Libertà religiosa

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bruna 2
00giovedì 7 ottobre 2004 00:04
Re:



Ciao rosa scusa ma il tuo messaggio io lo vedo solo
numeri e lettere non capisco cosa tu abbia scritto
ciao Bruna
rinata4
00giovedì 7 ottobre 2004 00:12
ciao bruna..è un link non sono riuscita a renderlo cliccabile per leggerlo fai il copia incolla sull'explorer...scusa per l'incoveniente..vedo che ci sono problemi ad aprirlo..copio l'articolo qui...

Giovedì 7 Ottobre 2004



Essere cristiani in Turchia

La libertà religiosa nei Paesi a maggioranza Islamica Rapporto 1998
Turchia


POPOLAZIONE: 63.528.000
RELIGIONE: islam 99.8% (sunnita 80% - sciita 19.8%); cristianesimo 0.2%
Cattolici: 28.575
Vicariato apostolico: Anatolia - 5.000; Istanbul - 15.000; Esarcato patriarcale dei Siri: - 2.110; Diocesi: Istanbul - Costantinopoli degli Armeni - 3.670; Esarcato apostolico per i cattolici di rito bizantino - 45; Caldei: Diarbekir, Amida dei Caldei - 1.500; Latini: Diocesi: Izmir - 1.250



(alleanzacattolica.org) L’islam non è più religione di Stato in Turchia dal 1928. Secondo la Costituzione della repubblica turca, ognuno ha libertà di coscienza e credo religioso, le celebrazioni e il servizio liturgico possono essere svolti liberamente. Nessuno può essere forzato a partecipare a riti, ovvero essere accusato per il suo credo e le sue convinzioni. Educazione, istruzione religiosa ed etica vengono condotte sotto la supervisione dello Stato, sono obbligatorie nel corso degli studi primari e secondari. Altro tipo di insegnamento religioso è soggetto al desiderio del singolo e, nel caso di minori, alle richieste dei suoi rappresentanti legali. Il governo ha approvato recentemente misure destinate a sopprimere l’insegnamento islamico finanziato dallo Stato, vietato il fez e il velo e ha deciso di adottare l’alfabeto latino, abolendo quello arabo.

A nessuno è permesso sfruttare o abusare dei sentimenti e cose ritenute sacre, per qualsiasi influenza personale, politica, o anche solo parzialmente basare l’ordine fondamentale, sociale, economico, politico e legale dello stato sulle dottrine religiose. La vita per i credenti non è facile, si verificano violenze e incarcerazioni in odio alla fede, l’evangelizzazione è ostacolata perché i cristiani vengono assimilati ai terroristi armeni e ai testimoni di Geova. Nel 1996 è salito al governo Erbakan, per la prima volta un musulmano, ma il suo esecutivo è caduto nel 1997 e sostituito da Mesut Ylmaz, sfiduciato dal Parlamento nel novembre 1998.

Le comunità minoritarie devono affrontare sfide e restrizioni che riguardano, come nel caso dei musulmani, le pratiche e le tradizioni religiose. Le religioni minoritarie non riconosciute dal Trattato di Losanna del 1923, ad esempio, non sono autorizzate ad acquisire beni per le loro attività di culto. Ma anche le comunità riconosciute subiscono impedimenti, come il divieto di utilizzare locali di proprietà: accade per il Seminario di Halki del Patriarcato Ecumenico e per il Seminario della Santa Croce della Chiesa ortodossa apostolica armena, entrambi chiusi dal 1971. In altri casi, i beni delle comunità religiose sono stati confiscati dallo Stato senza che venisse riconosciuto alcun risarcimento. Difficile, se non impossibile, ottenere permessi per costruire nuovi luoghi di preghiera o per restaurare le chiese esistenti.

Anche se il proselitismo non è formalmente proibito, in Turchia sono stati incarcerati militanti musulmani e cristiani evangelici con il pretesto che l’espressione pubblica del loro culto avrebbe provocato problemi alla pace. Otto cittadini statunitensi sono stati arrestati nel marzo 1998 perché distribuivano copie del Nuovo Testamento nelle strade di Eskisehir.

Alcuni musulmani, qualificati come “estremisti” dal governo turco, sono stati vittime di discriminazioni. La partecipazione politica conosce limitazioni, come è accaduto in occasione della soppressione del Partito del Benessere (Refah) all’inizio del 1998 e delle recenti condanne e interdizioni che hanno colpito il sindaco di Istanbul Erdogan. Musulmani praticanti vengono non occasionalmente licenziati da alcuni impieghi e degradati o espulsi dall’esercito ed emarginati politicamente.

Eppure, la maggioranza del popolo è musulmana, con un ritorno al più stretto islamismo che si manifesta negli episodi d’intolleranza nei confronti dei cristiani. Un’anziana coppia di cristiano-assiri, l’ultima rimasta a Mzizah, vicino Midyat, in procinto di trasferirsi come tutti gli altri della medesima religione, verso il sud ovest della Turchia, è stata trucidata nella sua abitazione. Nel Tur Abdin vivono oggi 2.300 cristiani siro-ortodossi: meno di quaranta anni fa erano 150mila. La “KNA” del 30 settembre 1997 e “Menschenrechte” (novembre-dicembre 1997) danno la notizia di un appello lanciato affinché si trovi un luogo dove questo popolo, l’unico che parla ancora l’aramaico, lingua di Gesù Cristo, possa condurre la propria esistenza senza soprusi e violenze.

Il 12 gennaio 1998, informa “Ecumenical News International”, un sacrestano greco ortodosso è stato trovato ucciso all’interno della chiesa Agios Therapontas, una delle più antiche di Istanbul, dalla quale sono state rubate icone e oggetti preziosi. Il governo turco, accusato di non attuare alcun piano preventivo, respinge ogni responsabilità. Il 3 dicembre 1997, una bomba aveva colpito il quartier generale del Patriarca Ecumenico, ferendo un diacono e provocando danni alla chiesa. I fondamentalisti islamici, che non vogliono luoghi santi cristiani nella città, sono chiamati in causa, anche se non esistono prove evidenti della loro responsabilità nell’attacco al cittadino greco.

Il 22 gennaio 1998, riporta “Droits de l’homme sans frontières”, i cristiani caldei provenienti dal nord dell’Iraq sono stati oggetto di un’ondata di arresti che ha riguardato circa cinquemila persone. I rifugiati, di cui non si conosce il numero e tra i quali vi sono anche dei curdi, risiedevano per la maggior parte a Istanbul, ma anche in altre regioni del Paese. Tutti i corpi di polizia avrebbero ricevuto istruzioni per arrestare i rifugiati e rinviarli alla frontiera. Senonché, questo potrebbe significare spedirli al massacro in un Paese da cui sono fuggiti ai tempi della Guerra del Golfo.

Secondo l’“Agence de Presse Internationale Catholique”, di Friburgo, in Svizzera, nella notte tra il 30 e il 31 marzo 1998 sono state profanate più di 72 tombe nel cimitero cristiano di San Eleuterio. Quindici sepolcri sono stati aperti e le ossa sparse tutt’intorno. I cristiani a Istanbul sono un’effimera minoranza tra dieci milioni di musulmani. Prima dell’uccisione del sagrestano e della bomba di dicembre, c’erano stati altri attentati, uno nel 1996 e due bombe a tempo nel 1994, trovate prima dell’esplosione nel cortile del patriarcato.

Al terzo incontro del Consiglio islamico dell’Eurasia, informa l’agenzia “Fides”, il relatore responsabile della Direzione degli Affari religiosi della Turchia si è riferito al cristianesimo come una minaccia, ribadendo la necessità di attività missionarie per prevenire un incremento di questa religione.

A fronte della richiesta di inserire la Turchia tra le mete di pellegrinaggio per l’Anno Santo, il governo di questo Stato si troverà anche a dover affrontare la situazione dei cristiani nel suo Paese. Oltre ai ventimila battezzati, sono presenti in realtà quattro milioni e mezzo di cristiani che vivono nell’anonimato. Monsignor Ruggero Franceschini, in Turchia da undici anni, intervistato da “Avvenire” l’11 agosto 1998, dichiara che ci sono circa ottomila latini, centomila siro-cattolici, altrettanti ortodossi dipendenti da Damasco, quattrocentomila armeni e centocinquantamila immigrati russi ortodossi. I cristiani non accedono al parlamento, né alla carriera militare. Il pericolo del fondamentalismo c’è, a causa di integralisti che premono su un nazionalismo esasperato. La nota positiva è che dopo tanti anni è stato insediato finalmente in Anatolia un vescovo cattolico.

“Human Rights Without Frontiers” del 3 settembre 1998 informa che il Ministro degli Interni turco ha compiuto un tentativo per esautorare l’attuale Patriarca della Chiesa Apostolico-Ortodossa Armena, Mutafyan, e sostituirlo con un leader di sua scelta. Lo Stato aveva vietato ai 65mila armeni di eleggere un nuovo Patriarca fin dalla morte del precedente, avvenuta il 10 marzo, compiendo pressioni per un suo candidato, Sivacyian.

Proseguono intanto le violenze contro i cristiani: il 26 novembre 1998, nei pressi del villaggio di Besbin, nella Turchia sudorientale, il pastore sessantenne Hannah Atekti è stato assassinato mentre pascolava le sue greggi. Con lui si spegne l’ultimo capofamiglia cristiano di quel luogo, poiché il cognato Isa Karakut, che ha fornito la notizia a “Droit de l’homme sans frontières”, è rifugiato in Belgio dal 1995 a causa delle minacce di morte che gli sono state rivolte da musulmani, e sono rimasti nel villaggio soltanto la moglie Kitane Atekti, di 27 anni e i loro due figli Ziver e Verine Karakut, rispettivamente di 7 e 5 anni. Sono gli uomini, infatti, a rappresentare l’obbiettivo principale dell’ostilità religiosa dei vicini, e la donna ha voluto rimanere presso la famiglia per curare i propri genitori e accudire i bambini, ancora troppo piccoli per affrontare i disagi dell’emigrazione. Sia Karakul, che non ottiene il diritto d’asilo dalle autorità belghe, potrebbe entro breve tempo essere costretto a ritornare in Patria.

Dall’inizio degli anni Novanta, migliaia di cristiani di rito caldeo sono fuggiti da quelle zone del Paese per le persecuzioni operate sia dalle autorità locali sia dai crudi, ma il Belgio non riconosce loro lo statuto di rifugiati.


[Modificato da rinata4 07/10/2004 0.23]

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