Re:
Scritto da: Polymetis 10/10/2006 21.09
Dio solitamente non interviene in modo miracoloso rompendo le leggi della natura perché dovrebbe farlo ogni tre secondi. In questo istante ad esempio un bambino in Cina è scivolato in un burrone, un secondo dopo in Corea una persona prende la scossa, ecc.
Se Dio interevennise per evitare ogni morte darebbe:
1)La prova della sua esistenza, cosa che egli non fa perché vuole preservare il libero arbitrio, mentre se SAI che Dio esiste non credi per scelta ma constati
2)Si sarebbe impedita qualunque evoluzione umana perché avrebbe sospeso continuamente le leggi naturali. Gli uomini imparano anche dai loro errori e dalla morte, ad esempio se sappiamo che non è bene costruire case sopra un deposito di plutonio è perché l'esperienza ci ha insegnato che la radioattività uccide. Non c'è né progresso scientifico né progresso morale e culturale senza la storia, e la storia passa anche attrvaerso le lacrime, i greci dicevano "pathei mathos", l'apprendimento attraverso la sofferenza.
3)Perché i tuoi criteri di giusto e ingiusto, di omissione di soccorso e di soccorso, non sono i criteri di Dio. Diceva Eraclito: "Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come il fuoco, quando si mescola ai profumi e prende nome dall'aroma di ognuno di essi." (53 DK) Vale a dire che il tuo punto di vista non è assoluto. per fare un esempio banale nella prospettiva di Dio la morte non andrebbe pianta ma festeggiata in questo porta da Lui nella pace eterna.
Ad maiora
Non mi trovo d'accordo con il primo punto. Io sto con quelli che sostengono che la speculazione filosofica sulla Causa Prima, et quidem intelligente e perciò personale, sia una vera e propria dimostrazione incontrovertibile.
Il che, come sai, è anche la posizione della Chiesa. «Accanto a un 'io credo' - scrisse Giovanni Paolo II - il cristiano ha un 'io so'». E Palo VI ha detto (sta all'inizio del catechismo degli adulti) che la Chiesa manterrà la sua posizione sulla dimostrabilità dell'esistenza di Dio "anche se dovesse rimanere sola" in questo.
Io riservo la parola "credere" alla fede in Dio che si rivela.
Del resto se per ammettere l'esistenza di Dio si dovesse solo "credere" affidandosi a un'opzione volontarista e non un dovere intellettuale, noi non avremmo alcun motivo intellettuale per giudicare sbagliato un credo altrui.
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E ruminando ulteriormente la cosa aggiungo... con il rammarico che sia postata qui, dove nessuno la leggerà...
Se credere significa fidarsi di qualcuno e quel qualcuno ancora non è accertato che esista, il credere religioso, la fede, risulterebbe essere non un credere in Dio e a Dio, ma un credere nell’uomo. E se, come sempre richiede lo stesso concetto di “credere”, quest’uomo non “dimostra” che Dio ci sia (del resto se è impossibile a me perché mai dovrebbe essere possibile a lui?) ma solo lo afferma, questa conoscenza di Dio derivante da… e poggiata sopra la sua dichiarazione ha lo stesso valore dello “speriamo che galleggia!” (nome che Beppe Grillo suggerisce che bisognava dare al Titanic).
Né si può obiettare che Gesù è affidabile rivelandoci Dio. Innanzitutto egli presupponeva l’esistenza di Dio già nota al popolo ebraico, e la sua rivelazione riguarda solo certe caratteristiche e idee di Dio (il de essentia non il de existentia). In secondo luogo se la parola di Cristo è affidabile lo è solo in quanto egli dimostra (con i miracoli e profezie) che Dio è dalla sua parte e anzi lui stesso è persona divina. Il che ci riporta sempre al fatto che sia l’esistenza del soggetto chiamato Dio sia le sue caratteristiche fondamentali di Creatore, intelligente, remuneratore, perfezione totale e quindi anche affidabilità in ciò che dice perché non può né sbagliarsi né ingannare, devono precedere – giacché la devono fondare! – la fede in ciò che Gesù rivelerà. La rivelazione fatta da Cristo in tanto è sicura, al punto da poterci affidare la vita e la speranza in un aldilà che non può risolversi in un’illusione, in quanto è garantita da Dio. Se Gesù avesse garantito il suo messaggio rivelando l’esistenza di Dio precedentemente ignota, avrebbe operato una petitio principii. Non a caso egli ha detto “se non credete a me credete alle opere” e “se non avessi operato quello che ho operato sarebbero senza colpa” e ha corredato di segni la predicazione apostolica aggiungendo “chi non crederà sarà condannato”.
Conosco benissimo certe posizioni di teologi moderni che dicono che è l’esistenza della fede (pre-esistente nel recettore) che fa credere ai miracoli. Ma la trovo una sovversione totale della logica e sto con la Chiesa di sempre che dice che la cosa funziona all’inverso “miracula sunt signa certissima revelationis”.
Quanto alla obiezione che se si sostiene la dimostrabilità dell’esistenza di Dio non si avrebbe più fede, è una cosa che non consegue. Infatti, come ho detto, la fede riguarda le novità soprannaturali rivelate da Cristo su Dio; cose che saranno evidenti solo con il lumen gloriae.
E una “dimostrazione” non può equipararsi alla evidenza immediata. E’ solo una evidenza mediata, non molto dissimile da quella che si ricava in certi settori della scienza ove la prova sperimentale non ci dà l’evidenza della realtà in sé ma solo quella dei fenomeni. Per arrivare alla realtà in sé bisogna fare opera di deduzione logica, il che è una de-monstratio (evidenziare indirettamente) ben diversa dalla monstratio (far vedere direttamente).
La dimostrazione scientifica, su certi settori come l’astrofisica e la fisica nucleare, ovviamente è possibile solo agli uomini di scienza addetti ai lavori, i quali sanno come adoperare e leggere sia i dati che la strumentazione. Per noi si risolve in atto di fede in loro (garantito però sia dal controllo di colleghi rivali, sia dalla evidenza sperimentale dei risultati e tecnologia applicante, risultati che invece nella fede religiosa saranno evidenti solo nell’aldilà).
Come riflessione finale mi viene da pensare che questa confusione, squisitamente postconciliare, che ha diffuso l’idea che Dio può essere solo oggetto di fede e non anche e prima ancora di deduzione razionale- idea che ha fatto squalificare l’apologetica e i praeambula fidei (oggi però risorgente) – deriva dalla confusione/identificazione tra la fides QUA creditur e la fides QUAE creditur. La fides QUA creditur è sicuramente affidamento volontaristico a Dio e consiste nella risposta umana al Suo messaggio (che comunque dev’essere accertato preventivamente con tanto di prove razionali che proviene da Lui); mentre la fides QUAE creditur che consiste nel contenuto del messaggio soprannaturale rivelato non è affatto un problema di volontà, ma esige sia che se ne certifichi la provenienza divina, sia che non se ne scorgano contraddittorietà intrinseche al messaggio. Non è infatti in base a questa contraddittorietà che noi soppesiamo il valore preteso “divino” di sedicenti rivelazioni, e MRA proponenti, e lo smascheriamo così da poterlo qualificare come “non credibile”?
Trascurando la fides QUAE e peggio riducendo il messaggio alla sola fides QUA si potrà bensì sostenere sia che Dio non occorre dimostrarlo sia che la fede è una “scommessa” e un “rischio”, ma non si potrà mai aiutare alcuno ad uscire da una FIDES che, non avendo più il supporto della RATIO che obbligherebbe a rifiutarla, promette nientemeno che… una terra paradisiaca=paradiso ortofrutticolo.
[Modificato da berescitte 11/10/2006 9.19]