Gli errati sillogismi dei "grecisti" dilettanti

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Polymetis
00lunedì 28 gennaio 2008 15:05
CEI: "Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. 11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv 14, 9-11)

TNM: "Non credi che io sono unito al Padre e che il Padre è unito a me? Le cose che vi dico non le dico da me stesso; ma il Padre che rimane unito a me fa le sue opere. Credetemi che io sono unito al Padre e il Padre è unito a me; altrimenti, credete a motivo delle opere stesse."

Mi permetto di parlare qui di una quaestio emersa in un altro forum visto che è un articolo del nostro sito a venire messo in questione.
Sul forum “Testimoni di Geova: tra giudizio e pregiudizio” il solito Barnabino, ansioso di mostrarci come egli non abbia frequentato il ginnasio che tanto dileggia, ha aperto una discussione dove attacca una pagina del sito di Achille, e con alquanta grossolanità aggiungo:

“strumenti per lo studio del NT, è a conoscenza che il campo semantico di "en", secondo i più qualificati e specifici dizionari di lingua greca, come il BDAG (Bauer), il Lowe&Nida, il DENT ed altri per questo passo di Giovanni, e altri simili, suggeriscono proprio il significato di intima unione personale o il legame intimo tra due persone”

Il greco neotestamentario non è una lingua a parte, e se differisce dal greco classico e dal greco ellenistico è solo per eventuali sostrati semitici. La polemica qui è che nella pagina del sito viene citato un dizionario di greco, il Montanari, il quale in un’intera pagina di dizionario non riporta mai l’accezione col quale i TdG traducono il passo giovanneo. Barnabino risponde che è stato citato un dizionario aspecifico e che i maggiori lessici del Nuovo Testamento avvallerebbero la loro traduzione. Innanzitutto l’autore parte definendo il Montanari “noto e ottimo dizionario usato nei licei”, il che è perfettamente vero e perfettamente falso, a causa della clausola “nei licei”, come se nei licei classici si dessero dizionari inferiori a quelli impiegati nelle università. Il Montanari non è “un dizionario da liceo”, bensì, insieme al vecchio Rocci, il miglior dizionari di greco che abbiamo in Italia, frutto dei nostri migliori grecisti e usato in qualsiasi università di questo stato, oltre che nei licei naturalmente. Bene, in nessuno di questi due dizionario, in oltre una pagina di accezioni elencate, c’è “unito a”.
L’autore cita dei lessici neotestamentari dimostrando di non capire nulla di come si usino questi strumenti, che non dicono di tradurre con “unito a”, ma danno la loro esegesi di cosa quel passo significa, esegesi ben distante da quella dei TdG ovviamente. Stanno cioè dicendo che “en”, esattamente come l’italiano “in”, visto che sono esattamente la stessa parola indoeuropea, può indicare la intima unione tra due esseri, ma senza per questo diventare un “unito a” in traduzione. Frasi come “io sono nel tuo cuore” (“nel” è dato da in+il), oppure “sarò sempre in te”, mostrano come esattamente come in greco l’ “in” indoeuropeo può essere usato per esprimere una modalità di unione data dalla abitazione di uno dell’altro, se questa abitazione sia poi intesa metaforicamente o ontologicamente è un problema teologico e non grammaticale. Nessuno dicendo “sei nei miei pensieri” (“nei” è in+i) penserebbe che qualcuno è letteralmente nella testa di un altro, eppure nessuno si sognerebbe di stravolgere la frase traducono con “unito a”, e far saltare fuori cose del tipo “sei unito alla mia mente”, qualora dovesse tradurre in un'altra lingua. Nessuno dei lessici citati da Barnabino suggerisce di tradurre quel testo come fa la TNM, perché “en” e “unito a” sono due cose diverse, il secondo è una sorta di traduzione ad equivalenze dinamiche della lettura metaforica di “essere in qualcuno”. Trovi, se è capace, un dizionario che traduca quel passo come fa la TNM, o che metta in un ‘elenco “unito a” tra i significati di “en”, perché quello che fanno quei lessici è unicamente dire che “en+dativo” può indicare un’unione intima, cosa di cui nessuno ha mai dubitato, e che è perfettamente espressa anche da una traduzione letterale con “in”, tanto in greco quanto in italiano. I TdG, come nel caso dell’ “esti” che diventa significa, hanno il brutto vizio di scambiare traduzione per esegesi. Ad esempio nessuna Bibbia protestante traduce “è” con significa, eppure la maggior parte dei commentari protestanti è d’accordo coi TdG nel senso da dare all’espressione, senso che però non è la traduzione. Perché per i tdG è così difficile cogliere queste sottigliezze? La risposta è ovvia: nessuno di quel forum è un grecista e tuttavia amano impicciarsi di questioni che non li riguardano, illudendosi di avere gli strumenti per fare quello che a loro sembra un due più due. Inoltre si arriva, in puro stile WTS, a manipolare il contenuto dell’articolo criticato manipolandone le citazioni in un’ opera decontestualizzante. Dice infatti, in riferimento ad un punto dell’articolo dove si dice che è sbagliato tradurre col “con” strumentale: “Sarebbe interessante sapere dove deduce che la TNM traduce pensando al senso "strumentale"! Qui non si traduce "en" in senso strumentale ma nel senso di "intima unione personale", tanto è vero che la TNM non traduce "con" ma con "unito a".”
L’articolo non stava affatto dicendo che nel punto in questione la TNM traducesse con un “con” strumentale, bensì che alcuni poco avveduti TdG intenettiani a cui l’articolo rispondeva citavano un dizionario che tra le sue accezioni aveva “con” (strumentale), giocando sul fatto che in italiano questa particella è anche complemento d’unione, e dando così a bere al pubblico che una traduzione sinonima di “con”, cioè “unito a”, fosse del tutto legittima”. Il dizionario invece riportava “con” nel senso di complemento di mezzo, questo sì attestato sui significati di en+dativo, e l’articolo smascherava questa frode.
E’ veramente allucinante il condizionamento mentale a cui sono arrivati, sostenendo che sarebbe il tradurre con “in” il condizionamento teologico, quando in realtà questo è banalmente quello che c’è scritto, ed è solo l’esegesi di questa riga giovannea, che gioca sul complemento di luogo figurato, che può essere ontologica o metaforica. Infatti, quale che sia l’interpretazione che si scelga, è da un testo con “in” che si deve partire. La versione dei tdG si rivela come al solito incoerente, invocando la letteralità quando deve giustificare i suoi scempi grammaticali, e scambiando l’esegesi per la traduzione quando invece deve giustificare i voli pindarici delle sue traduzioni, adottando una politica che è quella di versioni come la TILC, la quale come è noto è più la parafrasi semplificata ad usum populi che una traduzione anche solo lontanamente letterale, come invece la NWT aspira ad essere. Del resto, come è noto, i grecisti non discutono accumulando traduzioni. In conclusione: prima di dire che l'autore di un articolo forse ha una preparazione di quarta ginnasio, sarebbe il caso che colui che critica la IV ginnasio l'avesse frequentata. Questa gente non sa neppure leggere la lingua di cui parla.

Ad maiora



sweetymi
00lunedì 28 gennaio 2008 18:53
Non ho capito molto di quello che hai scritto, visto che la mia formazione è molto tecnica e non umanistica, e su questo tu non ci puoi fare molto. Una cosa però che potresti fare per aiutarmi è quella di scrivere il passo biblico a cui ti riferisci, perchè, non avendo letto l'intervento critico che stai confutando, non ho davvero capito di cosa stiamo parlando.
Grazie Poly

Luteranamanier
00lunedì 28 gennaio 2008 19:06
Presunto inganno di Bruno
Caro Poly, già che ci hai illuminato sugli errati sillogismi dei "grecisti" dilettanti perché non chiarire il presunto inganno di bruno??

Vedi qui:
freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=7193253


Saluti
Veronika [SM=x570892]
Trianello
00lunedì 28 gennaio 2008 19:19

La versione dei tdG si rivela come al solito incoerente, invocando la letteralità quando deve giustificare i suoi scempi grammaticali, e scambiando l’esegesi per la traduzione quando invece deve giustificare i voli pindarici delle sue traduzioni, adottando una politica che è quella di versioni come la TILC, la quale come è noto è più la parafrasi semplificata ad usum populi che una traduzione anche solo lontanamente letterale, come invece la NWT aspira ad essere. Del resto, come è noto, i grecisti non discutono accumulando traduzioni. In conclusione: prima di dire che l'autore di un articolo forse ha una preparazione di quarta ginnasio, sarebbe il caso che colui che critica la IV ginnasio l'avesse frequentata. Questa gente non sa neppure leggere la lingua di cui parla.



Queste tue parole, caro Polymetis, mi danno lo spunto per esprimere alcune considerazioni su una discussione apparsa qualche giorno fa nel Forum che noi ben conosciamo ad opera soliti TdG internettiani. Nei post che la compongono, si fa esplicito riferimento a quanto da me asserito in una discussione di questo Forum:

freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=7173408

Nella fattispecie, costoro criticano la mia affermazione secondo cui la traduzione che dà la CEI di I Cor 7,36 è aderente al testo greco, lì dove quella proposta dalla TNM è inesatta (in quanto “traduce” il temine parthénos, con il termine “verginità”, quando invece questa parola significa “vergine”). Il precedente concetto era stato espresso anche da te, caro Polymetis, nella medesima discussione, ma i “dotti” difensori delle manomissioni geoviste hanno deciso di prendersela con me, condendo le loro "argomentazioni" di epiteti quali “sedicente grecista” rivolti alla mia persone.
In questa sede, però, non prenderò direttamente in considerazione le “argomentazioni” da costoro proposte per smontare il giudizio da me espresso, ma rivolgerò le mie attenzioni verso l’articolo della Torre di Guardia di cui le medesime non sono che una banale rimasticatura. Si tratta della “Risposta alle domande dei lettori” apparsa nella Torre di Guardia del 15 ottobre 1980, pp. 30-31.

Per sostenere la liceità della soluzione adottata per rendere in italiano I Cor 7,36 l’articolo si appella al fatto che non si tratta di un passo particolarmente chiaro, passo per il quale gli esegeti hanno proposto sostanzialmente quattro ipotesi intepretative. Cito l’articolo in oggetto:


Prima ipotesi: Secondo alcuni, questi versetti parlerebbero dell’autorità di un padre o di un tutore di dare o non dare in matrimonio una ragazza. A sostegno di ciò, certe traduzioni, come quella a cura di mons. Garofalo, aggiungono la parola “figlia”. Questa ipotesi, però, presenta alcune difficoltà. Innanzi tutto il brano non parla affatto di figlie, padri o tutori. Inoltre, il versetto 37 mostra che il punto in questione era l’autorità di un uomo sulla propria volontà. Perché dovremmo quindi pensare che Paolo consigliasse che una donna rimanesse nubile solo perché il padre non era turbato dalla passione sessuale?
Seconda ipotesi: Altri ritengono che Paolo discutesse se era o non era opportuno che un uomo sposasse la fidanzata. Per esempio, Parola del Signore, il Nuovo Testamento traduce: “Se a causa della sua esuberanza un fidanzato si trova a disagio dinanzi alla fidanzata e pensa che dovrebbe sposarla, . . .” Il fatto è, però, che nel testo originale questi versetti non menzionano alcuna “fidanzata”. Inoltre, questa ipotesi concentrerebbe tutta l’attenzione sull’uomo. Ma sarebbe coerente col cristianesimo che Paolo si preoccupasse esclusivamente dell’uomo, ignorando qualsiasi bisogno o sentimento da parte della donna, che Pietro chiama il “vaso più debole”? — I Piet. 3:7.



Per inciso, mi limito a notare che la traduzione di Garfofalo, con l’aggiunta del termine “figlia”, ricalca la soluzione adottata da moltissime traduzioni (comprese la Nuova Diodati e Nuova Riveduta) e debitrice del modo tradizionale di interpretare questo passo. Quindi, pur discostandosi un poco dal testo originale, è legittima, in quanto colma quella che per gli interpreti che si rifanno a tale lettura è una sorta di “elisione” presente nel testo originale, onde rendere la traduzione in lingua moderna maggiormente comprensibile.
Per ciò che concerne la “Parola del Signore” (che altro non è che la TILC), siamo di fronte invece ad una traduzione che è dichiaratamente una parafrasi del testo biblico, una parafrasi che fa propria l’interpretazione più moderna del passo in oggetto, che lo legge come rivolto ai fidanzati. E a questo proposito rimando allo Shorter Lexicon of the Greek NT, a cura di F.W. Gingrich, nel quale, troviamo questa spiegazione del termine “gamizo” (pag. 37): “give in marriage Mt 24:38; Mk 12:25. This may be the sense in 1 Cor 7:38, but it is even more likely that g. here = gaméo and means simply marry. Pass. be given in marriage, be married Mt 22:30; Mk 12:25; Lk 17:27; 20:35.” Spiegazione da cui si dedurrebbe che tutto il passo è rivolto ai fidanzati delle ragazze vergini.
L’articolo della Torre di Guardia, comunque, procede:


Terza ipotesi: Altri ancora dicono che I Corinti 7:36-38 riguardi coppie di cristiani che vivevano insieme ma nel celibato, che avevano cioè rinunciato ai rapporti sessuali per motivi di carattere spirituale. Per cui la traduzione di Moffatt dice: “Se qualche uomo ritiene di non comportarsi dovutamente verso la fanciulla che è la sua sposa spirituale, . . .” E la New English Bible parla della sua “compagna nel celibato”.



Devo ammettere di non conoscere le traduzioni citate quali facenti proprie la terza ipotesi interpretativa, ma, ad occhio e croce, posso supporre che anche qui si tratti di versioni ad equivalenze dinamiche, che propongono quindi una parafrasi del testo biblico più che una sua traduzione in senso stretto.


Visto che queste tre ipotesi seguite in molte traduzioni della Bibbia non sembrano essere in armonia con le parole di Paolo in greco o con i princìpi del cristianesimo, vi è un modo più appropriato di tradurre il brano per dargli il giusto senso?



Certo: rendendolo così come fa la CEI, lasciando inalterata tutta l’ambiguità del testo greco e demandando al lettore il compito di dare un’interpretazione al medesimo. Ma non la pensano ovviamente così questi luminari della filologia neotestamentaria che comunicano con noi poveri mortali per tramite della letteratura edita dalla WTS.


Come detto sopra, la difficoltà principale sta nell’espressione “la vergine di lui”. A questo proposito una nota in calce dell’Emphatic Diaglott dice: “Parthenos, comunemente tradotto vergine, è stato anche tradotto nel senso di verginità o celibato”. Il dott. G. R. Berry, nella sua interlineare greco-inglese, dà questa versione: “si comporta indebitamente verso la verginità di lui”. Questo farebbe capire che la “vergine” di cui si parla non è quella di un’altra persona, ma la propria verginità. Molto prima che uscisse la Traduzione del Nuovo Mondo alcune versioni inglesi traducevano allo stesso modo. La traduzione di J. N. Darby dice: “Ma se qualcuno pensa di comportarsi indebitamente riguardo alla sua verginità, . . . faccia ciò che vuole, non pecca”. (Si veda anche la Bibbia a cura di J. B. Rotherham).



Non ho idea di chi sia questo dott. G. R. Berry e come faccia a tradurre, in un’interlineare poi!!, parthenos con “verginità” (quando persino l’interlineare della WTS traduce questo termine con “vergine”, trasformandolo poi in “verginità” nel testo a fronte), ma è assai probabile che, nel compiere questa scelta, costui sia stato ispirato da una tradizione interpretativa di questo passo che ritroviamo anche nelle parole di Matthew Henry (un importante teologo evangelico vissuto a cavallo tra il Diciassettesimo ed il Diciottesimo secolo ed il cui monumentale commento alla Bibbia è ancora oggi molto stimato in ambito protestante), il quale, dopo aver elencato le varie ipotesi interpretative note ai suoi tempi per I Cor 7,36-38 esprimeva la sua opinione in questi termini: “But I think the apostle is here continuing his former discourse, and advising unmarried persons, who are at their own disposal, what to do, the man's virgin being meant of his virginity. Terein ten heautou parthenon seems to be rather meant of preserving his own virginity than keeping his daughter a virgin, though it be altogether uncommon to use the word in this sense.”
Ma anche volendo ammettere che questa interpretazione del passo sia esatta, è giusto tradurlo così come fa la TNM? No. Si tratta comunque di una traduzione scorretta, a meno che i TdG non siano disposti ad ammettere che la loro traduzione della Bibbia non sia in realtà che una parafrasi della stessa costruita per tramite di corrispondenze dinamiche filtrate attraverso la teologia propugnata dallo Schiavo Fedele e Discreto.
Ergo, parlando di traduzioni e non di parafrasi, corretto è il modo di rendere il passo sotto esame così come fa la CEI (che lo traduce praticamente alla lettera), mentre è decisamente scorretto il modo in cui lo rende la TNM.
Per concludere, vorrei citare il brano relativo al significato del termine Parthenos nel capitolo 7 della I Epistola ai Corinzi dell’Exegetical Dictionary of the New Testament edito da William B. Eerdmans (si tenga conto che l’autore di questo testo è J. A. Fizmeyer, uno dei massimi esegeti paolini contemporanei):

“In 1 Cor 7 a distinction must be made between use of ‎parthenos ‎in vv. 25-34 and use of it in vv. 36-38. Vv. 25, 28, and 34 speak generally of ‎parthenoi‎: Paul gives his own advice in lieu of a command from the Lord (v. 25), apparently without knowledge of Matt 19:10-12. With ‎parthenos ‎he refers to the virgin state of unmarried men and women. His ascetic advice for them, as for those who are married, is: Remain as you are, taking into consideration the present crisis. In 7:34 the various textual variants make the interpretation more difficult, but the generally preferred reading refers to the "unmarried woman" (‎parthenos‎) as one who is not distracted from the service of the Lord. The ‎parthenos ‎in these verses has nothing to do with the persons spoken of in 7:2-5.
In 7:36-38, however, Paul uses ‎parthenos ‎in a specific sense, which unfortunately remains ambiguous. He obviously refers to a virgin, but her relation to the man referred to (‎tis, os, autou‎) depends on how one interprets upéraknos ‎(masc. or fem.) and on the more specific meaning of ‎gameito‎(‎san‎) and ‎gamizo. There have been various attempts to interpret ‎parthenos ‎here as "virgin daughter," a "virgin minor or ward," a "virgin wife or fiancée" in spiritual marriage, or even as the virgo subintroducta of the later monastic communities (obviously an anachronism!). The interpretation of ‎parthenos ‎that best fits is either the virgin that the man is engaged to or his virgin wife.”
Polymetis
00lunedì 28 gennaio 2008 20:04
Per sweetymi

“Una cosa però che potresti fare per aiutarmi è quella di scrivere il passo biblico a cui ti riferisci,”

Ho rimediato specificando all’inizio del messaggio il versetto oggetto del contendere.

Per Luther

“Caro Poly, già che ci hai illuminato sugli errati sillogismi dei "grecisti" dilettanti perché non chiarire il presunto inganno di bruno??”

Sono un grecista, non un ebraista. A differenza di chi crede, non si sa per quale disegno divino, di poter dissertare su lingue che neppure sa leggere, io preferisco astenermi dalle questioni in cui il mio giudizio, su un tema tanto delicato, potrebbe non essere preciso. Posso solo dirti che, se l’argomentazione contro “eternità” è che si tratta di un pensiero troppo astratto per un semita, basterebbe renderlo con un “da sempre” per avere qualcosa di più immediato. La nozione di “indefinito” è essa stessa astratta, perché presume la consapevolezza della differenza tra ciò che è “definito” e cioè che non lo è, quindi la negazione di un’astrazione. “Definito” in italiano rimanda nell’etimo all’essere circondato da confini (de-finire, dal lat. finis=confine), cioè circoscritto esattamente. Non è detto che questa sfera concettuale renda il termine ebraico.
Polymetis
00giovedì 31 gennaio 2008 21:03
Postille
Una premessa terminologica. Complemento di compagnia e di unione sono sinonimi, ma il primo si riferisce alle persone, il secondo alle cose. In questo brano li uso come intercambiabili.

“Lo pseudocrecista del gruppo pigreco risponde alle nostre obiezioni, senza ovviamente farlo qui, dove ha paura delle nostre repliche.”

Non permetto a nessun anonimo dilettante di darmi dello pseudo-grecista. Se costui vorrà darmi il suo indirizzo e-mail sarò ben lieto di mandargli la scansione del mio diploma di maturità classica, ottenuto col massimo dei voti, e della mia laurea in filosofia, tesi di filosofia antica e per la precisione sulla religione in Platone. Se costui può fare altrettanto, visto che il greco non lo sa leggere, sarò ben lieto di dargli il mio indirizzo e-mail
Se non può farlo perché non ha mai dato un esame di lingua greca in vita sua abbia la decenza di tacere. PS Io non sono del gruppo Pi greco visto che essi operano a Roma mentre io abito tra Venezia e Brescia.
Inoltre visto che dialogo con voi da un altro forum, rispondendovi riga per riga, il motivo per cui non posto nel vostro forum non può essere certo perché “ho paura delle repliche”, infatti rispondo comunque ad esse, e questo ne è solo l’ultimo esempio. La motivazione per cui non posto in quel forum è che non lo ritengo più una cosa seria.

“Sarebbe da capire come la preposizione "in" italiana possa esprimere in maniera corretta e comprensibile il senso "associativo" espresso dalla particella greca "en"”

Io non ho mai detto che la particella “en” o l’italiano “in” in sé possano avere un senso associativo, nessuno si sognerebbe di dire che in greco e in italiano “in” possa esprimere un complemento di unione. Ho detto che in alcune espressioni metaforiche basate sul complemento di stato in luogo figurato, come per l’appunto “io sono in te”, “in” finisce per indicare un’intima unione e vicinanza. Ma nessuno si sognerebbe di scrivere su un libro di grammatica italiana che “in” è normalmente usato per esprimere il complemento di compagnia, come in greco del resto. Sfoglia qualsiasi dizionario, en+dativo non dà mai il completo d’unione e il complemento di compagnia. Una volta un mio professore di arte al liceo classico mi disse scherzosamente che solo i grecisti possono usare il Rocci senza fraintenderlo, e per la precisione fece una battuta sul fatto che non bastava una laurea in lettere classiche, ma ci voleva una laurea a Tubingen. Quello che ti dicono i commentari non è che in greco en+dativo possa esprimere il complemento di unione, infatti né sul De Mauro per l’italiano né sul Rocci o sul Montanari per il greco troverai una cosa simile, bensì ti dicono che in Giovanni, certe espressioni che come ripeto esistono anche in italiano, basate sulla metafora che uno è dentro ad un altro, stanno a significare un’intima unione tra due esseri. Ma nessuno di questi commentari si sognerebbe di commentare che il passo vada tradotto con “unito a” o che “en+dativo” in greco possa esprimere il complemento di compagnia, bensì esprimono un’associazione basata su una metafora spaziale. Barnabino, non essendo grecista, continua a non capire quello che scrivo, ed è alquanto frustrante. Mi mostri costui dove nei suoi commentari biblici avrebbe trovato che “en+dativo” vada tradotto con “unito a” o indichi un complemento di compagnia. Non troverà un fico secco, perché non ha capito quello che quei commentari vogliano dire, cioè che quella espressione, che è identica al corrispettivo italiano “io sono in te”, sta a significare l’intima unione tra due persone, senza per questo diventare un complemento di compagnia.

“A parte la rarità dell'espressione "sarò sempre in te" e di un uso simile della preposizione "in" nella nostra lingua ("sarò sempre nel tuo cuore" è evidemente solo un'espressione metaforica di cui non è difficile capire il senso)”

Esattamente come in greco, perché è questo che sto dicendo. Mi sapresti mostrare anche un solo esempio in greco dove “en+dativo” indica il complemento d’unione? Gli evangelisti non hanno scritto in una lingua privata che si sono inventati, bensì in una lingua che i loro interlocutori dovevano capire. Mi faresti vedere dove in greco en+dat si userebbe per il complemento d’unione? Perché ti ripeto che, esattamente come il De Mauro o lo ZIngarelli non ti diranno che “in” si usa per il complemento di compagnia, ciononostante l’italiano “io sono nel tuo cuore” è un’espressione che sta ad indicare un’intima unione, ma non per questo in inglese la dovresti tradurre con “I am with you”. Questo è quello che sto cercando di farti capire. I commentari ti dicono che quell’espressione, che come ripeto esiste anche in italiano, indica un’unione, ma non che vada tradotto con “unito a” o che miracolosamente “in te” diventi grammaticalmente un complemento di compagnia. Non sai distinguere i piani.

“Infatti la TNM restringe il campo semantico di "en" applicandolo (secondo le indicazioni del Bauer, Lowe, Kittel e altri) al senso associativo "unito a"”

Ovviamente non sapremo mai dove questi commentari dicano di tradurre così, visto che si limitano a dire come chiunque altro quello che emerge dalla traduzione “io sono nel Padre e il padre è in me”, cioè che erano unito da un legame indissolubile, che infatti esegeticamente registrano.

“ma d'altra parte anche la CEI e altri restringono il campo semantico di "en" eliminandone di fatto il senso associativo, ma in questo caso andando contro le indicazioni dei lessici.”

Non credo proprio, perché è proprio traducendo con “in” che, grazie ad una figura retorica che esiste tale e quale anche in italiano, si rende l’intima unione tra i due, che la si voglia interpretare in senso ontologico o puramente metaforico.

“Anche chi si ostina a tradurre "en" con un "in" italiano”

Sì, sì, certo, tutti i migliori grecisti di questo pianeta, dagli autori della Nuova Riveduta all’Ecole Biblique, sono dei babbei che aspettano la tua luce, luce proveniente a tuo dire dai commentari che magari essi stessi hanno scritto e che tu, che neppure sai leggere greco, pretendi di capire. Non solo difendi la tua traduzione, ma pretendi che quella degli altri sia sbagliata. Vai avanti a renderti ridicolo…

“Frode? Il senso di quelle dichiarazioni è semplicemente che non è obbligatorio rendere "en" con "in" solo perchè la radice indoeuropea è la stessa, ma che stupidaggine è?”

Non ho mai detto che “en” si da rendere sempre con “in”, vorrei sapere dove l’avresti letto. Ho semplicemente affermato che il sito TdG criticato dall’articolo riportava un dizionario che elencava tra le altre accezioni “con”, dando a bere al lettore che fosse un “con” da completo di compagnia, e concludendo trionfalmente con un “dunque è perfettamente legittimo rendere così”. Inoltre non è completo dire “la radice indoeuropea è la stessa”, sono proprio la stessa parola, con una apofonia della vocale.

“Quello che stupisce della TILC (ad usum populi... ma non era la CEI per uso liturgico?) è che traduca "unito a" dove si parla della relazione con i discepoli e "in" dove si parla di Dio e Gesù.”

In entrambi i casi andava benissimo “in”, dire che Cristo è nei suoi discepoli vuole semplicemente dire che è nel loro animo, espressione che va benissimo. Semplicemente nei testi cristologici sono stati più letterali vista la delicatezza dei passaggi.

Per Simonlebon

“a parte fare polemica e ribadire che secondo lui i buoni cattolici sono tutti cannibali, il grecista spiega come i discepoli del Cristo vivrebbero in lui in senso letterale, allo stesso modo in cui il Cristo vivrebbe nel Padre (si noti, non nel Dio, ma nel Padre) in maniera letterale?”

Mi rendo conto che il materialismo della WTS vi abbia abituato a ragionare in maniera grossolana, e che dunque ve ne usciate con frasi senza senso del tipo “ma se lo Spirito è una persona come è possibile che dimori nei discepoli”, tuttavia potreste non fare uno sfoggio così fiero delle rozzezze di Brooklyn, perché veramente si sta male. Il tuo problema è che concepisci il termine “persona” in senso fisico, e dunque quando ti si dice che una persona dimora in un’altra ti vedi due esseri umani in carne ed ossa chiedendoti come facciano ad entrare uno nell’altro senza cozzare! In realtà “persona” è un concetto metafisico trascendentale, ed indica semplicemente ciò che ha autocoscienza di sé, che sia fatto di materia o meno, perché l’essere non coincide con la materia. Dio può dimorare in ciascuno di noi perché non occupa alcuno spazio.

Ad maiora
Polymetis
00venerdì 1 febbraio 2008 00:22
A chi si illude di non essere confutato riga per riga…

“Il nostro pseudo-grecista”

Reinvito l’utente Barnabino, che non sa neppure leggere il greco, a darmi la sua e-mail affinché gli mandi la scansione dei miei titoli di studio i quali certificano che il sottoscritto a differenza di lui pratica il greco da quando aveva 14 anni, e a fare egli lo stesso, mandando i suoi alla mia mail, precedentemente data, se è in grado di farlo. In caso contrario le sue accuse di “pseudo” sono solo parole al vento, e ad ogni mio richiamo la cosa si farà più lampante. Io ho quello che in gergo si chiama “il pezzo di carta”, e non ho intenzione di farmi prendere in giro da chi non sarebbe neppure in grado di capire un testo greco aperto a caso.

“Questo dabbene continua a riesce non capire che il senso di "intima unione personale" (di qualunque tipo esso sia) non può essere espresso dall'italiano "in" che non riesce a trasmettere efficacemente il senso associativo”

Come già detto “in” da solo, esattamente come l’”en” greco da solo, non trasmettono alcun senso associativo. E’ solo in frasi come “io sono in te”, che esistono in entrambe le lingue, ed infatti sono capite in entrambe le lingue, che questo senso d’unione metaforica viene reso tramite una metafora spaziale. Come ripeto per l’ennesima volta non troverà su nessun dizionario che “en+dat” indichi un complemento d’unione, questi passi infatti non sono complementi d’unione, ma complementi di stato in luogo figurato che esprimono efficacemente un’intima unione tra due esseri, proprio come i commentari suggeriscono, anche se il nostro amico continua a pensare che lo autorizzino a tradurre con degli “unito a”.

“Inoltre egli parla di "complemento di compagnia" ma la TNM non traduce "con", Gesù non era "con" il Padre ma era "unito a".”

“Unito a” è comunque un complemento di compagnia. Sia “unito a” sia “con” indicano una relazione.

“I trinitari, naturalmente, preferiscono che al lettore ignaro dell'uso particolare di "en" venga suggeristo un'improbabile stato in luogo”

Certo, la cospirazione dei trinitari, svelata dal grande grecista barnabino. I lessici che lui cosulta sono opera anch’essa di trinitari, e ancora non ci ha saputo dire dove in essi avrebbe letto che questo passo sia da tradurre “unito a”, o una qualsivoglia occorrenza della lingua greca in cui en+dativo indichi un complemento di compagnia.

“I lessici (il Bauer e il Lowe&Nida non mi rusulat siano commentari) i dizionari teologici si limitano a dare il significato della particella in quel determinato passo”

Evidentemente ci stai prendendo per i fondelli. Perché sarebbe come leggere una poesia con scritto “io ti amo, sei sempre nel mio cuore”, trovare un commentario che dica “qui “nel cuore” indica il profondo legame tra le due persone”, e dedurne che in inglese potremmo tradurre “I love you, you are in union with me” anziché “you are in my heart”. Se non si fosse capito i commentari stanno cioè dicendo che proprio per il fatto che Cristo sia nei discepoli, o nel Padre, ciò indica che sono profondamente legati. Nessuno di costoro va oltre questo, dicendo che allora vada tradotto con “unito a”. Se volesse piantarla di dirci l’esegesi di questo passo, e iniziasse a dirci dove i lessici da lui consultati traducano il passo così, faremmo qualche passo avanti.

“raduttori che devono cercare di trasmetterlo nella lingua di arrivo nella maniera più precisa, e "in" non è la maniera nè più precisa nè più chiara di trasmettere il senso di intima associazione o relazione”

Al contrario, la forza dell’associazione intima è resa, tanto in greco tanto in italiano, dal fatto che si dica che qualcuno è in qualcun altro. Ma conosci l’italiano o no? Cosa ti sembra più intimistico? “Io sono in te” o “io sono unito a te”?

“oprattutto in un passo dove facilamente si potrebbe equivocare l'uso di "en" in uno stato a luogo”

Ma è uno stato in luogo, stato in luogo usato come figura retorica.

“Non vi è nulla da mostrare, se in italiano la particella "in" non contiene questo senso di intima relazione”

Come già detto la particella non ha questa funzione né in greco né in italiano, e vorrei per l’ennesima volta che il nostro interlocutore ci dicesse dove i lessici direbbero che questa particella ha nella lingua greca questa funzione, visto che invece è chiaro come il sole che essi si limitano a dire che, la frase in oggetto, proprio per la metafora spaziale insita in essa, fa sì che la proposizione “in”, tramite il complemento di stato in luogo figurato, serva ad esprimere l’intima unione tra due persone, e questo tanto in greco quanto in italiano, perché la particella “in”, che come ripeto non crea il complemento di unione in nessuna delle due lingue, con una frase come quella, frase in cui si dice che uno sta nell’altro, viene a significare l’unione tra due persone, ma questo proprio perché c’è una metafora spaziale sottostante. In caso contrario ci mostri il nostro magnifico grecista qualsiasi altro esempio in cui “en”, senza questa metafora spaziale, servirebbe ad indicare che due persone sono unite.
La frase usata in Giovanni è idiomatica tanto in greco quanto in italiano, anzi è la stessa metafora.

“italiana "tu sei nel mio cuore" indicherebbe che "in" italiano è adeguato a trasmettere l'idea di una intima relazione personale, ma è un esempio del tutto fuori posto, perchè si serve di una metafora (il cuore è metafora dei pensieri e sientimenti) mentre Giovanni esprime una relazione tra due individui.”

Il cuore è metaforicamente la sede dei sentimenti di una persona, ma non occorre certo che esista la parola cuore per sapere che in italiano siamo soliti dire che una persona sarà sempre in un’altra. Ad esempio noi ai funerali diciamo ai parenti del defunto che egli sarà sempre dentro di loro, intendendo appunto che sarà nei loro pensieri e nel loro animo. In greco come in italiano dire che una persona è in un’altra è un costrutto del tutto legittimo.

“Questao lo capiscono benissimo la Novissima, la TILC che, per esempio, traduce Romani 8:1 con "non c'è nessuna condanna per quelli che sono uniti a Cristo" per trasmettere in maniera più precisa il senso si "en" associativo.”

Come ripeto anche qui è sottesa la metafora locale, in questo letteralmente si dice “quelli che sono in Cristo”, allusione al fatto che ogni credente, come dice Paolo, è membra del corpo di Cristo. Anche qui la metafora locale è sottesa. Io non ho nessun problema a dire che queste traduzioni non sono letterali, e che si può tradurre liberamente, ed infatti nessun grecista si sognerebbe di fare traduzioni da ginnasio, qualora la cosa sia fatta in buona fede e non abbia nessuna rilevanza teologica. Ma nei passi cristologici, che sono più delicati, entrambe le traduzioni stanno giustamente più attente alla letteralità.


Polymetis
00venerdì 1 febbraio 2008 01:00
Appendix

Per forum.staff

“E' chiaro che è un servetto del Bunker che gli ha ordinato di non scrivere qui, onde evitare figuracce megagalattiche!”

Quest’affermazione non ha senso, per la banalissima ragione che il dialogo avviene comunque. Io letto voi, voi leggete me, quindi, qualora dovessi fare una ipotetica figuraccia, non vedo proprio come il postare sul forum di Lorenzi potrebbe evitarmela, visto che le risposte nelle quali si dovrebbe dimostrare la mia dabbenaggine sono comunque sul vostro forum, e voi e tutti i vostri utenti le leggereste comunque.
Se non scrivo sul vostro forum è perché non lo ritengo degno, come già specificato.

“Avete notato come Polymetis risponde alle nostre obiezioni venendo a leggere qui”

Non che la cosa sia abituale. Ho dato un’occhiata al vostro forum dietro segnalazione di un amico, a cui a sua volta era stato segnalato che qualcuno aveva risposto al nostro pronunciamento sulla possibilità di tradurre “parthenos” con “verginità”. In seguito ho visto altre discussioni che mi hanno tentato.

“gli ha ordinato di non scrivere qui”

Sapresti dirci dove nel forum di Achille qualcuno abbia mai vietato di scrivere chez toi?

“Può darsi che il GRIS abbia bacchettato Polymetis per le figuracce che gli ha fatto fare?”

Non faccio parte del GRIS, e non ricordo alcuna figuraccia.

“Noi abbiamo la nostra interpretazione biblica che ci vieta di iscriverci in un forum apostata,”

Veramente la vostra interpretazione biblica vi vieta di avere a che fare con gli apostati perché potreste contaminarvi con le loro idee, viene dunque da chiedersi come possiate credere che attualmente non la state infrangendo, visto che pur non essendovi iscritti leggete comunque tutta quella spazzatura diabolica che vi avvelena la mente. Il non iscriversi è solo un atto farisaico che in nulla cambia la sostanza: voi vi abbeverate di letteratura apostata ad ogni ora del giorno.
E, come dice la WTS a chi si crede abbastanza forte per non essere contaminato: badate che l’orgoglio è il primo passo verso l’apostasia!
Mi compiaccio del diabolico spirito indipendente che mostrate venendoci a leggere, in barba alla WTS che vi invita a cestinare senza leggere, come fosse pornografia.

Ad maiora
Agabo
00venerdì 1 febbraio 2008 10:18
Ho avuto a che fare con "barnabino"
In un altro forum:

1) E' un mentitore di professione e se vuole dimostrare il contrario, si accomodi. Spesso ha negato delle cose evidenti e concrete come delle citazioni originali e chiarissime pubblicate dalla stessa WTS.

2) Si è vantato di posssedere opere in lingua originale, di studiosi scomparsi da almeno 150 anni, quando, invece, ho potuto appurare che non faceva altro che prendere pari-pari delle citazioni di costoro da "Perspicacia ..."

3) Non sembra essere un tdG "ortodosso", spesso nelle sue argomentazioni va fuori dal seminato. Sembra essere uno di quei realisti più realisti dello stesso re!

4) Discutere con lui è tempo perso. Apprezzo le informazioni che ha dato polymetis, da esse c'è da imparare tuttavia, andando troppo oltre con "barnabino", vi garantisco che la cosa diventa stupida, con rispetto parlando, perché, com'è risaputo, a voler lavare la testa agli asini, si spende solo tempo e sapone...

Agabo.
Biceleon
00venerdì 1 febbraio 2008 11:36
Re:
Polymetis, 01/02/2008 1.00:

Appendix

Per forum.staff

“E' chiaro che è un servetto del Bunker che gli ha ordinato di non scrivere qui, onde evitare figuracce megagalattiche!”

Quest’affermazione non ha senso, per la banalissima ragione che il dialogo avviene comunque. Io letto voi, voi leggete me, quindi, qualora dovessi fare una ipotetica figuraccia, non vedo proprio come il postare sul forum di Lorenzi potrebbe evitarmela, visto che le risposte nelle quali si dovrebbe dimostrare la mia dabbenaggine sono comunque sul vostro forum, e voi e tutti i vostri utenti le leggereste comunque.
Se non scrivo sul vostro forum è perché non lo ritengo degno, come già specificato.



Caro Polymetis, hai tutta la mia stima sia come uomo che come esperto in greco antico, però non capisco questa discussione trasversale tra due forum che sono all’antitesi, tra l’altro le loro argomentazioni sono così puerili che non trovano di meglio che offendere la tua persona.

A Napoli si dice ‘O purpo se coce dinto all’acqua soja - il polipo si cuoce nella sua stessa acqua, quindi non ha bisogno della mano della esperta massaia per cucinarlo, allo stesso modo quel forum di “bolliti”, escludendo le ignare eccezioni, non ha bisogno dell’intervento di un esperto come te basta lasciarlo solo.

Se a qualcuno interessa conoscere veramente la verità su certi argomenti sul web, volendo escludere quello di Achille, ci sono degli ottimi siti, basta avere un buon ed un reale senso critico.




adelfos
00venerdì 1 febbraio 2008 12:36

Se volesse piantarla di dirci l’esegesi di questo passo, e iniziasse a dirci dove i lessici da lui consultati traducano il passo così, faremmo qualche passo avanti.



Giunti a questo punto credo sia opportuno citare le opere di cui si sta parlando, iniziando dal Kittel:



“Solamente nel quarto vangelo e nella prima di Giovanni si incontra ( una quindicina di volte nel primo e una dozzina nell’altra) un particolare uso di en, indicante la comunione religiosa.
Come predicato, esso appare qualche volta in unione con einai ( Io 10,38; 14,10.11.20; 17,21.23.26; I Io 2,5; 5,50), più di frequente in unione con menein ( Io 6,56; 14,10; 15,4.5.6.7; I Io 2,6.24.28; 3,6.24; 4,12.13.15.16). Volentieri vien fatta rilevare la reciprocità del rapporto ( Io. 6,56; 10,38; 14,10.11.20; 15,4.5; 17.21.23.26; I Io.3,24; 4, 13.15.16). A differenza di Paolo, quest’uso si riferisce anche al Padre, tanto nei suoi rapporti con Gesù, ( Io. 10,38; 14, 10.11) quanto nei rapporti con gli uomini ( I Io. 4,12.15.16); mai invece è riferito allo Spirito. Sorgono così delle formule triadiche, in cui al terzo posto stanno i discepoli ( Io. 14, 20; 17, 21.23.26;) in complesso le formule non sono né estatiche né escatologiche. Partendo da Io. 6,56; 14,23; 15,1 potremmo definirle mistiche in senso lato. Tuttavia esse alludono a una comunione di volontà, basata sul rapporto etico, personale ( I Io. 1,3.6.7; cfr. le formule analoghe con agape e logos; Io. 15,10; I Io. 2,14; 3,17)”.
( Grande Lessico del NT Vol.3 pag 575,576)


"En: a marker of close personal association - ‘in, one with, in union with,
joined closely to.”oti en emoi o pater kagw en tw patri ‘that the Father is in me and
I am in the Father’ Jn 10.38; “meinate en emoi kagw en umin” ‘remain in me and I (will
remain) in you’ Jn 15.4; “eiper pneuma theou oikei en umin” ‘because the Spirit of God
dwells in you’ Ro 8.9; “umei o ekousate ap arch" en umin menetw” ‘let what you
heard from the beginning remain in you’ 1 Jn 2.24; “se de en emoi christo” ‘but Christ
lives in me’ Ga 2.20". ( Louw-Nida, Greek-English Lexicon Based on semantic Domains)




Il DENT PAG.1195 afferma:

Nella terminologia religiosa “en” sta
1) per indicare l’essere pieno di una cosa: il peccato che abita nell’uomo ( Rom. 7: 17.20) ; così pure lo Spirito di Dio ( 8:9.11; 1 Cor.3,16; cfr 1 Tim.4,14; 2 Tim. 1,6); la vita, la gioia, la fede, la parola ( di Cristo) sono nell’uomo ( Gv 6,53; 15,11; 2 Tim. 1,5; Gv 5,38). Viceversa, tutti i tesori della sapienza sono in Cristo ( Col 2,3; cfr 1,19), il mistero e la vita sono nascosti in Dio (Ef.3,9;Col 3,3).
2) Per indicare il legame intimo tra Dio e l’uomo. La frequente affermazione che Dio opera nell’uomo (1 Cor.12,6;Fil 1,6; 2,13; Col.1,29; cfr Mc 6,14; Ef.2,2) ha il suo culmine nella formula paolina Cristos en umin, “Cristo in voi”: Rom 8,10; 2 Cor 13,5;Gal 2,20; 4,19). La reciprocità in questo rapporto caratterizza la formula giovannea di comunione “in me il Padre e io in lui”:Gv 10,38;similmente 14,05 e altrove ( con menein << rimanere>> 6,56; 15,4-7; I Giov. 4,13-15 e passim; con inclusione dei discepoli: Gv 14,20; 17,21,23-26)
Paolo sottolinea ancor di più l’essere “in Cristo” o “nel Signore”; ( en christou o en kuriow, una ventina di volte in Rom. e altrettante in I Cor; inoltre in Fil. 1:1,14; 4,7; II Cor. 5,17 e passim.) spesso in unione con verbi, (vita, grazia,libertà) e sostantivi ( vita, grazia, libertà) e aggettivi (saggio, perfetto, amato). Quindi en christou non significa l’inabitazione mistica in Cristo, ma serve piuttosto al pari della formula affine en pistei, “nella fede” a contraddistinguere uno specifico ambito di esistenza, al quale spesso viene contrapposto l’ambito terreno (en sarki, “nella carne”): Fil 3,3: 1,2,5; Rom 8:85; 1 Tim. 3,16; Film.16)


E infine per quanto riguarda lo studioso D. Wallace preferisco riportare per chiarezza, tutto il contenuto presente alle pag 372-375 della sua grammatica in riferimento alla preposizione greca “ en”



En
A. Basic Uses (with Dative only)
̓En is the workhorse of prepositions in the NT, occurring more frequently
and in more varied situations than any other. It overlaps with the simple dative
uses to a great extent, but not entirely. The following categories are for the
most part painted with broad strokes.
1. Spatial/Sphere: in (and various other translations)
2. Temporal: in, within, when, while, during
3. Association (often close personal relationship): with
4. Cause: because of
5. Instrumental: by, with
6. Reference/Respect: with respect to/with reference to
7. Manner: with
8. Thing Possessed: with (in the sense of which possesses)
9. Standard (=Dative of Rule): according to the standard of
10. As an equivalent for eis (with verbs of motion)

B. Significant Passages Involving En
As varied as the uses of en are, sometimes it is considered even more
elastic than it really is. The following discussion focuses on a few passages in
which the preposition has been viewed as expressing agency or content.

1. En + Dative for Personal Agency?
Some have suggested that either the naked dative or en + the dative can
express personal agency in the NT. However, once a clear definition is given
for personal agency, this will be seen to be a rare or nonexistent category.
Williams defines the dative of agency as denoting “the agent (personal) by
whom something is done. The only difference between means and agency is
that means is impersonal, agency is personal.”

This definition is a little too general. It would be better to say that when en
+ the dative expresses the idea of means (a different category), the instrument
is used by an agent. When agency is indicated, the agent so named is not used
by another, but is the one who uses an instrument. (It may be noted here that
an intermediate agent, usually expressed by dia + the genitive, is an agent who
acts on behalf of another or in the place of another. This agent is not, strictly
speaking, used by another as an instrument would be.) Thus, en + dative to
express means can be (and often is) used of persons, though they are
conceived of as impersonal (i.e, used as an instrument by someone else). For
example, in the sentence “God disciplined me by means of my parents,”
“God” is the agent who used the “parents” as the means by which he
accomplished something. The parents are, of course, persons. But they are
conceived of as impersonal in that they are the instruments used by another.
According to our definition, if en + dative is used to express agency, the
noun in the dative must not only be personal, but must also be the agent who
performs the action. BDF accurately assess the NT situation of the naked
dative used for personal agency: “Dative of agency is perhaps represented by
only one genuine example in the NT and this with the perfect: Luke 23:15
[italics mine].” In summary, we can say that there are no clear examples of
the dative of agency in the NT, and even if the category does exist, it is, by all
counts, exceedingly rare.

However, the slightly different phenomenon of en + the dative is
considered by many to express agency on a rare occasion. Yet no
unambiguous examples are forthcoming. Thus what can be said about the
dative of agency can also be said of en + the dative to express agent: it is rare,
at best.

Mark 1:8 autos de baptisei en pneumati agiw
but he shall baptize you with the Holy Spirit

Here it is obvious that Christ is the agent (since autos is the subject),
and the Holy Spirit is the means (and perhaps sphere) that the Lord
uses to baptize.

1 Cor.12:13
gar en eni pneumati emeis pantes eis en soma ebaptisthemes
for by one Spirit we all were baptized into one body

Our contention is that this is an illustration of en used for means. By
calling “Spirit” means here does not deny the personality of the Holy
Spirit. Rather, the Holy Spirit is the instrument that Christ uses to
baptize, even though he is a person. Since pneumati agiw clearly
indicated means in Mark 1:8 (as in several other passages dealing with
Spirit-baptism), it is surely not unreasonable to see “Spirit” as the
means here.
Furthermore, if the Holy Spirit is the agent in this text, there is a
theological problem: When is the prophecy of Mark 1:8 fulfilled?
When would Christ baptize with the Holy Spirit? Because of the
grammatical improbability of πνεύματι expressing agent in 1 Cor
12:13, it is better to see it as means and as the fulfillment of Mark 1:8.
Thus, Christ is the unnamed agent. This also renders highly
improbable one popular interpretation, viz., that there are two Spirit
baptisms in the NT, one at salvation and one later.

2. En + Dative for Content?
Rare is the usage of the simple dative to denote the content that is used by
a verb of filling. For en + the dative, this usage is debatable.
Normally, a verb of filling takes a genitive of content; rarely, a simple
dative of content. However, we know of no clear examples in biblical
Greek in which en + the dative indicates content. We should, therefore, seek
some other nuance in such instances, as in Eph 5:18 (discussed below)


Eph 5:18 plerousthe en pneumati
be filled [with, by, in] [the] Spirit

To see en pneumati here as indicating content is grammatically suspect
(even though it is, in many circles, the predominant view). Only if the
flow of argument and/or the lack of other good possibilities strongly
point in the direction of content would we be compelled to take it as
such. There are no other examples in biblical Greek in which en + the
dative after plerow indicates content. Further, the parallel with oinw
as well as the common grammatical category of means suggest that the
idea intended is that believers are to be filled by means of the [Holy]
Spirit. If so, there seems to be an unnamed agent.
The meaning of this text can only be fully appreciated in light of the
plerow language in Ephesians. Always the term is used in connection
with a member of the Trinity. Three considerations seem to be key:
(1)In Eph 3:19 the “hinge” prayer introducing the last half of the letter
makes a request that the believers “be filled with all the fullness of
God” ( plerothte eis pan to pleroma tou theou). The explicit content
of plerow is thus God’s fullness (probably a reference to his moral
attributes).
(2) In 4:10 Christ is said to be the agent of filling (with v 11
adding the specifics of his giving spiritual gifts).
(3) The author then
brings his argument to a crescendo in 5:18: Believers are to be filled by
Christ by means of the Spirit with the content of the fullness of God.

3. Other Significant Passages
One group of significant passages involves the phrase en christo, an
expression found almost solely in the Pauline corpus. The student is
encouraged to consult standard lexical and biblico-theological sources for a
treatment of this phrase.
Other significant passages include: John 14:17; 1 Cor 7:15; Gal 1:16; 1 Pet
2:12.
( Greek Grammar Beyond the Basics An Exegetical Syntax of the New Testament pag 372-275)

Chiedo quindi a Polymetis: le opere testè citate in che modo giustificherebbero la resa di “en” con “ unito” nella TNM ?

A presto
Adelfos
Ancientofdays
00venerdì 1 febbraio 2008 16:13
Re: Ho avuto a che fare con "barnabino"
Agabo, 01/02/2008 10.18:

In un altro forum:

1) E' un mentitore di professione e se vuole dimostrare il contrario, si accomodi. Spesso ha negato delle cose evidenti e concrete come delle citazioni originali e chiarissime pubblicate dalla stessa WTS.

2) Si è vantato di posssedere opere in lingua originale, di studiosi scomparsi da almeno 150 anni, quando, invece, ho potuto appurare che non faceva altro che prendere pari-pari delle citazioni di costoro da "Perspicacia ..."

3) Non sembra essere un tdG "ortodosso", spesso nelle sue argomentazioni va fuori dal seminato. Sembra essere uno di quei realisti più realisti dello stesso re!

4) Discutere con lui è tempo perso. Apprezzo le informazioni che ha dato polymetis, da esse c'è da imparare tuttavia, andando troppo oltre con "barnabino", vi garantisco che la cosa diventa stupida, con rispetto parlando, perché, com'è risaputo, a voler lavare la testa agli asini, si spende solo tempo e sapone...

Agabo.




1)Vero. lo ha fatto anche con me.
2)Non confermo, nè smentisco
3)verissimo. e non cita quasi mai le pubblicazioni, che per un tgG ortodosso sono più importanti della Bibbia stessa.
4) Vero. Anche se i match Polymetis-Barnabino mi hanno appassionato a lungo, dopo un po' ti rendi conto che Barnabino eccelle nella tecnica della dialettica eristica, ma il vero è altra cosa...



Polymetis
00venerdì 1 febbraio 2008 17:48

“Chiedo quindi a Polymetis: le opere testè citate in che modo giustificherebbero la resa di “en” con “ unito” nella TNM ?”



Non la giustificano, i TdG scambiano le parafrasi e i commenti per le traduzioni. E’ un po’ come aprire un dizionario dei sinonimi ed illudersi che tutte le voci proposte come sinonime di quella cercata abbiano davvero la stessa estensione semantica. Quando il mio già citato professore di arte mi disse per usare il Rocci si doveva essere laureati in lettere classiche sapeva bene quel che diceva, intendeva cioè dire che i dizionari non traducono, operazione del resto impossibile per definizione, bensì accavallano una serie di vicine approssimazioni per farti cogliere il senso di qualcosa tramite una perifrasi. Si tratta sempre di parafrasi usate per rendere un senso di intima unione che comuqneu anche in italiano è reso benissimo lasciando “in” così com’è. A me non fa problema che una traduzione che si dica libera renda come gli pare, mi dà fastidio che una traduzione che si dice letterale, e che per di più usa questi passi tradotti liberamente per sostenere una cristologia farlocca, si rifiuti di prendere in considerazione come è costruito il testo originale, e cioè non con un misero “syn+dat”, bensì con un “en+dativo”. Credo che la definizione con la quale mi trovo più d’accordo sia quella del Kittel, il quale dice che si tratta di una completa comunione di volontà. Tradurre con “unito a” depaupera il testo del suo pilastro intimistico portante che sta alla base delle diverse interpretazioni possibili di questa “comunione”, è un’autentica parafrasi. Non esiste in greco classico un complemento d’unione reso con en+dativo, se dunque Giovanni ha voluto esprimerci l’unione tra Cristo e il Padre in questo modo un motivo dev’esserci.
Wallace nella lunga citazione che hai riportato discute dell’esistenza o meno di due tipi di dativi che qui non c’entrano nulla, e che tra l’altro afferma essere molto dubbi, è l’unico scritto a mio avviso tra quelli che citi che in nulla riguarda il tema del discorso. Gli altri fanno capire con mille perifrasi cosa intendono per l’uso di “en” ad indicare un’intima unione, ma nessuno traduce come i TdG. Essi scambiano quelle che in gergo sono dette “categorie estensionali”, e di cui anche il Wallace parla nell’incipit, con le traduzioni. Scambiano cioè la sfera di sensi che una parola può assumere inserita in un determinato contesto, ad esempio “io sono in te” ad indicare amore/unione, col significato che il singolo lemma può avere, e non si rendono conto che proprio nel suo significato base, cioè essendo “in”, quell’ “en” viene a creare una metafora di comunione perché ci dice fino a che punto uno fosse intimamente nell’altro.
Achille Lorenzi
00venerdì 1 febbraio 2008 18:28
Biceleon ha scritto:

Caro Polymetis, hai tutta la mia stima sia come uomo che come esperto in greco antico, però non capisco questa discussione trasversale tra due forum che sono all’antitesi, tra l’altro le loro argomentazioni sono così puerili che non trovano di meglio che offendere la tua persona.

Abbiamo anche ricordato più volte che le discussioni trasversali con persone che non sono iscritte a questo forum, per di più anonime, sono da evitare.
Se qualcuno vuole dire qualcodsa sui contenuti dei forum altrui, basta che vada a scrivere nei rispettivi forum.

Achille

Polymetis
00sabato 2 febbraio 2008 03:36
Io e Trianello avevamo intentato questa discussione trasversale unicamente perché erano state citate parti del forum e del sito e commentate altrove, dunque erano gli altri ad aver “portato la discussione fuori sede”, noi ci eravamo limitati a riportarla qui.
Io personalmente mi sono limitato a spiegare che i TdG non sapendo nulla di teoria della traduzione scambiano il commento con la grammatica.
Ad esempio, come già ricordato, essi citano la TILC che, sebbene non nel passo che a loro interessa, rende in qualche occasione la preposizione con un “unito a”; la citano dimenticando che questa traduzione, per sua stessa ammissione di copertina, non ha nessuna intenzione di seguire la sintassi della lingua greca, in quanto non traduce quello che c’è scritto ma parafrasa il testo per darne una lettura scorrevole al lettore. Se dovessimo valutare la TILC coi criteri che vengono richiesti per una traduzione al ginnasio, cioè rispettare il più fedelmente possibile costrutti, periodare, tempi verbali, ecc., ci sarebbero come minimo tre errori ogni due righe. Avevo già scritto: “Io non ho nessun problema a dire che queste traduzioni non sono letterali, e che si può tradurre liberamente, ed infatti nessun grecista si sognerebbe di fare traduzioni da ginnasio, qualora la cosa sia fatta in buona fede e non abbia nessuna rilevanza teologica. Ma nei passi cristologici, che sono più delicati, entrambe le traduzioni stanno giustamente più attente alla letteralità e rendono con “in”. “
Quindi quando si cita una traduzione bisogna vedere che tipo di traduzione è, in base a quali criteri è fatta. Ad esempio la famosa traduzione dell’Iliade che tutti abbiamo studiato a scuola, “Cantami o diva del Pelide Achille l’ira funesta”, ha già un errore nella prima riga, un “mi” che il Monti s’è sognato. E’ davvero sbagliata? No, perché in quel caso il target si chiamava “traduzione poetica”, ed in questo tipo di traduzione la sintassi può tranquillamente andare a rotoli (anche perché il Monti il greco lo sapeva ben poco, scopiazzava da traduzioni latine dell’opera) Come già detto non basta consultare gli strumenti del grecista, bisogna anche sapere come usarli, e questo, mi dispiace dirlo, si impara solo con gli anni di traduzione.
Polymetis
00mercoledì 6 febbraio 2008 21:41
Agli irriducibili che non mollano
“(si è offeso dello "pseudo", ma non risparmia insulti a chi grecista non si è mai dichiarato”

Evitare di usare un’etichetta ma prendere di fare quello che la categoria così chiamata fa non cambia di una virgola il problema.

“l nostro grecista sembra ignorare la differenza tra parafrasi, equivalenza dinamica, equivalenza formale e il concetto di letterarietà, dimenticando che qualunque traduzione, rivolgendosi ad un pubblico vasto, combina sempre traduzione dinamica e formale, senza destare nessuno scandalo (ho già postato come molti traducano "en" in Romani 8!)”

Veramente io ho sempre sostenuto, anche nel forum di Primula, che le traduzioni non esistono. E quando dico “parafrasi”, non sto parlando di una traduzione più o meno libera, perché come ripeto la TILC non è interessata a fare quelle che possiamo chiamare traduzioni libere, fa proprio delle parafrasi, riscrivendo le frasi per far passare quelli che essa crede siano i significati. Una settimana fa al corso biblico che il sottoscritto tiene in parrocchia analizzavamo un testo lucano che dice: “Ebbene io vi dico, procuratevi amici con la iniqua ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne”. La TILC inventa praticamente metà di quello che traduce scrivendo: “Io vi dico, ogni ricchezza puzza d’ingiustizia: voi usatela per farvi degli amici; così, quando non avrete più ricchezze, i vostri amici vi accoglieranno presso Dio”. A questa versione non interessava rendere il testo greco, solo far capire che per Gesù bisogna usare il denaro, di per sé iniquo, per fare l’elemosina. Non è il tipo di traduzione che sia utile per fare dei raffronti grammaticali. CI può essere una traduzione più o meno libera, basta sapere qual è la dose messa dal traduttore e qual è invece il testo.

“Comunque, in mezzo al solitp mare di insulti, ammette che l'uso di "in" invece di "unito a" non dipende dal fatto che sia errato, o che sia meno comprensibili... anzi, lui stesso dice che è più "scorrevole", ma piuttosto dal fatto che secondo lui ha "rilevanza teologica" e la TNM non fa in "buona fede"!Ora, come fa a dire che non siamo in buona fede è difficile dirlo, poichè questo non è il solo passa in cui "en" è reso "unito a", ma la TNM lo fa sistematicamente (dove ha questo significato) in circa 100 versetti”

Quello che ho detto è che “en” non significa affatto “unito a”, bensì, l’espressione in cui è inserito, dicendo che uno è nell’altro, rende un’idea di unione, e questo tanto in greco quanto in italiano, motivo per cui la TILC parafrasa come al solito. In greco “en”+dat non vuol dire mai “unito a qualcuno”, e infatti chiedevo di mostrarmi un qualsiasi passo della letteratura greca dove cioè avvenisse. Semplicemente qui, sfruttando un modo di dire comune ad entrambe le nostre lingue, cioè essere nell’intimo di qualcuno, viene resa un’idea di unione.

“Mi chiedo, come mai per la TILC la preposizione "en" (nello stesso passo!) avrebbe "rilevanza teologica" solo il rapporto tra Gesù ed il Padre e non quello tra Dio ed i discepoli? E poi, quale traduzione è più precisa a livello teologico? Far credere ad una inabitazione o ad una unione?”

Veramente ho definito il passo “cristologicamente” più delicato, non “di meno rilevanza teologica”, è meno importante per altri aspetti. Non c’è alcuna “precisione a livello teologico” di cui discutere, la metafora dell’unione infatti è resa da una metafora locale, comunque la si voglia interpretare, ed è su questa parola scelta da Giovanni che bisogna fare teologia, non su un “unito a” insistente. Infatti l’esegesi non si fa mai sulle traduzioni, perché ogni raffronto diventerebbe arbitrario.

“La differenza? La TNM si attiene alla lettura data dagli strumenti lessicali, laddove la CEI, la NR e la TILC preferiscono attenersi alla loro teologia trinitaria!”

Come già detto non sapremo mai in quale commentariol abbia trovato che si possa tradurre questo passo con “unito a”, in quanto i commentari si limita a registrare che questo passo indica un’intima unione, cosa che come ripeto fanno proprio perché traducono “in me”, giacché non c’è unione più grande. La situazione è ben esemplificata dal DENT che scrive a proposito di “en”: “2) Per indicare il legame intimo tra Dio e l’uomo. La frequente affermazione che Dio opera nell’uomo (1 Cor.12,6;Fil 1,6; 2,13; Col.1,29; cfr Mc 6,14; Ef.2,2) ha il suo culmine nella formula paolina Cristos en umin, “Cristo in voi”: Rom 8,10; 2 Cor 13,5;Gal 2,20; 4,19). La reciprocità in questo rapporto caratterizza la formula giovannea di comunione “in me il Padre e io in lui”:Gv 10,38;similmente 14,05 e altrove ( con menein << rimanere>> 6,56; 15,4-7; I Giov. 4,13-15 e passim; con inclusione dei discepoli: Gv 14,20; 17,21,23-26)”
Notate che questo commentario fa esattamente l’operazione che sto spiegando da secoli, ossia distingue commento da traduzione, e infatti traduce con “in”.
Vale a dire, come ripeto da secoli, che la chiama unione e comunione, ma la chiama così non perché si possa tradurre, volendo essere letterali, con “unito a”, bensì proprio perché l’ “in me”, tanto in greco quanto in italiano, dà l’idea dell’unione.

Veniamo ad un problema serio: che cos’è una traduzione e che cos’è una parafrasi?
Quando dico che la WTS sbaglia le sue traduzioni e scambia la grammatica con l’esegesi non sto affatto sostenendo che l’operazione del grecista sia tradurre sempre una parola col medesimo termine, anzi più volte s’è criticata questa linea. Una parola può effettivamente voler dire cose diverse, non solo nella lingua d’arrivo della traduzione, ma anche in quella del parlante. Noi non usiamo le preposizioni sempre con lo stesso significato, mentre a volte le usiamo con lo stesso significato in un costrutto metaforico. Se dico “ero in piazza”, uso il primo senso di “in”, quello spaziale. Se dico “eravamo nel 1965”, sto facendo un complemento di tempo, ma il mio “in” è usato col medesimo significato della prima frase, io senso che il senso della frase è che ero “dentro” il 1965, cioè che sto usando un valore spaziale figurato per esprimere un complemento di tempo. Altre volte invece le parole hanno proprio un altro significato sebbene omografe. La parola “patente” può essere sia il permesso di guida sia un aggettivo che significa “brillante”. Un dizionario bilingue quando segnala il significato si una parola riporta sia le accezioni di quella parola dove essa è usata con lo stesso significato ma, in vari contesto, viene ad assumere senso metaforico proprio grazie al suo significato di base, sia quelli che sono proprio altri significati della parola. La traduzione “unito a”non rientra in nessuna di queste due categorie.
Nessuno qui ha mai detto che “en” vada tradotto sempre “in”, i dizionari danno un’ampia gamma di traduzioni possibili, ma quello che dobbiamo sapere e se per il greco quell’ “in” è sempre sentito nella medesima maniera anche se ha altre valenze in altre lingue, o se anche per il greco la stessa parola ha significati agli antipodi. La traduzione “unito a” non è nessuna di queste due cose. Non esiste quest’uso di “en” in greco, come ripeto questo è un caso di metafora spaziale. Quello che i TdG non capiscono è che sarebbe come pretendere che su un dizionario italiano-inglese ci fosse, tra i significati di “in”, anche “in union with”, solo perché in italiano si può dire, come ripeto “sono nel tuo cuore”. Quando si dice che la preposizione “en” possiede un spettro di significati e dunque si può tradurre anche con “unito a”, non s’è capito nulla del problema, perché come ripeto questo senso non sta nello “spettro semantico” di “in”, e difatti nessun dizionario registra una cosa simile.
L’alternativa non è “traduciamo sempre una stessa parola con lo stesso termine” oppure “traduciamo quella parola con unito a”, l’alternativa è “traduciamo quella parola con un senso possibile”.
Il giochetto di mettere in bocca agli interlocutori parole mai dette ovviamente è alquanto squallido, infatti il sottoscritto non ha mai detto che una parola vada sempre resa nello stesso modo. Mi si mostri dove l’avrei scritto. O forse non si comprende la sottigliezza dei distinguo che sto ponendo. Anzi, il brano dell’appendice alla TILC che è stato citato è meraviglioso: “Rendere ogni parola del testo originale mediante una parola fissa della seconda lingua e riprodurre anche numericamente le parole del testo originale, ricalcandone la sequenza e la struttura formale fa sì che il risultato sia piu' volte grottesco”. Questo criterio infatti, cioè tenere una parola fissa per un singolo termine, è usato dalla TNM quando deve giustificare alcune sue rese, come “anima” per nefesh dove vuol dire tutt’altro. Chiccà perché ovviamente non s’azzarda a fare lo stesso per “en”, non credo che riuscirebbero a fare di peggio o a suscitare esiti più ridicoli di quelli che hanno creato usando sempre nefesh, tra cui i meravigliosi “l’acqua fino all’anima” anziché “l’acqua fino alla gola”. Nel caso di nefesh non sia, come nel caso di “nel 1965” da me citato, nella casistica di una parola sentita dal parlante con lo stesso significato, nefesh vuol proprio dire cose diverse tra loro. Né ha senso dire che esiste un termine specifico per gola e dunque nefesh vuol sempre dire “anima”, il fatto che una parola possa avere vari significati, e che uno di questi significati sia sinonimo di una parola più specifica, non preclude l’esistenza di quel significato secondario della prima parola. Mentre “gola” è tra i significati di nefesh, “unito a”, come ripeto, non sta tra i significati di “en”, su nessun dizionario.Non c’è dunque nessun parallelo.
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