solitary man ha scritto:
Potrai ritene errato esprimersi in quei termini, ciò non toglie che essendo i TdG pronti a rischiare la loro vita per tale rifiuto esso costituisca una credenza molto radicata nei TdG ... se un TdG è disposto a morire è disposto a morire perchè ci crede non certo per paura della disassociazione. (un soldato che va in guerra lo fa perchè crede nel suo paese che glielo chiede e non per paura delle conseguenze della diserzione, e quando muore lo chiamiamo eroe)
Ci sono anche persone che si sucidano in nome di alcuni "ideali", ma di solito vengono definite fanatiche.
Ci sono poi anche seguiaci di culti "evangelici" che rifiutano tout court le cure mediche, ma anche nei confronti di queste persone l'opinione ed il buon senso comune non è molto indulgente: si parla anche qui senza mezzi termini di "fanatismo religioso".
E' lo stesso tipo di fanatismo con cui anni fa i TdG rifiutavano le vaccinazioni, definendo questa cura medica una "diretta violazione della legge di Dio"; "legge di Dio" che nel frattempo è cambiata, al punto che oggi la stragrande maggioranza degli stessi TdG non è più a conoscenza di questo divieto;
divieto che veniva osservato con la stessa intransigenza con cui oggi si rifiutano le trasfusioni (si veda la deposizione fatta davanti ad un giudice da una TdG che rifiutava di vaccinare i propri figli:
www.infotdgeova.it/vaccinazioni.htm ).
Dico questo solo per sottolineare che il fatto che qualcuno si lascia morire, o lascia morire qualche suo familiare, per seguire particolari "convinzioni" non significa necessariamente che tale comportamento sia da ammirare o da rispettare.
Qui però si continua ad cambiare argomento: la questione che evidenzio io non è se è corretta o meno la credenza dei TdG, ma se è corretto o meno usare violenza fisica e psicologica per costringere una persona a subire un determinato trattamento medico contro la sua volontà.
Questo ritengo sia profondamente sbagliato.
Un articolo (pubblicato anche nel sito) penso faccia comprendere l'angoscioso dilemma in cui vengono a trovarsi i medici, quando si trovano ad affrontare situazioni di questo genere:
Dal quotidiano
La Stampa del 18 gennaio 2005
Rifiuta la trasfusione Salvata da un giudice
La donna, Testimone di Geova, si era opposta per motivi religiosi
Un imprevisto in sala operatoria nella clinica Villa Maria Pia ripropone il delicato tema del rapporto tra etica professionale e libertà personale. Il medico: «Ho chiesto l’ok alla Procura, è stato un atto di coscienza»
Viva e, nonostante tutto, in rapida guarigione. Eppure questa donna di 45 anni che adesso giace su un lettino di Villa Maria Pia, casa di cura sulla collina Torinese, l’altra notte ha rischiato di morire per colpa di una emorragia interna, imprevedibile complicazione post-operatoria di un intervento di asportazione dell’utero. Testimone di Geova e convinta sostenitrice, per credo religioso, del rifiuto delle trasfusioni di sangue, è stata salvata da un magistrato. Che ha parlato con il chirurgo, e lo ha autorizzato a trasfondere il sangue, nonostante la donna avesse chiesto di evitare ogni tipo di manipolazione. «Ho agito secondo coscienza» dice il medico, che chiede l’anonimato. Replicano, in modo pacato, i Testimoni di Geova: «La sua era una scelta consapevole, dettata dalla fede religiosa, e nessuno può imporgliela. Ma dobbiamo ricordarci che i medici sono sottoposti ai vincoli e agli obblighi della legge». La storia di questo intervento chirurgico è breve e allo stesso tempo drammatica. Federica entra in ospedale qualche giorno fa. Sceglie Villa Maria Pia perché, da sempre, la struttura «collabora» con i Testimoni di Geova. Rispetta in modo totale le convinzioni personali. Insomma, offre il massimo delle garanzie quando si tratta di interventi senza trasfusione. L’operazione a cui viene sottoposta è complessa, ma sembra si risolva tutto per il meglio. A sera inoltrata, però, subentra un'emorragia interna. C’è la necessità di riportare la donna in sala operatoria. L’emoglobina è scesa a livelli minimi. Federica rischia di morire se non le viene immesso subito altro sangue in vena. Il chirurgo parla con i parenti. È un dialogo franco e gentile. Loro, però, sono fermi nel rifiuto: «Dottore, faccia tutto il possibile ma non quello». Lui insiste: Federica è grave, molto grave. La morte potrebbe sopraggiungere da un momento all’altro. Lei non può decidere, è in coma, ma i parenti devono sapere tutto. Loro gli parlano delle convinzioni religiose della donna. Di quell’obbligo scritto sui testi sacri, di astenersi dal sangue: «Agisca secondo coscienza, dottore, confidiamo in lei».
È allora che il medico chiama il 113. Una volante sale a villa Maria Pia. Accerta che, davvero, la situazione è critica e che ormai non si sono altre strade. Dalla centrale operativa un poliziotto si mette in contatto con il magistrato di turno, Carlo Pellicano. Che non ha la minima esitazione ed ordina la trasfusione. Il medico informa i familiari, fa rientro in sala operatoria, conclude l’intervento e ritorna dai parenti di Federica, a spiegare la sua decisione e le motivazioni che lo hanno spinto ad agire così. «Siamo un centro di riferimento per i Testimoni di Geova e rispettiamo al massimo la loro volontà. Ma i medici, in certi momenti, hanno obblighi ai quali non possono venire meno. Siamo vincolati al giuramento di Ippocrate: è nostro compito e dovere salvare la vita alle persone» spiega il medico. E aggiunge: «Negli anni si sono sviluppate tecniche operatorie che consentono interventi in assenza di trasfusione. Si utilizzano accorgimenti particolari ed è ormai patrimonio del sapere comune che una persona può vivere anche valori molto bassi di emoglobina». Ma, una volta su un milione, c’è una necessità diversa, una complicazione: «E per risolverla si deve anche ricorrere ad un atto che può apparire di forza. Ad una presa di posizione che non si vorrebbe mai adottare...». Com’è accaduto l’altra notte, per salvare la vita a Federica
Vedi
www.infotdgeova.it/trasfusioni.htm
Saluti
Achille