Le cure del "santone" erano abusi sessuali

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Vitale
00giovedì 21 dicembre 2006 01:16

Gazzettino online 20 Dicembre 2006
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La Cassazione ha riconosciuto definitivamente colpevole il sedicente guaritore di San Pietro in Gu' e lo ha condannato a nove anni.

Padova

Sette anni per le violenze carnali e il sequestro di persona, un anno e undici mesi per l'accusa di truffa. I giudici della Cassazione hanno confermato la condanna a Gabriel Basmahdji, il "santone" dei siri ortodossi di Antiochia, fondatore a San Pietro in Gu' della "missione" intitolata a Sant'Antonio Abate. È passata in giudicato la sentenza emessa la sera del 9 novembre 2004 dai giudici della Corte d'appello di Venezia, che avevano in parte riformato, rendendola più dura, la condanna di primo grado, risarcimenti compresi. La Suprema Corte ha pure confermato l'ammontare dei danni. Tranne per una coppia di genitori di uno dei malcapitati ragazzi finiti nelle maglie del "santone". Il risarcimento dovrà essere ricalcolato dai giudici della Corte d'appello. Ma c'è un'altra condanna pendente sul capo del chiacchierato "sacerdote". Cinque mesi e dieci giorni di reclusione che gli sono stati inflitti dal giudice monocratico Lara Fortuna nell'aprile 2005 per le minacce nei confronti dell'avvocato Maria Pia Rizzo, che tutela alcune delle parti civili. Le minacce, ovviamente di morte, erano state fatte durante il processo di primo grado.

Private della libertà personale, denutrite, sottoposte a massacranti lavori, a lunghe veglie di preghiera e a punizioni corporali inferte con corpi contundenti, costrette a subìre abusi sessuali per essere "purificate" dal "maligno". Questa la drammatica esperienza vissuta da una ventina di giovani donne nella comunità religiosa intitolata a Sant'Antonio Abate situata nell'Alta Padovana. I fatti che venivano contestati a Basmahdji risalivano fino all'aprile 1997, quando ai suoi polsi gli investigatori della Squadra mobile strinsero le manette in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare.

Incurante degli strali della Chiesa, Basmahdji aveva continuato a praticare strani riti, prima in un appartamento di via Asolo (la mania di denudare le donne per "purificarle" l'ha sempre avuta), poi a Montecchio Precalcino, infine nella "missione" di San Pietro in Gu'. La maggior parte dei suoi adepti era stata reclutata nel centro Italia. Persone per lo più psicolabili. Ed era dalle Marche che nell'estate 1996 erano arrivati i familiari di due ragazze per liberarle dal "santone". Entrambe diciottenni, rapate a zero alla testa e al pube, in preda ad uno stato confusionale, le due giovani erano state riportate a casa e nei confronti di Basmahdji era scattata la prima denuncia. Pochi mesi dopo la polizia aveva perquisito da cima a fondo la sede della "missione". E poco alla volta altre denunce erano arrivate. Ben più gravi.

Le parti civili sono garantite da una sequestro disposto dall'ex giudice delle indagini preliminari Alessandro Apostoli Cappello nel dicembre 1998 su un miliardo di vecchie lire trovato in un conto corrente bancario intestato allo straniero. Gli investigatori della Squadra mobile avevano passato al setaccio tutti i conti e i beni del "santone", che sosteneva di essere stato mandato sulla Terra direttamente dal Padreterno per sconfiggere il demonio. La maggior parte del patrimonio era costituita da denaro depositato alla Banca di Roma e in fondi di investimento della Fideuram di Vicenza. Dopo le perquisizioni degli investigatori, il "santone" aveva trasferito a persone di fiducia le proprietà mobiliari. E le centinaia di milioni accumulate da Basmahdji erano state intestate ad alcuni adepti, appartenenti alla stessa comunità, i quali avevano sottoscritto una delega che consentiva al fondatore della setta di eseguire tutte le operazioni patrimoniali sui conti correnti. Gli investigatori avevano accertato che durante l'inchiesta erano scomparsi (finiti probabilmente in conti sicuri) anche i soldi provenienti dalla comunità. E il fabbricato di San Pietro in Gu' risultava intestato alla Chiesa ortodossa dei siri di Antiochia, associazione di cui era legale rappresentante un adepto del "santone".

La notizia si era diffusa il 3 aprile 2002. Il "santone" era morto a Damasco, in Siria, tre giorni dopo essere stato rimpatriato. Sulla grande cancellata della sua "missione", a San Pietro in Gu', era stato affisso un cartello. "Lutto di famiglia", c'è scritto, con tanto di croce nera. Basmahdji, aveva riferito la moglie Ines Dal Soglio, era stato stroncato da un infarto lunedì di Pasquetta. E tre giorni dopo era "risorto". Aveva telefonato di persona in comunità. La sua voce era affaticata. Ma era veramente lui e salutava tutti.
Lino Lava

Vitale

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