Cari fratelli
scrivo in merito alla posizione corrente della nostra Associazione sull’uso del sangue in ambito medico. Questa lettera intende esporre alcuni punti che trovo difficile comprendere in quanto addetto ai lavori.
Prima di tutto riporto per chiarezza espositiva le tre scritture cardine utilizzate:
(Atti 15:28-29) Poiché allo spirito santo e a noi è parso bene di non aggiungervi nessun altro peso, eccetto queste cose necessarie: 29 che vi asteniate dalle cose sacrificate agli idoli e dal sangue e da ciò che è strangolato e dalla fornicazione. Se vi asterrete attentamente da queste cose, prospererete. State sani!”
[TNM –Italiana]
(Levitico 17:13-14) “‘In quanto a qualunque uomo dei figli d’Israele o a qualche residente forestiero che risiede come forestiero in mezzo a voi il quale prenda a caccia una bestia selvaggia o un volatile che si può mangiare, ne deve versare in tal caso il sangue e lo deve coprire di polvere. 14 Poiché l’anima di ogni sorta di carne è il suo sangue mediante l’anima in esso. Di conseguenza ho detto ai figli d’Israele: “Non dovete mangiare il sangue di nessuna sorta di carne, perché l’anima di ogni sorta di carne è il suo sangue. Chiunque lo mangi sarà stroncato”.
[TNM –Italiana]
(Deuteronomio 12:23-24) Soltanto sii fermamente risoluto a non mangiare il sangue, perché il sangue è l’anima e tu non devi mangiare l’anima con la carne. 24 Non lo devi mangiare. Devi versarlo sul suolo come acqua.
[TNM –Italiana]
La prima a sostenere l’astensione dal sangue, le seconde a sostenere il concetto che, se uscito il sangue deve essere versato al suolo, cioè non può essere reinfuso.
Premesso ciò, quello che ha maggiormente destato il mio interesse è stato il nostro singolare modo di considerare una sorta di ‘gerarchia’, tra componenti principali e frazioni, derivata semplicemente da una particolare suddivisione del tessuto sangue.
Si consideri la classificazione da noi proposta:
La nostra posizione si articola come segue: dalle Scritture emerge chiaramente il divieto su sangue intero e su quelle che vengono definite ‘componenti principali’, plasma, leucociti, eritrociti, piastrine. A questo prima suddivisione è chiaramente esteso il divieto, mentre al secondo frazionamento e successivi, ovvero alle frazioni dei ‘componenti principali’, la decisione di accettarle o meno è lasciata alla ‘coscienza individuale’ poiché dalle scritture non è desumibile alcuna indicazione.
Vorrei separare due quesiti fondamentali: 1)
Perché considerare proibito il plasma ma non le sue costituenti? 2)
Che differenza tecnica e morale sussiste tra un componente principale e una frazione?
E’ realmente difficile comprendere da un punto di vista logico la sostenibilità del primo quesito. La letteratura medica propone diverse suddivisioni facendo emergere che spesso il plasma è semplicemente esplicitato nelle sue componenti essenziali.
Ritengo interessante osservare che, il plasma, per la parte di ¼, assieme ai ¾ di liquido interstiziale, costituisce il compartimento liquido extracellulare. Il plasma costituisce la parte non cellulare del sangue, che scambia continuamente con il liquido interstiziale attraverso i pori delle membrane dei capillari. Questi pori sono permeabili a quasi tutti i soluti presenti nel liquido extracellulare, tranne che alle proteine. In questo modo i liquidi del compartimento extracellulare si mescolano continuamente, così che la composizione del plasma e del liquido interstiziale è la stessa, ad eccezione delle proteine che sono più concentrate nel plasma. [Guyton & Hall, Fisiologia Medica]
Mi chiedo: perché considerare proibito l’intero plasma? E’ innegabile che da un punto di vista fisiologico il suo ‘valore da intero’ sia maggiore della somma delle singole parti. Ma da un punto di vista morale, qual è il principio che sottende a questa classificazione?
Passiamo al secondo quesito. Che differenza tecnica sussiste tra un componente principale e una frazione? I leucociti e le piastrine sono cellule, come i globuli rossi immaturi (nella fase adulta il globulo rosso si riduce ad essere un sacchetto biologico contenente emoglobina da trasportare ai diversi tessuti. Diventa pertanto ‘enucleato’, privo di un attività fisiologica diversa da quella di trasporto). Non sono forse frazioni del tessuto sangue intero?
Non sarebbe coerente che ‘astenersi dal sangue’ abbracci indifferentemente dette ‘componenti principali’ e frazioni?
Che sorta di alchimia conferisce al globulo rosso una valenza morale maggiore dell’emoglobina o dell’emina?
Ma la cosa che trovo più difficile comprendere, meglio paradossale, è: se si assume il concetto di ‘
non estraibilità di informazione’ sulle frazioni del sangue dalla Bibbia non è forse logico concludere che il medesimo concetto si estenda al tessuto sangue nel suo intero fisiologico giacchè il sangue è il risultato strutturale delle sue frazioni ?
A sostenere la posizione del frazionamento alcuni, hanno portato a sostegno la tesi che, nella circolazione fetale, alcune immunoglobuline passino tra feto e madre. Se questa posizione fosse realmente sostenibile, dovrebbe esserlo per qualsiasi frazione, innanzitutto.
Ragionando in questo ordine di idee mi sembra strano che si ignori che il passaggio di globuli rossi fetali nel circolo materno (passaggio transplacentare) è un evento piuttosto comune specie nell’ultimo trimestre di gravidanza e soprattutto durante il parto, anche se non si hanno dati precisi sulla quantità di sangue che penetra nel circolo materno. [Gavioli & Zanelli, Immunologia, Immunoematologia, Terapia trasfusionale]
E’ evidente che queste considerazioni si spingano al di là del concetto di sacralità del sangue esposto dalle Scritture.
La mia non è una posizione a favore delle trasfusioni di sangue nella maniera più assoluta. E’ risaputo che i soggetti che evitano la trasfusione si riprendono meglio, scongiurando il rischio di una pesante immunosoppressione. Il sangue, al pari del trapianto di qualsiasi altro tessuto, costituisce un trauma per il corpo.
Ciò nonostante, non è corretto sostenere che l’uso di sostituti abbia un effetto migliore in valore assoluto. La variabilità intrinseca del corpo umano è talmente elevata da impedire una casistica di cosa è ‘meglio in senso stretto’. Ogni soggetto reagisce alla farmacologia e al trattamento in funzione della sua particolare fisiologia. Non è corretto utilizzare l’esempio di qualcuno che ha tollerato livelli di emoglobina molto bassi per determinare delle soglie fino alle quali ci si può spingere.
Vorrei portare all’attenzione un paragrafo del libro di Immunologia, Immunoematologia e Terapia Trasfusionale di Gavioli & Zanolli (prima citato) contenuto nella parte del testo dove si considera la Terapia Trasfusionale:
“La trasfusione di sangue è attualmente considerata una terapia tipica sostitutiva e di sostegno per pazienti in occasionale e temporanea situazione critica. In alcune occasioni, sebbene questa sia notevolmente influenzato dalla perizia del medico, può presentare una soluzione terapeutica pressoché priva di alternative: un buon esempio di intervento trasfusionale risolutivo è rappresentato dalla exsanguino-trasfusione della malattia emolitica neonatale [….] Accanto all’indubbia utilità (in casi comunque sempre più selezionati) è doveroso rilevare, alla luce delle sempre maggiori conoscenze in campo trasfusionale, come si imponga oggigiorno una revisione critica della pratica trasfusionale corrente, soprattutto in ambito chirurgico e anestesiologico, che possa innanzitutto portare ad una diminuzione del consumo di sangue, con la limitazione del suo impiego esclusivamente alle indicazioni certe e incontestabili. Appare per questo importante ricordare che attualmente a trasfusione di sangue viene considerata un atto medico di carattere straordinario, cui si può far ricorso soltanto in caso di effettivo bisogno e previo consenso informato del ricevente.”
Il testo evidenzia quanto la medicina sia ben consapevole dei rischi delle trasfusioni. Tale procedura pertanto rimane l’atto estremo.
Quando si entra nel campo della salute individuale ci si inerpica in un suolo fortemente accidentato. Definire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato con perentorietà, quando si è certi che le Scritture indichino un certo comportamento o orientamento morale, è comprensibile. Ma se la questione non è completamente chiara o se anche solo ci si aspetta di ottenere chiarimenti, non è molto rischioso da un punto di vista morale assumersi questo pesante fardello di responsabilità?
Gli anni trascorsi dalla seconda guerra mondiale ad oggi, da quando fu introdotta la norma sulle trasfusioni, hanno reso fin troppo chiaro questo concetto. Le numerose revisioni non sono il preludio di quello che potrebbe accadere in futuro?
Probabilmente con il passare del tempo il progredire delle conoscenze sposterà il baricentro della questione annosa circa la trasfusione di sangue. Forse i componenti saranno interamente di sintesi, le metodiche sempre meno invasive. Nondimeno il concetto di sacralità del sangue sarà esposto a nuove domande inerenti alle future metodiche. Porre in essere delle norme sarà sempre più rischioso. Ogni norma genera una casistica. Per ogni caso viene chiesta consulenza, a sua volta il caso può generare una norma e così via ad una serie infinita di ‘leggine’. Questo processo è un circolo vizioso e oltremodo pericoloso.
I cristiani rispettano la Vita. Rispettiamo il suo simbolo, il sangue.
Ma il sangue, da un punto di vista del suo significato, può essere superiore alla Vita stessa? O più semplicemente, secondo voi,
può esistere una relazione di ordinamento tra le due cose?
Nella speranza che possiate considerare attentamente le riflessioni esposte in questa mia e inoltrare in risposta le vostre considerazioni vi porgo i miei fraterni saluti.