Il vizio sovietico

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Achille Lorenzi
00giovedì 3 luglio 2008 20:31

Musulmani, ortodossi ma soprattutto cattolici. Nel mirino della furia laicista uzbeka c’è la religione che considera l’uomo più di un cittadino

di Marta Ottaviani
Ankara
Non solo gli avversari politici hanno vita dura sotto il presidentissimo Karimov. Cristiani di tutte le confessioni e musulmani non in linea col governo sono bersaglio di una vera e propria persecuzione. Non hanno mai avuto una vita facile, ma adesso sembra proprio che i missionari in Uzbekistan, soprattutto quelli cattolici, navighino in pessime e pericolose acque. L’ultima iniziativa del governo guidato dal presidente Islam Karimov è infatti quella di imprimere una svolta ultra laica all’ex Repubblica sovietica. Una svolta di cui faranno le spese tutte le comunità religiose presenti nel paese, anche quella musulmana, di gran lunga la più numerosa.
Tutto è cominciato con un documentario diffuso dalla televisione di stato uzbeka dove alcuni gruppi missionari come quelli cristiani, cattolici e ortodossi e i testimoni di Geova, vengono ritratti come un “problema globale” a causa della diffusione delle loro idee dogmatiche. Il documentario, andato in onda lo scorso maggio, metteva anche in guardia il pubblico sul fatto che i missionari preferiscono convertire i giovani, che sarebbero più vulnerabili e facilmente plasmabili. Nel documentario sono stati intervistati anche alcuni esperti religiosi di fede musulmana, ignari del fatto che la scure di Karimov si abbatte con regolarità anche sui seguaci di Maometto e che non hanno certo esitato a dirne quattro contro quelli che teoricamente sarebbero i loro compagni di sventura, visti i tempi che corrono. Fra questi Jasur Najmiddinov, teologo dell’università islamica dell’Uzbekistan, che ha accusato i missionari cristiani, soprattutto quelli protestanti (ma anche i cattolici e gli ortodossi), di fare propaganda politica diffondendo le loro idee e di essere parte di un complotto geopolitico, che si serve della predicazione religiosa per infiltrare nella popolazione idee rivoluzionarie volte a sovvertire l’ordine costituito, quello religioso compreso. Per quanto l’Uzbekistan stia facendo di tutto per accreditarsi come stato laico e democratico davanti agli occhi della comunità internazionale, l’islam rimane la religione sociale, anche se il presidente Karimov ha trovato il modo di mettere in riga anche i seguaci di Maometto.
Tornando ai missionari che con la scusa della religione cercano di plasmare la coscienza politica degli individui, un esempio pratico di questa teoria, secondo Najmiddinov, sarebbe dato dalla rivoluzione arancione in Ucraina, che portò all’elezione di Viktor Juscenko a presidente dell’Ucraina ai danni del filorusso Viktor Janukovic. Insomma in Uzbekistan i missionari cristiani non avrebbero niente di meglio da fare che inculcare nei potenziali adepti idee contro l’identità della nazione e, sempre secondo Najmiddinov, sono pericolosi come i gruppi terroristici e i trafficanti internazionali di droga, perché chi tradisce la fede musulmana può tradire anche la patria. Il teologo ha anche messo in guardia le famiglie affinchè tengano sotto controllo i loro parenti, perché non cadano nelle grinfie di queste falangi. Tuttavia, l’intensa, sotterranea e sovversiva attività dei missionari cristiani risulta francamente poco credibile.

Osservatori internazionali in allarme
In Uzbekistan, infatti, la legge proibisce severamente l’attività missionaria e spesso non permette nemmeno la divulgazione dei testi sacri. I missionari che si trovano nel paese operano soprattutto per portare un po’ di sollievo alle popolazioni di quelle terre, spesso in difficili condizioni economiche. Non proprio attività da terroristi e spacciatori di droga quindi. Gli osservatori internazionali intanto hanno lanciato l’allarme. Un gruppo norvegese chiamato Forum 18 ha denunciato un innalzamento preoccupante dei livelli di repressione da parte delle autorità nei confronti delle comunità religiose presenti nel paese, con ispezioni improvvise in abitazioni private, arresti di persone che hanno abbracciato la fede cristiana, espulsione dal paese di persone che erano coinvolte in attività religiose anche se non apertamente missionarie.
Stando a quanto divulgato dall’associazione Forum 18, fra marzo e aprile scorsi gli episodi di violenza si sono moltiplicati, soprattutto nella zona di Samarcanda. Ci sono state diverse irruzioni in case private con annessi episodi di violenza fisica e arresti ingiustificati. Si tratta par lo più di persone convertite al cristianesimo e di alcune di esse, come Bobur Aslamov, si sono perse le tracce. Sempre ad aprile, questa volta nella capitale Tashkent, un coro gospel e un prete, Serik Kadirov, sono stati arrestati per essere poi rilasciati il giorno dopo, non si sa bene sulla base di quali accuse. D’altronde anche per i musulmani i tempi sembrano alquanto duri: sempre gli osservatori internazionali infatti hanno fatto sapere che anche la religione di Stato subisce limitazioni e controlli. Centinaia di persone secondo la loro denuncia sarebbero finite dietro le sbarre con l’unica colpa di aver praticato un islam particolarmente ortodosso per quanto riguarda l’osservanza. Fra questi ci sono stati anche alcuni imam, che hanno avuto da ridire sui metodi utilizzati dal governo per limitare il fanatismo religioso. Il governo adesso ha preso a nominare direttamente gli imam, in modo anche da poter condizionare la formazione religiosa dei fedeli. L’imam Obidkhon Qori Nazarov ha fatto notare che la tradizione islamica è parte integrante del paese da secoli e che il governo sembra voler cercare di cancellarla sistematicamente. Le accuse della comunità musulmana a questo proposito sono molto pesanti. «Questo è l’obiettivo del governo – spiega Qori Nazarov – isolare i musulmani e lasciarli soli. Ci sono persone che perdono il loro lavoro o che non vengono lasciate entrare in università perché indossano il velo islamico o portano la barba lunga. Alcuni hanno paura ad andare in moschea e di osservare i princìpi più elementari della fede, allontanandosi da essa e realizzando così il progetto del governo». Una condizione che ricorda un passato non troppo lontano. «Sembra di essere tornati ai tempi dell’Unione Sovietica – ha concluso Obidkhon Qori Nazarov – quando apparentemente tutto era normale: le moschee erano aperte e c’erano anche le chiese, ma di fatto non ci andava nessuno. La verità è che anche adesso operano sotto lo stretto controllo del governo».

Fonte: www.tempi.it/esteri/001999-il-vizio-sovietico
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