "no" resterà sempre segreto, chi esprime il dissenso, non andando alle urne, fa un atto palese. Il fatto che non abbia votato risulta. Quindi ci vuole più coraggio».
In ultima istanza l’elettore dà una valutazione, con il suo andare alle urne o meno, sull’uso del denaro pubblico
«Certo, perché andando a votare contribuisco a finanziare i promotori di un’iniziativa che considero assurda, che tra l’altro ha fatto sprecare soldi per la campagna elettorale. Non è escluso che i promotori possano fare un uso strumentale del referendum al fine di ottenere risorse. Lo strumento che ho per dare una valutazione negativa su un eventuale comportamento del genere è non contribuire a far raggiungere il quorum».
Nel caso dei prossimi referendum la difformità rispetto allo spirito della Costituzione sembra rappresentata non tanto dal "non voto", quanto dal fatto che il referendum tende a configurarsi invece che come garanzia per gli "elettori", come prevede l’articolo 75, come un’ulteriore chance per gli "eletti", cioè i gruppi parlamentari che si sono opposti alla legge 40, e sono stati battuti da una larghissima maggioranza.
«È una deformazione del ruolo del referendum, che lo trasforma in un appello rispetto al voto parlamentare. Cioè chi ha perso in Parlamento fa appello al popolo. Una risposta intelligente è dunque non lasciarsi trascinare in questo giudizio di appello. Perché il referendum non può essere utilizzato in questo modo».
Poi nel caso della procreazione medicalmente assistita siamo di fronte ad una materia molto complessa...
«Volerla affrontare solo con un "sì" o con un "no" è segno di superficialità. Il non andare a votare quindi costituisce un giudizio negativo su chi vuole affrontare problemi tecnici e complessi, anche da un punto di vista giuridico, in questo modo. Si valuta che questa procedura sia una manipolazione dell’elettore. Infatti l’elettore non esperto di diritto non comprende le conseguenze di quel voto. È un invito a votare a scatola chiusa, allora è meglio lasciare le cose come stanno».
Si chiede all’elettore di affidarsi ad occhi chiusi ad alcuni slogan referendari...
«Si è sostenuto davanti alla Corte costituzionale che i quesiti erano in favore della libertà di ricerca. Invece è dimostrato che non sono necessarie le cellule staminali embrionali, ma quelle adulte e del cordone ombelicale. Allora invece della libertà di ricerca, si tratta della "libertà di impresa" delle case farmaceutiche, dei produttori di cosmetici, e dei centri che praticano la procreazione medicalmente assistita. Quindi è di fatto una pubblicità ingannevole».
Come reagire?
«L’elettore consapevole di fronte alla equivocità della proposta referendaria, afferma la sua sovranità con il "non voto" mandando ai promotori del referendum questo messaggio: "non mi potete coinvolgere in questo equivoco"».
Il cittadino può anche essere contrario a "sfiduciare" il Parlamento, perché ritiene che abbia operato bene approvando questa legge.
«Certo anche questo è il motivo per cui non si va a votare. Ma è anche lecito fare un discorso di tecnica politica».
Cioè?
«La sinistra e gli altri esponenti referendari, che hanno perso in Parlamento, corrispondono a circa il 45% dei voti espressi nelle politiche. Ma normalmente solo il 70% circa degli elettori si reca alle urne. Quindi coloro che vogliono abrogare la legge sulla fecondazione assistita, pur andando a votare in massa, raggiungeranno al massimo il 30% degli aventi diritto. Allora perché chi è per il "no" gli deve regalare quel 20% necessario per raggiungere il quorum? Non ha senso da un punto di vista politico».
Per ottenere questo 20% in più, si punta a dividere chi è a favore della legge, sollecitando una parte di essi ad andare a votare.
«Chi è per il "no" e va a votare fa – chiedo scusa dell’espressione un po’ forte – la parte dell’"utile idiota", o è in mala fede, perché finisce per far vincere il "sì". Se io so che l’altra parte con il mio non voto perde, perché devo andare alle urne per farlo vincere? Il comportamento intelligente seguito dal popolo italiano in tante occasioni referendarie è questo: quando si è per il "no", non si va a votare».
Anche Fassino quando era contro il referendum che estendeva l’articolo 18 alle piccole aziende, ha mobilitato i Ds per l’"astensione attiva".
«Infatti. Allora perché chi è per il "no" questa volta dovrebbe andare a votare? Per fare un favore a chi? Sarebbe come andare a farsi annegare dietro al flauto magico».
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E' UNA LEGGE CONTRO DIO...SE LA CONOSCI LA EVITI.........
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