Auspici del Santo Padre Benedetto XVI per l'Unità dei Cristiani

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PFrancesco
00venerdì 29 giugno 2007 12:17
Dal sito dell'ansa:


PAPA AGLI ORTODOSSI: CRISTO CI VUOLE PIENAMENTE UNITI CITTA' DEL VATICANO - "Ogni anno la visita che reciprocamente ci rendiamo è segno che la ricerca della piena comunione è sempre presente nella volontà del Patriarca ecumenico e del Vescovo di Roma". Con un nuovo appello alla piena unità dei cristiani come "impegno ad accogliere questo desiderio di Cristo", durante la messa nella basilica vaticana per la solennità dei santi Pietro e Paolo Benedetto XVI ha ricordato così la presenza della delegazione inviata dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, "che accolgo - ha detto - con cordiale riconoscenza ripensando allo scorso 30 novembre, quando mi trovavo a Istanbul-Costantinopoli per la festa di Sant'Andrea". Il Papa ha salutato nell'omelia e dato il benvenuto al Metropolita greco ortodosso di Francia, Emmanuel, al Metropolita di Sassima, Gennadios, e al Diacono Andreas. "Nella professione di fede di Pietro - ha affermato chiudendo la sua omelia - possiamo sentirci ed essere tutti una cosa sola, malgrado le divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato l'unità della Chiesa con conseguenze che perdurano tuttora. Nel nome dei Santi Pietro e Paolo, rinnoviamo oggi, insieme con i nostri Fratelli venuti da Costantinopoli - che ancora ringrazio per la presenza a questa nostra celebrazione -, l'impegno ad accogliere fino in fondo il desiderio di Cristo, che ci vuole pienamente uniti".

GESU' NON E' SOLO UN PROFETA, ACCETTARE SUA UNICITA'
Gesù non è solo un profeta o uno dei "grandi sapienti della storia", come a volte viene ritenuto anche da importanti studiosi: occorre sempre "riconoscerlo nella sua unicità", avvicinarsi alla sua natura di Dio in terra. Benedetto XVI è tornato su temi fondamentali del cristianesimo nell'omelia della messa nella basilica vaticana per la solennità dei santi Pietro e Paolo, durante la quale oggi impone a 46 vescovi metropoliti i pallii, simbolo della giurisdizione loro delegata dalla Santa Sede. Altri cinque presuli riceveranno il pallio nelle loro sedi metropolitane. Parlando della professione di fede di San Pietro, il Papa ha ricordato che all'epoca la gente pensava che Gesù fosse un profeta. "Questo non è falso - ha detto -, ma non basta; è inadeguato. Si tratta, in effetti, di andare in profondità, di riconoscere la singolarità della persona di Gesù di Nazaret, la sua novità". "Anche oggi è così - ha aggiunto -: molti accostano Gesù, per così dire, dall'esterno. Grandi studiosi ne riconoscono la statura spirituale e morale e l'influsso sulla storia dell'umanità, paragonandolo a Buddha, Confucio, Socrate e ad altri sapienti e grandi personaggi della storia. Non giungono però a riconoscerlo nella sua unicità". "Spesso - ha proseguito - Gesù è considerato anche come uno dei grandi fondatori di religioni, da cui ognuno può prendere qualcosa per formarsi una propria convinzione. Come allora, dunque, anche oggi la 'gente' ha opinioni diverse su Gesù". Secondo papa Ratzinger, riconoscere la natura divina di Gesù é "una 'via' stretta, un 'modo' scandaloso per i discepoli di ogni tempo, che inevitabilmente sono portati a pensare secondo gli uomini e non secondo Dio". "Anche oggi, come ai tempi di Gesù - ha rimarcato -, non basta possedere la giusta confessione di fede: è necessario sempre di nuovo imparare dal Signore il modo proprio in cui egli è il Salvatore e la via sulla quale dobbiamo seguirlo. Dobbiamo infatti riconoscere che, anche per il credente, la Croce è sempre dura da accettare. L'istinto spinge ad evitarla, e il tentatore induce a pensare che sia più saggio preoccuparsi di salvare se stessi piuttosto che perdere la propria vita per fedeltà all'amore". "Difficile da accettare - ha concluso il Papa - è il fatto che Egli pretenda di essere non solo uno dei profeti, ma il Figlio di Dio, e rivendichi per sé la stessa autorità di Dio. Ascoltandolo predicare, vedendolo guarire i malati, evangelizzare i piccoli e i poveri, riconciliare i peccatori, i discepoli giunsero poco a poco a capire che Egli era il Messia nel senso più alto del termine, vale a dire non solo un uomo inviato da Dio, ma Dio stesso fattosi uomo".



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Shalom

peraskov
00sabato 7 luglio 2007 10:32
Mi è capitato molte volte di notare come tra le varie espressioni che si riconoscono sotto il nome di “cristiane” e che, per vari motivi, più o meno consistenti, si discostano le une dalle altre, mentre a livello istituzionale e gerarchico esiste un dialogo che avanza, caratterizzato generalmente da rispetto ed attenzione ai termini, a livello di base invece sembra di assistere talvolta ad un tifo di stampo calcistico, ad un senso di appartenenza che assomiglia molto ad una appropriazione con collegata esclusione dell’altro, che trasforma regolarmente il confronto in uno scontro, senza alcuna possibilità di comprensione, a priori.

Per me, cattolico, questo risulta maggiormente evidente nel confronto con esponenti del variegato mondo protestante, ma è presente comunque a qualsiasi livello e personalmente vivo questo atteggiamento come una ferita, un’occasione persa e talvolta, quando la divisione è motivo di ulteriore incertezza e allontanamento dal Cristo da parte di quelle persone che si trovano già nel dubbio, anche come uno scandalo ed una sconfitta.

Parto da questa premessa di carattere generale per affrontare il tema proposto da PFrancesco, in particolare soffermandomi sulla questione del filioque.

PFrancesco l’ho letto spesso con piacere in interventi generalmente moderati, sobri e precisi ed appartiene ad una Chiesa che personalmente considero ricca di valori e di storia, che stimo molto e della quale anch’io mi sento in qualche modo di far parte, eppure a proposito del filioque ha parlato di “adulterazione”, un termine che sottintende una frode.

Ovviamente non pretendo di risolvere una questione che teologi molto preparati hanno analizzato per secoli, vorrei soltanto fare alcune osservazioni di carattere generale:

a) La prima considerazione è che si tratta di una questione di carattere esclusivamente dottrinale, sulla quale quindi prendere una posizione o l’altra non comporta alcun interesse o vantaggio particolare; se ad esempio si fosse trattato di una particolare interpretazione che avesse riguardato il primato petrino, oltre alla dottrina sarebbero stati coinvolti altri aspetti che avrebbero potuto a ragione far nascere dei sospetti; ma così non è.
b) Mi sembra che la questione del filioque abbia assunto una rilevanza maggiore per il fatto che a sostenere le due posizioni fossero due Chiese separate; analoghe questioni teologiche, a volte anche di consistenza maggiore, in realtà vengono normalmente affrontate all’interno della stessa Chiesa;
c) Sulla questione sono stati fatti importanti passi che la rendono, attualmente, sicuramente meno “critica”; una parte del mondo ortodosso ha accolto con favore la “Chiarificazione del Consiglio Pontificale per la promozione dell’unità dei Cristiani”, mentre un’altra parte mantiene tuttora delle riserve.

Ho letto scritti sull’argomento provenienti da tutte le posizioni (per gli ortodossi che non hanno accettato la “Chiarificazione” ho letto in particolare un approfondito studio di Claude Larchet) e l’impressione che ne ho ricavato è che le Chiese d’Occidente e d’Oriente abbiano affrontato la questione da punti di vista piuttosto diversi, entrambi legittimi e coerenti con il Concilio di Costantinopoli del 381, ma difficili da comprendere per chi non fa lo sforzo di rivisitare il percorso dell’altro.


Polymetis
00sabato 7 luglio 2007 12:20
"(per gli ortodossi che non hanno accettato la “Chiarificazione” ho letto in particolare un approfondito studio di Claude Larchet"

Terribile, fa del filioque la causa dello scisma contro gli ultimi 100 anni di storiografia che invece ne sottolineano le motivazioni politiche. Oramai dovrebbe essere chiaro che più che alla questione dottrinale lo scisma si deve alla cecità con cui fu gestita la questione dalle due parti, ossia all’assoluta ottusità di Michele Cerulario e Umberto da Silvacandida.

[Modificato da Polymetis 07/07/2007 12.22]

PFrancesco
00sabato 7 luglio 2007 12:54
Re:

Scritto da: peraskov 07/07/2007 10.32
Mi è capitato molte volte di notare come tra le varie espressioni che si riconoscono sotto il nome di “cristiane” e che, per vari motivi, più o meno consistenti, si discostano le une dalle altre, mentre a livello istituzionale e gerarchico esiste un dialogo che avanza, caratterizzato generalmente da rispetto ed attenzione ai termini, a livello di base invece sembra di assistere talvolta ad un tifo di stampo calcistico, ad un senso di appartenenza che assomiglia molto ad una appropriazione con collegata esclusione dell’altro, che trasforma regolarmente il confronto in uno scontro, senza alcuna possibilità di comprensione, a priori.

Per me, cattolico, questo risulta maggiormente evidente nel confronto con esponenti del variegato mondo protestante, ma è presente comunque a qualsiasi livello e personalmente vivo questo atteggiamento come una ferita, un’occasione persa e talvolta, quando la divisione è motivo di ulteriore incertezza e allontanamento dal Cristo da parte di quelle persone che si trovano già nel dubbio, anche come uno scandalo ed una sconfitta.

Parto da questa premessa di carattere generale per affrontare il tema proposto da PFrancesco, in particolare soffermandomi sulla questione del filioque.

PFrancesco l’ho letto spesso con piacere in interventi generalmente moderati, sobri e precisi ed appartiene ad una Chiesa che personalmente considero ricca di valori e di storia, che stimo molto e della quale anch’io mi sento in qualche modo di far parte, eppure a proposito del filioque ha parlato di “adulterazione”, un termine che sottintende una frode.

Ovviamente non pretendo di risolvere una questione che teologi molto preparati hanno analizzato per secoli, vorrei soltanto fare alcune osservazioni di carattere generale:

a) La prima considerazione è che si tratta di una questione di carattere esclusivamente dottrinale, sulla quale quindi prendere una posizione o l’altra non comporta alcun interesse o vantaggio particolare; se ad esempio si fosse trattato di una particolare interpretazione che avesse riguardato il primato petrino, oltre alla dottrina sarebbero stati coinvolti altri aspetti che avrebbero potuto a ragione far nascere dei sospetti; ma così non è.
b) Mi sembra che la questione del filioque abbia assunto una rilevanza maggiore per il fatto che a sostenere le due posizioni fossero due Chiese separate; analoghe questioni teologiche, a volte anche di consistenza maggiore, in realtà vengono normalmente affrontate all’interno della stessa Chiesa;
c) Sulla questione sono stati fatti importanti passi che la rendono, attualmente, sicuramente meno “critica”; una parte del mondo ortodosso ha accolto con favore la “Chiarificazione del Consiglio Pontificale per la promozione dell’unità dei Cristiani”, mentre un’altra parte mantiene tuttora delle riserve.

Ho letto scritti sull’argomento provenienti da tutte le posizioni (per gli ortodossi che non hanno accettato la “Chiarificazione” ho letto in particolare un approfondito studio di Claude Larchet) e l’impressione che ne ho ricavato è che le Chiese d’Occidente e d’Oriente abbiano affrontato la questione da punti di vista piuttosto diversi, entrambi legittimi e coerenti con il Concilio di Costantinopoli del 381, ma difficili da comprendere per chi non fa lo sforzo di rivisitare il percorso dell’altro.






Ovviamente sul Filioque non sono affatto d'accordo. Ricordo che proprio il Patriarca Ecumenico Bartolomeo, in occasione della sua lettera al compianto Papa Giovanni Paolo II, in rapporto all'annosa questione del proselitismo romano-cattolico nel territorio CANONICO della Chiesa Ortodossa Russa, piuttosto recentemente, prendendo le parti del Patriarca Alessio, ma cercando di svolgere nel contempo una certa azione mediatrice, ha ricordato, seppur incidentalmente, come sostanzialmente validi gli argomenti di San Fozio e del Concilio da lui promosso riguardo alle pretese dei latini. Quindi, anche molti fra quelli fra i Cattolici Ortodossi che prendono atto della "chiarificazione" dei romano-cattolici, non per questo vi aderiscono e ritengono davvero legittima, buona, giusta, adottabile l'aggiunta. La questione del resto è DA SEMPRE vissuta in modo asimmetrico fra gli "occidentali" (che l'hanno, via via, sempre più ritenuta secondaria) e gli Ortodossi, che invece l'hanno sempre considerata di notevole rilevanza (non certamente meno della stessa interpretazione latina del primato del Patriarca dell'Antica Roma).
Per la Chiesa Cattolica Ortodossa il Padre è l'unica Origine della Santa Triade, in quanto non è generato e non è proceduto. Mentre il Figlio è Generato dal Padre e il Santo Spirito procede dal Padre ed è inviato per mezzo del Figlio. Per gli Ortodossi la domanda "ma allora che differenza c'è fra la generazione e la processione e come mai il Figlio è detto Unigenito e lo Spirito Santo non è fratello del Figlio?" non si può ne deve porre. Noi sappiamo semplicemente e umilmente per Rivelazione che il Figlio è generato e non è creato, che il Santo Spirito procede e non è generato, che il Padre è origine del Figlio e dello Spirito Santo che a lui sono coessenziali e coeterni.
Noi sappiamo al contempo che il Filioque ha avuto una sua storia, e che nella sua lunga gestazione e preistoria fu, a volte, ANCHE proposto in buona fede per difendere la divinità del Figlio contro gli eretici, più spesso però per una malintesa concezione razionalisticheggiante (ante litteram) della Fede (come ad esempio nella debole teologia del Beato Agostino sul Santo Spirito, responsabile questo Padre anche di quella visione pessimistica del peccato di Adamo che ha generato altri motivi di divisione fra i latini e la Chiesa Ortodossa). Sappiamo come il Filioque fu infine agitato come arma dai franco-latini contro "i greci" e i "biazantini" per ragioni più politiche che religiose.
Del resto se per i romano cattolici dei nostri giorni la questione è davvero così poco importante (diversamente che per TUTTI gli ortodossi, al di là dell'atteggiamento più comprensivo di alcuni rispetto ad altri), visto che già i greco-cattolici recitano il Simbolo senza l'aggiunta, dimostrino la loro buona volontà......ritornando quanto meno a recitare, con tutta la Chiesa di Cristo, il Credo nel testo inviolabile sancito dal Santo Concilio di Costantinopoli. Quel testo che un grande Papa di Roma, un vero Leone della Fede, fece scolpire a imperitura memoria, nonostante le ingerenze politiche dei Franchi che ben altro pretendevano. Se quel giorno verrà, un grande passo avanti sarà compiuto e anche la discussione sul Primato della sede Patriarcale di Roma, secondo la Tradizione della Chiesa del Primo Millennio, avrà avuto un notevole impulso verso una ragionevole risoluzione che salvaguardi la retta dottrina e sani finalmente le ferite nel Corpo della Comunità dei Cristiani, riaccogliendoli quindi tutti, senza riserve e distinzioni, nel seno della Chiesa.

Shalom

[Modificato da PFrancesco 07/07/2007 12.58]

[Modificato da PFrancesco 07/07/2007 13.02]

Polymetis
00sabato 7 luglio 2007 13:26
Posso accettare le interpretazioni teologica che vuoi, ma qualche precisazione storica:

“il Credo nel testo inviolabile sancito dal Santo Concilio di Costantinopoli”

Nessun Concilio dice che il testo è inviolabile, ne abbiamo già parlato.

“Quel testo che un grande Papa di Roma, un vero Leone della Fede, fece scolpire a imperitura memoria, nonostante le ingerenze politiche dei Franchi che ben altro pretendevano”

Leone III era contro l’inserimento nel Credo per motivi di opportunità, non contro l’ortodossia della formula, scrive a tutte le Chiese Orientali nell'808: "Credimus... S. Sanctum a Patre et a Filio aequaliter procedentem". E un altro Leone, Leone Magno, idem (Lettera Quam laudabiliter: DS 284.)
Non confondiamo due cose nella mente della teologia latina: 1)La legittimità della teologia del filioque 2)La legittimità dell’inserzione nel credo, questa sì osteggiata.
PFrancesco
00sabato 7 luglio 2007 13:30
Re:

Scritto da: Polymetis 07/07/2007 13.26
Posso accettare le interpretazioni teologica che vuoi, ma qualche precisazione storica:

“il Credo nel testo inviolabile sancito dal Santo Concilio di Costantinopoli”

Nessun Concilio dice che il testo è inviolabile, ne abbiamo già parlato.

“Quel testo che un grande Papa di Roma, un vero Leone della Fede, fece scolpire a imperitura memoria, nonostante le ingerenze politiche dei Franchi che ben altro pretendevano”

Leone III era contro l’inserimento nel Credo per motivi di opportunità, non contro l’ortodossia della formula, scrive a tutte le Chiese Orientali nell'808: "Credimus... S. Sanctum a Patre et a Filio aequaliter procedentem". E un altro Leone, Leone Magno, idem (Lettera Quam laudabiliter: DS 284.)
Non confondiamo due cose nella mente della teologia latina: 1)La legittimità della teologia del filioque 2)La legittimità dell’inserzione nel credo, questa sì osteggiata.




Bene.... si inizi a togliere l'aggiunta dal Simbolo, poi si potrà discutere meglio di tutto il resto.

Shalom
Polymetis
00sabato 7 luglio 2007 13:38
Non vedo perché visto che non la riteniamo eterodossa e come già ricordato non sta scritto da nessuna parte che il simbolo non si possa cambiare. Così come Costantinopoli amplia Nicea, e Nicea amplia il Simbolo apostolico, non c'è nessun motivo logico per dire che un'aggiunta sia in sé e per sé erronea solo per il fatto di essere un'aggiunta. E' erronea solo se eterodossa, e non per il semplice fatto che sia un'aggiunta. Discutiamo sull'ortodossia della formula piuttosto, se ne ricaveremo che è eterodossa la toglieremo volentieri.
peraskov
00sabato 7 luglio 2007 14:59

Del resto se per i romano cattolici dei nostri giorni la questione è davvero così poco importante (diversamente che per TUTTI gli ortodossi, al di là dell'atteggiamento più comprensivo di alcuni rispetto ad altri)


Non ho detto che la questione del filioque non sia importante, né ritengo che ci sia qualcuno che la consideri poco importante nell’ambito cattolico, ho semplicemente affermato che non può essere utilizzata, a mio avviso, per giustificare, seppure in coabitazione con altre cause, la separazione.
Riguardo al Concilio del 381 a Costantinopoli, la Chiesa cattolica attesta ufficialmente:
“La chiesa cattolica riconosce il valore conciliare ed ecumenico, normativo ed irrevocabile, quale espressione dell’unica fede comune della chiesa e di tutti i cristiani del simbolo professato in greco dal II Concilio Ecumenico a Costantinopoli nel 381”.
Evidentemente perciò non ritiene che l’aggiunta del filioque contravviene in qualche modo all’espressione di fede ivi pronunciata, ma a questo proposito devo dire che anche qualche grande esponente dell’ortodossia storica aveva ben intuito il senso profondo del filioque.
Ad esempio San Massimo il Confessore la questione della differenza tra la generazione e la processione se l’era posta e nella “Lettera a Marino di Cipro” ( PG 91, 136A) mette a confronto i due modi di intendere l’origine eterna dello Spirito per cui il Padre è il solo principio senza principio (in greco aitia) del Figlio e dello Spirito; il Padre e il Figlio sono fonte consustanziale della processione (tò proiénai) di quello stesso Spirito. Scrive infatti:
“Sulla processione essi [i romani] si sono appellati alle testimonianze dei padri latini, oltre naturalmente a quella di san Cirillo di Alessandria nel sacro studio che egli fece sul vangelo di san Giovanni. Partendo da tali testimonianze, hanno mostrato che essi stessi non fanno del Figlio la causa (Aitia) dello Spirito _ sanno infatti che il Padre è la causa unica del Figlio e dello Spirito, dell'uno per generazione e dell'altro per ekporeusis -, ma essi hanno spiegato che quest'ultimo proviene (proiénai) attraverso il Figlio e hanno così mostrato l'unità e immutabilità dell'essenza".

Questo è esattamente il senso del filioque, detto da un grande ortodosso.

Riguardo alle relazioni esistenti tra le Persone divine, anche la Chiesa Cattolica sostiene che il Padre è il solo Principio senza principio, ma distingue le relazioni d’origine dalle relazioni di sostanza e mentre con il termine greco “ekporeusis” si identificano le relazioni d’origine che riportano soltanto al Padre, in quanto Principio senza principio, con il termine latino “processio” si identificano le relazioni di natura, per cui il Padre comunica la divinità consostanziale al Figlio ab-aeternum e perciò insieme al Figlio e per mezzo del Figlio allo Spirito Santo.
Questo secondo aspetto è il “Procedere”, che non può quindi essere tradotto con ekporeusis, ma con proiénai, e che nulla toglie all’unica Monarchia del Padre, secondo un termine caro alla Chiesa ortodossa.
Queste riflessioni si trovano in un articolo dell’Osservatore Romano del 13/09/1995

Terribile, fa del filioque la causa dello scisma contro gli ultimi 100 anni di storiografia che invece ne sottolineano le motivazioni politiche


Già, ma grazie al cielo leggere non significa accettare supinamente. L’ho citato perché, oltre ad averlo letto, mi sembra abbastanza vicino all’approccio di PFrancesco, ma forse sbaglio...
Trianello
00domenica 8 luglio 2007 00:22
Caro PFrancesco,

con Polymetis, mi domando dove stia scritto che la Formula del Credo di Nicea sia inviolabile, che non possa cioè essere modificata e migliorata.
Del resto, in Occidente si è sempre pensato che le due formulazioni siano equivalenti e che l’una possa essere preferita all’altra a seconda se si voglia mettere in risalto il fatto che il Padre è il principio trinitario oppure quello della consustanzialità del Figlio rispetto al Padre.
E’ necessario che lo Spirito Santo preceda sia dal Padre che dal Figlio: se ciò non fosse, infatti, se lo Spirito Santo non procedesse anche dal Figlio, non si opporrebbe ad esso, e quindi non sarebbe da questo distinto. Invece di dire però che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio si può anche dire, come preferite voi ortodossi, che lo Spirito Santo procede dal Padre attraverso il Figlio. Infatti l’amore segue alla conoscenza e procede attraverso la conoscenza.
I motivi storici che hanno indotto gli Occidentali ad adottare il filioque e gli Orientali a rifiutarlo sono poi noti a chiunque conosca un poco la storia del Cristianesimo antico, così come è noto a tutti costoro che non sono stati solo i franchi ad usare il flioque come “copertura” di quegli interessi politici che hanno condotto alla separazione, ancora in atto, tra la Chiesa Orientale e quella Occidentale.
Polymetis
00domenica 8 luglio 2007 00:40

"mi domando dove stia scritto che la Formula del Credo di Nicea sia inviolabile"



Bhe, io so dove molti ortodossi credono di leggere una cosa simile. Ci si appella ad un canone preciso, ma né il Simbolo efesino né quello calcedoniense possono essere chiamati in causa. Oltre al fatto che essi non dichiarano inviolabile il simbolo niceno-costantinopolitano ma il niceno, vietano soltanto il mutare della sostanza dogmatica e non l’espressione letteraria del simbolo. Si legge infatti che è eretico chi professerà “una fede diversa” non “una [formula di] fede diversa”, anche se alcune traduzioni aggiungono ciò che io ho messo tra parentesi. il testo di Efeso dice: “Il santo Sinodo stabilisce che nessuno può proporre, redigere o formulare UNA FEDE DIVERSA da quella definita a Nicea dai santi Padri”. Se l’espressione “una fede diversa” fosse intesa nel senso di “un simbolo diverso”, allora le aggiunte fatte a Costantinopoli nel 381 sarebbero state dichiarate dal Concilio di Efeso eterodosse in quanto aggiunte rispetto a Nicea, il che è palesemente assurdo. Ciò prova che la proibizione di una fede diversa non riguarda il testo in sé, che mai può esprimere la trascendenza di Dio, bensì la sostanza dogmatica.
Trianello
00domenica 8 luglio 2007 00:57

Ciò prova che la proibizione di una fede diversa non riguarda il testo in sé, che mai può esprimere la trascendenza di Dio, bensì la sostanza dogmatica.



E appunto, scrivevo sopra, gli Occidentali hanno da sempre considerato entrambe le formulazioni coerenti rispetto al dogma definito. La questione è, come sottolineavi tu sopra, che gli Orientali ci dovrebbero dimostrare in che cosa il filioque, così come è stato inteso in Occidente (a questo proposito si veda Summa theologica , Ia q. 36 a.3), contraddica il dogma definito. Altrimenti non si vede il motivo per cui lo si dovrebbe accantonare, visto che non c’è nulla di eretico in esso.
PFrancesco
00domenica 8 luglio 2007 09:25
I latini come al solito si rifugiano in interpretazioni para-giuridiche e sorvolano sull'essenza.
Nel Simbolo il significato della processione dello Spirito Santo è quello della individualità ipostatica della Terza Persona della Santa Triade. Nell'interpretazione della chiarificazione romano-cattolica il termine processione ha altro significato, e si riferisce alla comunità di essenza.Ossia per l'interpretazione data dalla chiarificazione (e già in antichità da chi distingueva la possibilità di una, sia pur ambigua, dico io, formulazione ortodossa del filioque e la sua non ammissibilità come aggiunta nel Credo)il FILIOQUE implica che con il termine processione si intenda che il Santo Spirito che ha la sua Fonte nel Padre, condivida con il Figlio la medesima Sorgente di Vita.
In tal senso, in una formulazione ambigua (perchè si presta a interpretazioni eretiche, anche se chi la pronuncia a volta non ne ha o non lo sa) è insanabilmente confliggente con quella del Simbolo, dove i Padri hanno voluto invece precisare l'Origine Ipostatica del Santo Spirito dal solo Padre. Nel conteto del Credo del 381 e con quel significato del termine processione (che dal contesto si deduce, come dalle più o mend coeve formulazioni dei padri cappadoci, l'aggiunta o è chiaramente eterodossa o equivoca. Per questo l'aggiunta nel simbolo, al di là delle intenzioni, o della personale convenzione di molti latini che esistesse una lettura ortodossa del filioque, non fu solo gravemente inopportuna, ma fonte di ambiguità e quindi possibile fonte di una svalutazione quasi diteistica del Santo Spirito. Ma sulla questione si potrebbe dibattere in eterno senza pervenire ad alcun risultato, se i romano-cattolici (molto più, per fortuna, del loro attuale Papa) persistono con il loro modo di intendere il dialogo con l'Ortodossia, ripetendo gli antichi errori che già portarono nei secoli ad un loro sostanziale fallimento.


Shalom
PFrancesco
00domenica 8 luglio 2007 09:35
Re:

Scritto da: Polymetis 08/07/2007 0.40

"mi domando dove stia scritto che la Formula del Credo di Nicea sia inviolabile"



Bhe, io so dove molti ortodossi credono di leggere una cosa simile. Ci si appella ad un canone preciso, ma né il Simbolo efesino né quello calcedoniense possono essere chiamati in causa. Oltre al fatto che essi non dichiarano inviolabile il simbolo niceno-costantinopolitano ma il niceno, vietano soltanto il mutare della sostanza dogmatica e non l’espressione letteraria del simbolo. Si legge infatti che è eretico chi professerà “una fede diversa” non “una [formula di] fede diversa”, anche se alcune traduzioni aggiungono ciò che io ho messo tra parentesi. il testo di Efeso dice: “Il santo Sinodo stabilisce che nessuno può proporre, redigere o formulare UNA FEDE DIVERSA da quella definita a Nicea dai santi Padri”. Se l’espressione “una fede diversa” fosse intesa nel senso di “un simbolo diverso”, allora le aggiunte fatte a Costantinopoli nel 381 sarebbero state dichiarate dal Concilio di Efeso eterodosse in quanto aggiunte rispetto a Nicea, il che è palesemente assurdo. Ciò prova che la proibizione di una fede diversa non riguarda il testo in sé, che mai può esprimere la trascendenza di Dio, bensì la sostanza dogmatica.




Nel contesto del Simbolo del 381 l'aggiunta annuncia inevitabilmente una Fede diversa. Irrivelante è che i latini proponendo (da ultimo con la "chiarificazione") un cambiamento sostanziale del senso del termine processione, usato in un contesto chiaro dai Padri conciliari, ne propongano una lettura che eviterebbe questa "difficoltà" aggiungendo però solo ambiguità. L'aggiunta viola quindi nella forma e nella sostanza i divieti canonici, perchè persino al di là delle intenzioni, prefigura una fede diversa, e se non ve ne è l'intenzione di questa diversa fede, in quel contesto, non si capisce perchè debba essere difesa con tanto ardore, visto che sono venute storicamente meno le pretese offensive dei franchi verso i "bizantini", all'origine del loro ritenersi eredi legittimi dell'Impero dell'Antica Roma.

Shalom
35.angelo
00domenica 8 luglio 2007 13:16
Re:

Scritto da: PFrancesco 29/06/2007 12.17
CRISTO CI VUOLE PIENAMENTE UNITI



"CRISTO CI VUOLE PIENAMENTE UNITI"
anche io sono perfettamente daccordo!!!

viva il dialogo e la ragenevolezza!!! [SM=x570907] [SM=x570907] [SM=x570907] [SM=x570907] [SM=x570919] [SM=x570919] [SM=x570919] [SM=x570923]
Polymetis
00domenica 8 luglio 2007 13:40
“è insanabilmente confliggente con quella del Simbolo, dove i Padri hanno voluto invece precisare l'Origine Ipostatica del Santo Spirito dal solo Padre.”

Qui stiamo passando dal decidere se il filioque sia eretico al giudicare se i latini abbiano inteso bene il contesto del Credo in cui si inserisce il passo sullo Spirito. Ma ciò non risponde all’obiezione, resta comunque il fatto che se i latini dicono di intendere il passo in un modo allora quando lo recitano non sono eterodossi. Se ad esempio io dicessi “Dio onnipotente”, e una traduzione per errore lo rendesse con “Dio buonissimo”, il fraintendimento della traduzione non direbbe nulla circa l’ortodossia della seconda formula, perché anche se è sbagliata è comunque vera. Allo stesso modo se anche volessi concederti, ma non te lo concedo, che con procedit nella mente dei Padri si debba intendere quello che tu hai in mente, resta il fatto che i latini recitando procedit con quello che essi capiscono della formula non dicono nulla di eterodosso. Siccome infatti anche le pietre sanno che noi latini non professiamo due principi di spirazione, ed è chiaro addirittura dai tempi di Firenze, questa contraddizione col simbolo io non la vedo. Nel testo latino "Filioque" e' legato a "procedit", di cui abbiamo già dato la nostra lettura.

Ad maiora
Trianello
00domenica 8 luglio 2007 23:09
Caro P.Francesco,

la tua disamina non prende minimamente in considerazione il senso dei termini così come questi sono intesi all’interno della Teologia cattolica. E’ questo un problema antico che, come ha notato Polymetis, fu già comunque discusso e risolto ai tempi del Concilio di Firenze. Ripeto: nulla, sia nella classica lettura scolastica (dati i presupposti metafisici soggiacenti a questa) sia nelle odierne riletture occidentali del Dogma Trinitario, può essere considerato eterodosso rispetto al Credo di Nicea (nel senso del suo contenuto sostanziale).
La formulazione latina si presta ad interpretazione eretiche nella misura in cui non si rispetta il valore semantico dei termini in essa coinvolti e lo sfondo metafisico che li sostiene (ma lo stesso vale anche per la formulazione greca, così come per qualsiasi testo in senso generale). Mi dispiace solo che qui non ci sia lo spazio per discutere in modo appropriato della genesi e dello sviluppo storico del Dogma Trinitario e della sua ricezione in Occidente, altrimenti sarebbe facile far emergere come le critiche degli Orientali al filioque non abbiano un vero fondamento metafisico, così come del resto i Padri Orientali riconobbero a Firenze e così come i teologi ortodossi contemporanei più aperti al dialogo interconfessionale non hanno problemi ad ammettere.
PFrancesco
00martedì 10 luglio 2007 18:13
Re:

Scritto da: Trianello 08/07/2007 23.09
Caro P.Francesco,

la tua disamina non prende minimamente in considerazione il senso dei termini così come questi sono intesi all’interno della Teologia cattolica. E’ questo un problema antico che, come ha notato Polymetis, fu già comunque discusso e risolto ai tempi del Concilio di Firenze. Ripeto: nulla, sia nella classica lettura scolastica (dati i presupposti metafisici soggiacenti a questa) sia nelle odierne riletture occidentali del Dogma Trinitario, può essere considerato eterodosso rispetto al Credo di Nicea (nel senso del suo contenuto sostanziale).
La formulazione latina si presta ad interpretazione eretiche nella misura in cui non si rispetta il valore semantico dei termini in essa coinvolti e lo sfondo metafisico che li sostiene (ma lo stesso vale anche per la formulazione greca, così come per qualsiasi testo in senso generale). Mi dispiace solo che qui non ci sia lo spazio per discutere in modo appropriato della genesi e dello sviluppo storico del Dogma Trinitario e della sua ricezione in Occidente, altrimenti sarebbe facile far emergere come le critiche degli Orientali al filioque non abbiano un vero fondamento metafisico, così come del resto i Padri Orientali riconobbero a Firenze e così come i teologi ortodossi contemporanei più aperti al dialogo interconfessionale non hanno problemi ad ammettere.




La formulazione franco-latina nasce da antichi errori teologici, nonostante i tentativi di renderla o farla apparire "ortodossa" (tentativi che per per certi versi sono encomiabili), che sono purtroppo, sul piano della Fede Ortodossa, ben poco efficaci. Così come i giochi di parole (e i sofismi) che renderebbero inapplicabili all'aggiunta indebita i Santi Canoni con i quali i Padri Conciliari ritennero di sancire con rigore e chiarezza una protezione dell'inalterabilità del Simbolo. Canoni appunto scientemente ignorati dai franco-latini, tanto per ignoranza teologica del pensiero dei padri greci (non conoscevano approfonditamente che Agostino, da cui attinsero le parti più caduche delle sue riflessioni trinitarie e non) e della Chiesa Cattolica Apostolica, quanto, soprattutto, per arroganza politica e "aristocratica" sicumera.
Per la Chiesa Ortodossa, a differenza che per gli eterodossi occidentali romano-cattolici e protestanti, il Credo non è una semplice espressione di una tradizione liturgica. Se i Padri conciliari scrissero e deliberarono che il Santo Spirito procede dal Padre e.... non aggiunsero che procede anche dal Figlio, non è certamente per dimenticanza, errore, imperfezione o perchè nuovi intendimenti e nuova luce (franco barbarica) dovevano ancora "illuminare" la Chiesa.
Che poi tra gli occidentali che approvarono in buona fede l'aggiunta ci fossero, in ORIGINE, preoccupazioni per difendere al divinità del Figlio, eccetera, dall'attacco ariano....eccetera, non starò a ripetermi, è storicamente acclarato.
Tuttavia anche un errore in buona fede, resta un errore. L'AGGIUNTA NEL SIMBOLO resta qualche cosa di più .....
Strano poi che chi afferma che lo scisma del 1054 ebbe movente politico non riconosca analogo movente in altri momenti della storia dei rapporti fra la Chiesa romano-cattolica e la Chiesa Cattolica Ortodossa e ritorni eternamente .........con le eterne argomentazioni .....a Firenze.
Mi domando se a questo punto si voglia davvero lavorare con serietà per l'unità o non si pensi di fagocitare qualche ramo secondario degli "orientali" (questo sarebbe l'effetto massimo raggiungibile con questo atteggiamento) trasformandolo nell'ennesima "chiesa greco-cattolica", umiliata e sottomessa al Papa Latino come una diramazione di serie B a cui, nella loro Bontà, i romano-cattolici concederanno autonomia liturgica e qualche strappo al proprio diritto canonico, alla maniera dell'antica e imperiale "pax romana" (tutte cose già viste in passato).

Per quanto riguarda la posizione romano-cattolica sulla Chiesa Cattolica Ortodossa, Una e Santa , questo sito di apologetica roamno-cattolica la dice lunga, anche sul filioque....

apologetica.altervista.org/chiese_separate_oriente.htm

Non sono solo i monaci dell'Athos, a quanto pare, a conservare un certo livore..... poco compatibile con il dialogo ecumenico.


Spero che l'attuale Romano Pontefice e Santo Padre Benedetto XVI si mostri più lungimirante di quei romano-cattolici che per confermarsi tali (a se stessi) ritengono indispensabile apparire più....papisti del Papa.

Shalom

[Modificato da PFrancesco 10/07/2007 18.20]

Polymetis
00martedì 10 luglio 2007 22:24
Per Francesco

“la formulazione franco-latina nasce da antichi errori teologici, nonostante i tentativi di renderla o farla apparire "ortodossa" (tentativi che per per certi versi sono encomiabili), che sono purtroppo, sul piano della Fede Ortodossa, ben poco efficaci.”

Questa è solo un’affermazione, non argomenta in alcun modo sul perché e dove la formulazione dei latini, nel significato chiarito dal documento citato, sarebbe eterodossa. Non stai rispondendo.

“che renderebbero inapplicabili all'aggiunta indebita i Santi Canoni con i quali i Padri Conciliari ritennero di sancire con rigore e chiarezza una protezione dell'inalterabilità del Simbolo”

Ancora? Dove sta scritto che il simbolo niceno-costantinopolitano è inalterabile?
a)non si dice inalterabile il niceno-costantinopolitano ma il niceno b)non si parla del simbolo ma della fede.

“Canoni appunto scientemente ignorati dai franco-latini, tanto per ignoranza teologica del pensiero dei padri greci”

Stai dando dell’ignorante a gente come Leone Magno e Gregorio Magno?

“Se i Padri conciliari scrissero e deliberarono che il Santo Spirito procede dal Padre e.... non aggiunsero che procede anche dal Figlio, non è certamente per dimenticanza, errore, imperfezione o perchè nuovi intendimenti e nuova luce (franco barbarica) dovevano ancora "illuminare" la Chiesa.”

Ma visto che il simbolo costantinopolitano aggiunge al niceno, non si dovrebbe forse dire in base al tuo stesso ragionamento che ciò è impossibile perché quando i Padri a Nicea aggiunsero al simbolo apostolico certamente non avrebbero dimenticato nulla?
Se invece è possibile modificare il simbolo, come più volte è stato fatto, cosa impedisce che si modifichi ancora? Tu stai postulando ciò che devi dimostrare, cioè l’eterodossia della formula.

“Strano poi che chi afferma che lo scisma del 1054 ebbe movente politico non riconosca analogo movente in altri momenti della storia dei rapporti fra la Chiesa romano-cattolica e la Chiesa Cattolica Ortodossa e ritorni eternamente ........”

Mi sfugge un passo. Quale movente politico avrei rifiutato di riconoscere?
Quello di Firenze forse? Ma io non hi disconosciuto il movente politico di Firenze, ho detto che è irrilevante, infatti metà dei Concili antichi sono stati pilotati dalla politica, si pensi a Costantino a Nicea, ma ciò non dice nulla sulla loro ortodossia perché la Provvidenza si serve di mille strumenti per far sì che l’ortodossia trionfi, che siano le pressioni di un politico o i turchi sotto Bisanzio.

“trasformandolo nell'ennesima "chiesa greco-cattolica", umiliata e sottomessa al Papa Latino come una diramazione di serie B a c”

E’ questo il problema, l’atteggiamento mentale di mancata obbedienza. In ciò c’è un parallelo insospettabile coi protestanti. Nessuno tollera di avere qualcuno sopra la testa. Bhe ti dirò,io invece rimpiango i bei tempi in cui era l’Oriente ad offrire obbedienza a Roma, e Roma a rifiutarla dicendo che eravamo fratelli e si doveva collaborare, cioè il rovesciamento di quanto accade oggi. Al patriarca di Alessandria, che lo aveva salutato con il titolo di vescovo universlae, Gregorio Magno risponde: “Vostra beatitudine(…) mi scrive dicendo: “coma hai ordinato”. Vi prego di non adoperare questo termine, perché so chi sono io e chi siete voi . Infatti per la posizione mi siste fratello, per la condotta padre. Non ho dunque dato un ordine, ma ho creduto di indicare ciò che mi sembrava utile.” (Ep VIII,30; PL 77, 933 C)
Da questa lettera di Gregorio impariamo due cose:
a)La percezione che avevano gli orientali del papa, cioè che avesse tutto il diritto di dare loro ordini
b)La risposta di Gregorio, che afferma che l’autorità del ministero petrino è nata per dirimere le controversie dottrinali, non per impartire ordini ad un fratello vescovo quando s’è già perfettamente d’accordo. L’atteggiamento di Gregorio che concede benignamente il posto di fratello ad un vescovo Orientale che gli aveva risposto con un “agli ordini” quant’è diversa dalle lettere che oggi Roma è costretta a scrivere, ma forse ciò è dovuto al fatto che anche l’Oriente ha dimenticato il suo posto.

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 10/07/2007 22.25]

Trianello
00martedì 10 luglio 2007 23:28
Caro P.Francesco,

per rispondere compiutamente a quanto hai scritto dovrei buttar giù un tomo di parecchie pagine su questioni come la Storia della Chiesa, lo Sviluppo del Dogma, l’Interpretazione del Dogma, la Metafisica, l’Inculturazione della Fede… ecc. Ovviamente, mi guarderò bene dal farlo, perché il tempo a mia disposzione è limitato ed ho questioni più urgenti che reclamano la mia attenzione.
Vedo che comunque, già Polymetis ti ha dato un assaggio del ginepraio in cui ci si infila nel voler affrontare certi argomenti.
PFrancesco
00mercoledì 11 luglio 2007 19:09
Re:

Scritto da: Trianello 10/07/2007 23.28
Caro P.Francesco,

per rispondere compiutamente a quanto hai scritto dovrei buttar giù un tomo di parecchie pagine su questioni come la Storia della Chiesa, lo Sviluppo del Dogma, l’Interpretazione del Dogma, la Metafisica, l’Inculturazione della Fede… ecc. Ovviamente, mi guarderò bene dal farlo, perché il tempo a mia disposzione è limitato ed ho questioni più urgenti che reclamano la mia attenzione.
Vedo che comunque, già Polymetis ti ha dato un assaggio del ginepraio in cui ci si infila nel voler affrontare certi argomenti.




I sofismi dell'ottimo Polymetis (sono sicuramente ammirato dalla sua cultura profondissima, sia detto senza alcuna intenzione ironica) sono appunto un ginepraio, per voi che li sostenete. Anche io non ho molto tempo a disposizione, anzi meno ancora di poco, e non ho mai detto che gli eterodossi non siano ottimamente preparati in metafisica, filosofia, teologia scolastica, lingue antiche, lingue moderne, linguistica, filologia, fisiologia, semantica, educazione fisica, rettorica, chimica, gastronomia, enologia o che altro....

La distinzione fra la Fede e il Simbolo che la rappresenta è quanto di meglio sa fare la dottissima arrampicasuglispecchi difesa latina della violazione dei Santi Canoni perpetrata dalla Roma franco-germanica?
Mi arrendo, di fronte a simili "argomenti" conviene solo il silenzio....non per non apparire stupidi, quanto piuttosto per non apparire poco educati.
Del resto il sito romano-cattolico di "apologetica" eterodossa che ho lincato sopra parla, con amorevole senso fraterno, della "odiosa" (letterale) concezione degli Ortodossi "bizantini" (chissà poi perchè i latini si ostinano a dimenticare che la capitale dell'Impero Romano d'oriente si chiamava Costantinopoli-Nuova Roma........) sul destino dei defunti, ricordando come nel 14* secolo la chiesa di Roma abbia sancito il suo nuovo intendimento.....e poi sul filioque confessa apertamente l'adesione a una visione eretica della processione del Santo Spirito. Contenti voi...che su questa strada non arriverete mai ad altro che a mantenere piuttosto ampio il fossato fra la chiesa romano-cattolica e la Chiesa Cattolica Ortodossa, e dovrete accontentarvi di rafforzare il proselitismo nei territori canonici di questa ultima...e campa cavallo....di vantare l'adesione di qualche nuovo colonnello unionista.... senza esercito. Mi auguro che il Santo Padre si renda conto che il lavoro da fare è tanto, e che lo spirito con il quale farlo richiede.....ben altro e ben altra assistenza di ben ALTRO SPIRITO.


Shalom
Polymetis
00mercoledì 11 luglio 2007 20:06

“I sofismi dell'ottimo Polymetis”

Anche in questa discussione, non appena sciolgo nei suoi elementi costitutivi e problematizzo l'iper-semplificazione del tuo modo di vedere le cose, te ne vai. Come preferisci.

“non ho mai detto che gli eterodossi non siano ottimamente preparati in…”

Avevi invece scritto: “Canoni appunto scientemente ignorati dai franco-latini, tanto per ignoranza teologica del pensiero dei padri greci…”

“La distinzione fra la Fede e il Simbolo che la rappresenta è quanto di meglio sa fare la dottissima arrampicasuglispecchi difesa latina della violazione dei Santi Canoni perpetrata dalla Roma franco-germanica?”

Non è un’arrampicata sugli specchi, è una necessità logica, perché quel canone efesini dichiara inviolabile la fede di Nicea, e non di nicea-costantinpololi, dunque se fosse da intere alla tua maniera, cioè l’aggiunta alla lettera del simbolo, quel canone scomunicherebbe le aggiunge di Costantinopoli. Dire che si sarebbero voluti squalificare altri simbolo esclude inoltre che ne giravano altri perfettamente ortodossi come il credo apostolico o il simbolo atanasiano.
Questa è vecchia e stantia, già il card. Cesarini davanti ai Greci al concilio di Firenze nel 1438 rispose all’argomento con queste parole: “Nel concilio di Efeso non si menzionò per nulla il simbolo costantinopolitano…. [esso] non viene vietato da questo decreto, che vieta UN’ALTRA FEDE, cioè una fede contraria e discordante dalla verità”.

“con amorevole senso fraterno, della "odiosa" (letterale) concezione”

Sei sicuro d’aver linkato la pagina giusta? In quella non c’è alcun “odiose”.

“poi sul filioque confessa apertamente l'adesione a una visione eretica della processione del Santo Spirito.”

Anch’io ho qualche perplessità sulle formulazioni di quel sito, specie per i verbi che usa, motivo per cui se vuoi conoscere la posizione cattolica è il caso di rivolgersi ai documenti ufficiali.

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 11/07/2007 20.10]

PFrancesco
00martedì 17 luglio 2007 20:40
A prescindere dal fatto che gli unici che sono fuggiti....sono i romano-cattolici, dal seno della Chiesa Cattolica Apostolica Una e Santa, preciso che nella pagina del sito eterodosso che ho sopra linkato, anche in questo momento (per un instante ho sperato in un ripensamento del grande intellettuale romano-cattolico autore di sì profonde riflessioni ....ereticali) si può leggere la seguente edificante frase:

"Dal punto di vista della vita della grazia, la dottrina " ortodossa " che non ammette retribuzione definitiva prima del giudizio finale, merita la qualifica, severa ma giusta, di odiosa. "

Per il resto la versione del Filioque espressa dal medesimo sito romano-cattolico conferma che, ancorchè ci si sforzi di tentare di dare letture "ortodosse" a tale dottrina "innovativa", l'ambiguità della sua formulazione, oggi come ieri, non può non portare a letture chiaramente eretiche.
Il Santo Spirito procede (spira, ha la sua Eterna Fonte) dal Padre. "Haec posui amore et cautela Orthodoxae fide". Se poi si vuole dire che su altro piano è mandato dal Figlio e che in altro senso "procede dal Padre e dal Figlio", come fu fatto, allora per opportunità, chiarezza e difesa della formula ortodossa di fede (dalla confusione, quanto meno) si esprima ciò con altra formula (e si tolga comunque l'indebita aggiunta dal Simbolo)!

Shalom

[Modificato da PFrancesco 17/07/2007 20.42]

=Marcuccio=
00martedì 17 luglio 2007 21:23
Io amici miei non vi capisco proprio più... mi pare di rileggere le pagine di chi mise in evidenza con parole forti e chiare l’assurdità dei conflitti tra cristiani. Il Castellion che, inviso a Calvino per il suo orientamento erasmiano incline alla tolleranza, così si espresse in proposito nella sua opera Riguardo agli eretici, se debbano essere perseguitati del 1554: "… I Cattolici, i Luterani, gli Zwingliani, gli Anabattisti, i Monaci e gli altri si condannano e perseguitano a vicenda più di quanto facciano i Turchi nei confronti dei Cristiani. Tali dissidi certo non derivano che dall’ignoranza della verità… Poiché è certo che quanto meglio uno conosce la verità, tanto meno è incline a condannare gli altri, come appare chiaramente in Cristo e negli apostoli… Ora, mentre gareggiamo negli odii e nelle persecuzioni, di giorno in giorno diventiamo peggiori e non ricordiamo il nostro dovere (occupati come siamo a condannare gli altri), e l’Evangelo ha cattiva fama tra i gentili per colpa nostra… Chi vorrebbe infatti diventare Cristiano, vedendo che coloro che confessano il nome di Cristo, senza alcuna misericordia sono uccisi dagli stessi Cristiani, col fuoco, coll’acqua e col ferro, e trattati più severamente che alcun ladrone o grassatore?" (per chi ne volesse sapere di più S. CASTELLION, Fede, dubbio e tolleranza, antologia a cura di G. Badetti, Firenze, La Nuova Italia, 1960, pagg. 50-53 passim.)
Mi dispiace dirlo però il linguaggio di PFrancesco non aiuta proprio, e Polymetis si fa prendere un pochino troppo presto dai sacri furori... mi pare semplice e pacifico invece che "i precetti divini sono iscritti nella mente e nei cuori degli uomini e possono essere riassunti in pochi dettami universali: Dio esiste, richiede un culto essenzialmente basato sulla giustizia e sulla carità, cioè sul precetto evangelico «ama il prossimo tuo come te stesso»" (per chi volesse saperne di più B. SPINOZA, Trattato teologico-politico, cap. XII, Torino, Einaudi, 1984, in I sentieri della ragione, cit., 2B pag. 367.)
Se poi si vuole ancora mescolare sulle questioni - risolte - del Filioque... disponibilissimo... ma almeno che lo si faccia con un preciso obiettivo: informare.

Ogni bene
Marcuccio
Polymetis
00martedì 17 luglio 2007 22:01
Mio caro Marcuccio, lasciare gli altri nell’errore non è carità. Né so dove stia scritto nel Vangelo che”quanto meglio uno conosce la verità, tanto meno è incline a condannare gli altri”, a meno che condannare qui non voglia dire perseguitare, perché quanto a denuncia verbale degli errori Gesù non era secondo a nessuno e San Paolo stesso dice che il rinato nella fede giudica tutti e non è giudicato da nessuno. E poi bisogna stare attenti che dietro a vane parole di conciliazione non si nascondano differenze abissali: non faremmo un servizio alla verità usando parole ambigue solo per poter andare d’accordo, quando poi ognuno nel suo privato al di là delle formule di concordia pensa qualcosa di radicalmente diverso. Ad esempio chi leggesse quelle frasi di Spinoza da te riportate mai si sognerebbe che quando costui afferma “Dio esiste” vuol dire “la natura esiste”, in quanto era panteista. E che dire del Castellion e delle sue strambe dottrine, che lui stesso pertinacemente difendeva, come l’esclusione dal canone del Cantico dei Cantici? (Del resto i riformatori avevano fatto piazza pulita dell’ecclesiologia ortodossa, ergo un Lutero che vuol fare fuori Giacomo o un Castellion che vuole far fuori il Cantico sono conseguenze inevitabili di questo clima.) Davanti a simili pretese, si può non denunciare a viva voce l’errore, specie se così radicale visto che in definitiva riguarda la concezione stessa della Chiesa?
=Marcuccio=
00martedì 17 luglio 2007 23:33
Caro Polymetis, chi non sarebbe d’accordo con te se dici solo “lasciare gli altri nell’errore non è carità”? Ma il problema è un altro e mi pare evidente: la Verità va testimoniata nella carità. Seriamente. San Francesco di Sales, nella terza parte della sua Filotea scrive: “Come la regina delle api non esce mai senza essere circondata da tutto il suo piccolo popolo, così la carità non entra mai in un cuore senza condurre al suo seguito tutte le altre virtù.” In questo senso le parole che si scambiano tra gli uomini – e a maggior ragione tra i cristiani – devono esser perfuse dalla carità, senza che l’alibi del “santo sdegno” ci prenda così facilmente la mano, perché, come spesso amo dire, la Verità ci trascende ed è impossibile avvicinarsi ad essa prescindendo dal contributo di ognuno.

Per quanto scritto da Spinoza-panteista o del Castellion bisognerebbe che si seguisse il consiglio di uno che è davvero più esperiente di noi: S. Basilio di Cesarea. Come saprai, nella sua lettera “Ai Giovani” il nostro grande padre della Chiesa scrive: “Come dai fiori le altre creature ricavano solo il piacere del profumo o del colore, mentre le api vi attingono anche il miele, allo stesso modo da questi scritti (l’autore si riferiva a scritti «pagani», i «classici», ma per estensione possiamo ben applicarlo al nostro caso N.d.R.), quanti non vi recano il fascino e la dolcezza, possono ricavare un qualche giovamento per l’anima. Dobbiamo appunto accostarci a tali opere seguendo in tutto l’esempio delle api. Esse non si posano indistintamente su tutti i fiori né cercano di portare via tutto da quelli sui quali si posano; ma prendendo soltanto quanto è necessario al loro lavoro, lasciano perdere il resto. E anche noi, se siamo saggi, una volta attinto da quelle opere quanto ci è utile ed è conforme alla verità, il resto lo trascureremo. E come nel cogliere una rosa evitiamo le spine, così nel cogliere in questi libri quanto ci è utile, staremo attenti a ciò che è dannoso”. Ora capisci quanto senso abbiano, per me, le tue sottolineature di uno Spinoza-panteista o di un Castellion che pertinacemente voleva far fuori il Ct(!). Infatti per quanto Spinoza possa essere panteista la frase citata “i precetti divini sono iscritti nella mente e nei cuori degli uomini e possono essere riassunti in pochi dettami universali: Dio esiste, richiede un culto essenzialmente basato sulla giustizia e sulla carità, cioè sul precetto evangelico «ama il prossimo tuo come te stesso»” è davvero cattolica, ortodossa e santissima. Se non conoscessi la tua grande onestà intellettuale, sembrerebbe una diversione con un argumentum ad hominem (secondo il quale invece di dimostrare la falsità di alcune affermazioni si preferisce screditare l’avversario, secondo quanto – per chi volesse saperne di più – esemplificato in SCHOPENHAUER A., L’arte di ottenere ragione, esposta in 38 stratagemmi, trad. it., CURCIO N. – VOLPI F. (a cura di), Adelphi Edizioni S.p.a., Milano 1991, sub “stratagemma n. 29 pagg. 50-52). Per non parlare di quanto sottolineato dal Castellion nel 1554; la frase sembra descrivere benissimo e nel dettaglio ciò che accade a molti cristiani di oggi che pretendono di comprendere (nel senso più etimologico) e avere in pugno la Verità prescindendo dal contributo di ognuno.

Il mio, dunque, è un appello... siamo più cristiani... almeno tra cristiani... affinchè il mondo creda!

Ogni bene
Marcuccio
Polymetis
00mercoledì 18 luglio 2007 01:09
Non ho mai detto che l’esposizione della verità non si debba accompagnare alla carità, quando all’idea del santo sdegno da te citato è mio parere che ogni tanto sia questo sdegno stesso ad essere caritatevole, perché dà una svegliata all’addormentato di turno.
Inoltre, non ho detto che fai male a citare Spinoza o chi ti pare, né che la sua filosofia squalifichi a priori tutto quello che scrive, ho semplicemente detto che quella frase non vuol dire quello che tu le attribuisci. Per Spinoza nel Tractatus dire che Dio esiste vuol semplicemente dire che esiste l’universo (Deus sive Natura). Sarebbe come citare una pubblicazione dei TdG in cui, sulla scia di Isaia, definiscono Gesù “dio potente”, e ricavarne che allora abbiamo una stessa cristologia di fondo, senza tener conto di quello che per i TdG vuol dire “dio”, termine per essi applicabile ad ogni essere potente. Quella frase di Spinoza, nel senso che il suo autore le dava, non aveva nulla di cattolico. Questo non è un argumentum ad hominem, si chiama correttezza filologica. Ho ripreso la tua citazione di Spinoza unicamente come esempio del fatto che spesso dietro a formule concilianti possano celarsi realtà abissalmente diverse, e non è lo smettere di condannare l’errore che le cose si risolvono. Spinoza scrive sempre nella stessa frase che a Dio si deve culto in giustizia e verità, ma non è riportando quella frase che troverai un’analogia tra noi cristiani e questo autore, perché lui ha in mente semplicemente il suo panteistico “amor Dei intellectualis”, tu l’adorazione a Cristo. Quello che ha provocato la mia risposta è stata semplicemente la tua citazione secondo cui “è certo che quanto meglio uno conosce la verità, tanto meno è incline a condannare gli altri”, frase che è verissima se condanna vuol dire persecuzione, ma falsa e pericolosa se vuol dire condanna verbale. Se dunque nel tuo ultimo post operi quella che è a mio avviso una giusta virata che corregge il tiro del primo post, e ciò asserisci che non è carità lasciare gli altri nell’errore e dunque sia necessario a volge anche litigare sulle parole, per me la questione è chiusa.
Né serve andare d’accordo tra cristiani di varie confessioni solo per presentare una facciata esterna credibile e fare proseliti, se poi invece pensiamo cose diverse, giacché non staremmo costruendo sulla verità e il nostro nuovo convertito si accorgerebbe subito che siamo uniti sono a suon di ciarle e vuote formule di conciliazione, troppe ambigue sia per scontentare qualcuno sia per dire qualcosa di concreto.

[Modificato da Polymetis 18/07/2007 1.12]

=Marcuccio=
00mercoledì 18 luglio 2007 12:45

“Non ho mai detto che l’esposizione della verità non si debba accompagnare alla carità…”


Bene! Allora c’intendiamo! Ma, di grazia, quand’è che cominci a esporre la verità con carità?? No, ti spiego, perché quando ti fai venire il “santo sdegno” per fare svegliare qualcuno dallo spirito – secondo te – addormentato, ne annichilisci, ti assicuro, più di quanti ne vorresti svegliare. A tal punto che sembra che tu stia in una barca cercando di buttare col secchio l’acqua che entra, e ad ogni secchiata di acqua che butti fuori ne entrano due. Per non fare affondare la barca, guardiamo a Cristo e la barca non affonderà.

Tornando a noi. Ovviamente non c’è da porsi nemmeno lontanamente il problema se Spinoza avesse detto una frase “cattolica”. Spinoza era ebreo, lo sanno tutti. Come tutti sanno che fu pure rifiutato dalla comunità ebraica. Ma quello che volevo dire non si basa sul principio della Verità, ma sul principio dell’agire etico tollerante. Infatti, con il pensiero di Spinoza la fondazione del principio di tolleranza viene ulteriormente approfondita ponendola in relazione con l’idea liberale dello Stato quale si era affermata in Olanda e con la particolare prospettiva assunta dal filosofo nell’esegesi biblica, per cui egli esclude a priori la veridicità di tutti gli eventi soprannaturali e miracolosi narrati nei libri sacri in quanto, a suo parere, incompatibili con l’ordine divino del mondo non solo voluto da Dio, ma coincidente con Dio.

La conseguenza di questa posizione è che, per quanto riguarda lo Stato, esso ha il dovere di riconoscere ai cittadini il diritto di professare pubblicamente la fede religiosa alla quale intendono aderire; per quanto riguarda l’interpretazione della Scrittura, che chiunque può riconoscervi alcuni principi fondamentali universalmente validi! Ed è proprio a quest’ultimo che io mi riferisco; è in questo senso che per me la frase è cattolica, ortodossa e santissima… perché veramente chiunque si può ritrovare in quella frase, anche se non nel pensiero dell’autore che lo ha espresso. Certo, se parli di “correttezza filologica” hai ragione: il pensiero di un autore va anche inquadrato nell’ottica generale e totale del suo pensiero, e nessuno mai l’ha negato… tuttavia così come la nostra maturità di fede ci ha fatto prendere alcuni templi pagani trasformandoli in chiesa (se ti servono esempi basta chiedermi...ti aspetto a Siracusa), applicando il principio di S. Basilio delle api, così io ho preso solo la struttura della frase di Spinoza, e l’ho applicata al principio di tolleranza, senza dimenticare di dare le coordinate a chiunque volesse approfondire il pensiero totale del filosofo.

Quindi quando scrivi “Spinoza scrive sempre nella stessa frase che a Dio si deve culto in giustizia e verità, ma non è riportando quella frase che troverai un’analogia tra noi cristiani e questo autore” è chiaro che nessun filosofo assennato ci proverebbe mai, perché dovrei farlo io? Neanche per scherzo...


“Quello che ha provocato la mia risposta è stata semplicemente la tua citazione secondo cui “è certo che quanto meglio uno conosce la verità, tanto meno è incline a condannare gli altri”, frase che è verissima se condanna vuol dire persecuzione, ma falsa e pericolosa se vuol dire condanna verbale.”

Allora se questa è la causa "semplice" e principale della tua risposta vedrò di approfondire affinché tu, e chiunque altro, possa capire in che senso non sono e non potrò essere d’accordo con te nel modo in cui si esercita quel “santo sdegno”, così facile a te, che io ho chiamato sacro furore; spiegandoti altresì in che senso le parole del Castellion sono veramente attuali. Sai, una volta c’era la condanna fisica, oggi, mutatis mutandis quella verbale. Sempre di condanna si tratta e il problema a mio avviso sta proprio qui. Difatti la confessione della singolarità di Gesù Cristo ha continuato a risuonare nel tempo attraverso la fede e l’annuncio dei cristiani: essa ha assunto forme diverse. A volte come presenza inquietante e a volte illuminante.

La cristologia antropologica ha colto la autocomunicazione di Dio; la cristologia storica in chiave hegeliana l’ha vista come comprensione del divenire in senso idealistico, con Teilhard de Chardin in senso più escatologico. Il limite teorico, per dire con parole tue “verbale”, di queste impostazioni si è tradotto però sul piano della prassi! Il riduzionismo del messaggio cristiano con due forme divergenti: da una parte l’integrismo che presume di offrire semplicisticamente soluzioni «cristiane» per ogni problema umano; dall’altra il secolarismo, che facendo della cristologia una variabile e dell’antropologia la costante, finisce col ridurre Cristo alle attese degli uomini, svuotando il suo annuncio di ogni forza di scandalo.

Ora il primo atteggiamento ha portato l’incredibile ondata di violenza esercitata su individui e su popoli per indurli all’accettazione forzata del Vangelo cristiano; il secondo ha motivato la perdita d’identità di non pochi credenti in un impegno a misura puramente mondana. Se, dunque, il frutto del secolarismo è l’indifferenza è proprio perché il frutto dell’integrismo è l’intolleranza. Per non cadere in questi eccessi, bisogna pensare, secondo me, in maniera più concreta. “Il cammino che abbiamo percorso non è forse disseminato di sbagli, di errori e di sconfitte?” (H.-I. Marrou, Teologia della storia, Milano 21979, pag. 52), una Chiesa, la mia, di martiri, di persecutori, di inquisitori e di inquisiti. Non c’è da stupirsi quando ci rivolgono il rimprovero di essere intolleranti: “Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2,18).

Altro che “dilettarsi” in condanne verbali, fratellino mio. Solo dove l’annuncio ecclesiale diventa testimonianza concreta di servizio all’altro, con la forza dei muscoli, si può rivolgere l’invito decisivo “Viene e vedi!” (Gv 2,46), è possibile pure pensare che lo scandalo venga superato nell’abbandono della fede. Solo l’amore è credibile! “Quando è apparsi in Giudea, il popolo non l’ha creduto il vero Dio parlante, perché si presentava come un poveraccio, non con l’uniforme delle autorità. Però, se torna, si presenterà ancora più miserabile, nella persona di un lebbroso, di un a accattoncella deforme, di un sordomuto, di un bambino idiota…” (E. Morante, La storia, Torino 1974, pag. 591). “Non giudicate, per non essere giudicati” (Mt 7,1). La solita solfa sta sempre lì: la Verità ci trascende ed è impossibile pensare di avvicinarsi ad essa senza il contributo di ognuno.

Le vie della grazia non sono sempre quelle dell’assenso visibile a Cristo, Poly! Non accettavano forse Cristo quegli indios, che si facevano uccidere, piuttosto che aderire al Vangelo imposto con le armi dai conquistadores? “Confronta ora le doti di prudenza, ingegno, magnanimità, temperanza, umanità, religioni di questi uomini (gli spagnoli N.d.R.) con quelle di quegli omuncoli nei quali a stento potrai riscontrare qualche traccia di umanità, e che non solo sono totalmente privi di cultura, ma non conoscono l’uso delle lettere, non conservano alcun documento della loro storia, […] non hanno alcuna legge scritta, ma soltanto istituzioni e costumi barbari” (J. G. DE SEPULVEDA, Democrates alter, sive de iustis belli causis apud Indos, 1545, vers. It., in M. DE BARTOLOMEO, V. MAGNI, I sentieri della ragione, tomo 2B, Bergamo, ATLAS, 2005, pag. 475). Non è forse vero che “Tutta questa gente di ogni genere fu creata da Dio senza malvagità e senza doppiezze, obbedientissima ai suoi signori naturali e ai cristiani, ai quali prestano servizio; la gente più umile, più paziente, più pacifica e quieta che ci sia al mondo, senza alterchi né tumulti, senza risse, lamentazioni, rancori, odi, progetti di vendetta” (B. DE LAS CASAS, Brevisima relaciòn de la destructiòn de las Indias, 1552, vers. It., in I sentieri della ragione, cit. pag. 475-476)e noi l'abbiamo letteralmente martirizzata?

Le vie della grazia non sono sempre quelle dell’assenso visibile a Cristo, Poly!! Non entrava forse nel Regno Girolamo Savonarola che per amore di Cristo, andava incontro al rogo, preparatogli nel nome di Cristo? Non è forse Cristo lo sconosciuto prigioniero del Grande Inquisitore di Dostoevskij? Poly, “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8). Questo significa forse che il cristiano può avere l’alibi del disimpegno all’annunzio? No. Ma il dovere del cristiano non è quello di condannare, ma di annunciare, di proporre non d’imporre.

Il mio, dunque, se capisci ora il problema, non è dare una facciata di irenismo. Ma è veramente mettere Gesù in mezzo. L’unico capace di fare unità. Se poi sei convinto di possedere la Verità, perché l’hai recepita dalla nostra Santa Madre Chiesa e la vuoi continuare a far conoscere così, che dire fratello? Io ti temo…

Ogni bene
Marcuccio
Polymetis
00mercoledì 18 luglio 2007 13:06
Io credo che l’attuale papa non sarebbe d’accordo in nulla del pastrocchio che hai scritto. Continua a mischiare condanne fisiche con condanne verbali, senza mostrarmi dove starebbe l’errore delle seconde. Cristo stesso usava invettive, e Paolo in questo l’ha seguito. L’errore va condannato, non sepolto sotto il perbenismo. Mostrare delle opere senza nel frattempo dire perché crediamo quello che crediamo e perché gli altri sbagliano significa non edificare sulla verità ma sull’agire umano. Il papa nel suo ultimo libro non a caso ha evidenziato l’inefficacia gli aiuti umanitari puramente materiali che non sono stati accompagnanti dalla predicazione.
Hai una mentalità sottilmente relativista e mi dispiace che tu non te ne renda conto. Ma cosa c’entrano gli indios con quello che ti ho detto, me lo spieghi?
E’ un dovere, se penso che l’atro sia nell’errore, dirglielo. Posso ammettere che si discuta sui toni con cui questo vada fatto, ma non che quest’azione sia da farsi.
Inoltre ridurre la Scrittura ad un’insieme di principi universalmente validi che ognuno può trovarvi non è una frase cattolica ma un’eresia, Gesù non è l’ennesimo santone. Se vuoi che la Bibbia sia questo puoi andare a leggerti le massime di Confucio. Per il cristiano quei principi sono il nulla se separati dalla loro radice che si chiama Cristo.
Inoltre ti prego di non continuare a confondere la condanna con l’imposizione, sono due cose diverse il denunciare l’errore e l’imporre che venga corretto.

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 18/07/2007 14.09]

=Marcuccio=
00mercoledì 18 luglio 2007 14:20

Io credo che l’attuale papa non sarebbe d’accordo in nulla del pastrocchio che hai scritto.


Se tu non sei d’accordo con ciò che ho scritto, non mi fa problema. Ognuno, nella libertà dei figli di Dio, può pensare questo e altro e tu hai la libertà di non pensarla come me. Cosa c’entra Benedetto? Puoi davvero chiamare in causa il simbolo attuale dell’unità della Cattolica, facendoti ermeneuta del suo pensiero? Se si, bene! Non avrei nulla in contrario. E se la tua interpretazione del suo pensiero risultasse veritiera mi troverei in disaccordo con te e con Benedetto! Il problema è che non per questo perderei minimamente il mio essere cattolico. Perché sul piano della fede e della prassi liturgica riconosco il Cristo Signore, confesso il Battesimo e tutti gli altri sacramenti della nostra fede. Sul piano pratico mi rivolgo e mi do all’altro cercando di imitare il “come” Cristo ci ha amato. Le condanne che credi di vedere nei vangeli vanno interpretate. Se vogliamo fare esegesi teologica, sono disponibilissimo. Purchè si combini la Scrittura con l’agire della Chiesa. Quindi se tu ti trovi d’accordo con le parole del papa, amen! Non c’è problema per me. Io non mi trovo d’accordo con le tue. Da quando le parole del pontefice sarebbero diventate la Verità anche quando non ex cathedra?


Continua a mischiare condanne fisiche con condanne verbali, senza mostrarmi dove starebbe l’errore delle seconde.


Ma, è presto detto, basta leggere tra le righe del mio precedente intervento … sono proprio le condanne verbali che derivano dalle teorie teologiche (variabili nel tempo) che portano a risvolti nella prassi. Come già mostrato: secolarismo (indifferenza) e integrismo (intolleranza).



Hai una mentalità sottilmente relativista e mi dispiace che tu non te ne renda conto. Ma cosa c’entrano gli indios con quello che ti ho detto, me lo spieghi?

Ti ho voluto mostrare l’effetto dell’integrismo, Poly. Possibile che tu non l’abbia ancora capito? Peccato il tempo perduto a scrivere, allora. Ti ho voluto mostrare che la grazia non si manifesta solo nell’assenso visibile al Cristo che noi predichiamo. E che paradossalmente capita che le condizioni storiche ci facciano predicare un Cristo in una maniera quasi oscena.

Quando il Signore dice “Andate e battezzate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, ne eravamo tanto convinti da creare marrani e compagnia bella! Quando persino S. Tommaso dimostra una visione abbastanza aperta con la dottrina del battesimo di desiderio, che può condurre alla salvezza anche in mancanza della celebrazione materiale del Sacramento, e sostenendo non essere né lecita né valida l’imposizione coercitiva del battesimo a chi non la desidera, né tantomeno la somministrazione di esso a bambini figli di genitori ebrei non convertiti che pertanto non potrebbero garantire una educazione adeguata nella fede cristiana (Cfr. Summa Theologiae, tertia pars, qu. 68, a. 2, respondio: “Alio modo potest sacramentum Baptismi alicui deesse re, sed non voto: sicut cum aliquis baptizari desiderat, sed aliquo casu praevenitur morte antequam Baptismum suscipiat. Talis autem sine Baptismo actuali salutem consequi potest, propter desiderium Baptismi, quod procedit ex fide per dilectionem operante”; inoltre per quanto riguarda la questione degli ebrei, qu.68, a. 10: “contra iustitiam naturalem esset si tales pueri, invitis parentibus, baptizarentur, sicut etiam si aliquis habens usum rationis baptizaretur invitus”. ) Inoltre nella Summa contra gentiles mostra un certo orientamento verso quello che oggi si chiamerebbe un “sano pluralismo”. Infatti riconosce la possibilità e la legittimità di considerare la realtà da due punti di vista diversi e complementari: quello del filosofo e quello del credente. Il primo studia le cose in se stesse ricercandone la natura e l’origine in relazione alle cause naturali empiricamente osservabili o razionalmente deducibili; il secondo, preso atto delle conoscenze acquisite dal primo, le considera da un altro punto di vista, quello cioè del loro rapporto con Dio (“Per questo motivo il filosofo e il credente considerano nelle cose aspetti differenti. Infatti il filosofo ne considera le proprietà che loro convengono secondo la propria natura: nel fuoco, per esempio, la tendenza a salire verso l’alto. Invece il credente il loro riferimento a Dio, ossia il fatto che sono create da Dio, che a lui sono soggette, ed altre cose del genere” (TOMMASO D’AQUINO, Summa contra Gentiles, II, 4, in I sentieri della ragione, cit., tomo 1B, pag. 380). Vero è che non bisogna mischiare condanna e imposizione...Ma la storia ci dimostra veramente altro. Io non ho nessun problema ad ammettere orrori/errori della mia Chiesa, come chiunque altro che abbia una fede matura. Oggi quel “Andate e battezzate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” va interpretato alla luce di ciò che esprime il vissuto della nostra Santa Madre Chiesa.

E cioè che c’è un lato “sensibile” del sacramento (che avviene per richiesta da parte del non credente), ma c’è un lato sovra sensibile che è “andate” il movimento attivo, “battezzate” immergete le persone, “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” cioè la Trinità ergo relazione d’Amore. Pertanto il comando, oggi, va interpretato e vissuto “prima” nel lato sovra sensibile “andate e immergete, ricolmate, inondate le persone d’amore” perché è l’amore che cambia la persona, è Dio, non le parole.

L’integrismo è una grave piaga! Poi quando il dato sovra sensibile è soddisfatto si può passare – per volontà dell’altro – all’atto sacramentale! Quando giudichi e condanni verbalmente ti fai portatore di una fede che non comunica proprio nulla… il “giudicare” deve stare per per “non imitare”, la condanna in questo senso è un’arma a doppio taglio, quasi una zappa sui piedi.


Posso ammettere che si discuta sui toni con cui questo vada fatto

grazie per la concessione…, io mi accontento veramente di poco perché sono per la gutta cavat lapidem. Vero è, ripeto, che condanna e imposizione sono cose diverse ma nella vita di ogni giorno, quella slegata dall’ambiente asettico dei nostri salotti accademici, non si arriva ad un’ortoprassi. La vita vissuta ne è testimonianza.

In questo senso, amico mio, io ho esposto la mia, tu la tua. Continuiamo a servire la vigna del Signore attraverso i talenti che Lui ci ha dato. In un modo o nell'altro avremo buoni frutti (io certo, parlo per me, non mi permetto di invadere il tuo operato). Nel caso avessimo ragione o torto tutti e due, solo il futuro potrà dircelo, ma speculare sui futuribili è cosa vana.

Concludo quindi il nostro franco scambio di idee (perché è così che lo considero), con la frase in testa a “La malattia mortale” di S. Kerkegaard: “Signore, donaci occhi miopi per tutte le cose che passano, ed occhi di piena chiarezza per ogni tua verità”. Ti auguro veramente

Ogni bene
Marcuccio
Polymetis
00mercoledì 18 luglio 2007 14:27
Due parole in aggiunta. L’annuncio di per se comporta anche la refutazione dell’errore altrui, non è cioè possibile annunziare senza condannare l’opinione altrui. Se un TdG proclama “La Trinità non esiste,” e io proclamo “la Trinità esiste”, già per questo dico implicitamente che è nell’errore. Ma non posso certo limitarmi a questo, devo anche dire perché è nell’errore, al fine di liberarne lui e di preservarne altrui. Platone argomenta giustamente contro i sofisti che: “Appartengo al genere di uomini che prova piacere nell’essere confutato, se dice cosa non vera, e nel confutare, se qualcuno non dice il vero, e che, senza dubbio, accetta d’esser confutato con un piacere non minore di quello che prova confutando. (…) Niente, difatti, è per l’uomo un male tanto grande quanto una falsa opinione sulle questioni di cui ora stiamo discutendo”
Nascondere quello che penso in nome di un patetico rispetto non è un servizio alla verità ma all’ipocrisia. Il rispetto costruito sulla non-verità è destinato a crollare perché manca di presupposti.
Ovviamente è inutile dire che come qualunque sofista tu stesso sei vittima dell’elenchos, perché mi dici non condannare e non giudicare, ma così facendo condanni e giudichi il mio atteggiamento, reputandolo controproducente, e cioè dando un giudizio di valore su esso.
Il versetto che citi in cui Gesù insegna a non giudicare non è un precedente del relativismo culturale, infatti Gesù specifica il senso affermando "Non giudicate secondo l'apparenza, ma giudicate secondo giustizia" (Gv. 7,24) In un’altra occasione ha parole di lode per una persona saggia dicendole: "Hai giudicato rettamente" (Lc 7,43). L'Apostolo ai corinzi scrive: "Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? Se dunque il mondo è giudicato da voi, siete voi indegni di giudicare delle cose minime?" (1 Cor 6,2).E ancora: "L'uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa ed egli stesso non è giudicato da nessuno. Infatti «chi ha conosciuto la mente del Signore da poterlo istruire?» Ora noi abbiamo la mente di Cristo" (1 Cor 2,15-16).

Se noi "giudicheremo il mondo" (1 Cor 6,2) è perché siamo il sale della terra, siamo apposta sulla terra per dare una svegliata al prossimo e dirgli che sta mandando in malora la sua vita, e questo non si può fare limitandosi a ripetere i nostri contenuti, perché è inevitabile che davanti alle sfide del pensiero filosofico contemporaneo la riproposizione dei contenuti cristiani passi anche per una confutazione di tutte le false ideologie. Ireneo scriveva un “Contro le Eresie”, Ippolito una “Confutazione di tutte le eresie”, i nostri avversari oggi si chiamano Nietzsche, Freud, Marx, ecc.
C’è un motivo per cui esistono organismi come la Congregazione per la dottrina della fede, un motivo per cui ad esempio s’è condannata la teologia della liberazione, ecc. perché davanti alla distorsione della verità in nome dell’ideologia non ci si può esentare dal chiarire dove stia il messaggio di Cristo e dove invece cominci l’ideologia.

Ad maiora
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