Nuova "figura" in ospedale?

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Vitale
00giovedì 22 giugno 2006 15:38

Giovedì, 22 Giugno 2006

OSPEDALE
La novità: un garante durante i trapianti su Testimoni di Geova

Calano, come sempre nei mesi estivi, le donazioni di sangue. Nell'ospedale di Padova si sta pianificando un progetto che, se un lato risponde ad una necessità oggettiva - il ferreo rifiuto dei testimoni di Geova di venir trasfusi - in prospettiva potrebbe essere da pungolo alla medicina per rintracciare nuove strade e perfezionare metodologie innovative che non prevedono l'impiego di sangue. Nell'Azienda ospedaliera della città del Santo, si sta pianificando una nuova figura, quella dell'amministratore di sostegno che, durante i trapianti effettuati su testimoni di Geova, farà da garante della volontà manifestata dal paziente anche quando è addormentato, sotto anestesia.

http://gazzettino.quinordest.it/VisualizzaArticolo.php3?Codice=2973924&Luogo=Padova&Pagina=1

Le normative vigenti possono dare spazio a questa visibilità?

Vitale

Ps. evidenziazione personale dell'articolo in grassetto

Achille Lorenzi
00venerdì 23 giugno 2006 06:37
Secondo la recente sentenza della Cassazine mi pare proprio di no.
Nel caso si verificasse una grave emergenza mentre il paziente è privo di coscienza e si rendesse necessaria una trasfusione, i medici possono non tener conto della volontà espressa in precedenza: www.infotdgeova.it/24ore.htm

Saluti
Achille

[Modificato da Achille Lorenzi 23/06/2006 6.43]

solitary man
00venerdì 23 giugno 2006 07:58
Re:

Scritto da: Achille Lorenzi 23/06/2006 6.37
Secondo la recente sentenza della Cassazine mi pare proprio di no.
Nel caso si verificasse una grave emergenza mentre il paziente è privo di coscienza e si rendesse necessaria una trasfusione, i medici possono non tener conto della volontà espressa in precedenza: www.infotdgeova.it/24ore.htm

Saluti
Achille

[Modificato da Achille Lorenzi 23/06/2006 6.43]




Stiamo attenti...le sentenze di Cassazione non si possono usare in "linea di principio" come per le Leggi... sono specifiche al caso trattato. Nel caso in questione la volontà del paziente non era stata espressa per quello specifico intervento, ma fu esibito soltanto il tesserino di volontà che tutti i TdG si portano appresso, almeno così mi è parso di capire dall'articolo. Per specifici ricoveri e/o interventi viene firmato un apposito modulo in cui si chiede di rispettare la propria volontà di ricevere cure mediche senza uso di sangue.
Al di la delle convinzioni religiose, giuste o sbagliate che siano, sono fortemente contrario a quello che sarebbe un abuso di potere che costituirebbe una violenza fisica e psicologica, seppur fatto in buona fede.
Come detto nel post in cui si è trattato questo argomento, non è violentando un TdG che si risolve il problema del sangue dei TdG. [SM=g27813]

[Modificato da solitary man 23/06/2006 7.59]

berescitte
00venerdì 23 giugno 2006 10:36
Domanda da cento milioni di euro
Se un agente (ma perché non anche un qualsiasi cittadino compresi quelli atei?) ferma la mano di un padre che sta frustando di santa ragione il proprio figlio perché la sua fede lo autorizza a tanto vedendo quella modalità come "educazione" della gioventù, compie un atto di violenza fisica e psicologica nei confronti di questo genitore? [SM=x570868]

Lo stesso potremmo richiedere nei confronti del dottor Paoloni (Gino cervi) che, nel film, si è gettato nel fiume per salvare un suicida (Totò) che, per religione o meno che sia ma comunque aveva deciso di suicidarsi nel pieno possesso delle sue facoltà mentali e perciò da rispettare in qualsiasi decisione presa in libertà. [SM=x570872]
(Duecento milioni di euro per questa). [SM=g27835]

[Modificato da berescitte 23/06/2006 10.38]

solitary man
00venerdì 23 giugno 2006 12:35
Re: Domanda da cento milioni di euro

Scritto da: berescitte 23/06/2006 10.36
Se un agente (ma perché non anche un qualsiasi cittadino compresi quelli atei?) ferma la mano di un padre che sta frustando di santa ragione il proprio figlio perché la sua fede lo autorizza a tanto vedendo quella modalità come "educazione" della gioventù, compie un atto di violenza fisica e psicologica nei confronti di questo genitore? [SM=x570868]

Lo stesso potremmo richiedere nei confronti del dottor Paoloni (Gino cervi) che, nel film, si è gettato nel fiume per salvare un suicida (Totò) che, per religione o meno che sia ma comunque aveva deciso di suicidarsi nel pieno possesso delle sue facoltà mentali e perciò da rispettare in qualsiasi decisione presa in libertà. [SM=x570872]
(Duecento milioni di euro per questa). [SM=g27835]

[Modificato da berescitte 23/06/2006 10.38]




Il primo esempio non c'azzecca perchè stiamo parlando di scelte personali e non di atti nei confronti di terzi.

Il secondo esempio pure, in quanto il TdG vogliono vivere, ma hanno il sacro santo diritto di farlo seguendo i propri principi morali e religiosi. Il fatto di considerarli errati non da il diritto di usare violenza nei loro confronti.
Con la sentenza di cui sopra la Cassazione infatti ribadisce indirettamente questo diritto: la trasfusione era da fare perchè la paziente non ha potuto esprimere un consenso informato. Ma se avesse espressamente dichiarato di non volere trasfusioni i medici avevano il dovere deontologico di rispettare la volontà espressa. Il non farlo sarebbe stato un atto di violenza fisico e psicologico.
sweetymi
00venerdì 23 giugno 2006 13:02
Io non sono molto abile con la dialettica e con il mio intervento non voglio dimostrare niente a nessuno, se non che ora SONO FELICE DI ESSERE VIVA, DI AVER CRESCIUTO MIO FIGLIO, DI AVERGLI DATO TUTTO L'AMORE DELLA SUA MAMMA DI CUI AVEVA DIRITTO E BISOGNO!!!!
E i medici...sì, mi hanno violentato, e mi sono sentita così per anni, ma solo perchè la WTS aveva paragonato le trasfusioni alla violenza, altrimenti da sola non ci avrei nemmeno pensato...
E comunque oggi li ringrazio per essere viva perchè amo la vita, amo mio figlio al di sopra di ogni altra cosa e gli sono stata vicina, come è giusto che sia, ed è stato splendido...
Oggi sarebbe un orfano infelice...
Quindi anche se ne ho sofferto, grazie a chi mi ha permesso di continuare a vivere contro la mia volontà.
Tutto qui...
Antonella
irias
00venerdì 23 giugno 2006 14:05
Nell'articolo riportato da Vitale le circostanze sono in partenza diverse da quelle riportate nell'art. del link citato da Achille in cui si è pronunciata la sezione penale della Corte di Cassazione.
Nel caso di un paziente che si sottopone volontariamente ad un trapianto questi viene informato dal personale medico e dà quindi il suo consenso informato all'intervento ( da eseguire senza trasfusione) che, dal punto di vista deontologico, costituzionale, giuridico, va rispettato.
[SM=x570868] Però sollevo un dubbio in merito: se l'intervento di trapianto procede come previsto e non sorgono in sala operatoria problemi mentre il paziente si trova sotto anestesia tutto va bene.
Ma se insorge qualche complicazione che mette in pericolo la vita del soggetto a meno di intervenire con la trasfusione, ecco che il caso si puo ricondurre a quello del ginecologo su cui si è pronunciata la sez, penale della Corte di Cassazione.
La cosa che secondo me fa la differenza è la possibilità di dare un consenso informato quando ci sia una REALE ( e non propabile) situazione di pericolo di vita.
In questi casi, mi dispiace per i Tdg ma io come medico dò l'OK per la trasfusione [SM=g27811]
ciao Siria
Achille Lorenzi
00venerdì 23 giugno 2006 18:49

Scritto da: sweetymi 23/06/2006 13.02
Io non sono molto abile con la dialettica e con il mio intervento non voglio dimostrare niente a nessuno, se non che ora SONO FELICE DI ESSERE VIVA, DI AVER CRESCIUTO MIO FIGLIO, DI AVERGLI DATO TUTTO L'AMORE DELLA SUA MAMMA DI CUI AVEVA DIRITTO E BISOGNO!!!!
E i medici...sì, mi hanno violentato, e mi sono sentita così per anni, ma solo perchè la WTS aveva paragonato le trasfusioni alla violenza, altrimenti da sola non ci avrei nemmeno pensato...
E comunque oggi li ringrazio per essere viva perchè amo la vita, amo mio figlio al di sopra di ogni altra cosa e gli sono stata vicina, come è giusto che sia, ed è stato splendido...
Oggi sarebbe un orfano infelice...
Quindi anche se ne ho sofferto, grazie a chi mi ha permesso di continuare a vivere contro la mia volontà.
Tutto qui...
Antonella

Per chi non fosse a conoscenza della drammatica esperienza di Antonella:

«...il collo dell’utero si lacerò. Nessuno si accorse dell’accaduto e i miei genitori e mio marito furono rimandati a casa. Una volta in corsia svenni a motivo dell’emorragia interna e fui operata d’urgenza. Le ultime parole che dissi sono: “Niente sangue. Chiamate mio marito”. Ormai però di sangue ne avevo perso troppo e sarebbe stata necessaria una trasfusione che mio marito rifiutò. Quando mi risvegliai, ero in rianimazione, intubata, senza energie. Mi spiegarono che era in atto uno stillicidio, non si capiva da dove perdevo sangue, ma continuavo a perderne, e senza una trasfusione non sarei sopravvissuta. L’emoglobina scendeva rapidamente. I miei genitori erano lì, fuori dalla rianimazione, e litigavano di continuo con mio marito, i fratelli, i membri del Comitato Sanitario che non lasciavano mai l’ospedale, facendo i turni. Io continuai a firmare contro la trasfusione finche venni informata che era in atto un’ischemia e che avrei potuto rimanere gravemente danneggiata al cervello o al cuore. Nonostante tutto io continuai a rifiutare e durante la notte i medici, ottenuto il permesso del Magistrato, mi trasfusero in modo coatto...».

www.infotdgeova.it/sweety.htm

Se non fosse stato per i medici Antonella non sarebbe qui.
Credo che basti solo questa testimonianza a far comprendere quanto sia assurdo ed inumano il divieto delle trasfusioni, anche quando c'è di mezzo la sopravvivenza di una persona.

Purtroppo per molte persone le cose non si sono risolte in questo modo:

Trieste Oggi, 4/6/92 Lussino, muore dissanguata: Una bambina di 9 anni, Doris Glava, malata di leucemia milelinica, perde la vita perché sua madre, TdG, ha proibito ai medici di sottoporla alla trasfusione di sangue, che forse avrebbe potuto salvarla. Viene aperta un’inchiesta giudiziaria.

Corriere della sera, 27/1/94 Geova, medici nei guai: a Messina un pensionato 65enne TdG perde la vita pur di non sottoporsi ad un intervento chirurgico e alla conseguente trasfusione sanguigna. La Magistratura mette sotto inchiesta i medici per non essersi opposti all’estrema volontà del paziente.

La Repubblica, 30/12/98 No alla trasfusione, muore di parto: A Barletta morti madre e neonato a causa di una trasfusione di sangue rifiutata dal marito TdG.
...

Achille
solitary man
00venerdì 23 giugno 2006 20:43
Re:

Scritto da: irias 23/06/2006 14.05
Nell'articolo riportato da Vitale le circostanze sono in partenza diverse da quelle riportate nell'art. del link citato da Achille in cui si è pronunciata la sezione penale della Corte di Cassazione.
Nel caso di un paziente che si sottopone volontariamente ad un trapianto questi viene informato dal personale medico e dà quindi il suo consenso informato all'intervento ( da eseguire senza trasfusione) che, dal punto di vista deontologico, costituzionale, giuridico, va rispettato.
[SM=x570868] Però sollevo un dubbio in merito: se l'intervento di trapianto procede come previsto e non sorgono in sala operatoria problemi mentre il paziente si trova sotto anestesia tutto va bene.
Ma se insorge qualche complicazione che mette in pericolo la vita del soggetto a meno di intervenire con la trasfusione, ecco che il caso si puo ricondurre a quello del ginecologo su cui si è pronunciata la sez, penale della Corte di Cassazione.
La cosa che secondo me fa la differenza è la possibilità di dare un consenso informato quando ci sia una REALE ( e non propabile) situazione di pericolo di vita.
In questi casi, mi dispiace per i Tdg ma io come medico dò l'OK per la trasfusione [SM=g27811]
ciao Siria



Siria, ognuno deve agire secondo coscienza assumendosi le responsabilità delle proprie azioni, quindi fai bene a fare quello che la tua coscienza ti dice ... ma spero che si sia compreso che il mio intervento non vuole essere una difesa della "dottrina" dei TdG che vieta l'uso del sangue, bensì una difesa del diritto di scelta consapevole. Sono contento per Antonella, ma non posso essere contento quando leggo di TdG che si so' "difesi" strappandosi dalle vene l'ago quando i dottori han cercato di compiere una trasfusione coatta, ne tanto meno quando un TdG si fida del dottore che ha promesso di non trasfonderlo e poi si risveglia con un fluido di un altro essere umano nel proprio corpo (messa così la cosa non vi ricorda la violenza carnale?)... se non ci si può fidare che il medico rispetti una nostra decisione siamo messi male.
Poi come paziente potrei comprendere sul piano umano la difficile posizione in cui si è trovato il medico curante e lasciar perdere ... ma non mi potrò mai più fidare di lui ...
A volte invece i medici trattano la questione del sangue come se si trattasse di un semplice "capriccio" dei TdG (purtroppo quando ero TdG ne ho conosciuto e ho avuto modo di conversare su questo argomento con alcuni di loro)... ma per i TdG non è così, è una credenza profondamente radicata.
Ognuno di noi è infine libero di morire per quello in cui crede, come so' morti quei poveri ragazzi a Nassyria e tutti quelli che han perso la vita per difendere quello che credevano essere giusto...
Chiudo qui il mio intervento, credo che ormai sia chiaro il mio punto di vista al riguardo. [SM=g27817]
)Mefisto(
00venerdì 23 giugno 2006 22:07
Per chi non sapesse che vuol dire "consenso informato", come il sottoscritto, che è già tanto se riesco a leggere e scrivere il proprio nome [SM=g27823] cito:


Il consenso informato
Da un punto di vista strettamente etico la nozione di consenso all'atto medico deve, invece, esser fatta risalire al cosiddetto "Codice di Norimberga", ovverosia al dispositivo della sentenza che condannò i medici nazisti implicati nelle sperimentazioni nei campi di sterminio tedeschi. In tale sentenza i giudici dichiararono esplicitamente che tutti coloro che partecipano a sperimentazioni mediche debbono potere esprimere il loro consenso volontario. Successivamente, negli anni settanta, si sviluppò la dottrina del consenso informato, a significare che il consenso doveva accompagnarsi a una piena informazione, tale che il paziente fosse in grado di decidere con conoscenza dei fatti e in assoluta autonomia. Mentre, quindi la dottrina giuridica classica del consenso ha a cuore alcuni diritti della persona (inviolabilità corporea ed atti di disponibilità del proprio corpo, libertà individuale, ecc.), la teoria bioetica del consenso informato mira a promuovere il diritto del paziente a decidere "a pari livello" con il medico (tutto questo capitolo è già stato trattato con maestria da Argo A, Procacciani P, 1996, a cui si rimanda il lettore). Il medico deve dare al paziente tutte le informazioni di cui egli dispone, senza niente travisare o nascondere, nella maniera più chiara e comprensibile, e prospettare le diverse opzioni terapeutiche comprese quelle che egli consiglia e perché. A questo punto la sua opera si ferma perché l'ultima parola, la decisione sul che fare, dovrà spettare sempre al paziente. Questa nozione così "radicale" di consenso informato è stata accusata di essere eccessivamente contrattualistica. Il medico - si è detto - non è un venditore che deve sciorinare le sue merci davanti al paziente e lasciar che egli scelga: l'etica del medico non si può ridurre a quella di un venditore di automobili usate. Tuttavia dovrebbe far riflettere il fatto che un uomo come il Cardinale C.M.Martini, certo non sospetto di corrività nei confronti di visioni neoliberiste e contrattualistiche della medicina, così si espresse alcuni anni fa: "Il paziente sa benissimo di essere lui, non altri, il vero responsabile della propria salute fisica e mentale. Se si affida a un terzo è solo perché da solo non potrebbe risolvere il problema della malattia che lo ha assalito. Ma anche dopo questo ricorso e affidamento a terzi, egli mantiene inalterato il potere di amministrazione del proprio organismo; e ciò comprende ovviamente anche il diritto di accettare o di rifiutare ciò che gli viene proposto, a seguito di un suo personale giudizio globale, concernente i suoi interessi personali, familiari e professionali" (Martini CA, 1986, p.17). Lo stesso Codice di Deontologia Medica della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, FNOMCeO, sembra sposare questa posizione quando, nell' art 29, sottolinea che la necessità di un consenso informato deve uniformare l'intera relazione medico-paziente, sia in ambito ospedaliero sia in ambito ambulatoriale, e quindi non deve essere intesa come semplice garanzia nei confronti di alcuni atti medici "rischiosi" ma deve anzi divenire la base di una nuova partnership tra medico e paziente. Così si esprime anche M. Bassi (Bassi M, 1996) nel suo saggio, cruciale per comprendere la realtà operativa del consenso al trattamento nelle strutture psichiatriche italiane.
In ambito europeo l'obbligatorietà di un consenso informato è stata innanzitutto affermata in relazione alla sperimentazione farmacologica con la direttiva CEE no 507 del 19 luglio 1991 sulle "Good Clinical Practice" che è divenuta legge operante in tutti gli Stati membri dell' UE. Se, però, è ovvio che i soggetti, sani o malati, che si sottopongono ad una sperimentazione lo facciano solo volontariamente e dopo essere stati pienamente informati dei rischi, più complessa appare la questione del consenso informato all' atto medico senza finalità sperimentali. Nella recente Convenzione Europea di Bioetica approvata dal Consiglio d'Europa, sono dedicati alla questione gli articoli dal 5 al 10. Molto spazio è dedicato alla questione del consenso degli incapaci (soggetti in coma o con gravi lesioni organiche del Sistema Nervoso Centrale, bambini, anziani dementi, malati mentali gravi, ritardati mentali) e di come rispettare la loro, seppur ridotta, autonomia (art. 7).
Nel 1992 il Comitato Nazionale di Bioetica ha pubblicato un avviso su "Consenso, Informazione e Atto Medico", in cui si riafferma il principio che soltanto il consenso legittima l'atto medico ed è lo strumento su cui si deve costruire l'alleanza terapeutica.
Il Codice Italiano di deontologia medica distingue, a sua volta, tre differenti tipi di consenso:
i) Presunto: quando il paziente non è cosciente, oppure manca della necessaria capacità di processare l'informazione, e corre un serio rischio di morte. In questi casi il consenso è sempre presunto anche quando il paziente abbia espresso nel passato un suo rifiuto al tipo di trattamento sia a parole, sia per iscritto, sia attraverso i propri gesti (ad esempio: racconti di parenti, testamento di vita, tentativi di suicidio, ecc.)
ii) Implicito: quando il trattamento non comporta particolari rischi per il paziente, il consenso può essere considerato implicito nella scelta stessa di rivolgersi ad un medico per essere curato. Vale la pena di notare, comunque, che la nozione di consenso implicito è valida solo se il medico ha fornito al paziente tutte le informazioni di rilievo sulla sua patologia ed sul trattamento che sarà praticato. In assenza di informazione nessun consenso implicito ha valore.
iii) Esplicito: quando il trattamento comporta particolari rischi, o una permanente riduzione di integrità fisica, il consenso deve essere sempre richiesto formalmente, ed esplicitamente dato dal paziente, meglio se in forma documentata, o scritta.
Sempre secondo il Codice Deontologico, qualsiasi forma di consenso richiede alcuni prerequisiti (art. 40 e 41):
1. Informazione medica: il paziente deve essere pienamente informato sia sulla propria malattia sia su i possibili trattamenti ritenuti adeguati dalla scienza medica, sia sulle ragioni per cui il suo medico si orienta su un trattamento piuttosto che su un altro.
2. Informazione personalizzata: l'informazione dovrebbe essere fornita in accordo alle condizioni culturali, intellettuali, ed emozionali del paziente.
3. Informazione completa: un' informazione parziale, che non permetta al paziente di formarsi un quadro corretto d'insieme, deve essere evitata.
4. Informazione comprensibile: l'informazione non è da sola necessaria, bisogna che il medico si sinceri anche che il paziente abbia compreso ciò che gli è stato comunicato (6)
5. Competenza: un paziente può consentire solo se è dotato della capacità di comprendere la natura del suo disturbo, del trattamento, e di esprimere una valida volontà.
Nel 1994, sotto gli auspici della Società Italiana di Psichiatria, l' Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali ed il Royal College of Psychiatrists hanno organizzato a Benevento un seminario di tre giorni sul problema del consenso informato in psichiatria, a cui hanno partecipato, tra gli altri, G. Adshead, A.Balestrieri, G.Benevelli, A.Casoni, D.Dickinson, M.Di Giannantonio, KWM Fulford, S.Gindro, E.Mordini, D.Tantam. Gli atti, non pubblicati, sono comunque a disposizione dei lettori interessati all'argomento.
Dal gennaio 1996 si è stabilita presso la Commissione di Bioetica dell' Ordine dei Medici di Roma un gruppo di lavoro congiunto tra Ordine e Società Italiana di Psichiatria (Sezione Lazio) sul "Consenso Informato in Psichiatria". Il gruppo di lavoro ha già pubblicato un documento sul consenso nella psichiatria dell' infanzia e si sta apprestando alla pubblicazione di un manuale per la valutazione della competenza del malato psichiatrico.
In ambito psichiatrico la dottrina del consenso informato è sempre stata ritenuta di difficile applicazione, se non, addirittura, paradossale. L'obbiezione che si è sempre mossa è che i malati psichiatrici non dispongono tout court della capacità né di consentire, né di processare le informazioni a loro comunicate. Ciò non è clinicamente vero né nell'esperienza di chi scrive né nell'esperienza della maggior parte degli psichiatri (Vella G, Siracusano A, 1996). In generale, infatti, le persone sofferenti di disturbi psichici, anche gravi, restano capaci di comprendere e legittimamente consentire o dissentire da un atto medico proposto. Non ci si scordi che il problema etico del consenso informato all'atto medico da parte del malato psichiatrico non riguarda di necessità solo le cure psichiatriche. Un malato psichiatrico può essere anche un malato chirurgico oppure cardiologico: in tutti questi casi il suo consenso al trattamento ha valore e deve essere considerato (fatto salvo, ovviamente uno stile umanamente rispettoso nella comunicazione e nella richiesta, che dovrebbe, comunque essere comune) (7). Non sono tanto le peculiarità del malato, quanto quelle della disciplina psichiatrica, a rendere a volte problematica (ma non certo impossibile) l'applicazione del principio del consenso informato. La nozione di consenso informato comprende quella di informazione e quella di volontarietà. A sua volta la questione dell'informazione in ambito psichiatrico è duplice: innanzitutto non è ben chiaro di che si debba informare un paziente, in secondo luogo, ammesso pure che si superi questo primo ostacolo, la psicoanalisi ha insegnato che l'informazione è già cura, non è cioè processo neutro ma è un intervento terapeutico a tutti gli effetti.



Consultabile sul link:
"http://www.psychomedia.it/pm/human/etica/mordini1.htm"

Ed in quest'altro link, ci sono i fondamenti dell'etica del medico, che se non vado errato, arrivano dall'antica Grecia. [SM=g27828]

"http://www.arcattoscana.org/l'etica.htm"


)Mefisto(

[Modificato da )Mefisto( 23/06/2006 22.09]

[Modificato da )Mefisto( 23/06/2006 22.10]

Vitale
00venerdì 23 giugno 2006 23:07
É mai possibile .....

.... debba esserci un duello tra paziente e medico di cui quest'ultimo ha scelto il principio "nel possibile" di salvare il prossimo e non di essere usato in una "forma" di eutanasia passiva. La scelta del paziente é vincolata da vizio e costrizione che esula il principio del Creatore.

Vitale

Achille Lorenzi
00sabato 24 giugno 2006 07:51
solitary man ha scritto:

... ma per i TdG non è così, è una credenza profondamente radicata.

E' una credenza "radicata" quanto era radicato il loro rifiuto delle vaccinazioni e dei trapianti.
E' bastato qualche articolo della Torre di Guardia per sradicare queste credenze.
E' da notare che prima che la WTS cambiasse il suo 'intendmento' i TdG rifiutavano le vaccinaioni e i trapianti con la stessa determinazione e con argomentazioni molto simili a quelle con cui ancora oggi rifiutano le trasfusioni:

www.infotdgeova.it/vaccinazioni.htm
www.infotdgeova.it/trapianti.htm

Io non credo che la "decisione" dei TdG di rifiutare le trasfusioni sia veramente libera.
Solo se non esistessero conseguenze sanzionatorie si potrebbe parlare di un'effettiva decisione presa in piena libertà di coscienza, ma fino a che tale decisione è condizionata dalla minaccia della disassociazione, non ci si può esprimere in questi termini (cfr. www.infotdgeova.it/imposta.htm ).

Saluti
Achille

[Modificato da Achille Lorenzi 24/06/2006 7.53]

solitary man
00sabato 24 giugno 2006 20:26
Re:

Scritto da: Achille Lorenzi 24/06/2006 7.51
solitary man ha scritto:

... ma per i TdG non è così, è una credenza profondamente radicata.

E' una credenza "radicata" quanto era radicato il loro rifiuto delle vaccinazioni e dei trapianti.
E' bastato qualche articolo della Torre di Guardia per sradicare queste credenze.
E' da notare che prima che la WTS cambiasse il suo 'intendmento' i TdG rifiutavano le vaccinaioni e i trapianti con la stessa determinazione e con argomentazioni molto simili a quelle con cui ancora oggi rifiutano le trasfusioni:

www.infotdgeova.it/vaccinazioni.htm
www.infotdgeova.it/trapianti.htm

Io non credo che la "decisione" dei TdG di rifiutare le trasfusioni sia veramente libera.
Solo se non esistessero conseguenze sanzionatorie si potrebbe parlare di un'effettiva decisione presa in piena libertà di coscienza, ma fino a che tale decisione è condizionata dalla minaccia della disassociazione, non ci si può esprimere in questi termini (cfr. www.infotdgeova.it/imposta.htm ).

Saluti
Achille

[Modificato da Achille Lorenzi 24/06/2006 7.53]




Potrai ritene errato esprimersi in quei termini, ciò non toglie che essendo i TdG pronti a rischiare la loro vita per tale rifiuto esso costituisca una credenza molto radicata nei TdG ... se un TdG è disposto a morire è disposto a morire perchè ci crede non certo per paura della disassociazione. (un soldato che va in guerra lo fa perchè crede nel suo paese che glielo chiede e non per paura delle conseguenze della diserzione, e quando muore lo chiamiamo eroe)
Qui però si continua ad cambiare argomento: la questione che evidenzio io non è se è corretta o meno la credenza dei TdG, ma se è corretto o meno usare violenza fisica e psicologica per costringere una persona a subire un determinato trattamento medico contro la sua volontà.
Questo ritengo sia profondamente sbagliato.

[Modificato da solitary man 24/06/2006 20.47]

Vitale
00domenica 25 giugno 2006 00:57
Re: Re:

Scritto da: solitary man 24/06/2006 20.26


Potrai ritene errato esprimersi in quei termini, ciò non toglie che essendo i TdG pronti a rischiare la loro vita per tale rifiuto esso costituisca una credenza molto radicata nei TdG ...

[Modificato da solitary man 24/06/2006 20.47]



Non mi piace fare la tiri-tera, ma quel "molto" non convince, innanzitutto perchè non é radicata di centinaia in centinaia d'anni, ma da alcuni decenni.
Le fondamenta poi, sono state gettate da un filantropo (senza offesa) qual'era per me Rutherford.

Ciao, Vitale

[Modificato da Vitale 25/06/2006 0.58]

Achille Lorenzi
00lunedì 26 giugno 2006 06:48
Ho trovato una versione più ampia dell'articolo citato da Vitale:

gazzettino.quinordest.it/VisualizzaArticolo.php3?Codice=2974593&Luogo=Nordest&...

In questo articolo si aggiunge:

«...Custode di direttive anticipate, verrà scelto dallo stesso seguace di Geova, [non potrà che trattarsi quindi che di un TdG, ndr] e vigilerà sull'assenza di trasfusioni durante l'innesto epatico. Un paziente sarebbe già in lista d'attesa per effettuare un trapianto senza sangue. Nuove frontiere della medicina, che risponde alle credenze del singolo con tecniche sempre più all'avanguardia. Anche se di fatto la matematica certezza di non dover trasfondere non esiste: un problema che aggroviglia scienza medica, implicazioni etiche, possibilità individuale di scegliere cosa fare della propria vita. La proibizione delle trasfusioni di sangue - divieto cui sottostare sempre anche quando queste si rivelassero essenziali per la sopravvivenza - è una delle più convinte (e controverse) credenze dei seguaci di Geova: per loro accettare liquido ematico equivale a rinnegare la fede, incorrere nella disapprovazione divina e disprezzare il provvedimento per la salvezza eterna che Dio ha disposto, cioè il prezioso sangue di Cristo».

Da notare che la frase evidenziata in grassetto è stata presa quasi parola per parola dal sito Infotdgeova:

«La più criticata e controversa credenza dei Testimoni di Geova è certamente la proibizione delle trasfusioni di sangue, anche quando queste fossero assolutamente essenziali per la sopravvivenza. Per i Testimoni, accettare il sangue per salvare la vita equivale a rinnegare la fede, incorrere nella disapprovazione divina e disprezzare il provvedimento per la salvezza eterna che Dio ha disposto, cioè il prezioso sangue di Cristo». ( www.infotdgeova.it/trasfusioni.htm ).

Achille
Achille Lorenzi
00lunedì 26 giugno 2006 07:09
solitary man ha scritto:

Potrai ritene errato esprimersi in quei termini, ciò non toglie che essendo i TdG pronti a rischiare la loro vita per tale rifiuto esso costituisca una credenza molto radicata nei TdG ... se un TdG è disposto a morire è disposto a morire perchè ci crede non certo per paura della disassociazione. (un soldato che va in guerra lo fa perchè crede nel suo paese che glielo chiede e non per paura delle conseguenze della diserzione, e quando muore lo chiamiamo eroe)

Ci sono anche persone che si sucidano in nome di alcuni "ideali", ma di solito vengono definite fanatiche.
Ci sono poi anche seguiaci di culti "evangelici" che rifiutano tout court le cure mediche, ma anche nei confronti di queste persone l'opinione ed il buon senso comune non è molto indulgente: si parla anche qui senza mezzi termini di "fanatismo religioso".
E' lo stesso tipo di fanatismo con cui anni fa i TdG rifiutavano le vaccinazioni, definendo questa cura medica una "diretta violazione della legge di Dio"; "legge di Dio" che nel frattempo è cambiata, al punto che oggi la stragrande maggioranza degli stessi TdG non è più a conoscenza di questo divieto;
divieto che veniva osservato con la stessa intransigenza con cui oggi si rifiutano le trasfusioni (si veda la deposizione fatta davanti ad un giudice da una TdG che rifiutava di vaccinare i propri figli: www.infotdgeova.it/vaccinazioni.htm ).

Dico questo solo per sottolineare che il fatto che qualcuno si lascia morire, o lascia morire qualche suo familiare, per seguire particolari "convinzioni" non significa necessariamente che tale comportamento sia da ammirare o da rispettare.

Qui però si continua ad cambiare argomento: la questione che evidenzio io non è se è corretta o meno la credenza dei TdG, ma se è corretto o meno usare violenza fisica e psicologica per costringere una persona a subire un determinato trattamento medico contro la sua volontà.
Questo ritengo sia profondamente sbagliato.

Un articolo (pubblicato anche nel sito) penso faccia comprendere l'angoscioso dilemma in cui vengono a trovarsi i medici, quando si trovano ad affrontare situazioni di questo genere:

Dal quotidiano La Stampa del 18 gennaio 2005

Rifiuta la trasfusione Salvata da un giudice
La donna, Testimone di Geova, si era opposta per motivi religiosi

Un imprevisto in sala operatoria nella clinica Villa Maria Pia ripropone il delicato tema del rapporto tra etica professionale e libertà personale. Il medico: «Ho chiesto l’ok alla Procura, è stato un atto di coscienza»

Viva e, nonostante tutto, in rapida guarigione. Eppure questa donna di 45 anni che adesso giace su un lettino di Villa Maria Pia, casa di cura sulla collina Torinese, l’altra notte ha rischiato di morire per colpa di una emorragia interna, imprevedibile complicazione post-operatoria di un intervento di asportazione dell’utero. Testimone di Geova e convinta sostenitrice, per credo religioso, del rifiuto delle trasfusioni di sangue, è stata salvata da un magistrato. Che ha parlato con il chirurgo, e lo ha autorizzato a trasfondere il sangue, nonostante la donna avesse chiesto di evitare ogni tipo di manipolazione. «Ho agito secondo coscienza» dice il medico, che chiede l’anonimato. Replicano, in modo pacato, i Testimoni di Geova: «La sua era una scelta consapevole, dettata dalla fede religiosa, e nessuno può imporgliela. Ma dobbiamo ricordarci che i medici sono sottoposti ai vincoli e agli obblighi della legge». La storia di questo intervento chirurgico è breve e allo stesso tempo drammatica. Federica entra in ospedale qualche giorno fa. Sceglie Villa Maria Pia perché, da sempre, la struttura «collabora» con i Testimoni di Geova. Rispetta in modo totale le convinzioni personali. Insomma, offre il massimo delle garanzie quando si tratta di interventi senza trasfusione. L’operazione a cui viene sottoposta è complessa, ma sembra si risolva tutto per il meglio. A sera inoltrata, però, subentra un'emorragia interna. C’è la necessità di riportare la donna in sala operatoria. L’emoglobina è scesa a livelli minimi. Federica rischia di morire se non le viene immesso subito altro sangue in vena. Il chirurgo parla con i parenti. È un dialogo franco e gentile. Loro, però, sono fermi nel rifiuto: «Dottore, faccia tutto il possibile ma non quello». Lui insiste: Federica è grave, molto grave. La morte potrebbe sopraggiungere da un momento all’altro. Lei non può decidere, è in coma, ma i parenti devono sapere tutto. Loro gli parlano delle convinzioni religiose della donna. Di quell’obbligo scritto sui testi sacri, di astenersi dal sangue: «Agisca secondo coscienza, dottore, confidiamo in lei».
È allora che il medico chiama il 113. Una volante sale a villa Maria Pia. Accerta che, davvero, la situazione è critica e che ormai non si sono altre strade. Dalla centrale operativa un poliziotto si mette in contatto con il magistrato di turno, Carlo Pellicano. Che non ha la minima esitazione ed ordina la trasfusione. Il medico informa i familiari, fa rientro in sala operatoria, conclude l’intervento e ritorna dai parenti di Federica, a spiegare la sua decisione e le motivazioni che lo hanno spinto ad agire così. «Siamo un centro di riferimento per i Testimoni di Geova e rispettiamo al massimo la loro volontà. Ma i medici, in certi momenti, hanno obblighi ai quali non possono venire meno. Siamo vincolati al giuramento di Ippocrate: è nostro compito e dovere salvare la vita alle persone» spiega il medico. E aggiunge: «Negli anni si sono sviluppate tecniche operatorie che consentono interventi in assenza di trasfusione. Si utilizzano accorgimenti particolari ed è ormai patrimonio del sapere comune che una persona può vivere anche valori molto bassi di emoglobina». Ma, una volta su un milione, c’è una necessità diversa, una complicazione: «E per risolverla si deve anche ricorrere ad un atto che può apparire di forza. Ad una presa di posizione che non si vorrebbe mai adottare...». Com’è accaduto l’altra notte, per salvare la vita a Federica

Vedi www.infotdgeova.it/trasfusioni.htm

Saluti
Achille
Vitale
00lunedì 26 giugno 2006 22:05
Re:

Gazzettino on line, Padova - Domenica, 6 Novembre 2005


Il rifiuto delle trasfusioni da parte di due pazienti apre un dibattito deontologico fra scienza e credo religioso
Chirurghi e seguaci di Geova a confronto
Maurizio Benato, presidente dell’Ordine dei medici: «Siamo costretti a camminare sulle sabbie mobili»

Una riunione tra i chirurghi e i rappresentanti del culto di Geova per valutare insieme come procedere in casi delicatissimi, che chiamano in causa scienza medica, deontologia, etica, consenso informato. È la strada che si seguirà per discutere dei due pazienti in osservazione nella Clinica chirurgica I che rifiutano le trasfusioni di sangue come indicato dalla loro fede religiosa. Un eventuale trapianto di fegato comporterebbe la possibilità, non escludibile a priori, di ricorrere a trasfusioni. Una situazione che, con le sue molteplici implicazioni, pone in primo piano il rapporto medico-paziente.
"Il medico deve informare il suo assistito, metterlo nelle condizioni di scegliere in maniera consapevole ma non deve in nessun modo forzare la sua decisione. In Italia - osserva Maurizio Benato, presidente dell'Ordine dei Medichi chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Padova - l'eutanasia attiva è un reato ma di fatto l'eutanasia passiva esiste nel momento in cui il paziente ha la facoltà di rifiutare un intervento salva-vita. Si tratta di vicende che mettono in imbarazzo il medico e lo costringono a camminare sulle sabbie mobili: da un lato va informato e tutelato il paziente, dall'altro va tutelato anche il medico che deve evitare denunce per omissione di soccorso".
Del resto l'articolo 32 della Costituzione stabilisce che qualunque trattamento sanitario deve essere di norma preceduto dal consenso del paziente e un eventuale dissenso è superabile solo laddove un'esplicita norma di legge lo preveda, considerando in quel caso, e solo in quello, la possibilità di intervenire coattivamente (vedi le vaccinazioni obbligatorie contro determinate malattie infettive, il trattamento sanitario imposto per i malati di mente in condizioni di pericolosità, gli accertamenti emato-chimici per i dipendenti dello Stato prima dell'assunzione in servizio, analoghe analisi ematologiche previste per i lavoratori addetti alla manipolazione ed al confezionamento degli alimenti, i trattamenti medico-sanitari a favore dei minorenni qualora gli esercenti la potestà genitoriale non vi ottemperino).Se un tempo il medico era il dominus della salute del paziente, con l'introduzione del consenso informato nell'ordinamento giuridico si è aperto uno scenario nuovo perchè si può decidere di rifiutare le cure. Di qui grovigli dentologici ed etici. "Negli ultimi quindici anni - osserva Benato - il rapporto fiduciario tra paziente e medico si è modificato molto: il primo chiede sempre più spesso alla medicina di essere onnipotente, non perdona facilmente, è via via più disinvolto nello sporgere denuncia, il secondo si barrica dietro la medicina difensiva per paura di finire nelle maglie della magistratura". Tema scottante se si pensa che nell'arco di vent'anni di attività un medico ha l'80\% di probabilità di ricevere un avviso di garanzia e gli errori umani, intesi come accidentali e inevitabili che non implicano responsabilità morale, aumenteranno di pari passo con la complessità degli interventi chirurgici.
Federica Cappellato
http://www.gazzettino.it/VisualizzaArticolo.php3?Codice=2655699&Luogo=Padova&Pagina=PADOVA

Vitale

solitary man
00martedì 27 giugno 2006 07:16
Re: Re: Re:

Scritto da: Vitale 25/06/2006 0.57

Non mi piace fare la tiri-tera, ma quel "molto" non convince, innanzitutto perchè non é radicata di centinaia in centinaia d'anni, ma da alcuni decenni.
Le fondamenta poi, sono state gettate da un filantropo (senza offesa) qual'era per me Rutherford.

Ciao, Vitale

[Modificato da Vitale 25/06/2006 0.58]




è radicata nei singoli TdG, non mi sto riferendo all'organizzazione, ma come ogni TdG "sente" questa dottrina. Se è disposto a rischiare di morire per rispettarla è alquanto radicata in lui.
solitary man
00martedì 27 giugno 2006 07:30
Re:

Scritto da: Achille Lorenzi 26/06/2006 7.09
solitary man ha scritto:

Potrai ritene errato esprimersi in quei termini, ciò non toglie che essendo i TdG pronti a rischiare la loro vita per tale rifiuto esso costituisca una credenza molto radicata nei TdG ... se un TdG è disposto a morire è disposto a morire perchè ci crede non certo per paura della disassociazione. (un soldato che va in guerra lo fa perchè crede nel suo paese che glielo chiede e non per paura delle conseguenze della diserzione, e quando muore lo chiamiamo eroe)

Ci sono anche persone che si sucidano in nome di alcuni "ideali", ma di solito vengono definite fanatiche.
Ci sono poi anche seguiaci di culti "evangelici" che rifiutano tout court le cure mediche, ma anche nei confronti di queste persone l'opinione ed il buon senso comune non è molto indulgente: si parla anche qui senza mezzi termini di "fanatismo religioso".
E' lo stesso tipo di fanatismo con cui anni fa i TdG rifiutavano le vaccinazioni, definendo questa cura medica una "diretta violazione della legge di Dio"; "legge di Dio" che nel frattempo è cambiata, al punto che oggi la stragrande maggioranza degli stessi TdG non è più a conoscenza di questo divieto;
divieto che veniva osservato con la stessa intransigenza con cui oggi si rifiutano le trasfusioni (si veda la deposizione fatta davanti ad un giudice da una TdG che rifiutava di vaccinare i propri figli: www.infotdgeova.it/vaccinazioni.htm ).

Dico questo solo per sottolineare che il fatto che qualcuno si lascia morire, o lascia morire qualche suo familiare, per seguire particolari "convinzioni" non significa necessariamente che tale comportamento sia da ammirare o da rispettare.

Qui però si continua ad cambiare argomento: la questione che evidenzio io non è se è corretta o meno la credenza dei TdG, ma se è corretto o meno usare violenza fisica e psicologica per costringere una persona a subire un determinato trattamento medico contro la sua volontà.
Questo ritengo sia profondamente sbagliato.

Un articolo (pubblicato anche nel sito) penso faccia comprendere l'angoscioso dilemma in cui vengono a trovarsi i medici, quando si trovano ad affrontare situazioni di questo genere:

Dal quotidiano La Stampa del 18 gennaio 2005

Rifiuta la trasfusione Salvata da un giudice
La donna, Testimone di Geova, si era opposta per motivi religiosi

Un imprevisto in sala operatoria nella clinica Villa Maria Pia ripropone il delicato tema del rapporto tra etica professionale e libertà personale. Il medico: «Ho chiesto l’ok alla Procura, è stato un atto di coscienza»

Viva e, nonostante tutto, in rapida guarigione. Eppure questa donna di 45 anni che adesso giace su un lettino di Villa Maria Pia, casa di cura sulla collina Torinese, l’altra notte ha rischiato di morire per colpa di una emorragia interna, imprevedibile complicazione post-operatoria di un intervento di asportazione dell’utero. Testimone di Geova e convinta sostenitrice, per credo religioso, del rifiuto delle trasfusioni di sangue, è stata salvata da un magistrato. Che ha parlato con il chirurgo, e lo ha autorizzato a trasfondere il sangue, nonostante la donna avesse chiesto di evitare ogni tipo di manipolazione. «Ho agito secondo coscienza» dice il medico, che chiede l’anonimato. Replicano, in modo pacato, i Testimoni di Geova: «La sua era una scelta consapevole, dettata dalla fede religiosa, e nessuno può imporgliela. Ma dobbiamo ricordarci che i medici sono sottoposti ai vincoli e agli obblighi della legge». La storia di questo intervento chirurgico è breve e allo stesso tempo drammatica. Federica entra in ospedale qualche giorno fa. Sceglie Villa Maria Pia perché, da sempre, la struttura «collabora» con i Testimoni di Geova. Rispetta in modo totale le convinzioni personali. Insomma, offre il massimo delle garanzie quando si tratta di interventi senza trasfusione. L’operazione a cui viene sottoposta è complessa, ma sembra si risolva tutto per il meglio. A sera inoltrata, però, subentra un'emorragia interna. C’è la necessità di riportare la donna in sala operatoria. L’emoglobina è scesa a livelli minimi. Federica rischia di morire se non le viene immesso subito altro sangue in vena. Il chirurgo parla con i parenti. È un dialogo franco e gentile. Loro, però, sono fermi nel rifiuto: «Dottore, faccia tutto il possibile ma non quello». Lui insiste: Federica è grave, molto grave. La morte potrebbe sopraggiungere da un momento all’altro. Lei non può decidere, è in coma, ma i parenti devono sapere tutto. Loro gli parlano delle convinzioni religiose della donna. Di quell’obbligo scritto sui testi sacri, di astenersi dal sangue: «Agisca secondo coscienza, dottore, confidiamo in lei».
È allora che il medico chiama il 113. Una volante sale a villa Maria Pia. Accerta che, davvero, la situazione è critica e che ormai non si sono altre strade. Dalla centrale operativa un poliziotto si mette in contatto con il magistrato di turno, Carlo Pellicano. Che non ha la minima esitazione ed ordina la trasfusione. Il medico informa i familiari, fa rientro in sala operatoria, conclude l’intervento e ritorna dai parenti di Federica, a spiegare la sua decisione e le motivazioni che lo hanno spinto ad agire così. «Siamo un centro di riferimento per i Testimoni di Geova e rispettiamo al massimo la loro volontà. Ma i medici, in certi momenti, hanno obblighi ai quali non possono venire meno. Siamo vincolati al giuramento di Ippocrate: è nostro compito e dovere salvare la vita alle persone» spiega il medico. E aggiunge: «Negli anni si sono sviluppate tecniche operatorie che consentono interventi in assenza di trasfusione. Si utilizzano accorgimenti particolari ed è ormai patrimonio del sapere comune che una persona può vivere anche valori molto bassi di emoglobina». Ma, una volta su un milione, c’è una necessità diversa, una complicazione: «E per risolverla si deve anche ricorrere ad un atto che può apparire di forza. Ad una presa di posizione che non si vorrebbe mai adottare...». Com’è accaduto l’altra notte, per salvare la vita a Federica

Vedi www.infotdgeova.it/trasfusioni.htm

Saluti
Achille




A parte il fatto che i TdG non hanno intenti suicidi ne rifiutano le cure mediche in toto il che rende il paragone alquanto fuorviante ...
a parte che non ho mai messo in dubbio la difficile situazione in cui i medici si vengono a trovare a motivo di questa scelta dei TdG, anzi l'ho in più occasioni messa in evidenza ...
a parte questo, si continua a non rispondere in maniera chiara lla domanda:
E' deontologicamente e moralmente corretto che un medico costringa un paziente contro la sua espressa volontà a sottoporsi a un determinato trattamento medico che probabilmente potrebbe salvargli la vita, esercitando pertanto per definizione una violenza fisica e psicologica sullo stesso paziente?
Io ho risposto chiaramente: ho detto no ... poi potrei ritenere errata la dottrina dei TdG oppure ritenerla corretta, ma non è questo il punto ... se la ritengo sbagliata non è esercitando su di loro una violenza psicofisica che risolvo il problema. [SM=g27813]
Vitale
00martedì 27 giugno 2006 11:56
Re: Re:

Scritto da: solitary man 27/06/2006 7.30

A parte il fatto che i TdG non hanno intenti suicidi ne rifiutano le cure mediche in toto il che rende il paragone alquanto fuorviante ...
[SM=g27813]


Questo lo dici tu.
Realtà che ho conosciuto (ed altre in rete) sono in disaccordo con il tuo pensiero.

Ciao, Vitale

Achille Lorenzi
00martedì 27 giugno 2006 18:47
solitary man ha scritto:

...E' deontologicamente e moralmente corretto che un medico costringa un paziente contro la sua espressa volontà a sottoporsi a un determinato trattamento medico che probabilmente potrebbe salvargli la vita, esercitando pertanto per definizione una violenza fisica e psicologica sullo stesso paziente?

A me sembra che a questa domanda sia troppo semplicistico rispondere con un SI' o con un NO, anche perché nella questione vengono implicate anche le convinzioni etico/religiose del medico, la sua coscienza e sensibilità.
Si potrebbe quindi anche chiedere: è moralmente e legalmente corretto che un medico, per rispettare una convinzione di un paziente non faccia tutto quanto è in suo potere per salvare la sua vita, utilizzando tutte le tecniche mediche di cui dispone?
E se non fa tutto quello che è in suo potere, come si sentirà nella sua coscienza, sapendo che una persona è morta quando avrebbe potuto essere salvata?
Credo che anche le convinzioni e la coscienza del medico meritino lo stesso rispetto di quelle del paziente. Invece in questi casi i medici devono mettere da parte le loro idee, sentimenti e convinzioni e lasciare che una persona muoia..
Non solo dal punto di vista morale ma anche da quello legale un esimile comportamento non viene considerato corretto, visto che alcuni medici hanno subito conseguenze legali per aver omesso di prestare le necessarie cure.

«...il medico deve fare di tutto per tutelare la salute dei pazienti a lui affidati, bene supremo, con tutti i mezzi a sua disposizione, seppur ciò comporti andare contro le convinzioni morali, le credenze religiose e la volontà di eventuali terzi interessati (v. caso di genitori che per motivi religiosi si oppongano ad un trapianto salva vita per il figlio). La tutela del bene vita è suprema e travalica qualsiasi altro fattore o credenza del paziente -o anche del medico (v.medici obbiettori).
È logico che se la vita del testimone di Geova non fosse stata in pericolo ed il medico avesse effettuato ugualmente la trasfusione, sarebbe stato ritenuto responsabile di atti di violenza privata.
In questi ed in analoghi casi i sanitari possono invocare la scriminante ex art.54 c.p. e/o anche quella ex art.50 c.p.
... il medico che non operi ex art.54 c.p. per curare e tutelare la salute-vita del paziente, ponendo questi beni-valori al di sopra di tutto, come già esplicato, sarà sempre ritenuto responsabile e potrà essere rinviato a giudizio, seppur l'errore-omissione sia stato commesso per una semplice leggerezza»
( www.filodiritto.com/diritto/penale/responsabilitamedicamil... ).

Per quanto riguarda poi il fatto che rifiutare il sangue, quando non esiste nessuna altra alternativa alla trasfusione, non sia una forma di suicidio, questo non è ciò che pensa la Legge. Infatti se un genitore lascia morire un figlio, omettendo di sottoporlo ad un'indispensabile trasfusione, viene accusato di omicidio, anche se magari lo "cura" con qualche altro metodo (cfr. www.infotdgeova.it/oneda.htm ).
Il suicidio è l'omicidio di se stessi...

Saluti
Achille

[Modificato da Achille Lorenzi 27/06/2006 19.21]

solitary man
00martedì 27 giugno 2006 19:18
Re: Re: Re:

Scritto da: Vitale 27/06/2006 11.56

Questo lo dici tu.
Realtà che ho conosciuto (ed altre in rete) sono in disaccordo con il tuo pensiero.

Ciao, Vitale




ah Mario [SM=g27820]: ... era riferito non a singoli individui che potrebbero per fatti loro avere intenti suicidi, ma riferito al fatto che quello del rifiuto del sangue non è un intento suicida [SM=g27817] ... anche io ho conosciuto persone con intenti suicidi sia tra TdG che non [SM=g27819]
solitary man
00martedì 27 giugno 2006 19:30
Re:

Scritto da: Achille Lorenzi 27/06/2006 18.47
solitary man ha scritto:

...E' deontologicamente e moralmente corretto che un medico costringa un paziente contro la sua espressa volontà a sottoporsi a un determinato trattamento medico che probabilmente potrebbe salvargli la vita, esercitando pertanto per definizione una violenza fisica e psicologica sullo stesso paziente?

A me sembra che a questa domanda sia troppo semplicistico rispondere con un SI' o con un NO, anche perché nella questione vengono implicate anche le convinzioni etico/religiose del medico, la sua coscienza e sensibilità.
Si potrebbe quindi anche chiedere: è moralmente e legalmente corretto che un medico, per rispettare una convinzione di un paziente non faccia tutto quanto è in suo potere per salvare la sua vita, utilizzando tutte le tecniche mediche di cui dispone?
E se non fa tutto quello che è in suo potere, come si sentirà nella sua coscienza, sapendo che una persona è morta quando avrebbe potuto essere salvata?
Credo che anche le convinzioni e la coscienza del medico meritino lo stesso rispetto di quelle del paziente. Invece in questi casi i medici devono mettere da parte le loro idee, sentimenti e convinzioni e lasciare che una persona muoia..
Non solo dal punto di vista morale ma anche da quello legale un esimile comportamento non viene considerato corretto, visto che alcuni medici sono stati denunciati per omissione di soccorso.

Per quanto riguarda poi il fatto che rifiutare il sangue, quando non esiste nessuna altra alternativa alla trasfusione, non sia una forma di suicidio, questo non è ciò che pensa la Legge. Infatti se un genitore lascia morire un figlio, omettendo di sottoporlo ad un'indispensabile trasfusione, viene accusato di omicidio, anche se magari lo "cura" con qualche altro metodo (cfr. www.infotdgeova.it/oneda.htm ).
Il suicidio è l'omicidio di se stessi...

Saluti
Achille



vedi Achille, non nego che per i medici sia una situazione difficilissima, sono il primo a sostenerlo, ma la soluzione al problema non è costringere i TdG ad accettare una trasfusione facendo loro subire una violenza fisica e psicologica ... perchè come va rispettato il medico anche il paziente e la sua coscienza vanno rispettate.
Ciao [SM=g27817]
Achille Lorenzi
00martedì 27 giugno 2006 19:36
solitary man ha scritto:

vedi Achille, non nego che per i medici sia una situazione difficilissima, sono il primo a sostenerlo, ma la soluzione al problema non è costringere i TdG ad accettare una trasfusione facendo loro subire una violenza fisica e psicologica ... perchè come va rispettato il medico anche il paziente e la sua coscienza vanno rispettate.

Mentre mi stavi rispondendo ho modificato il mio messaggio, inserendovi una citazione tratta da un sito di giurispridenza:

«...il medico deve fare di tutto per tutelare la salute dei pazienti a lui affidati, bene supremo, con tutti i mezzi a sua disposizione, seppur ciò comporti andare contro le convinzioni morali, le credenze religiose e la volontà di eventuali terzi interessati (v. caso di genitori che per motivi religiosi si oppongano ad un trapianto salva vita per il figlio). La tutela del bene vita è suprema e travalica qualsiasi altro fattore o credenza del paziente -o anche del medico (v.medici obbiettori).
È logico che se la vita del testimone di Geova non fosse stata in pericolo ed il medico avesse effettuato ugualmente la trasfusione, sarebbe stato ritenuto responsabile di atti di violenza privata.
In questi ed in analoghi casi i sanitari possono invocare la scriminante ex art.54 c.p. e/o anche quella ex art.50 c.p.
... il medico che non operi ex art.54 c.p. per curare e tutelare la salute-vita del paziente, ponendo questi beni-valori al di sopra di tutto, come già esplicato, sarà sempre ritenuto responsabile e potrà essere rinviato a giudizio, seppur l'errore-omissione sia stato commesso per una semplice leggerezza»
( www.filodiritto.com/diritto/penale/responsabilitamedicamil... ).

A quanbto pare, secondo le più recenti disposizioni legali, il medico ha innanzitutto il dovere di tutelare la vita del paziente. Se non lo fa viene ritenuto responsabile.

Ciao
Achille
solitary man
00martedì 27 giugno 2006 20:16
Re:

Scritto da: Achille Lorenzi 27/06/2006 19.36
solitary man ha scritto:

vedi Achille, non nego che per i medici sia una situazione difficilissima, sono il primo a sostenerlo, ma la soluzione al problema non è costringere i TdG ad accettare una trasfusione facendo loro subire una violenza fisica e psicologica ... perchè come va rispettato il medico anche il paziente e la sua coscienza vanno rispettate.

Mentre mi stavi rispondendo ho modificato il mio messaggio, inserendovi una citazione tratta da un sito di giurispridenza:

«...il medico deve fare di tutto per tutelare la salute dei pazienti a lui affidati, bene supremo, con tutti i mezzi a sua disposizione, seppur ciò comporti andare contro le convinzioni morali, le credenze religiose e la volontà di eventuali terzi interessati (v. caso di genitori che per motivi religiosi si oppongano ad un trapianto salva vita per il figlio). La tutela del bene vita è suprema e travalica qualsiasi altro fattore o credenza del paziente -o anche del medico (v.medici obbiettori).
È logico che se la vita del testimone di Geova non fosse stata in pericolo ed il medico avesse effettuato ugualmente la trasfusione, sarebbe stato ritenuto responsabile di atti di violenza privata.
In questi ed in analoghi casi i sanitari possono invocare la scriminante ex art.54 c.p. e/o anche quella ex art.50 c.p.
... il medico che non operi ex art.54 c.p. per curare e tutelare la salute-vita del paziente, ponendo questi beni-valori al di sopra di tutto, come già esplicato, sarà sempre ritenuto responsabile e potrà essere rinviato a giudizio, seppur l'errore-omissione sia stato commesso per una semplice leggerezza»
( www.filodiritto.com/diritto/penale/responsabilitamedicamil... ).

A quanbto pare, secondo le più recenti disposizioni legali, il medico ha innanzitutto il dovere di tutelare la vita del paziente. Se non lo fa viene ritenuto responsabile.

Ciao
Achille



Seppur d'accordo sulla parte in cui si fa riferimento a terzi (come ho già evidenziato in precedenza):

"il medico deve fare di tutto per tutelare la salute dei pazienti a lui affidati, bene supremo, con tutti i mezzi a sua disposizione, seppur ciò comporti andare contro le convinzioni morali, le credenze religiose e la volontà di eventuali terzi interessati (v. caso di genitori che per motivi religiosi si oppongano ad un trapianto salva vita per il figlio)"

sono assolutamente contrario alle terapie coatte nei confronti di pazienti che hanno espresso la volontà di non ricevere determinate terapie loro stessi (e non terze persone). E' una violenza fisica e psicologica che non riesco a condividere.

Io non sono più TdG, non mi sento "vincolato" dalla credenza che vieta la trasfusione, ma sapere che se vado in ospedale e rifiuto di fare un trapianto o di ricevere una trasfusione (perchè magari mi fa schifo l'idea del liquido corporeo di un altro essere umano nelle mie vene o mi nausea il pensiero di avere un organo dentro di me che era di un altra persona) ... beh... l'idea di non aver diritto di scegliere non mi fa affatto contento

p.s. il mio voleva solo essere un esempio... non sono contrario alla donazione degli organi ... sono favorevole alla donazione e ho una mia dichiarazione nel portafoglio in cui do il consenso all'espianto nel caso mi succeda qualcosa, però, comunque sia, l'idea di avere dentro di me una parte del corpo di un altro essere umano mi farebbe un po' senso e vorrei pertanto esercitare il diritto di decidere io del mio corpo e della mia vita, in bene e in male

[Modificato da solitary man 27/06/2006 20.19]

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