Per wfreedom
“Se poi la tua domanda era mirata per dare un valore a tradizioni e concili vari mi dispiace ma la mia linea guida è la Parola di Dio e il mio fondamento è essa cioè Cristo.”
Quello che forse per ignoranza della filologia neotestamentaria ignori è che la tua cosiddetta “parola di Dio” non è un libro che è caduto rilegato dal cielo nel I secolo, essa è frutto di un lungo processo svolto all’interno della Chiesa che ha portato alla fissazione del canone neotestamentario che tu usi solo nel IV secolo. La prima volta che vengono considerati canonici tutti e soli i 27 libri attuali del NT è nella lettera festale di Atanasio del 367, prima c’erano altri canoni più o meno mutili, a volte con anche libri diversi da quelli considerati attualmente canonici. Si è cioè voluto mostrare la contraddizione di chi accetta il canone creato dalla Chiesa ma rigetta la Chiesa che ha creato questo canone, e ciò è possibile per un ingenua credenza fondamentalista che la Bibbia sia un testo fisso sin dal I secolo.
In generale è eretica qualunque Chiesa che non derivi dalla Chiesa primtiva per imposizione delle mani di successore in successore degli apostoli. Il Nuovo testamento è categorico nell’affermare che è mandato dalla Chiesa apostolica, che ha il mandato dei dodici, solo chi ha ottenuto l’imposizione delle mani. Ireneo a metà II secolo diceva giustamente che la successione apostolica è l’unico criterio per distinguere la chiesa di Cristo dagli eretici. Ecco perché il protestantesimo, non potendo contare su questa garanzia di ortodossia, s’è fatto una mistica tutta sua del rapporto singolare tra il credente e Cristo senza la mediazione del clero, una mistica che ha il suo campione nella rivelazione “privata” di Paolo. L’eresia consiste appunto nella scelta di cosa leggere e cosa non leggere (hairesis in greco vuol dire “scelta”). Il punto è che Paolo non fa solo questo. Dice infatti sia che lui è un apostolo perché tale l’ha fatto Cristo, sia che la sua predicazione è ortodossa perché l’ha esposta a Pietro. Et-et come si dice. Non esiste solo la lettera ai Corinzi dove parla dell’esperienza sulla vita di Damasco ma anche quella ai Galati. L’imposizione delle mani oltre che nella patristica è attestata nel NT come mezzo per l’assegnazione di una carica: “Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani.” (At 6,6) L’imposizione della mani a Paolo è raccontata in At 3,13. L’Apostolo è lapalissiano su come vengano conferiti gli incarichi: “Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti, con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri.” 1Timoteo 4,14; 2Tm 1,6)
Non ti sei mai chiesto perché dopo la conversione Paolo deve ottenere l'imposizione delle mani di Anania, un discepolo (=uno della gerarchia apostolica), che gli fa riacquistare la vista e gli impone le mani per effondergli lo Spirito? E perché poi viene da loro battezzato? Non gli bastava quello che Cristo gli aveva rivelato?
“Nei versi citati d'Achille non parla di una posizione privilegiata di Pietro ma tutti e 12 discepoli sono nella medesima posizione”
veramente Achille non te li ha citati perché essi dimostrano un primato di Pietro ma perché anche in essi gli apostoli sono detti fondamento, nonostante come è stato ricordato il fondamento assoluto sia solo Cristo. Vale a dire che te li ha menzionati per dimostrare che l’essere fondamento di Cristo non esclude l’essere fondamento anche di altri, sebbene questi fondamenti lo sono solo in secondo luogo e in quanto poggiano anch’essi su Cristo. “Chi ascolta voi, ascolta me…” dice Gesù nel Vangelo di Luca. E poi è il caso di fare un’analisi grammaticale del brano, e specie di “questa pietra”, per vedere a chi si potesse riferire con ”questa”(in greco outos declinato). Con “outos” si designa una cosa che non è né attaccata (in quel caso si usa “ode”) né lontana nello spazio e nel tempo (ekeinos), bensì in una vicinanza che è quella di essere nel campo visivo del parlante. In questo caso outos è poi determinato dall'articolo che segue, costruzione tipica per indirizzarsi a persone che hai intorno, ad esempio nelle orazioni giudiziarie ateniesi trovi spesso che l’accusa indichi gli imputati che sono presenti in aula dicendo frasi del tipo “questi(outoi) criminali…”
Tipico di questo pronome usato per rivolgersi a persone vicine è anche il caso di "outos" da solo per dire "ehi tu!".
Anche perché non si capisce come mai a metà frase smetta di parlare a Pietro per tre parole ma poi magicamente il discorso continui rivolgendosi a lui, infatti subito dopo si dice "
a te darò le chiavi del regno..." Rileggete e ditemi voi se sarebbe coerente:
"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.
A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». "
E’ un’ipotesi superflua ritenere che magicamente
per tre sole parole, e per giunta a metà di una frase senza dare indicazione alcuna, smetta di parlare con qualcuno e guarda caso subito dopo riprende a parlare con lui. Anche perché questa frase è stata pronunciata in aramaico, ne viene fuori: “tu sei kefa e su questa kefa edificherò la mia chiesa. A te darò le chiavi…”. Più chiaro di così si muore. Quindi secondo la tua assurda ipotesi avremmo un “tu sei kefa”(e parla a Pietro) e su questa kefa(e parla di invece sé)… a te darò (e parla di nuovo di Pietro). Assurdo!
“posizione, la quale è unica e in trasmettibile ed essa dipende dal fatto che sono testimoni oculari.
Bisogna dunque che tra gli uomini che sono stati in nostra compagnia per tutto il tempo in cui il Signor Gesù è andato e venuto tra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui egli fu portato in cielo da mezzo a noi, uno di questi diventi testimone con noi della sua risurrezione». (Atti 1:21-22)”
Questo ragionamento è quanto di più anti-apostolico ci sia. Sia perché la successione apostolica e la trasmissione del magistero è un’autentica fissazione nella Chiesa primitiva, sia perché sono stati gli apostoli stessi, non certo malati di cripto-anarchia come i protestanti, a stabilire nelle comunità che fondavano gli episkopoi che loro volevano. Da un punto di vista meramente organizzativo o i dodici erano dei meri sprovveduti e volevano che alla loro morte la Chiesa piombasse nel caos con nessuna voce in grado di dire che cosa fosse giusto, oppure avevano lasciato il potere in mano a della gente in grado di dirigere il gregge al posto loro. In questa chiave di retta trasmissione del deposito di fede ad esempio Clemente d’Alessandria ci dice che Giovanni si trasferiva di città in città per fondare comunità e “stabilirvi dei vescovi” (Quis dives salvetur, 42) Paolo stesso ci parla della trasmissione della Traditio accanto allo scritto: “le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri.” (2 Tm 2,1)
Gli apostoli nominavano tali ministri a governare le chiese che fondavano, cito un dizionario biblico per chiarire la questione: “Probabilmente il supremo governo di ogni comunità continuava a rimanere nelle mani dell’apostolo che l’aveva fondata, sotto la direzione del quale i vescovi locali dovevano amministrare gli affari. Dato che sia prima della fine del I secolo si trovano chiese sotto un unico vescovo (ad es. Ignazio) si può presumere che uno dei membri del collegio fosse eletto a succedere all’apostolo, dopo la morte di lui, come capo monarchico della Chiesa” (John L. Mckenzie, Dizionario Biblico, Assisi, 1981, Cittadella Editrice, pag. 1032)
Dunque un problema gestionale. Come osserva giustamente Girolamo la Chiesa è fondata su Pietro, "affinché, istituito un capo, fosse eliminata l'occasione dello scisma" (Adv. Jovinianum 1,26).a trasmissibilità del magistero e dell’incarico apostolico è il fulcro dell’organizzazione della Chiesa primitiva. Clemente Romano che fu collaboratore di San Paolo(Ef 4,3), già nel 96 ci raccontava la storia della Chiesa in modo assai diverso da come se la sognano i luterani, conferma cioè, lui che la storia della Chiesa evidentemente la conosceva meglio di chiunque altro, che i vescovi sono una creazione degli apostoli:
“Gli apostoli predicarono il Vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. Cristo fu inviato da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente secondo la volontà di Dio. Ricevuto il mandato e pieni di certezza nella risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella parola di Dio con l'assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare che il regno di Dio stava per venire. Predicavano per le campagne e le città e
costituivano le primizie del loro lavoro apostolico, provandole nello spirito,
nei vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli. E questo non era nuovo; da molto tempo si era scritto intorno ai vescovi e ai diaconi. Così, infatti, dice la Scrittura: "Stabilirono i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi nella fede" (Ai Corinzi, 42,2-4)
Ricorso inoltre ai seguaci del Sola Scriptura, agli adoratori della lettera, che il NT ci dà solo uno spicchio dell’ecclesiologia del I secolo, e che per giunta parla di un periodo in cui gli apostoli erano ancora vivi e vegeti dunque nulla di che stupirsi se la struttura dell’episcopato non sia presente o sia solo accennata, i vescovi infatti sono i
successori degli apostoli e dunque tale struttura ha senso solo se l’apostolo che ha fondato quella comunità sia morto abbia “lasciato le consegne” a qualcun altro.
L’idea di una trasmissione del magistero petrino è ben attestata nella Chiesa primitiva. Cipriano, pur nemico giurato del papa, non può che chiamare la sua episcopale romana "Cattedra, dignità, posto, carica di Pietro" (ad esempio Ep. LV,8 ). E Ireneo che dice che proprio in virtù della predicazione di Pietro a Roma con essa deve concordare ogni Chiesa? E’ per questo che secondo gli scritti di Ignazio di Antiochia (morto nel 107) la sede di Roma ha una preminenza sulle altre (presiede all’agape), e che nel 97 il vescovo Clemente di Roma scrive alla Chiesa di Corinto per porre fine alle sue beghe interne, sebbene non fosse sua giurisdizione. Perché? Perché sapeva di avere su di sé un’autorità derivante dal fatto di essere successore di Pietro. La patristica considera Pietro il principe del collegio apostolico, ad esempio da San Gregorio Nazianzeno che lo definisce "primo, grande, vertice dei discepoli, sostegno della Chiesa".
Lo chiamano "primo degli apostoli" Cipriano, Ambrogio, Didimo il Cieco, Leone Magno.
"Principe degli apostoli" Cipriano, Pietro di Alesaandria, Ilario di Poitiers, Gerolamo, Cirillo di Alessandria, Giovanni Cassiano, Pietro Crisologo. "Capo degli apostoli" Ottato di Milevi, Gerolamo, Agostino, Gregorio di Nissa, Asterio, Bonifacio I, Leone Magno. E solo per fermarsi al V secolo.
“Inoltre l’autorità di sciogliere e legare da molti viene conferita solo a Pietro ma se leggiamo Matteo 18:18 ci rendiamo conto che di tale autorità è rivestita tutta la chiesa di Cristo.
In verità vi dico che tutte le cose che voi avrete legate sulla terra saranno legate nel cielo; e tutte le cose che avrete sciolte sulla terra saranno sciolte nel cielo.”
Veramente sta parlando agli apostoli, infatti nella chiesa cattolica sono i successori degli apostoli a sciogliere e legare, e a dare mandato ai presbiteri di farlo.
“Nella disputa successiva a chi era il maggiore Gesù non dichiarò che Pietro lo fosse”
Leggiti meglio quel brano. Qui la domanda dei discepoli “chi è il più grande?” è posta male. Il papa non è il più grande in senso ontologico, nel senso che ha una natura superiore. La teologia del ministero petrino recupera in pieno quest’aspetto. Gesù non nega che ci sia qualcuno che comanda, ma risponde: “CHI COMANDA sia come colui che serve”/”IL PIU’ GRANDE, si faccia il più piccolo”. Ministero infatti significa servizio, e il ministero petrino è l’essere al servizio della comunità quali garanti dell’ortodossia. Il papa infatti definisce se stesso “servo dei servi di Dio”. Gesù non dice: “nessuno comandi”, ma “chi comanda sia come colui che serve”, perché potere significa servizio. Scongiurata sia l’anarchia sia il dispotismo.
“più avanti Paolo dichiara di essersi opposto vivamente a Pietro "perchè egli era da riprendere" Pure qua sfalda la duperiorità di Pietro (Galati 2:11-14)”
Ripeto che voi non conosci la teologia del primato (e prima di criticare qualcosa è il caso di conoscerla). I papi si possono anche scomunicare, non solo contestare )ci sono stati papi dichiarati eretici, ad esempio Onorio). Se un papa sbaglia glielo si deve far notare, essere capi nella gestione non vuol dire essere infallibili 24 ore su 24. Infatti non a caso il papa stesso nel dogma dell’infallibilità ha specificato due cose: 1) che non è infallibile il suo magistero ordinario ma solo quello straordinario, vale a dire che non è infallibile qualunque cosa dica (tanto varrebbe chiedergli i numeri del lotto), e neppure qualunque documenti promulghi (le encicliche ad esempio non sono infallibili), come ripeto è infattibile il magistero straordinario, il quale è stato usato solo 2 volte nella storia. E questa mia osservazione vale anche per tutti gli altri episodi che citi. Se credi che i cattolici abbiano una teologia del “papa incriticabile” sei del tutto fuori strada. Ma volendo entrare nello specifico ecco le note di Tornese sull’episodio di Antiochia:
Va detto anzitutto che san Paolo ha sempre considerato san Pietro come una figura di primo piano nella vita della Chiesa.
- Lo chiama abitualmente col nome di Cefa, vale a dire col nome di una funzione primaria e fondamentale affidata a Pietro da Cristo stesso, come già abbiamo spiegato.
- Paolo si premura di visitare Cefa a Gerusalemme per confrontare la propria dottrina con quel- la del Primo tra gli Apostoli. Nota espressamente che non vide altri Apostoli, eccetto una visita a Giacomo, fratello del Signore, che guidava la comunità locale di Gerusalemme (cf. Galati 1, 18-19).
- In seguito per Paolo. ciò che Pietro fa o dice è normativo e determinante (cf. 1 Corinzi 9, 5). Alla assemblea di Gerusalemme Paolo ascolta Pietro che parla per primo e solo dopo riferisce le sue esperienze missionarie (cf. Atti 15, 6-12).
- Ai cristiani di Corinto Paolo ricorda in particolare l'apparizione del Risorto a Cefa come una prova sicura della fede da lui predicata (cf. 1 Corinzi 1 5, 5).
2. - Veniamo ora all'episodio di Antiochia. Onestà esige che sia visto nella sua giusta luce e riferito con la massima fedeltà alla Parola di Dio. Ed ecco come sono andate le cose:
- Pietro si trovava ad Antiochia dove c'erano state le prime conversioni dei pagani al Vangelo (cf. Atti 11, 19-24). Egli aveva sempre patrocinato la causa dei pagani (cf. Atti cc. 10, 11, e 15). Ad Antiochia Pietro usava prendere i pasti coi cristiani venuti dal paganesimo, non curante delle antiche usanze giudaiche.
- Nel frattempo arrivarono ad Antiochia alcuni cristiani d'origine giudaica, osservanti ancora di alcune usanze legali. Pietro allora si astenne dalla comunanza di mensa con gli ex pagani. Il suo comportamento indusse anche altri a fare lo stesso.
- Perché lo fece? Certamente non perché egli pensasse che la Legge mosaica fosse ancora necessaria alla salvezza. Paolo glielo riconosce (cf. Ga- lati 2, 14-16). Per Pietro come per Paolo le usanze legali non avevano valore. Solo la fede in Cristo salva. in quanto a dottrina Pietro non sbagliava. Non è perciò affatto vero che egli “aveva seguito una condotta non in armonia con la vera fede cristiana”.
- Perché lo fece? Per motivi di coscienza, “di coscienza non sua, ma degli altri” (cf. 1 Corinzi 10, 29). Pietro temeva di turbare la coscienza dei nuovi arrivati giudeo-cristiani non ancora maturi nella fede e soggetti perciò a crisi di coscienza.
- Paolo non vide un errore, nel comportamento di Pietro, ma solo il pericolo che altri potessero cadere in errore. Pietro infatti non aveva apostatato dalla fede, ma solo simulava, agiva cioè in modo diverso da ciò che pensava per rispetto della coscienza altrui. Era in buona fede, ma il suo comportamento, a parere di Paolo, era sbagliato, non il suo pensiero e la sua dottrina.
- L'intervento di Paolo non mirava dunque a correggere un errore dottrinale di Pietro, ma solo a farlo riflettere sulle conseguenze pericolose per gli altri della sua troppa prudenza.
Qui non c'entra l'infallibilità. Pietro non si pronunzia e non decide su un punto dottrinale in forma definitiva e con tutto il peso della sua autorità.
- Ridotto alle sue giuste proporzioni l'episodio di Antiochia prova proprio l'opposto di ciò che dicono i tdG e tutti gli avversari del Primato di Pietro.
Infatti:
- San Paolo vede in Cefa non una comune pietra della Chiesa di Dio e neppure un Apostolo come gli altri, ma Qualcuno, il cui comportamento è determinante per la vita della Chiesa.
- La funzione di guida suprema non esclude che altri aiutino Pietro con una critica costruttiva a compiere bene la sua missione, a conoscere cioè sempre meglio quale sia la mente e la volontà del Signore per la edificazione della Chiesa.
Fino ad ora c’è stata una difesa dei presunti versetti contro il primato petrino, vuoi sapere ora quali sono i versetti del Nuovo Testamento da cui si ricava che tale primato esisteva?