Io, non credente, difendo il Presepe

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Achille Lorenzi
00sabato 11 dicembre 2004 09:21
Dal Corriere della Sera di oggi (link: http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=COMMENTI&doc=OSTELLIaa).
Ho evidenziato in grassetto una frase dove si menzionano i TdG.

il Dubbio
Io, non credente, difendo il Presepe
La multiculturalità non è una fuga
di PIERO OSTELLINO


E’ consentito a un «non credente» quale sono di aderire all’appello del cardinale Camillo Ruini agli italiani affinché si oppongano all’abbandono della tradizione dei presepi nelle scuole in occasione del Natale? Se è consentito, il «non credente» ha, però, il dovere di spiegare le ragioni della sua adesione, che non possono evidentemente essere le stesse del cardinale. Ma il «non credente» - immagino già lo scandalo - intende assolvere il suo dovere citando le parole di un altro prelato, il cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Scrive, dunque, Ratzinger: «La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegazione di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza basi comuni, senza punti di orientamento offerti dai valori propri. Sicuramente non può sussistere senza il rispetto di ciò che è sacro. Essa comporta l’andare incontro con rispetto agli elementi sacri dell’altro, ma questo lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non è estraneo a noi stessi» (Marcello Pera-Joseph Ratzinger: Senza radici - Europa, relativismo, cristianesimo, Islam , Mondadori). Personalmente, le parole «sacro» e «Dio» non mi scandalizzano - non fosse altro perché fanno parte della nostra storia e del nostro lessico - ma se suonano, invece, scandalose agli orecchi di qualche laicista provvedo subito. La prima frase, dove compare la parola «sacro», diventa: «Sicuramente non può sussistere senza il rispetto di quelle che sono le proprie tradizioni». La seconda, dove compare anche la parola «Dio», diventa a sua volta: «Essa comporta l’andare incontro alle tradizioni dell’altro, ma questo lo possiamo fare solamente se le nostre tradizioni non diventano estranee a noi stessi». A questo punto, mi rendo conto di rischiare di scandalizzare i cardinali, che - mi si perdoni l’espressione - fanno solo il loro mestiere citando il «sacro» e «Dio» quali referenti del loro magistero. Rispondo, allora, con le parole di un altro «non credente», il presidente del Senato, Marcello Pera: «Se la Chiesa scinde la verità infallibile del suo messaggio dalla concreta applicazione e pratica storica che ne fa e distingue sé come custode eterno della verità da sé come governo pro tempore dei credenti, allora rischia di essere percepita al pari di qualunque istituzione secolare» (idem). E’ esattamente come io la percepisco e la considero. Ma l’inevitabile sconcerto sui fedeli di una concezione della Chiesa soltanto come istituzione secolare bene descritta da Pera non è affare mio «di non credente», bensì loro, di sacerdoti della Chiesa come «custode eterno della verità». Tant’è che trovo del tutto comprensibile e giustificabile che essi se ne preoccupino e si comportino di conseguenza.
Una società che «fugge dalle cose proprie» - che poi vuol dire fuggire dai propri valori e dalle proprie tradizioni - è condannata all’implosione. D’ora in poi, negli ospedali, per rispetto dei testimoni di Geova, non si faranno più trasfusioni di sangue? Lasceremo che sia praticata l’infibulazione alle donne per rispetto dell’immigrazione che nei propri Paesi d’origine ancora vi fa ricorso? Autorizzeremo la poligamia e, magari, la lapidazione dell’adultera? Una società «multiculturale» - tanti mondi separati l’uno dall’altro (monadi) - non sta insieme perché è la negazione della nostra civilizzazione. Che è l’equivalente del cemento che tiene insieme i mattoni di una casa. Una cosa è il pluralismo di valori di una società liberaldemocratica; un’altra la rinuncia ai nostri. Io non mi sento offeso da quelli islamici. Che rispetto, pur non condividendoli. Se gli islamici si sentono offesi dai miei vuole dire che non sarebbero disposti a rispettarli.
vally82
00sabato 11 dicembre 2004 15:37
Articolo tratto da "La Repubblica" dell'11/12/2004
La polemica di questi giorni: anche i Re Magi
sono branditi come un'arma impropria
Chi vuole distruggere il presepe
di MICHELE SERRA



CERTE volte ci si sente soli. Maledettamente soli. Come l'altra sera seguendo, da Bruno Vespa, una affollatissima chiacchierata in difesa del presepe e delle carole natalizie nelle scuole italiane. E' dovuta passare un'ora e mezzo prima che l'onorevole Diliberto (trovando un varco tra cardinali, imam, pie donne turbate dalla secolarizzazione della società, politici cattolici e politici molto attenti a non urtare i cattolici) riuscisse a esprimere il concetto fino allora omesso dalla discussione. E cioè che la scuola di Stato, per definizione, è di tutti, e non può rappresentare in alcun modo il punto di vista di una sola confessione. (Di qui le difficoltà, anche didattiche, di maestri e professori che devono cercare di garantire tutti, maggioranze e minoranze).

Questo concetto avrebbe dovuto stare a monte del fiume di parole fin lì profuse. Come un incipit senza il quale quel dibattito non poteva avere senso. Ma pronunciato in quel contesto, diciamo così di baruffa interreligiosa, quel punto di vista (che è, o dovrebbe essere, il punto di vista della scuola statale) pareva solo la bizzarra intromissione di un pittoresco mangiapreti.

Fino a lì, infatti, il menù era stato questo: l'anziano borgomastro di Treviso, Gentilini, circondato da un drappello di madri addolorate, che brandiva "le nostre tradizioni cristiane" contro lo straniero, miscredente, malavitoso e drogato. L'imam di Torino, saggiamente sulla difensiva, che spiegava di stimare molto Gesù e Maria perché sono citati favorevolmente nel Corano (per fortuna...).

La bella e brava (molto bella e molto brava) portavoce di Forza Italia, Elisabetta Gardini, che, sorridendo a tutti, ripeteva in versione politicamente grammaticata più o meno lo stesso concetto di Gentilini, e cioè che l'identità cristiana va difesa a tutti i costi - anche se non si capiva bene da chi, se non dal suo alleato di governo Gentilini, che la adopera, l'identità cristiana, come un randello. Una mamma veneta inviperita perché, per garantire alla prole la giusta dose di buona educazione cattolica, è costretta a spendere la retta di una scuola privata: contestazione di stupefacente incongruità (la scuola di Stato non ha il compito di dare una buona educazione cattolica: solo una buona educazione civica) che nessuno si è sognato di contestare.


C'è da chiedersi che cosa sia accaduto o stia accadendo, in questo paese, per fare sì che il punto di vista non confessionale trovi tante difficoltà (nonostante la buona volontà degli onorevoli Diliberto e Boselli) per potersi esprimere compiutamente. Di più e di peggio, vorrei dire che il punto di vista agnostico e non confessionale, in quella come in altre trasmissioni e discussioni, assume addirittura connotati extra-italiani, tanto forzuta e invadente è la ripetizione dell'assunto identità nazionale uguale identità cristiana. Assunto ripetuto, sia pure per casuale accumulo di sbocchi d'ira e non certo in seguito a un ragionamento, dall'incredibile Gentilini, che ha rivendicato, come precedente merito patriottico, di avere difeso il Veneto, in gioventù, "dalle orde comuniste che premevano oltreconfine". Il male viene sempre da fuori, e dai cosacchi ai musulmani si traveste, d'epoca in epoca, come fa Satana per corrompere i costumi e minare la fede della gente buona e semplice.

Qualche direttore didattico e qualche insegnante ha tentato di smontare il caso giornalistico smentendo di avere voluto "censurare" le tradizioni natalizie, ma il caso nel frattempo era già di molto sovrastante la loro facoltà di spiegare, e di far capire quanto sia difficile (ma doveroso) barcamenarsi nella scuola multietnica: cioè nella realtà italiana, qui e ora. Il caso era perfetto per far partire il dibattito televisivo da una domanda ("Chi ha paura del presepe?") che era già di suo una scelta di campo. Quella di chi sospetta o coglie il tradimento identitario, e la diserzione culturale, in ciascuna delle inevitabili incertezze, dei faticosi aggiustamenti che la convivenza tra diversi porta con sé, specie in quegli avamposti che sono le scuole pubbliche.

Messi alla gogna per probabili errori, e per l'indubitabile goffaggine alla quale espone l'eccesso di correttezza politica, quei pochi (pochissimi) insegnanti e direttori didattici della scuola di Stato che hanno cercato di universalizzare, scolorendolo, il significato del Natale, appaiono, in questo contesto, i soli veri colpevoli nonché gli utili idioti di un processo (fantasmatico) di scristianizzazione del paese. Come se, con quello stipendio, non fosse già consolante e importante che il personale docente si ponga domande forti e difficili come quella che sta alla base, dico alla base, dei compiti della scuola pubblica, e cioè ospitare e istruire i bambini e i ragazzi senza alcuna discriminazione di classe sociale, di provenienza etnica e di credenza (o non credenza) religiosa.

Fortuna che almeno monsignor Tonini, che miscredente non dovrebbe essere, pareva assai più turbato dalle fobie di Gentilini che dal preteso attacco al presepe. Brandito come un'arma impropria, il presepe minaccia di rompersi, statuetta per statuetta. E siccome, proverbialmente, ci piace o' presepe, vorremmo tanto che non fosse appaltato così disinvoltamente.


(11 dicembre 2004)
vally82
00domenica 12 dicembre 2004 15:31
Da Yahoo...
Domenica 12 Dicembre 2004, 13:10


Natale, il Papa: il presepe è un segno di fede in Dio

CITTA' DEL VATICANO (Reuters) - Papa Giovanni Paolo II oggi ha difeso ancora una volta i simboli del Natale cattolico, affermando che il presepe "è un elemento della nostra cultura e dell'arte, ma soprattutto un segno di fede in Dio".


"Piccolo o grande, semplice o elaborato, il presepe costituisce una familiare e quanto mai espressiva rappresentazione del Natale", ha detto oggi il Pontefice durante in consueto Angelus domenicale, davanti a centinaia di bambini, in Vaticano per la benedizione dei "bambinelli" destinati ai presepi delle parrocchie, delle scuole e delle famiglie.


" È un elemento della nostra cultura e dell'arte, ma soprattutto un segno di fede in Dio, che a Betlemme è venuto "ad abitare in mezzo a noi", ha detto il Papa.


Il Vaticano si era già inserito in settimana nelle polemiche relative ai festeggiamenti natalizi con i simboli cattolici, dopo che in alcune scuole è stato deciso di non realizzare i presepi per non offendere la sensibilità degli appartenenti ad altre religioni.

alex.kirk
00lunedì 13 dicembre 2004 10:38
Si discuteva ieri tra fratelli, in merito anche a questo argomento mi raccontavano, le sorelle anziane, di come, non essendo cattolici, in certi periodi dell'anno trovassero sconveniente far partecipare a certe "situazioni" i loro figli, in particolare il carnevale (anche se questa non è una ricorrenza religiosa).
Semplicemente, raccontavano, non li mandavano a scuola per quei giorni, ma mai hanno preteso di non far fare quelle cose agli alti bimbi.
In buona sostanza, nel semplice chicchierare, si difendevano le abitudini, seppur non condivise, di alcune tradizioni che gli immigrati, proprio per integrarsi, dovrebbero tollerare....

.... ma anche noi dovremmo tollerare, magari privandoci di qualche cosa, per integrarci con loro ... ?!?

... è il cane che si insegue la coda....
vally82
00lunedì 13 dicembre 2004 11:51
Cosa ne pensano gli islamici
Articolo de "Il Corriere della Sera" del 2/12/2004 redatto da Magdi Allam, sociologo, scrittore, opinionista di origine egiziana e stimatissimo nel mondo del giornalismo italiano.


Fate il presepe, non offende i ragazzi islamici

Natale può diventare la festa condivisa da cristiani e musulmani. Cominciando dalle scuole.
(Allam Magdi)

Forse i presidi e gli insegnanti che nel nome del relativismo culturale hanno ritenuto opportuno abolire il presepe, l' alberello e Babbo Natale nelle scuole italiane, per non urtare una supposta suscettibilità degli studenti musulmani, non conoscono i versetti del Corano (Sura III 45-46) che recitano: «E quando gli angeli dissero a Maria: O Maria, Dio t' annunzia la buona novella d' una Parola che viene da Lui, e il cui nome sarà il Messia, Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell' altro e uno dei più vicini a Dio. Ed egli parlerà agli uomini dalla culla come un adulto, e sarà dei Buoni». Perché se lo conoscessero saprebbero che l' Islam, al pari del cristianesimo, venera Gesù e Maria e riconosce il dogma dell' immacolata concezione. Capirebbero che proprio la festa del Natale potrebbe rappresentare uno straordinario momento di condivisione spirituale, di partecipazione religiosa e di intesa umana tra cristiani e musulmani. E che proprio la scuola, la sede istituzionale e ideale dove si forgiano la mente e l' animo delle future generazioni, dovrebbe esaltare la festa di Natale rendendolo un passo saliente verso il traguardo della comune civiltà dell' uomo.

La condivisione della spiritualità è un dato di fatto tra le tre grandi religioni monoteiste rivelate dal momento che credono negli stessi profeti. A Hebron le tombe di Abramo, Isacco e Giacobbe sono venerate da ebrei, cristiani e musulmani, anche se vi accedono da due ingressi separati. Due portoni distinti erano presenti anche nella chiesa di Damasco dove è custodita la reliquia di San Giovanni Battista, venerata da cristiani e musulmani, prima che si trasformasse interamente nella moschea Omayyade dove nel maggio 2001 papa Wojtyla entrò per la prima volta raccogliendosi in meditazione affiancato dalle maggiori autorità islamiche siriane.

In Egitto esistono una decina di santuari mariani, edificati nei luoghi dove si ritiene abbiano sostato Gesù, Maria e Giuseppe durante la loro fuga dalla Terra santa, e dove annualmente si recano in pellegrinaggio cristiani e musulmani. Ebbene anche il Natale, proprio nella culla del cattolicesimo, potrebbe trasformarsi nella festa probabilmente più significativa della condivisione spirituale tra cristiani e musulmani. Ci sono degli esempi illuminanti.

A Nazareth i musulmani preparano l' albero di Natale per condividere la festa dei loro fratelli cristiani. Nel 1995 Yasser Arafat che era un fervente musulmano praticante, dopo il matrimonio con la cristiana Suha al Tawil, partecipò alla messa di Natale nella chiesa della Natività a Betlemme. E quando gli integralisti islamici lo criticarono, lo stesso mufti (massima autorità giuridica islamica) dei palestinesi, lo sheikh Al Alami, disse che i musulmani possono partecipare alla messa di Natale. E non a caso è Feras Jabareen, l' imam della moschea di Colle Val d' Elsa, un palestinese con cittadinanza israeliana, un musulmano praticante con un radicato rispetto per la fede altrui, a sottoscrivere l' iniziativa della festa del Natale condivisa da cristiani e musulmani: «Gesù e Maria fanno parte della nostra religione e della nostra devozione.

Il Natale deve diventare un momento di incontro, di riflessione e anche di integrazione». Aggiunge una puntualizzazione: «Ritengo doveroso che i musulmani partecipino con i loro fratelli cristiani alla gioia del Natale come festa tradizionale, ovvero che registra un evento, non come festa religiosa poiché nel Corano si specifica che le feste religiose sono due, l' Id al Fitr che segna la fine del Ramadan e l' Id al Adha dopo il pellegrinaggio alla Mecca». Un altro imam illuminato italiano, Yahya Pallavicini, si spinge oltre ammettendo che «esiste un limite culturale che impedisce di considerare il Natale come una festa anche musulmana», ma che questo limite potrebbe essere superato proprio dalle comunità islamiche d' Europa.

Un tentativo fatto dal premio Nobel per la letteratura, l' egiziano Nagib Mahfuz, nell' incantevole racconto breve Il Paradiso dei bambini scritto nel 1969 (tradotto in italiano nel volume L' Altro Mediterraneo, Antologia di scrittori arabi del Novecento a cura di Valentina Colombo, Mondadori). Una bambina musulmana confessa ai genitori la sua passione per la compagna di classe Nadia, una cristiana, lamentando il fatto che vengono separate nell' ora di religione. Ingenuamente chiede: «Se mi faccio cristiana sto sempre con lei?». Il padre risponde: «Ogni religione è buona. I musulmani adorano Dio, i cristiani pure». E lei: «Perché lei lo adora in una stanza e io in un' altra?». Il papà taglia corto: «Chi lo adora in un modo, chi lo adora in un altro». Ma alla fine, dopo un serrato e logorante interrogatorio su Dio, Gesù, la vita e la morte, la bambina musulmana conclude irremovibile: «Voglio stare sempre con Nadia!». E chiarisce: «Anche nell' ora di religione!». E' in definitiva il trionfo dell' umanità sul dogmatismo, dell' illuminismo sul fanatismo. Ed è questo lo spirito che dovrebbe ispirare la percezione del Natale come festa condivisa da cristiani e musulmani. Nel rispetto di una tradizione millenaria che salvaguarda un' identità cristiana autoctona e recependo un' interpretazione riformista dell' islam
all'insegna della cultura della vita e della pacifica convivenza.

[Modificato da vally82 13/12/2004 11.53]

Alex.71
00mercoledì 15 dicembre 2004 08:25
Testimonianza diretta
Ciao a tutti,
In merito a cosa pensano i mussulmani del Natale.
Due settimane fa abbiamo invitato, a catechismo, un ragazzo Senegalese e mussulmano in Italia da 4 anni, per parlarci della sua esperienza di immigrato, delle sue difficoltà ecc. ecc.
Uno dei passaggi che ha colpito più di tutti è quando ha detto che le feste per il Natale vengono condivise tra Senegalesi mussulmani e cristiani. E' difficile riportare le sue parole, l'italiano era ancora stentato, ma il senso è "quando c'è una festa così importante e bella la si condivide con tutti i fratelli". Già l'espressione più usata era proprio FRATELLI.
Non so se anche i TdG potrebbero un giorno pensarla allo stesso modo.
Ciao
Alex
maurizio pederzini
00lunedì 20 dicembre 2004 13:21
Mettiamo ordine !
>>>Natale può diventare la festa condivisa da cristiani e musulmani. Cominciando dalle scuole.
(Allam Magdi)
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Questo articolo di Magdi, è stato affisso in molte sale parrocchiali, per confortare la legittimità del presepe nei luoghi pubblici. Ho partecipato ad un convegno in un seminario "Gesu di Nazaret" di Modena e nei corridoio raccoglievano delle firme per la salvaguardia del presepe, "usando" questa riflessione di Magdi.
Che il Natale come festa cristiana, possa essere condivisa anche dai musulmani, viste le premesse della sura coranica, và benissimo. Che nelle scuole si "cominci" a parlare di quanto può essere accumunato nelle religioni diverse, va benissimo.
Ma non và più bene quando, nelle scuole e nei luoghi della pubblica amministrazione "LAICA", si espongono i segni di identificazione di UNA religione.
Esiste il problema del rispetto delle altre religioni, e in alcune scuole si è optato per non eccedere nella identificazione religiosa, e prevalentemente si è parlato dei musulmani. Ma vi sono anche gli "ebrei" i quali ogni volta che entrano in un'aula scolastica vedono il crocefisso, cioè un uomo in agonia che sta morendo e per quella tortura, loro, gli ebrei, sono stati accusati di "deicidio". Da quella accusa fatta dai cristiani, gli ebrei hanno subito nella storia le angherie piu atroci, fino (non solo per quello) all'Olocausto.
Quando vedono il presepe con il bambino ebreo nato da genitori ebrei, vedono che quel "bambinello" è diventato il simbolo del loro tradimento a Dio.
Ma, comunque, il vero nodo da sciogliere non è quello di mettere tutte le religioni alla pari. E' quello che non deve esserci nessuna religione che abbia previligi in uno Stato a-confessionale.

Ciao
Maurizio
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